una scusa per apporre sanzioni contro la Russia si trova sempre. (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
Incredibile: Renzi blocca le sanzioni Ue alla Russia

E' successo un fatto davvero insolito, talmente insolito che i media italiani lo hanno ignorato, sebbene la notizia sia stata data dalla Reuters. [Marcello Foa]
Redazione

giovedì 10 dicembre 2015 01:31

http://blog.ilgiornale.it/foa/
 

big_boom

Forumer storico
Incredibile: Renzi blocca le sanzioni Ue alla Russia

E' successo un fatto davvero insolito, talmente insolito che i media italiani lo hanno ignorato, sebbene la notizia sia stata data dalla Reuters. [Marcello Foa]
Redazione

giovedì 10 dicembre 2015 01:31

il Blog di Marcello Foa

gli USA stanno girando timone con Trump: fine delle buffonate di sinistra e l'Italia di oggi ha paura

speriamo prenda posizione anche sulla idiozia di concedere l'equiparazione fra coppia gay e famiglia
cominciamo a sistemare i disastri della sinistra al potere in occidente: valute, debito, famiglia, societa', religioni, massonerie, lobby e tasse tante tasse per mantenere i sinistrati ben pasciuti.
 

tontolina

Forumer storico
il Fondo Monetario Internazionale ha stracciato la regola aurea su cui aveva basato la sua azioni fin qui e ha condonato di fatto all’Ucraina il debito che ha con la Russia, uno scherzo da 3 miliardi di dollari.

L’FMI ha dichiarato guerra alla Russia. Rischiando però di pestare i piedi alla Cina

Di Mauro Bottarelli , il 11 dicembre 2015 15 Comment




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Mi capita molto spesso di non essere affatto d’accordo con le scelte editoriali di grandi quotidiani e telegornali nazionali, i quali a mio avviso sempre più spesso sottostimato o addirittura ignorano notizie che meriterebbero non solo la prima pagina ma, addirittura, il titolo sottolineato con l’evidenziatore. Bene, l’altro giorno questa mia discrepanza di opinioni ha toccato il livello record.

Con una decisione storica e incredibile, infatti, il Fondo Monetario Internazionale ha stracciato la regola aurea su cui aveva basato la sua azioni fin qui e ha condonato di fatto all’Ucraina il debito che ha con la Russia, uno scherzo da 3 miliardi di dollari. Era dagli anni Cinquanta che quelle regole erano in vigore ma ora – con un atto di imperio comunicato al mondo dal portavoce, Gerry Rice, in una noticina di tre righe – l’Fmi di fatto entra a piedi uniti nella nuova guerra fredda in atto e impone il suo new deal: d’ora in poi chiederemo di onorare solo debito contratto in dollari e verso alleati degli Usa. L’FMI, quindi, continuerà a dare prestiti al governo di Kiev, nonostante la sua insolvenza verso Mosca, membro dello stesso Fondo. Il quale, quando la Russia ha chiesto che facesse valere in suo favore le regole a difesa dei creditori, ha guarda caso fatto un’eccezione per Kiev, cambiando la sua politica di non tollerare gli arretrati a danno dei creditori.
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Un atto di guerra chiaro e tondo nei confronti di Mosca. Ma non solo, di fatto una divisione del mondo tra creditori di serie A (ovvero gli Usa e il loro blocco di alleati, ovvero Ue e valute diciamo pro-dollaro) e di serie B, cioè di fatto i BRICS e altre nazioni che non sono nell’orbita di interesse economico e militare statunitense.



Washington ha creato infatti un precedente, attraverso il caso Ucraina: i debiti verso Paesi che non sono nell’area del dollaro, possono non essere onorati.
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Il tutto, proprio nel periodo in cui l’FMI ha incluso lo yuan cinese nel paniere delle valute di riserva (SDR).
Cosa farà Mosca?
Uscirà dall’FMI per ritorsione?
Oppure utilizzerà un’altra arma di pressione, ovvero la relazione speciale con la Cina per forzare la mano nell’ambito della nuova Asian Development Bank, annunciando parallelamente che i Paesi in orbita rublo-yuan possono non pagare debito in dollari o euro o sterline?

O magari chiuderà i rubinetti del gas verso Kiev, proprio ora che arriva la parte più rigida dell’inverno?
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Il problema è che, come mostrano queste mappe,
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se chiude verso l’Ucraina, ad andarci di mezzo saranno anche le forniture verso l’Europa.

