Unicredit (UCG) Unicredit : i NPF e gli UTP

Buongiorno, ucg sta reggendo bene, segue la negatività del mib senza fare leva come è di prassi. Speriamo che segua in questa maniera
 
metto il graf.
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ECONOMIA
03/12/2019 21:47 CET
Banchieri ricchi e bancari a casa
Lo studio del sindacato bancario First Cisl sulle big five italiane: in un anno persi 9mila posti di lavoro, ma gli utili sono schizzati a 9 miliardi. E Unicredit seguirà il trend: 8 miliardi di utili e 8mila esuberi da qui al 2023.
BANCHIERI RICCHI E BANCARI A CASA (di G. Colombo)

Il paradigma che sta alla base del nuovo piano di Unicredit - migliaia di esuberi tra i dipendenti e una valanga di miliardi ai soci - ha tutto tranne che le sembianze di una mosca bianca. È un altro tassello che si va ad aggiungere a quello che è un trend: i banchieri sono sempre più ricchi, i bancari vanno sempre più frequentemente a casa. I numeri, più di ogni altra considerazione, attestano il cambiamento di pelle. Eccoli, in uno studio del sindacato bancario First Cisl, quelli delle prime cinque banche italiane (Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco Bpm, Mps e Ubi) nei primi nove mesi del 2019: in un anno gli utili netti sono schizzati a 8,7 miliardi, +38,5 per cento. I posti di lavoro andati in fumo sono stati 9.190, gli sportelli chiusi 1.013.

Unicredit è tra le big five e la strategia delineata dal ceo Jean Pierre Mustier da qui al 2023 altro non fa che rafforzare una direzione di marcia ben definita. Le grandi banche, insomma, si muovono in blocco, non hanno dubbi nell’indirizzare le proprie politiche verso un assottigliamento della cosiddetta forza lavoro. La digitalizzazione ha investito il settore e ha facilitato i manager in questa operazione, ma non è una questione legata solo alla possibilità di impiegare le macchine al posto dei dipendenti. Quella in atto è una mutazione cercata, voluta, che stravolge la piramide della ricchezza interna alle banche. La base viene sempre più ridotta per far sì che la punta, cioè i vertici, sia sempre più larga in termini non tanto di poltrone quanto di peso specifico delle poltrone stesse. Peso che si traduce in remunerazioni, soldi.

Prendiamo Unicredit. Mustier ha messo il capello a questo ragionamento: “Team 23 (il nome del nuovo piano ndr) è incentrato sulla massimizzazione della creazione di valore per gli stakeholder, inclusa una rinnovata attenzione alla soddisfazione del cliente grazie a processi semplificati e a prodotti innovativi, nonché a un maggiore ritorno per gli azionisti”. Dentro al piano c’è la dimensione operativa: la banca punta a creare 8 miliardi di valore per gli azionisti nell’arco del piano e aumentare al 40% la distribuzione di capitale per il 2019. Tradotto: 8 miliardi ai soci, ai banchieri. L’altra faccia della medaglia è quella che impatta sui dipendenti. Unicredit ridurrà il personale di circa 8mila unità da qui al 2023 e chiuderà circa 500 sportelli nello stesso periodo.

L’Italia - e così torniamo alle dinamiche delle big five nostrane - dovrà sobbarcarsi la parte più consistente: seimila su ottomila. Le nuove uscite si andranno così a sommare alle oltre novemila che si sono già registrate da settembre dello scorso anno a quello del 2019. Il calo degli occupati e degli sportelli è stato imponente: mille filiali in meno rispetto (- 6,6%) e dipendenti ridotti del 3,6 per cento. I dipendenti delle cinque banche erano 256.723, ora sono 247.533. Gli sportelli sono passati da 15.307 a 14.294.

Questa dinamica, che accomuna i big player, apre quantomeno un problema strutturale e cioè il ridimensionamento della forza contrattuale in capo alla politica e ai sindacati. Le trattative sugli esuberi messi in campo nel 2019 hanno dato prova di quanto sia difficile intervenire su una dinamica così strutturata e che coinvolge un mercato largo, non restringibile nei confini nazionali. E questo ragionamento vale per le banche come per i colossi industriali. Se cioè Unicredit e Mittal ritengono strategici altri mercati - e questo lo si evince proprio dalla quota degli esuberi destinata all’Italia - è più difficile per il governo impattare su queste dinamiche. Unicredit, le big five bancarie, Ilva, Alitalia dicono sostanzialmente questo e cioè di un’evoluzione che scarica la sua marcia sugli esuberi.

