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"La campagna per Amina la danneggia"
I sostenitori locali della giovane nigeriana che rischia la lapidazione chiedono di fermare la protesta. "Le lettere sono inaccurate e in questa fase possono essere percepite come intrusioni degli infedeli".
di Sofia Basso
Le associazioni nigeriane che sostengono Amina Lawal, la donna che rischia la lapidazione per una gravidanza fuori dal matrimonio, lanciano un appello affinché la campagna internazionale di protesta si fermi: allo stadio attuale può solo danneggiare la giovane. Le lettere che stanno facendo il giro del mondo riportano informazioni errate e possono essere percepite dalle autorità locali come una fastidiosa intrusione degli "infedeli".
Malgrado in molte mail che circolano nel cyber-space chiedendo "una firma per salvare Amina" si sostiene che la signora Lawal sia stata condannata a morte dalla Corte Suprema Nigeriana, il suo processo è solo al primo grado. Dare per scontato che la giovane sia a un passo dalla morte a colpi di pietra non l'aiuta. Gli attivisti di Baobab spiegano che nessun appello sostenuto da loro è mai stato perso e che prima di chiedere al mondo di far pressione sul governo locale vogliono aspettare la sentenza del 3 giugno. "Nessuna condanna di morte per ora è stata portata a termine," precisano da Baobab, "i ricorsi in appello hanno avuto successo oppure i condannati sono ancora in attesa di nuovi pronunciamenti della corte".
Secondo Baobab, il più grave pericolo fisico che al momento minaccia Amina può venire da un'eccessiva reazione della polizia e dei politici ai tentativi internazionali di fare pressione. Eclatante il caso di Bariya Magazu, l'adolescente condannata per sesso fuori dal matrimonio in Zamfara nel 1999: proprio per sfidare la mobilitazione internazionale e opporre resistenza a "quelle lettere dagli infedeli", la sentenza fu messa in pratica dall'oggi al domani senza alcun preavviso. "I difensori dei diritti delle donne," incalza Ayesha Iman del direttivo di Baobab, "dovrebbero valutare potenziali effetti negativi prima di elaborare le loro strategie". E anche quando la protesta è la forma appropriata di azione, se si basa su fatti non accurati è ovviamente controproducente.
Tra le accortezze che gli attivisti nigeriani chiedono ai supporter internazionali c'è quella di non "ripresentare stereotipi negativi dell'Islam e dei musulmani": "Accettare gli stereotipi che presentano l'Islam come incompatibile con i diritti umani non solo perpetua il razzismo ma conferma anche le affermazioni dell'estrema destra politico-religiosa in tutti i contesti", precisa la Iman. L'attuale campagna preoccupa le associazioni locali anche perché quando la mobilitazione dell'opinione pubblica mondiale diventasse utile alla causa di Amina, l'energia morale dell'indignazione mondiale potrebbe essersi ormai esaurita. Insomma, le lettere di protesta funzionano ma solo se arrivano al momento giusto. Ciò che adesso può aiutare Amina e le altre donne che si trovano nella sua situazione è ben altro: fondi, scambio di informazioni e di esperienze e luoghi sicuri dove le vittime possano trovare riparo.
(8 MAGGIO 2003, ORE 9:30)
"La campagna per Amina la danneggia"
I sostenitori locali della giovane nigeriana che rischia la lapidazione chiedono di fermare la protesta. "Le lettere sono inaccurate e in questa fase possono essere percepite come intrusioni degli infedeli".
di Sofia Basso
Le associazioni nigeriane che sostengono Amina Lawal, la donna che rischia la lapidazione per una gravidanza fuori dal matrimonio, lanciano un appello affinché la campagna internazionale di protesta si fermi: allo stadio attuale può solo danneggiare la giovane. Le lettere che stanno facendo il giro del mondo riportano informazioni errate e possono essere percepite dalle autorità locali come una fastidiosa intrusione degli "infedeli".
Malgrado in molte mail che circolano nel cyber-space chiedendo "una firma per salvare Amina" si sostiene che la signora Lawal sia stata condannata a morte dalla Corte Suprema Nigeriana, il suo processo è solo al primo grado. Dare per scontato che la giovane sia a un passo dalla morte a colpi di pietra non l'aiuta. Gli attivisti di Baobab spiegano che nessun appello sostenuto da loro è mai stato perso e che prima di chiedere al mondo di far pressione sul governo locale vogliono aspettare la sentenza del 3 giugno. "Nessuna condanna di morte per ora è stata portata a termine," precisano da Baobab, "i ricorsi in appello hanno avuto successo oppure i condannati sono ancora in attesa di nuovi pronunciamenti della corte".
Secondo Baobab, il più grave pericolo fisico che al momento minaccia Amina può venire da un'eccessiva reazione della polizia e dei politici ai tentativi internazionali di fare pressione. Eclatante il caso di Bariya Magazu, l'adolescente condannata per sesso fuori dal matrimonio in Zamfara nel 1999: proprio per sfidare la mobilitazione internazionale e opporre resistenza a "quelle lettere dagli infedeli", la sentenza fu messa in pratica dall'oggi al domani senza alcun preavviso. "I difensori dei diritti delle donne," incalza Ayesha Iman del direttivo di Baobab, "dovrebbero valutare potenziali effetti negativi prima di elaborare le loro strategie". E anche quando la protesta è la forma appropriata di azione, se si basa su fatti non accurati è ovviamente controproducente.
Tra le accortezze che gli attivisti nigeriani chiedono ai supporter internazionali c'è quella di non "ripresentare stereotipi negativi dell'Islam e dei musulmani": "Accettare gli stereotipi che presentano l'Islam come incompatibile con i diritti umani non solo perpetua il razzismo ma conferma anche le affermazioni dell'estrema destra politico-religiosa in tutti i contesti", precisa la Iman. L'attuale campagna preoccupa le associazioni locali anche perché quando la mobilitazione dell'opinione pubblica mondiale diventasse utile alla causa di Amina, l'energia morale dell'indignazione mondiale potrebbe essersi ormai esaurita. Insomma, le lettere di protesta funzionano ma solo se arrivano al momento giusto. Ciò che adesso può aiutare Amina e le altre donne che si trovano nella sua situazione è ben altro: fondi, scambio di informazioni e di esperienze e luoghi sicuri dove le vittime possano trovare riparo.
(8 MAGGIO 2003, ORE 9:30)