Ma perché proprio ora un atto ostile di questo livello verso la Russia? Io ho una mia idea ed è strettamente connessa al binomio sempre meno scindibile tra Mosca e Pechino di cui vi ho parlato prima e di cui parleremo diffusamente dopo.

Temo che la reazione di Washington, tutta politica, derivi da un solo fatto: l’aver preso atto che la Russia sta vincendo. Non tanto in Siria, quanto nella sua battaglia di sopravvivenza: gli Usa e i loro alleati, infatti, dopo il fallito attacco speculativo contro il rublo, avevano la certezza mal riposta che sarebbe stato il prezzo del petrolio troppo basso e le mancate entrate fiscali a fiaccare i russi e le loro mire espansionistiche in Medio Oriente.
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Così invece non è stato e la dimostrazione plastica è stata la nota con cui il gigante energetico Rosneft ha reagito alla decisione dell’Opec di non tagliare la produzione: “Quanto deciso è in linea con un trend di enorme dumping del mercato. Non vediamo rischi per la nostra azienda derivanti da questa decisione, anche perché i nostri costi di produzione sono tra i più bassi al mondo”.

Boom, porta in faccia ai sauditi.

Da dove deriva questa sicurezza?

Parlano i numeri.

Nonostante la decisione del cartello dei produttori e l’output invariato di shale Usa, infatti, la produzione di petrolio russo è continuata a salire e lo scorso mese di ottobre ha segnato un nuovo record per l’era post-sovietica, arrivando a 10,776 milioni di barili al giorno, un +1,3% su base annua e +0,3% rispetto alle previsioni sul mese.
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Il motivo?

Bassi costi di produzione, un sistema fiscale favorevole e soprattutto gli investimenti fatti tra il 2010 e il 2014, capaci di far riflettere alla produzione russa un ambiente con il barile ancora a 100 dollari.
Ma c’è dell’altro.

I giacimenti siberiani non sono infatti profittevoli solo per chi esplora e trivella ma anche per gli investitori obbligazionari, visto che aziende come Rosneft e Lukoil, i due più grossi produttori russi, hanno garantito aumenti fino al 12% da quando l’Opec ha dato il via al ciclo della saturazione il 27 novembre del 2014.

Nonostante molti investitori abbiano dovuto vendere quei bonds in ossequio alle sanzioni occidentali e molte banche russe abbiano scaricato posizioni, spaventate dal quadro macro del mercato petrolifero visto che utilizzavano quel debito come backstop dei propri prestiti, il rischio di default per quelle aziende è percepito come molto basso dal mercato, anche con il regime delle sanzioni.


E questo grafico
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ci mostra come Rosneft e Lukoil stiano performando in controtendenza a un settore, quello energetico con bond per un controvalore di 305 miliardi di dollari, che in media ha perso il 3,3%.

Inoltre, chi puntava le sue carte sulla sostenibilità debitoria di quelle aziende è stato stupito quando lo scorso 13 novembre, nel suo bollettino trimestrale, Rosneft ha comunicato di aver ricevuto un pagamento in anticipo per 15 miliardi di dollari da un fonte non identificata.

Un inflow benedetto, perché aiuterà il colosso russo a pagare i 2,5 miliardi di debito a scadenza questo trimestre, i 13,7 nel 2016 e gli 11,3 del 2017. Divenuta nel 2013 il più grande produttore del mondo, grazie all’acquisto della joint venture locale di BP, come ci mostra la mappa,
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Rosneft ha visto la situazione debitoria aggravarsi con le sanzioni, tanto da aver chiesto e ottenuto un finanziamento repo a 1 anno per 10 miliardi dalla Banca centrale russa.

E chi è il misterioso benefattore?

Nessun’altro se non la China National Petroleum Corporation nell’ambito del suo contratto di fornitura per 25 anni siglato due anni fa con Rosneft, il quale prevede pagamenti anticipati per stimati in circa 70 miliardi di dollari. Inoltre, a maggio la Russia ha superato l’Arabia Saudita come primo fornitore di greggio verso Pechino, un cliente che nonostante il rallentamento economico continuerà a comprare in ossequio al suo programma di riempimento delle riserve strategiche che terminerà solo nel 2019 e che sta beneficiando proprio dei bassi prezzi sul mercato.

