tontolina
Forumer storico
Negli Usa spese militari ai massimi, un nuovo Patriot Act e dazi contro la Cina. Guerra in vista?
Di Mauro Bottarelli, il 24 dicembre 2015 14 Comment
La giornata di ieri è una di quelle che si possono tranquillamente definire spartiacque. Ovviamente, i grandi media si sono limitati al loro lavoro ordinario: le scandalo delle banche, Matteo Renzi che benedice la “Variante di valico” e altre amenità del genere. Si sa, è Natale e le redazioni si svuotano. Bene, è successo molto di più e di molto più grave sottotraccia, qualcosa che non dovrebbe far stare tranquillo nessuno.
Partiamo da qui,
ovvero dal fatto che l’annuale World Oil Outlook dell’Opec pubblicato proprio ieri vede la domanda di petrolio in calo fino al 2020. Insomma, non una bella notizia per quei Paesi che necessitano come l’ossigeno di un aumento dei prezzi.
E, infatti, questo grafico
ci mostra come le opzioni put con strike price a 30, 25, 20 ma anche 15 dollari al barile siano le più appetite, stando a dati ufficiali della New York Mercantile Exchange e della U.S. Depository Trust & Clearing Corp. Con il WTI attualmente in area 36 dollari al barile, significa che parecchia gente sta cominciando a pensare a una calo anche superiore al 50% nei prossimi mesi e l’open interest più grande tra tutti i contratti di opzione – sia long che short – è il put a 30 dollari per dicembre 2016. Ingestibile per troppi Paesi, in primis l’Arabia Saudita ma anche gli Usa stessi con la loro rivoluzione shale, visto che – ad esempio – solo il 2% della produzione del giacimento Permian e profittevole a 30 dollari al barile, come ci mostra il grafico.
Ma c’è di più e, francamente, potrei chiudere il mio articolo di oggi qui, dopo avervi fatto vedere questi due grafici.
Il primo ci mostra come il Core CapEx statunitense a novembre abbia subito un calo dell’1,93% su base annua, il decimo calo di fila e qualcosa di mai registrato al di fuori di una recessione.
Mentre l’altro, ci mostra come il warfare sia l’unica salvezza Usa: la spesa per difesa è infatti aumentata del 148% negli ultimi tre mesi, il massimo dal 2007 e l’unico indicatore che permette ai beni durevoli di non essere in recessione conclamata.
Insomma, il segnale è chiaro: la guerra è inevitabile, occorre solo capire in quale forma e contro chi.
Per adesso è partita quella commerciale, anch’essa in silenzio ma che vede il nostro Paese coinvolto. Guardate questo grafico,
ci mostra plasticamente come la Cina stia esportando deflazione negli Usa, mentre quest’altro
è la chiara dimostrazione di come Pechino stia facendo lo stesso gioco su scala globale, esportando con il badile tutti gli eccessi di produzione interna di materie prime.
Bene, gli Usa ieri hanno reagito e stando a un comunicato del Department Of Commerce, l’acciaio cinese resistente alla corrosione è stato finora venduto a prezzo non equo e quindi verrà tassato del 256%! Voi esportate deflazione, noi alziamo i muri.
Guerra commerciale in piena regola, la quale però non vale per tutti.
Le importazioni da India, Corea del Sud e Italia, infatti, saranno tassate con aliquote molto più basse (quelle indiane dal 6,6% al 6,9%)
e, addirittura, il Dipartimento Usa sottolinea che l’import da Taiwan e dal gruppo italiano Marcegaglia SpA non subiranno tariffe anti-dumping,
mentre quello da altre aziende italiane sarà tassato al 3,1%.
E brava Emma, chissà come avrà ottenuto quello sconto..
Non ci interessa, la questione è una sola: gli Usa stanno preparandosi a una guerra che implicherebbe tutte le componenti del conflitto: bellica, commerciale e non ultima, finanziaria attraverso le mosse della Fed, di cui abbiamo parlato ieri.
Ma c’è ancora di più a suffragio di questi mia tesi. Nel silenzio generale, il 18 dicembre scorso il Congresso Usa ha dato il via libera al budget, la loro legge finanziaria e nello stesso giorno il presidente Barack Obama ha firmato, rendendolo esecutivo. Ma esattamente come in Italia, anche negli Usa vanno di moda i decreti omnibus, quelli che contengono anche provvedimenti non direttamente legati alla spesa governativa ma che necessitano di essere approvati, senza troppo clamore. In Italia, è cronaca dell’altro giorno, si detassano gli yacht e le transazioni sui calciatori, negli Usa invece è stato incluso al Bill il cosiddetto CISA.
