Una portaerei carica di F-18 nel Mar Giallo. La Cina si indigna e lancia avvertimenti

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Una portaerei carica di F-18 nel Mar Giallo. La Cina si indigna e lancia avvertimenti


PeaceReporter - Usa-Cina, la provocazione si chiama George Washington



Una superportaerei con una pista di decollo-atterraggio lunga 333 metri e 6250 membri d'equipaggio tocca i nervi scoperti della Cina. E' la George Washington, che per la seconda volta nel giro di due settimane torna nel Mar Giallo per esercitazioni congiunte Usa-Corea del Sud.
Per Pechino si tratta di una provocazione. Anche se la nave si trova in acque internazionali, la vicinanza alle coste cinesi espone il Dragone al raggio d'azione dei suoi F-18.


Anche osservatori americani concordano sul ruolo simbolico e intimidatorio che sta svolgendo la George Washington. Sul magazine conservatore Forbes,il columnist Gordon G. Chang sintetizza così il messaggio che gli Usa stanno inviando alla Cina: "Siamo sicuri abbiate compreso che ne abbiamo abbastanza delle vostre pretese senza fine, per cui adesso beccatevi questa ditata nell'occhio. Buona giornata a voi!"

Oltre Muraglia prevale un sentimento di rabbia.
Su China Daily si legge: "Washington e Seul hanno spesso deciso di ignorare le preoccupazioni della Cina sulla propria sicurezza, e questo non deve essere permesso sulla soglia di casa cinese. Questa politica del rischio calcolato è un'aperta sfida alle politiche di sicurezza della Cina. Ha già sollevato forte indignazione nella società e nei media cinesi".


Niente mezzi termini in un editoriale di Global Times: "I politici Usa hanno parole dolci ma ti pugnalano alle spalle quando sei distratto".

Sulla stessa testata Luo Yuan, che è generale di divisione e vice segretario dell'accademia militare, parla di "deliberata provocazione" e sottolinea l'importanza di avere l'appoggio dell'"opinione pubblica". L'America si sta inimicando quella cinese e di conseguenza dovrà poi fare i conti con quella interna di fronte a eventuali rappresaglie economiche del Dragone: "La Cina è il più grande mercato del mondo, offendere la Cina significa perdere, o quanto meno ridurre, la propria quota".

Particolare da non trascurare: secondo Lu, la presenza della portaerei George Washington nel Mar Giallo non farà altro che rivelare segreti tecnologici all'Esercito Popolare di Liberazione, che in futuro ne costruirà di proprie.

L'indignazione è mitigata però da altre considerazioni e dalla consapevolezza della propria forza.
Sul Quotidiano del Popolo, l'editorialista Li Hong invita alla calma: "Il nostro Paese non deve reagire sproporzionatamente. Dopo tutto quella del Pentagono è pura ostentazione o tuttalpiù una proiezione di potenza e predominio militare sebbene lo Zio Sam stia diventando sempre più precario nelle sue fondamenta finanziarie ogni giorno di più. E' strano che che gli economisti americani abbiano messo in guardia sul fatto che alcune delle loro città siano già costrette a risparmiare sull'illuminazione pubblica, di notte, per risparmiare dollari, e intanto le loro avanguardistiche navi da guerra stiano solcando tre dei quattro Oceani, notte e giorno. In Cina chiamiamo tutto ciò 'bai-ja-zi' (uno spreco)".

Dei commenti va sottolineato soprattutto il ragionamento economico e la velata minaccia sottostante.
I cinesi si ritengono in credito con gli Stati Uniti. La colpa della crisi economica è per Pechino del tutto americana a causa di un sistema economico insostenibile, basato sul consumo a credito. E alla fine è scoppiato. In questo senso la Cina ha prima sostenuto l'economia dei "galeotti incatenati", vendendo merci a buon mercato negli Usa e poi ricomprando il debito americano sotto forma di bond del Tesoro. Scoppiata la bolla, ha perfino accettato di rivalutare lo yuan su pressioni dell'amministrazione Obama, che voleva ridare competitività all'export Usa.
Di fronte all'ennesima provocazione manu militari, il Dragone reagisce stupito e offeso.

Ancora Li Hong: "Di fatto la Cina è stata molto collaborativa e disponibile nel respingere la crisi finanziaria globale e la pesante recessione - prodotti della deregulation americana - e nel comprare i bond del Tesoro Usa per sostenere, laggiù, il fondamentale stimolo alla spesa.
Otto mesi fa il presidente Obama ha dichiarato al mondo che 'la crescita di una forte, prospera Cina, può essere fonte di ricchezza per la comunità delle nazioni.'
Ma oggi, il calore dei rapporti è difficilmente tangibile."