Di fatto, il reale problema di Rosneft è l’ammontare di debito a breve termine che l’azienda ereditato con l’acquisizione di TNK-BP ma con il costante aiuto cinese e dello Stato, se necessario, anche questa criticità potrebbe essere superata.
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Di più, questi grafici
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ci mostra come anche la percezione di rischio sovrano nei confronti della Russia sia molto bassa, anche perché il rendimento garantito dalle obbligazioni di Mosca sta stimolando e non poco l’appetito degli investitori rispetto ad altri mercati emergenti. Inoltre, il bond russo denonimato in dollari con maturazione settembre 202 sta tradando con un rendimento del 4,58%, il minimi da 15 mesi e in linea con lo yield medio e più basso del 4,71% delle nazioni emerenti nel loro insieme, stando a dati del Bloomberg USD Emerging Market Sovereign Bond Index.

Ma veniamo ora alla Cina, la quale potrebbe rivelarsi il pilastro cui la Russia potrebbe sostenersi in caso di eventi avversi, come una nuova crisi speculativa sul rublo che porti a drenare nuove riserve valutarie. Pechino nel terzo trimestre di quest’anno ha aumentato molto l’import di petrolio, proprio in ossequio al programma di rifornimento delle riserve strategiche (SPR), incrementando i permessi per le piccole raffinerie e permettendo extra 700mila barili al giorno di import da luglio. Qualcuno potrebbe far notare che la Cina ha già praticamente finito il suo spazio di stoccaggio, come ci mostrano questo grafico e questa foto del porto di Qingdao
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e quindi potrebbe essere forzatamente obbligata almeno a rallentare gli acquisti di greggio. Ma non è così e il perché è presto detto: il piano SPR cinese è diviso di varie fasi, con l’obiettivo finale di arrivare a circa 500 milioni di barili. Il primo ciclo di stoccaggio è già terminato e prevede una capacità di 103 milioni di barili, mentre la fase due dovrebbe chiudersi proprio tra la fine di quest’anno e l’inizio del 2016, garantendo altri 170 milioni di barili di capacità attraverso una dozzina di siti, la gran parte dei quali sono già stati terminati, come mostra questa mappa.
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Inoltre si stima che nella seconda metà di quest’anno, l’import petrolifero cinese potrebbe essere cresciuto del 12% rispetto ai primi sei mesi e per l’intero 2016 le proiezioni sono già di un +5%. E proprio ieri è giunta un’altra di quelle notizie che non sentirete al telegiornale ma che invece fanno rumore. Dopo mesi e mesi di silenzio riguardo alla situazione mediorientale e dopo il veto congiunto con la Russia posto in sede Onu nel maggio del 2014 contro l’intervento in Siria, il portavoce del ministro degli Esteri cinese, Hua Chunying, ha rilasciato la seguente dichiarazione: “La Cina crede che dovremmo scendere a patti con relazioni bilaterali tra Stati in accordo con i principi e gli scopi delle direttive Onu. Inoltre, riteniamo che la sovranità e l’integrità territoriale dell’Iraq dovrà essere rispettata. Pechino seguirà attentamente gli sviluppi dell’incidente”.
Brividi lungo la schiena ad Ankara, immagino, visto che il messaggio di Pechino è chiaro: la violazione della sovranità irachena da parte della Turchia non potrà essere condonata o ignorata dal Consiglio di sicurezza. Ance perché Baghdad potrebbe arrivare ad annullare i suoi accordi con gli Usa e ritenere altrettanto invasive le forze speciali che Washington ha inviato, chiedendo la loro espulsione tramite l’Onu.
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A quel punto il Consiglio di sicurezza vedrebbe i cinque membri permanenti completamente divisi sul da farsi: il Dragone sta per entrare in gioco? Casualmente, proprio ieri, Ash Carter, capo della strategia americana verso l’Isis in seno al Comitato sulle forze armate del Senato, ha reso noto che gli Usa sono pronti a schierare anche elicotteri d’assalto in sostegno all’esercito iracheno per “portare a termine il lavoro”. Ovvero, questo,
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la riconquista di Ramadi, la città più grande della maggior provincia irachena ma soprattutto bastione sunnita e dell’Isis, prima dell’assalto finale per riprendere il controllo di Mosul. A Washington stanno muovendosi ma spacciandosi per amici.