si tratta del cosiddetto “Cybersecurity Information Sharing Act”, ovvero una legge che permette agli enti federali Usa di ottenere accesso a tutti i dati sensibili di qualsiasi cittadino attraverso una piattaforma di condivisione con siti come Google o social network come Facebook, senza alcuna limitazione nell’utilizzo o nella tutela – residua – della nostra privacy ma, soprattutto, senza necessità di avvertire.
Quando lo scorso ottobre il Senato Usa diede il via libera al CISA con 74 sì e 21 no, Robyn Greene, consulente politico dell’Open Technology Institute si limitò a questa frase: “Hanno preso una brutta legge e l’hanno resa peggiore”. Mentre il senatore Richard Burr, estensore della prima versione della legge (la quale garantiva un minimo di privacy ai cittadini), ha dichiarato che “gli americani meritano politiche che proteggano sia la sicurezza che la libertà. Questa legge fallisce in entrambe i sensi”.
Per farla breve, la scorsa settimana gli Usa hanno dato operatività a un secondo Patriot Act, nel silenzio generale.
Insomma, sono un po’ troppe le voci e le coincidenze, l’America sta preparandosi a una situazione che non è di normale conflittualità ma qualcosa di più. E, dal loro punto di vista, lo capisco. Perché altrimenti dovrebbero dire chiaro a tutti su cosa si è basato il loro tasso di disoccupazione al 5%, ovvero una delle pietre miliari della ripresa stimolata dalla Fed e che ha portato al primo rialzo dei tassi da 9 anni a questa parte.
Partendo da qui,
ovvero dal fatto che 9 delle 10 più diffuse occupazioni negli Usa pagano salari da fame o, come ci mostra la mappa,
che i miticii “Millennials” guadagnano cifre ridicole e, infatti sono costretti a restare in casa con mamma e papà. come ci mostra il grafico
e anche chi ha un età inferiore a superiore non se la passa bene a livello salariale, come ci mostrano questi grafici.
E restando nell’ambito della casa, questo grafico
ci mostra come ormai la proprietà sia un sogno in America rispetto a soli 30 anni fa, mentre questo grafico
ci mostra come la ratio tra costo degli affitti e salario medio stia peggiorando sempre di più: e stiamo parlando della casa, un baluardo della cultura del sogno americano. Non è un caso che, togliendo la voce “casa” dal computo dell’inflazione CPI, la mitica quota 2% sia soltanto un bel sogno per la realtà marco statunitense, come ci mostrano questi grafici.
Insomma, per non dover svelare al mondo la grande bugia della ripresa ed evitare che l’anno prossimo i cittadini giochino l’azzardo Donald Trump, l’America si sta preparando alla guerra. E se questa tabella
ci mostra come dalla proclamazione della guerra al terrore da parte di George W. Bush gli atti di terrorismo siano aumentati del 6500% e le vittime del 4500%,
quest’altra
ci dice che quando gli americani si muovono, sanno cosa fanno. L’ultimo sondaggio del Public Policy Polling, infatti, ci dice che circa un terzo dei votanti alla prossime primarie repubblicane negli Usa sarebbero favorevoli a bombardare il Regno di Agrabah: peccato che non esista e sia solo fiction, ovvero il regno di Aladino!
Nemmeno a dirlo, la percentuale sale al 45% tra i sostenitori di Donald Trump. E non si tratta di un sondaggio condotto fra dieci ubriaconi ma tra i 532 votanti alle primarie. Se la cosa vi consola, solo il 19% dei votanti democratici alle primarie vorrebbe bombardare Aladino…
Ma questo grafico finale
mette da parte l’ironia – amara – e rimette le cose in prospettiva.
Ci mostra infatti come il tracciatore del Pil in tempo reale della Fed di Atlanta, il GDPNow, ieri sia stato aggiornato al ribasso per il quarto trimestre di quest’anno, scendendo dall’1,9% del 16 dicembre all’1,3%.
Il motivo?
I beni durevoli che implicano meno CapEx,
spese per consumi deboli e aumento della scorte.
Decisamente una ripresa così brillante da giustificare il rialzo dei tassi.
Warfare o QE4 poco importa, gli Usa sono in lotta per sopravvivere. E non faranno prigionieri.
Sono Mauro Bottarelli, Seguimi su Twitter! Follow @maurobottarelli
Di Mauro Bottarelli, il 24 dicembre 2015 14 Comment