Difficile, quindi, dare risposte dall’esterno. È successo così anche oggi. A fine giornata, il tabellino delle dichiarazioni politiche sugli esuberi di Unicredit è praticamente vuoto. C’è la presa di posizione del Pd, che parla di “mannaia” con una dichiarazione di Pietro Bussolati, componente della segreteria, mentre dal ministero del Lavoro, guidato dalla ministra pentastellata Nunzia Catalfo, filtra che i tagli sono “inaccettabili”. Di fatto due mosche bianche. I big del governo e della maggioranza, ma anche quelli delle opposizioni? Non pervenuti. La politica si rivela distratta di fronte a una prospettiva drammatica, all’ennesima emorragia di posti di lavoro, a un sistema produttivo che si sta impoverendo. E a dinamiche che richiedono inevitabilmente anche un nuovo paradigma nella politica.
 
Unicredit, utile a 3,37 miliardi (-19%): «Presto il confronto sugli esuberi»
di Paola Pica06 feb 2020
Unicredit, 4,7 miliardi di utile e fino a 6 mila esuberi. «Presto il confronto coi sindacati»

Unicredit chiude il 2019 con un utile netto «sottostante», cioè al netto delle operazioni straordinarie di 4,7 miliardi, in aumento del 55,5%. Considerate invece queste voci straordinarie, tra cui le svalutazioni, che hanno contribuito a una perdita 835 milioni nel quarto trimestre, l’utile netto del gruppo guidato da Jean Pierre Mustier è stato di 3,37 miliardi (-19%). I profitti realizzati si attestano comunque sopra le attese del mercato che infatti spinge del 5% il titolo in Piazza Affari in mattinata (qui le quotazioni in tempo reale).

«Duro lavoro»
«Il piano Trasform 2019 è stato completato con successo ottenendo risultati robusti», ha commentato Mustier ringraziando il suo team per il «duro lavoro». Adesso, ha aggiunto, «possiamo adesso dedicare tutte le nostre energie e i nostri sforzi per conseguire il nostro nuovo piano, “Team 23”. Mentre “Transform 2019” era un piano di ristrutturazione e riassetto del gruppo, Team 23 si focalizza sul rafforzamento e la crescita della nostra base clienti. Noi continueremo attivamente a supportare l’economia reale, servire i nostri clienti, incoraggiare la crescita in tutti i nostri mercati e trasformare il nostro gruppo per continuare a creare valore sostenibile».

In Italia fino a 6 mila esuberi
Ma il confronto in Italia con i sindacati sul piano di uscite — che riguarda 8.000 persone a livello di gruppo — «partiranno in un futuro molto vicino», ha detto il ceo aggiungendo che per il nostro Paese si tratti di un numero «molto più basso di quello» e che un accordo è già stato trovato con i sindacati tedeschi e austriaci. I sindacati stimano gli esuberi in Italia tra 5 e 6 mila.

Il confronto con i sindacati
«Gli esuberi su Unicredit dovranno essere tutti gestiti su base volontaria attraverso prepensionamenti e pensionamenti volontari, ridotti nel numero complessivo e bilanciati da migliaia di assunzioni. Se vogliono la firma di adesione della Fabi saranno queste le nostre condizioni», è l’avvertimento di Lando Sileoni, segretario generale della Fabi, uno dei principali sindacati dei bancari.

Cedola e buyback
Il consiglio propone ai soci di distribuire un dividendo di 0,63 centesimi per azione, per un totale di 1,4 miliardi. L’assemblea degli azionisti sarà anche chiamata ad approvare un piano di riacquisto di azioni proprie pari a 500 milioni. Il combinato delle due operazioni (cedola e buy back) porta la distribuzione al 40%. Nei prossimi anni potrebbe essere considerato l’aumento della distribuzione di utili al 50%, mentre se il livello di capitale al 2023 sarà in eccesso Unicredit considererà anche una distribuzione straordinaria di capitale nel 2021 e/o nel 2022. La banca non ha ancora avanzato una richiesta formale alla Bce per l’avvio del programma di riacquisto ma è «fiduciosa» del via libera della Vigilanza.