Ma i piani sarebbero esattamente opposti. Stando a quanto riportato da RT, infatti, durante un meeting a Baghdad dello scorso 27 novembre, il senatore repubblicano John McCain avrebbe detto al primo ministro iracheno, Haider Abadi e una ristretta schiera di funzionari e ufficiali dell’esercito che “truppe straniere nell’ordine delle 100mila unità saranno dislocate nelle regioni occidentali dell’Iraq, di cui 90mila provenienti da Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Giordania, più 10mila truppe statunitensi”. McCain ha definito la decisione “già presa e non negoziabile”.
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Stranamente, ecco le parole pronunciate due giorni fa dallo stesso John McCain: “Una piccola componente di forze americane insieme a forze internazionali potrebbe andare e sconfiggere il Califfato. Se andiamo con una forza araba molto ampia, che comprenda anche turchi ed egiziani, possiamo avere la meglio di 20-30mila uomini dell’Isis, non sono dei giganti”. E, sempre lo stesso giorno davanti al Comitato parlamentare, ecco il redivivo Jimmy Carter annunciare come nel suo sforzo diplomatico abbia contattato 40 Paesi e che a suo modo di vedere i Paesi del Golfo e la Turchia devono intervenire più attivamente “in the game”. Le combinazioni, a volte.

Peccato che Pechino ha parecchi interessi in Iraq, in primis il petrolio, visto che nel 2013 ha comprato quasi la metà della produzione irachena, circa 1,5 milioni di barili al giorno e che, come ci mostra questa mappa,
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Pechino è presente nel Paese con un progetto strutturale, quello rinnovato nel 2008 sulla base del precedente accordo raggiunto con Saddam Hussein. Si tratta di un investimento da 3 miliardi di dollari della China National Petroleum Coropration per lo sviluppo del giacimento di al-Ahdab, nella provincia di Wasit e il contratto ha durata di 20 anni dopo l’inizio della produzione. Come vedete dalla mappa di prima, inoltre, le compagnie americane non sono presenti in Iraq ma sono massicciamente presenti proprio russi ed europei. Non è un caso che, come ci mostra quest’altra mappa,
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i terroristi sunniti abbiano preso di mira le pipeline del Nord del Paese, arrivando a sabotarle a tal punto da portare la produzione da 2,7 milioni di barili al giorno a poco più di 2.

Inoltre, l’interesse della Cina nell’area è strategico per due motivi. Il primo ce lo mostra questa tabella,
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ovvero gli acquisti di petrolio dall’Iran, un alleato di Pechino anche sul piano militare che dall’inizio del prossimo anno, se non salteranno fuori “prove” di violazione dei patti, vedrà le sanzioni molto alleggerite e punterà ad aumentare la produzione del 50%, circa 500mila barili al giorno e addirittura di 1 milione di barili al giorno da metà del 2016. Nemmeno a dirlo, le due maggiori aziende importatrici cinesi hanno già esteso la durata dei loro contrati in essere in Iran. La più grande raffineria cinese, Sinopec e il trader statale Zhuhai Zhenrong sono già oggi i maggiori clienti iraniani e per l’anno prossimo il loro livello di acquisti dovrebbe restare in linea con quello di quest’anno, circa 505mila barili al giorno.

Ma è soprattutto per questo
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che Pechino non permetterà ulteriori destabilizzazioni dell’Iraq. Ovvero, il fatto che se le sanzioni all’Iran saranno tolte e le aziende cinesi continueranno a investire, Pechino sborserà i 2 miliardi di dollari necessari per concludere la pipeline per il gas liquefatto tra Iran e Pakistan, cominciata nel 2010 ma poi bloccata con le sanzione nel 2013. E questo progetto è prodromico a quest’altro,
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ben più grande e rivoluzionario: ovvero il cosiddetto China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), un sistema di comunicazione multi-modale con autostrade, ferrovie e pipeline e che avrà come punto di partenza questo,
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ovvero il collegamento che unisce la città cinese di Kashgar con il porto pachistano di Gwadar sul Mare Arabico, da dove poi si arriverà, attraverso lo stretto di Hormuz, al Golfo Persico, quindi all’Iraq. Come vedete dall’ultina cartina, attualmente le navi cinesi devono compiere un tragitto di 12.900 chilometri per arrivare in quell’area, attraverso lo stretto di Malacca, mentre con la nuova rotta via Pakistan saranno tagliati costi e tempi, visto che la rotta Kashgar-Gwadar è di soli 2000 chilometri.
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Un progetto enorme, inteso della durata di 15 anni e diviso in quattro fasi, la prima delle quali è intenzione di Pechino chiudere entro il 2018. Vi sarà poi la scadenza del 2020, del 2025 e il completamento inteso per il 2030: sono 46 miliardi di dollari di investimento, 3 tratte e 51 progetti infrastrutturali. Attenti, il Dragone ha aperto un occhio e sbattuto le ali per mandare un segnale. La prossima volta po
trebbe agire, avendo qualche centinaio di miliardi di ragioni per farlo.
Sono Mauro Bottarelli, Seguimi su Twitter! Follow @maurobottarelli
 