La giornata di ieri è una di quelle che si possono tranquillamente definire spartiacque. Ovviamente, i grandi media si sono limitati al loro lavoro ordinario: le scandalo delle banche, Matteo Renzi che benedice la “Variante di valico” e altre amenità del genere. Si sa, è Natale e le redazioni si svuotano. Bene, è successo molto di più e di molto più grave sottotraccia, qualcosa che non dovrebbe far stare tranquillo nessuno.
Partiamo da qui,

ovvero dal fatto che l’annuale World Oil Outlook dell’Opec pubblicato proprio ieri vede la domanda di petrolio in calo fino al 2020. Insomma, non una bella notizia per quei Paesi che necessitano come l’ossigeno di un aumento dei prezzi.
E, infatti, questo grafico

ci mostra come le opzioni put con strike price a 30, 25, 20 ma anche 15 dollari al barile siano le più appetite, stando a dati ufficiali della New York Mercantile Exchange e della U.S. Depository Trust & Clearing Corp. Con il WTI attualmente in area 36 dollari al barile, significa che parecchia gente sta cominciando a pensare a una calo anche superiore al 50% nei prossimi mesi e l’open interest più grande tra tutti i contratti di opzione – sia long che short – è il put a 30 dollari per dicembre 2016. Ingestibile per troppi Paesi, in primis l’Arabia Saudita ma anche gli Usa stessi con la loro rivoluzione shale, visto che – ad esempio – solo il 2% della produzione del giacimento Permian e profittevole a 30 dollari al barile, come ci mostra il grafico.

Ma c’è di più e, francamente, potrei chiudere il mio articolo di oggi qui, dopo avervi fatto vedere questi due grafici.


Il primo ci mostra come il Core CapEx statunitense a novembre abbia subito un calo dell’1,93% su base annua, il decimo calo di fila e qualcosa di mai registrato al di fuori di una recessione.
Mentre l’altro, ci mostra come il warfare sia l’unica salvezza Usa: la spesa per difesa è infatti aumentata del 148% negli ultimi tre mesi, il massimo dal 2007 e l’unico indicatore che permette ai beni durevoli di non essere in recessione conclamata.
Insomma, il segnale è chiaro: la guerra è inevitabile, occorre solo capire in quale forma e contro chi.
Per adesso è partita quella commerciale, anch’essa in silenzio ma che vede il nostro Paese coinvolto. Guardate questo grafico,

ci mostra plasticamente come la Cina stia esportando deflazione negli Usa, mentre quest’altro

è la chiara dimostrazione di come Pechino stia facendo lo stesso gioco su scala globale, esportando con il badile tutti gli eccessi di produzione interna di materie prime.
Bene, gli Usa ieri hanno reagito e stando a un comunicato del Department Of Commerce, l’acciaio cinese resistente alla corrosione è stato finora venduto a prezzo non equo e quindi verrà tassato del 256%! Voi esportate deflazione, noi alziamo i muri.
Guerra commerciale in piena regola, la quale però non vale per tutti.
Le importazioni da India, Corea del Sud e Italia, infatti, saranno tassate con aliquote molto più basse (quelle indiane dal 6,6% al 6,9%)
e, addirittura, il Dipartimento Usa sottolinea che l’import da Taiwan e dal gruppo italiano Marcegaglia SpA non subiranno tariffe anti-dumping,
mentre quello da altre aziende italiane sarà tassato al 3,1%.
E brava Emma, chissà come avrà ottenuto quello sconto..
Non ci interessa, la questione è una sola: gli Usa stanno preparandosi a una guerra che implicherebbe tutte le componenti del conflitto: bellica, commerciale e non ultima, finanziaria attraverso le mosse della Fed, di cui abbiamo parlato ieri.

