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L’illegittimità costituzionale della cessione di sovranità monetaria alle banche private
Pubblicato su 14 Ottobre 2014 da frontediliberazionedaibanchieri in POLITICA
Di: Marco Mori
Tratto dall’intervento sul tema tenuto a Teramo in data 11.10.2014 -

L’Italia non è più un paese sovrano. Avrete certamente avuto modo di ascoltare dichiarazioni di membri del Governo e delle Istituzioni con le quali addirittura si è invocata la cessione di ulteriori fette di sovranità.
Abbiamo visto esprimersi in tal senso Mario Monti, Mario Draghi, Pier Carlo Padoan, Matteo Renzi ed incredibilmente lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, anch’esso in prima linea per chiedere lo smantellamento della nazione. Fatto di inaudita gravità.

Tra le tante dichiarazioni intendo rammentare in particolare quella di Mario Monti il quale disse qualcosa di davvero sconcertante: “Io ho una distorsione che riguarda l’Europa ed è una distorsione positiva, non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi e di GRAVI crisi per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione CESSIONI di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario . E’ chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini, ad una collettività nazionale possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico di non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto visibile conclamata. Certamente occorrono delle autorità di enforcement (n.d.s. costrizione traducendo in Italiano) rispettate che si facciano rispettare che siano indipendenti e che abbiano risorse e mezzi adeguati oggi abbiamo in Europa troppi Governi che si dicono liberali e che come prima cosa hanno cercato di attenuare la portata la capacità di azione le risorse l’indipendenza delle autorità che si sposano necessariamente al mercato in un’economia anche solo liberale”.
Ora, fermo lo sconcerto che si prova nel sentir affermare che una grave crisi e’ lo strumento per convincere i popoli a cedere la sovranità, occorre domandarsi se le predette cessioni siano atto legittimo oppure no. Nessun vero dibattito è mai sorto sul punto, come se la risposta affermativa fosse talmente scontata da non meritare che su di essa possa essere speso tempo o energia. Oggi finalmente qualche voce di dissenso si è alzata e la prova è la sempre maggiore frequenza di eventi come quello di Teramo dove il problema si affronta di petto. Vediamo dunque cosa dice la Costituzione.
L’art. 1 recita: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Il modo naturale con cui si esprime la sovranità è chiaramente il diritto di voto che tuttavia noi non esercitiamo in maniera libera, eguale e personale ormai dal 2005, ovvero dall’avvento del porcellum, legge elettorale che da poco è stata dichiarata incostituzionale (Con sentenza n. 1/2014). Ma ovviamente il diritto di voto, anche qualora svolto in maniera perfettamente legittima (senza premio di maggioranza e liste bloccate composte da nominati),non può consentire l’esercizio popolare della sovranità che sia stata già previamente ceduta dallo Stato. Inutile votare in una nazione non più sovrana.
E’ l’art. 11 Cost. a trattare il tema della limitazione della sovranità nazionale in riferimento al “vicolo esterno dei Trattati Europei: “La Repubblica consente in condizioni di parità con gli altri Stati alle LIMITAZIONI di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra i popoli”.
Orbene la Repubblica, e’ immediatamente evidente dal contenuto letterale dell’articolo, consente semplicemente alle limitazioni di sovranità e giammai permette le pur invocate cessioni. Lapalissiano infatti che cedere è cosa ben diversa dal limitare.
Limitare significa chiaramente omettere di esercitare una prerogativa sovrana, contenere il proprio potere. Limitare dunque non implica mai la consegna a terzi della gestione di questo potere. Un esempio? L’eliminazione delle frontiere. Se permetto a persone provenienti da uno Stato con cui ho stipulato un trattato di varcare, senza limiti, il confine nazionale compio pacificamente una mera limitazione di sovranità. Se invece decidessi di far controllare questo confine da un ordinamento esterno compirei una cessione.
Altresì, fermo il divieto pacifico di cessioni, anche per le mere limitazioni la Costituzione pone comunque il vincolo delle condizioni di parità tra le nazioni (esistono oggi queste condizioni? Certamente no, basta solo pensare alle differenze con cui ogni Stato si finanzia ed al fatto, per fare un altro esempio, che in UE abbiamo paesi non aderenti all’Euro) ed il vincolo di scopo della limitazione finalizzata alla pace e alla giustizia tra le nazioni.
Per un approfondimento sul tema è sufficiente la piana lettura dei lavori dell’assemblea costituente che, come noto, costituisce e rappresenta quella che si può definire l’interpretazione autentica della Costituzione dato che riporta i verbali del dibattito della genesi della carta. Ebbene, nel marzo del 1947, venne discusso un emendamento volto all’eliminazione del precitato vincolo di scopo. Dunque si dibatte se consentire la limitazione di qualsivoglia sovranità e non solo di quella inerente all’adesione ad un ordinamento finalizzato alla pace e alla giustizia tra i popoli. L’emendamento fu respinto.