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gli USA stanno girando timone con Trump: fine delle buffonate di sinistra e l'Italia di oggi ha paura

speriamo prenda posizione anche sulla idiozia di concedere l'equiparazione fra coppia gay e famiglia
cominciamo a sistemare i disastri della sinistra al potere in occidente: valute, debito, famiglia, societa', religioni, massonerie, lobby e tasse tante tasse per mantenere i sinistrati ben pasciuti.

il sole24ore titoli da PAURA :brr:

Incubo estrema destra. Sulle urne francesi
Roba da far venire i brividi, anche a chi è nato nel dopoguerra. :transf:

SINISTRATI ITALIANI avete paura? abbandonati dagli USA e dalla Francia


Incubo estrema destra. Sulle urne francesi gli occhi dell'Europa - Il Sole 24 ORE
 

tontolina

Forumer storico
Vogliono portare l’Italia in guerra

Vogliono portare l?Italia in guerra - Rischio Calcolato | Rischio Calcolato


In questi giorni sta succedendo qualcosa di strano, perché l’Italia per la prima volta sembra non voglia più rispettare le direttive americane,
- sia rifiutando di prorogare le sanzioni alla Russia,

- sia non partecipando ai pseudo-bombardamenti contro l’ISIS che hanno il solo scopo di dar fastidio all’avanzata russo-siriana-irachena,
- sia con la notizia della presenza non ufficiale di forze speciali italiane in Libia.
E in risposta a questo improvviso coraggio italico, stranamente, l’ISIS torna a minacciare Roma con un video dove ne prevede la conquista e, sempre gli stessi uomini del Califfo, conquistano per un breve periodo la cittadina di Sabratah, comparendo improvvisamente in una zona in cui ancora si erano visti poco; cittadina di Sabratah che è pericolosamente vicina ad Az Zawiyah città fondamentale per gli interessi energetici dell’ENI in Libia, come vediamo in questa mappa

Allo stato attuale sembra che i due parlamenti rivali di Tobruk e Tripoli abbiano raggiunto un’intesa che firmeranno il 16 dicembre per un governo di unità nazionale, ma le incognite sono ancora molte, dato che i due attori principali sono supportati da interessi stranieri diversi;


il governo laico di Tobruk supportato da Egitto ed Emirati,
quello islamista di Tripoli dal Qatar e dalla Turchia,
senza contare la presenza dell’ISIS a Sirte, a Derna, a Bengasi ed ora anche a Sabratah.


A nostro avviso possono intravedersi quattro scenari principali:
1) FINE GUERRA CIVILE: il governo di unità nazionale riesce a nascere, l’ISIS diventa il nemico principale e viene annientato, inizia la ricostruzione del paese. PROBABILITA’ MOLTO BASSA



2) COLLASSA IL GOVERNO DI TRIPOLI: l’eventuale accordo per un governo di unità nazionale potrebbe non essere riconosciuto dalle bande islamiste che sorreggono il governo di Tripoli. Molte di esse potrebbero unirsi allo Stato Islamico e l’intera Tripolitania potrebbe collassare. In quel caso gli interessi strategici dell’Italia sarebbero a serio rischio e l’intervento italiano sarebbe sempre più probabile. Sicuri scontri con le milizie di Misurata e con le forze di Zintan. PROBABILITA’ MEDIO-ALTA



3) FALLIMENTO TRATTATIVE: l’eventuale accordo per un governo di unità nazionale potrebbe essere raggiunto, ma i principali attori potrebbero non riconoscerlo come le milizie di Alba Libica o il generale Haftar, attori che potrebbero rimanere esclusi dagli accordi. In quel caso gli scontri potrebbero accendersi in maniera più grave della situazione odierna, in uno scenario di tutti contro tutti. PROBABILITA’ MEDIA