banche
Unicredit chiude 450 filiali, 6 mila tagli in Italia. Ira dei sindacati, Landini: ritiri tutto o conflitto grave
di Francesca Gambarini
 
Unicredit, Padoan: non è Mps la causa della rottura con Mustier
di Fabrizio Massaro 03 dic 2020


La vicenda di Mps «non è stata fonte di disaccordo» con il ceo di Unicredit Jean Pierre Mustier. A ribadirlo, sul Financial Times, è Pier Carlo Padoan, presidente designato della banca milanese, parlando dell’annunciato addio dell’amministratore delegato. Dalle colonne del quotidiano britannico Padoan stesso aggiunge: «La mia nomina non è politica e non ha niente a che fare con Mps, come i media hanno rappresentato». Le ragioni sono da ricollegare di più alla diversa visione sul futuro della banca, alla necessità di avviare un processo di consolidamento interno, respinto da Mustier, e all’opposizione della maggioranza del consiglio di Unicredit al progetto di Mustier dividere in due la banca quotando le attività estere in Germania, una mossa che — secondo il board — rischiava di spostare il baricentro della banca fuori dall’Italia.

La ricerca del nuovo ceo
Intanto va avanti la ricerca del nuovo amministratore delegato, condotta dal Comitato nomine guidato da Stefano Micossi e di cui fa parte anche Padoan, Tra i nomi dei papabili citati da FT ci sono Victor Massiah, già amministratore delegato di Ubi, Marco Morelli, ora in Axa ma da pochi mesi ex ceo di Mps, Bernardo Mingrone, cfo di Nexi (e già cfo in Unicredit e in Mps), Matteo Del Fante, ceo di Poste, e Marina Natale, ceo di Amco (e già capo delle strategie di Unicredit).

La battaglia parlamentare sulla «dote fiscale»
Intanto alla commissione Bilancio della Camera è stato riammesso al voto — dopo essere stato dichiarato mercoledì sera «inammissibile» — l’emendamento del M5s alla manovra per ridurre a un massimo di 500 milioni i crediti fiscali per le banche che si aggregano nel 2021. La richiesta di modifica riguarderebbe anche una eventuale acquisizione di Mps da parte di un altro istituto di credito, riducendo i benefici dell’operazione per l’acquirente, ora stimati in 2 miliardi di euro di «dote» per chi rileverà la banca senese. Riammessi anche analoghi emendamenti delle opposizioni perché «materia particolarmente complessa rispetto alla quale» la commissione ritiene «necessario acquisire più dettagliati elementi di quantificazione, con particolare riguardo agli esercizi successivi al 2022, da parte del Governo nel corso dell’esame degli emendamenti stessi».

M5S: «Crediti fiscali anche in caso di aumenti di capitale»
Sono state quindi riammesse all’esame due proposte di modifica con primo firmatario Davide Zanichelli (M5s): una che fissa un tetto massimo di 500 milioni di euro per trasformare in crediti d’imposta le cosiddette imposte differite attive (Dta), l’altra che consente la conversione delle Dta solo nel caso in cui almeno una delle due società che si fondono abbia meno di 50 dipendenti. Considerata ammissibile anche la proposta di modifica presentata da Luca Pastorino, deputato di Leu, che punta a ridurre il valore degli incentivi fiscali previsti per le aggregazioni, prevedendo che i benefici possano essere concessi nei limiti delle disponibilità del Fondo istituito nello stato di previsione del Mef che ha una dote pari a 463,1 milioni di euro per il 2021 e 1312,3 milioni di euro per il 2022. Inoltre è stato riammesso l’emendamento a prima firma Giovanni Currò (M5s) che permette di trasformare le attività fiscali differite in crediti fiscali non solo in caso di fusione ma anche per realizzare aumenti di capitale. Una norma che potrebbe consentire di tenere Mps in mano pubblica senza però iniezioni dirette di denaro da parte dello Stato.
 
UniCredit, FT su Mustier: ‘si è tirato la zappa sui piedi’. Lo scontro finale con Padoan e l’accusa del cda su svendita gioielli di famiglia
03/12/2020 12:12 di Laura Naka Antonelli
 

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