Ma c’è ancora di più a suffragio di questi mia tesi. Nel silenzio generale, il 18 dicembre scorso il Congresso Usa ha dato il via libera al budget, la loro legge finanziaria e nello stesso giorno il presidente Barack Obama ha firmato, rendendolo esecutivo. Ma esattamente come in Italia, anche negli Usa vanno di moda i decreti omnibus, quelli che contengono anche provvedimenti non direttamente legati alla spesa governativa ma che necessitano di essere approvati, senza troppo clamore. In Italia, è cronaca dell’altro giorno, si detassano gli yacht e le transazioni sui calciatori, negli Usa invece è stato incluso al Bill il cosiddetto CISA.

si tratta del cosiddetto “Cybersecurity Information Sharing Act”, ovvero una legge che permette agli enti federali Usa di ottenere accesso a tutti i dati sensibili di qualsiasi cittadino attraverso una piattaforma di condivisione con siti come Google o social network come Facebook, senza alcuna limitazione nell’utilizzo o nella tutela – residua – della nostra privacy ma, soprattutto, senza necessità di avvertire.
Quando lo scorso ottobre il Senato Usa diede il via libera al CISA con 74 sì e 21 no, Robyn Greene, consulente politico dell’Open Technology Institute si limitò a questa frase: “Hanno preso una brutta legge e l’hanno resa peggiore”. Mentre il senatore Richard Burr, estensore della prima versione della legge (la quale garantiva un minimo di privacy ai cittadini), ha dichiarato che “gli americani meritano politiche che proteggano sia la sicurezza che la libertà. Questa legge fallisce in entrambe i sensi”.
Per farla breve, la scorsa settimana gli Usa hanno dato operatività a un secondo Patriot Act, nel silenzio generale.

Insomma, sono un po’ troppe le voci e le coincidenze, l’America sta preparandosi a una situazione che non è di normale conflittualità ma qualcosa di più. E, dal loro punto di vista, lo capisco. Perché altrimenti dovrebbero dire chiaro a tutti su cosa si è basato il loro tasso di disoccupazione al 5%, ovvero una delle pietre miliari della ripresa stimolata dalla Fed e che ha portato al primo rialzo dei tassi da 9 anni a questa parte.
Partendo da qui,

ovvero dal fatto che 9 delle 10 più diffuse occupazioni negli Usa pagano salari da fame o, come ci mostra la mappa,

che i miticii “Millennials” guadagnano cifre ridicole e, infatti sono costretti a restare in casa con mamma e papà. come ci mostra il grafico

e anche chi ha un età inferiore a superiore non se la passa bene a livello salariale, come ci mostrano questi grafici.


E restando nell’ambito della casa, questo grafico

ci mostra come ormai la proprietà sia un sogno in America rispetto a soli 30 anni fa, mentre questo grafico

ci mostra come la ratio tra costo degli affitti e salario medio stia peggiorando sempre di più: e stiamo parlando della casa, un baluardo della cultura del sogno americano. Non è un caso che, togliendo la voce “casa” dal computo dell’inflazione CPI, la mitica quota 2% sia soltanto un bel sogno per la realtà marco statunitense, come ci mostrano questi grafici.

Insomma, per non dover svelare al mondo la grande bugia della ripresa ed evitare che l’anno prossimo i cittadini giochino l’azzardo Donald Trump, l’America si sta preparando alla guerra. E se questa tabella

ci mostra come dalla proclamazione della guerra al terrore da parte di George W. Bush gli atti di terrorismo siano aumentati del 6500% e le vittime del 4500%,
quest’altra

ci dice che quando gli americani si muovono, sanno cosa fanno. L’ultimo sondaggio del Public Policy Polling, infatti, ci dice che circa un terzo dei votanti alla prossime primarie repubblicane negli Usa sarebbero favorevoli a bombardare il Regno di Agrabah: peccato che non esista e sia solo fiction, ovvero il regno di Aladino!
Nemmeno a dirlo, la percentuale sale al 45% tra i sostenitori di Donald Trump. E non si tratta di un sondaggio condotto fra dieci ubriaconi ma tra i 532 votanti alle primarie. Se la cosa vi consola, solo il 19% dei votanti democratici alle primarie vorrebbe bombardare Aladino…
Ma questo grafico finale

mette da parte l’ironia – amara – e rimette le cose in prospettiva.
Ci mostra infatti come il tracciatore del Pil in tempo reale della Fed di Atlanta, il GDPNow, ieri sia stato aggiornato al ribasso per il quarto trimestre di quest’anno, scendendo dall’1,9% del 16 dicembre all’1,3%.
Il motivo?
I beni durevoli che implicano meno CapEx,
spese per consumi deboli e aumento della scorte.
Decisamente una ripresa così brillante da giustificare il rialzo dei tassi.
Warfare o QE4 poco importa, gli Usa sono in lotta per sopravvivere. E non faranno prigionieri.
Sono Mauro Bottarelli, Seguimi su Twitter! Follow @maurobottarelli