4) INTERVENTO STRANIERO: nel caso la situazione precipitasse, nel caso di avanzata dell’ISIS soprattutto in zone strategiche, nel caso di ulteriori attentati sul suolo europeo, è probabile un intervento di forze straniere. In primis l’Italia, che deve assolutamente difendere le postazioni dell’ENI che ha interessi miliardari nel paese. L’eventuale perdita di queste postazioni energetiche sarebbe un colpo durissimo per l’Italia sia in termini economici che di approvvigionamento energetico. A sostegno di questa ipotesi le recenti dichiarazioni del ministro degli esteri russo Lavrov che ha sostenuto il pieno supporto della Russia ad un intervento militare italiano in Libia. PROBABILITA’ MEDIO-ALTA





Qui di seguito la più recente mappa della guerra civile libica:


A nostro avviso il presunto coraggio di Renzi nel schierarsi a fianco della Russia contro le sanzioni e a favore degli interessi energetici italiani in Libia, sarà punito dalle forze che guidano gli States.


Nel nostro immediato futuro dobbiamo sicuramente e ripeto sicuramente aspettarci un attentato, anche di proporzioni più grandi di quelli attuati a Parigi. Roma è ovviamente l’obiettivo principale, l’ISIS lo ha ribadito più volte nei suoi video e come sappiamo spesso mantiene le sue promesse.

Ed è anche abbastanza sicuro che le postazioni dell’ENI verranno presto attaccate.

L’obiettivo è quello di spingere l’Italia, che ricordiamo è ancora in una fase di depressione economica, ad impegnarsi in un conflitto che, bisogna ammetterlo, non è in grado di affrontare per almeno questi motivi:
1) Il tendenziale buonismo dell’opinione pubblica italiana, che quando vedrà i primi soldati italiani morti, se la prenderà subito con il governo in carica che potrebbe probabilmente rischiare il posto.
2) Il cattivo stato dei nostri conti pubblici non ci permette di affrontare una guerra che potrebbe costare miliardi di euro se l’Unione Europea non allenta le regole sul pareggio di bilancio.
3) Anche se l’Italia dispone di forze militari di discreto livello, non è sicuramente preparata ad una guerra aperta e difficile, come potrebbe essere quella in Libia e, ripeto non è assolutamente preparata la nostra opinione pubblica a decine se non centinaia di soldati italiani morti.
4) Ricordiamoci che la Libia ha subito, da parte di Gheddafi, decenni di propaganda anti-italiana e un intervento italiano, di qualsiasi tipo, potrebbe essere visto dalla maggioranza della popolazione come un tentativo neo-coloniale e quindi le forze ribelli di qualsiasi genere potrebbero fare fronte comune contro gli italiani. Inoltre le recenti accuse da parte dei militari di Tobruk ad una presunta violazione delle acque libiche, dimostra che l’Italia in Libia non ha alleati sicuri nemmeno tra le forze laiche.



Concludiamo sostenendo che da più parti ci arrivano segnali del fatto che si voglia spingere l’Italia in guerra in Libia, guerra che potrebbe facilmente far collassare il nostro paese a livello economico e politico. Ricordiamo inoltre che il 2-3% della popolazione residente in Italia è di religione musulmana. Nel caso l’Italia non si limitasse ad un intervento aereo o navale, ma decidesse di intervenire a terra per difendere fisicamente le postazioni dell’ENI, il rischio che diventi il nemico principale dei musulmani, in qualità di neo-crociato, è grandissimo e non escludiamo la presenza di diverse cellule dormienti nel nostro paese, pronte ad attaccare proprio in quell’eventualità.
Guardando chi ci governa, cioè Renzi ed Alfano, siamo sicuri che veramente l’ISIS non arriverà fino a Roma?

