Tuor - Troppo presto per parlar di ripresa

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Forumer storico
Troppo presto per parlar di ripresa
Occorre distinguere tra durata della crisi e suo decorso
di ALFONSO TUOR

La crisi finanziaria cominciata nell’agosto del 2007 e che ha provocato anche una grave crisi economica globale a partire dall’ultimo trimestre dell’anno scorso, è solo all’inizio. Il suo decorso è però molto incerto. In quest’ottica deve essere letta l’affermazione dei ministri dell’Economia del G7 secondo cui «il ritmo di contrazione dell’economia sta rallentando e stanno emergendo alcuni segnali di stabilizzazione». Questo giudizio è confortato dagli ultimi dati economici americani ed europei che sono meno negativi dei precedenti. Questo lieve miglioramento è dovuto a due fattori.
Il primo è un aggiustamento delle scorte. Le imprese negli ultimi tre mesi dell’anno scorso sono state sorprese dall’entità e dalla rapidità del crollo della domanda e hanno di conseguenza dato priorità allo smaltimento delle giacenze nei loro magazzini. Questo processo è molto probabilmente giunto a conclusione e quindi ha permesso l’innalzamento della produzione. Il secondo fattore è il manifestarsi dei primi effetti dei pacchetti di rilancio dell’economia. In proposito basti ricordare gli incentivi all’acquisto di automobili varati da alcuni Paesi (tra i quali Germania, Francia ed Italia) che hanno permesso una stabilizzazione delle vendite, nei mesi precedenti in caduta libera. In questa direzione stanno pure giocando le misure di politica monetaria che sono di entità senza precedenti. Ad esempio, il forte ribasso del costo del denaro ha sicuramente migliorato la situazione finanziaria di molte famiglie e anche di alcune imprese.
Tutto ciò non basta comunque per intravvedere la luce alla fine del tunnel di questa crisi e nemmeno, come hanno invece fatto alcuni, per ipotizzare l’inizio della ripresa nell’ultimo trimestre di quest’anno o al più tardi l’anno prossimo.
Occorre infatti operare una distinzione tra la durata della crisi e il suo decorso. Quest’ultimo non è destinato ad essere lineare, ossia ad essere contrassegnato da un continuo peggioramento destinato prima o poi a sfociare in una ripresa che segnerà la fine della crisi. L’esperienza giapponese degli anni Novanta, ossia di un Paese che ha vissuto una crisi del debito paragonabile a quella attuale, dimostra che l’economia ha continuato ad oscillare tra riprese, per lo più determinate dai pacchetti di rilancio governativi, fasi di stagnazione e brevi recessioni: le fasi positive si sono via via esaurite con l’esaurirsi degli effetti delle misure statali. Questo continuo su e giù dell’economia nipponica è proseguito per più di due decenni, nonostante il Giappone abbia potuto beneficiare della forte crescita nel resto del mondo che continuava ad assorbire le sue esportazioni.
Tutto ciò induce a ritenere che siano possibili brevi fasi di miglioramento dell’economia o ancor meglio di rallentamento del suo ritmo di contrazione, che però non devono essere confuse con l’uscita dal tunnel della crisi. È anzi probabile che questi miglioramenti si avvertiranno ancor più nei prossimi mesi quando i pacchetti di rilancio fiscali varati da molti Paesi saranno a pieno regime.
Questo non significa ancora l’uscita da una crisi causata da un eccesso di indebitamento di famiglie ed imprese e da una grave destabilizzazione bancaria. La riduzione del debito e il risanamento del sistema bancario richiedono infatti tempi lunghi. I motivi sono presto detti. La recessione provoca tra l’altro un peggioramento della qualità dei crediti e quindi un aumento delle sofferenze bancarie. Ciò rafforza il calo dei consumi e degli investimenti. L’interazione tra questi due processi aggrava la crisi. Inoltre il forte calo dell’inflazione in atto ovunque fa sì che per la prima volta in questo dopoguerra non abbiamo solo una contrazione dell’economia in termini reali, ma anche in temini nominali. Ciò vuole dire che cresce il rapporto tra indebitamento privato e dimensioni dell’economia, anche se stagna l’erogazione di nuovi crediti.
Ma c’è di più. Gli interventi di salvataggio delle banche, i pacchetti di rilancio economico e il forte calo delle entrate fiscali stanno facendo esplodere ovunque i disavanzi pubblici. Basti pensare che il deficit federale americano dovrebbe superare quest’anno il 9% del PIL, quello britannico il 9,8% e quello giapponese il 9,6%. Il Fondo monetario internazionale prevede per l’anno prossimo un ulteriore peggioramento delle finanze pubbliche. Ad esempio il deficit pubblico tedesco dovrebbe salire dal 4,7% di quest’anno al 6,1% del PIL l’anno prossimo. L’esplosione dei debiti pubblici si aggiungerà ad un debito privato che in alcuni Paesi, come Stati Uniti e Gran Bretagna, è già a livelli insostenibili. Questa montagna di debiti privati e pubblici è il fattore che rende assai poco probabile una rapida uscita dalla crisi. La politica dei Governi e delle banche centrali è proprio tesa ad evitare che la contrazione dell’economia non faccia sì che l’attuale calo dell’inflazione si trasformi in deflazione, ossia in un processo di caduta dei prezzi e dei salari che renderebbe ancora più ardua la riduzione dei debiti. Questo è l’imperativo categorico soprattutto di Paesi come gli Stati Uniti che esplicitamente preferiscono correre il rischio dell’inflazione. In altre parole, il Governo americano e la Federal Reserve sono disposti ad attuare ulteriori ed ancora più dispendiosi interventi per evitare una caduta dei prezzi negli Stati Uniti. Tutto ciò rende estremamente arduo prevedere il decorso di questa crisi: siamo comunque ancora e solo alle battute iniziali.
 

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