Dunque non solo non è possibile cedere la sovranità ma addirittura non è possibile anche solo limitarla per scopi, ad esempio, meramente economici.
Come vedete l’inquadramento Costituzionale è addirittura banale. Orbene a questo punto occorre chiedersi se, in materia monetaria, la sovranità sia stata ceduta o meramente limitata. Non vi è dubbio alcuno: si tratta di una manifesta cessione e dunque, ad oggi è ultroneo domandarsi se la stessa sia o meno finalizzata all’ottenimento della pace e della giustizia tra le nazioni, oppure se avvenga in condizioni di parità.
Analizzando i fatti e la cronologia di questa cessione non possiamo, almeno in riferimento ai tempi recenti, che distinguere tre tappe: il divorzio tesoro Banca d’Italia del 1981, la ratifica del Trattato di Maastricht del 1992 e l’avvento dell’Euro (nel 1999 in riferimento ai mercati e dal 2002 nell’economia reale), avvento preceduto dall’approvazione del regolamento n. 1466/97, ovvero il precursore del Fiscal Compact.
Nel 1981 si verifico il cd. divorzio tra Ministero del Tesoro e la Banca d’Italia. In sostanza da tale data si decise che la Banca d’Italia non avrebbe più avuto l’obbligo di acquistare i titoli di stato rimasti invenduti alle aste. Il collocamento integrale dei titoli di Stato non era più garantito. In allora al Ministero del Tesoro sedeva Andreatta mentre alla Banca d’Italia vi era Ciampi.
Nomi certamente da ricordare perché il declino del paese iniziò a causa di queste persone. Il tutto avvenne senza alcuna iniziativa legislativa Parlamentare ma con un semplice regolamento interno della Banca d’Italia seguito ad una lettera di Andreatta.
Anche allora la decisione fu presa sulla base di un’emergenza ampiamente falsa, ovvero lo shock petrolifero cominciato nel 1973 e la conseguente spinta inflazionistica. Dopo oltre quarant’anni il petrolio infatti non solo non è finito ma addirittura lo sfruttamento è drasticamente aumentato.
Il divorzio causò l’immediato rialzo dei tassi di interesse (in termini reali ovviamente). Cioè per fare un esempio se ho inflazione al 10% e mi finanzio all’11% il tasso reale è sostanzialmente dell’1%. Se ho inflazione allo 0% e mi finanzio al 2% il costo degli interessi sul mio debito e’ doppio rispetto all’esempio precedente.
Perché la forbice tra inflazione e tassi d’interesse aumentò? Semplicemente perché la consapevolezza che la Banca d’Italia non avrebbe comprato i titoli invenduti dava la possibilità ai mercati di far alzare i tassi semplicemente riducendo la domanda. In soldoni cosa accadde al debito pubblico italiano?
Il debito raddoppiò in dieci anni dal 1981 al 1992 a causa dei costi reali di finanziamento decisamente superiori. Inoltre è altrettanto grave il fatto che il debito cominciava a passare massicciamente in mano a soggetti privati. Ovvero nasceva un sistema economico che lucrava e dipendeva dal debito stesso, sistema composto anche dai risparmiatori italiani, insomma si modificava la stessa società.
In allora si poteva parlare di limitazione o di cessione di sovranità? Le modalità con cui il divorzio avvenne mi fanno propendere per una mera limitazione posto che l’Italia aveva la chiara possibilità di abbandonare tale follia economica e tornare ad agire sovranamente, era dunque una scelta di non intervento più che una cessione definitiva e permanente di un potere a terzi. Tuttavia era solo il primo passo per l’effettiva cessione della sovranità monetaria che venne codificata con il Trattato di Maastricht.
L’Italia arrivò alla stipula del Trattato in condizioni di grave emergenza tanto che subito dopo, con il Governo Amato, si misero in essere politiche di vera e propria austerità e si diede il via ad una massiccia campagna di privatizzazioni. L’esplosione del debito ed il sistema SME (ovvero l’accordo stipulato per una certa parità di cambio tra le monete europee nel 1979, tentativo che seguiva il serpente monetario europeo fallito sempre per la crisi petrolifera grazie alla Francia ed all’Italia) avevano gravemente colpito il paese. Solo il successivo abbandono SME e la svalutazione della Lira alleggerirono la situazione.
Maastricht e l’Euro, che con esso veniva previsto, costituiscono una reale cessione di sovranità in materia di politiche monetarie ed economiche per il nostro paese. Da allora effettivamente la sovranità è perduta ed attribuita ad un ordinamento esterno al paese ovvero la BCE (organo al vertice SEBC, il sistema europeo delle banche centrali). Cosa accadde esattamente con Maastricht?
Leggiamo gli articoli che certificano l’illegittima cessione della sovranità nazionale in materia monetaria secondo la numerazione oggi consolidata e dunque successiva anche al Tratatto di Lisbona del 2007.
-Articolo 127 (versione consolidata TFUE)
(ex articolo 105 del TCE)