Gabriele Battaglia
 
Negli Usa la ripresa è già finita. Sullo sfondo, partnership e competizione con la Cina

http://it.peacereporter.net/articolo/23587/La+crisi+d'agosto+e+i+galeotti+incatenati


Mercoledì 11 agosto, un crollo dei mercati di tutto il mondo ci fa scoprire, caso mai ce ne fosse bisogno, che la crisi non è finita. E' bastato l'annuncio della Federal Reserve americana secondo cui la ripresa non è poi così sostenuta perché Wall Street facesse registrare un -2,46 (Dow Jones) e un -3,01 (Nasdaq). Da questa parte dell'Oceano, Milano si conferma anello debole dei mercati europei (-3,04) e l'Euro scende a 1,28 dollari.

Il punto è che la ripresa non tira perché sono i consumi, a non tirare.
Quel barlume di crescita economica che si è registrato negli Usa dopo il credit crunch è stato di fatto creato dalla Fed immettendo nuova liquidità nei mercati, nella speranza che questa fluisse automaticamente nell'economia reale innestando un nuovo circolo virtuoso. Ma così non è andata e si è avuta una crescita senza creazione di posti di lavoro. Difficile spendere e spandere senza lavorare.
Allo stesso tempo, anche il consumo delle imprese è stato troppo timido. A questo punto non restavano che i lavori pubblici, ma pure su questo fronte non si è registrata la necessaria spinta.

Molte aspettative risiedevano nella Cina che da un lato avrebbe dovuto inserire parte della sua enorme liquidità nel ciclo economico, dall'altro rivalutare lo yuan di quel tanto che bastasse a rendere di nuovo competitive le esportazioni occidentali.
La Cina è in parte venuta incontro alle pressioni americane sul secondo punto, rivalutando la sua moneta a fine giugno. Ma il Dragone ha le proprie strategie. Immette liquidità nei mercati mondiali, sì, però in cambio di materie prime, la (necessaria) benzina nel motore della sua enorme macchina produttiva. E in questo compie un ribaltamento, perché fino a poco tempo fa svolgeva un ruolo disinflattivo mentre adesso rischia di dare il suo bravo contributo alla crescita dell'inflazione.

Fino a quando funzionava l'economia dei "galeotti incatenati" (chain-gang economics), cioè fino alla vigilia del credit-crunch, la Cina inondava l'Occidente di merce a buon mercato che contribuiva a tenere bassi i prezzi dalle nostre parti. In pratica, il sistema industriale poteva contenere le nostre richieste salariali perché tanto la "roba" costava poco ed eravamo tutti contenti. Una manna soprattutto per l'economia iperconsumistica Usa, basata sull'acquisto a credito. Buona parte del grande surplus commerciale del Dragone finiva tra l'altro nel riacquisto di buoni del Tesoro americano. L'economia era "drogata" da questi due competitor-partner che proprio come due galeotti incatenati si pestavano i piedi a vicenda ma si sorreggevano pure.
Oggi, la competizione scatenata dal Dragone per acquistare commodities, contribuisce invece al rialzo dei prezzi.

L'Occidente spera allora nel consumo dei cinesi, soprattutto della nuova middle-class che si stima attorno ai trecento milioni di persone. Ma l'ultima delusione arriva dalla scoperta che i cinesi consumano cinese, anche perché il Dragone non produce più solo merce scadente e low-tech; produce tutto. Si veda per esempio il mercato dei telefonini, forte di 755 milioni di clienti (un miliardo e cento milioni previsti per il 2014), dove i prodotti che tirano sono soprattutto locali.

Ultimamente la Cina compra i titoli americani a breve termine perché non si fida più del suo ex compagno di catene. Così facendo tiene Washington sulle spine, imponendogli di ridurre il deficit, cioè di fatto imponendogli di contenere le proprie ambizioni militari: Pechino riduce le guerre.
Non a caso, Obama ha appena confermato il ritiro dall'Iraq nonostante laggiù si stia registrando un'accentuata attività degli insorti.
Anche questo spiega lo stupore cinese di fronte alle provocazioni Usa nel Mar Giallo: come potete pretendere che vi compriamo il debito se ci venite a pestare i piedi in casa nostra? A meno che la portaerei George Washington non sia proprio l'extrema ratio americana: continuate a comprare i nostri bond o è peggio per voi.

Gabriele Battaglia
 

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