Se questo articolo ti è piaciuto, non perderti Libertà Indefinita, un saggio sulla libertà e sulla legittimità di un sistema, il nostro, sempre più contestato dalla popolazione.
CONDIVISIONE E’ RIVOLUZIONE
 

tontolina

Forumer storico

sembra che ci siano riusciti
Ben 450 soldati partiranno per l'Iraq

con la scusa capziosa di difendere una diga.....
http://www.investireoggi.it/forum/socializzazione-dei-costi-privatizzazione-dei-ricavi-vt86604.html



Intanto in Europa castigano l'unico presidente democratico: Putin

Cazzaro International: Rinnovate le Sanzioni alla Russia, Hanno deciso Gli Ambasciatori

Di FunnyKing 23:27 | (for president!) Uao quando si dice contare alla grande! Oppure quando si dice farsi una marchetta in casa sapendo di non contare un *****! Ma vi ricordate il fiero Renzi che avrebbe impedito il ...
18 dicembre 2015 / 90 commenti / Leggi
 

big_boom

Forumer storico
un po di tempo fa le notizie occidentali mi facevano solo ridere
ora e' solo amarezza e rassegnazione

se ci fate il caso il comportamento del blocco europa e usa verso ISIS assomiglia tanto a quello che avevano gli USA verso i nazisti ovvero un comportamento alquanto ambiguo

sanzioni contro la Russia, blocco aereo contro la russia della nato, traffico di petrolio verso turchia, armi vendute o regalate ai terroristi islamici dagli USA, ma siamo sicuri che il nemico dell'occidente e' l'ISIS? io non sono cosi' scemo da non capire

il film lo abbiamo gia' visto nella 2' guerra mondiale: la russia che fa la guerra mentre gli USA fanno business con i nazisti e solo alla fine diventano "i liberatori"

gia' e se questa volta i liberatori alla sconfitta definitiva del giocattolo ISIS saranno i russi? che parte facciamo fare a USA e Europa?
 

tontolina

Forumer storico
Russia: Ue estende sanzioni economiche di altri 6 mesi



questa europa polacca fa davvero schifo.... ma la vogliamo smettere di esserew dementi


i polacchi sono nazisti, con il supporto UK+USA, provocarono la 2° guerra mondiale massacrando i tedeschi che alla fine furono costretti ad intervenire....



oggi con l'aiuto di questa EU_Meldosa provocano la Russia nella speranza di un'altra guerra?
ma andassero a fanqulo!




http://www.investireoggi.it/attualita/russia-ue-estende-sanzioni-economiche-di-altri-6-mesi/






e poi a voler essere pignoli
chi non rispetta l'accordo di Minsk è KIEV bugiarda-corrotta ed assassina
 

tontolina

Forumer storico
Coldiretti, -27,5% export Made in Italy con proroga sanzioni Russia
Le esportazioni di prodotti Made in Italy in Russia nel 2015 sono crollate del 27,5 % per effetto dell’embargo che ha alimentato tensioni commerciali che hanno interessato anche i prodotti non colpiti direttamente. E’ quanto emerge afferma la Coldiretti in occasione della decisione dell’Unione Europea di prorogare le sanzioni dalle quali sono scaturite le misure di embargo, sulla base di una analisi dei dati relativi al commercio estero dell’Istat nel primi dieci mesi del 2015 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Se i settori piu’ colpiti sono chiaramente quelli interessati dall’embargo che ha sancito a partire dal 6 agosto 2014 il divieto all’ingresso di una lista di prodotti agroalimentari che comprende frutta e verdura, formaggi, carne e salumi ma anche pesce, perdite di quote di mercato considerevoli – sottolinea la Coldiretti – si registrano anche in altri importanti comparti, dal tessile all’arredamento fino ai mezzi di trasporto. Nell’agroalimentare – sostiene la Coldiretti – ai danni diretti stimati in 20 milioni di euro al mese di mancate esportazioni si sommano anche i danni indiretti dovuti alla perdita di immagine e di mercato provocata dalla diffusione in Russia di prodotti di imitazione che non hanno nulla a che fare con il Made in Italy. Lo stop alle importazioni dall’Italia ha provocato in Russia un vero boom nella produzione locale di prodotti Made in Italy taroccati, dai salumi ai formaggi con la produzioni casearia russa di formaggio – conclude la Coldiretti – che nei primi quattro mesi del 2015 ha registrato infatti un sorprendente aumento del 30 per cento e riguarda anche imitazioni di mozzarella, robiola o Parmesan.
Commercio estero italiano extra Ue, la Russia - Rischio Calcolato | Rischio Calcolato
 

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Forumer storico
in europa si vive di finanza creativa, non serve lavorare

si va di debito, austerity, svendita dello stato e tante tasse
 

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