1. L’obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali, in appresso denominato “SEBC”, è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea (n.d.s. la stabilità dei prezzi che tanto piace ai creditori viene prima di ogni sviluppo o sostegno economico). Il SEBC agisce in conformità del principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle risorse e rispettando i principi di cui all’articolo 119.
2. I compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono i seguenti:
− definire e attuare la politica monetaria dell’Unione (n.d.s. ecco la cessione di sovranità),
− svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell’articolo 219,
− detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri,
− promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.
3. Il paragrafo 2, terzo trattino, non pregiudica la detenzione e la gestione da parte dei governi degli Stati membri di saldi operativi in valuta estera.
4. La Banca centrale europea viene consultata:
− in merito a qualsiasi proposta di atto dell’Unione che rientri nelle sue competenze,
− dalle autorità nazionali, sui progetti di disposizioni legislative che rientrino nelle sue competenze, ma entro i limiti e alle condizioni stabiliti dal Consiglio, secondo la procedura di cui all’articolo 129, paragrafo 4.
La Banca centrale europea può formulare pareri da sottoporre alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione competenti o alle autorità nazionali su questioni che rientrano nelle sue competenze.
5. Il SEBC contribuisce ad una buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario.
6. Il Consiglio, deliberando all’unanimità mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale, previa consultazione del Parlamento europeo e della Banca centrale europea, può affidare alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, escluse le imprese di assicurazione.

-Articolo 128 (versione consolidata TFUE)
(ex articolo 106 del TCE)

1. La Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell’Unione.
Lo Stato dunque ha rinunciato a poter stampare direttamente, cosa che non faceva già anche in data antecedente al 1981 (ultimo tentativo sul punto furono le 500 Lire di Aldo Moro). Certamente non passa inosservato che ciò che prima era solo una libera scelta così diventava un divieto permanente.
-Articolo 130
(ex articolo 108 del TCE)

Nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti.
Ecco l’attuazione europea della dottrina dell’indipendenza della banca centrale. Ovviamente se la banca centrale è indipendente sarà lo Stato a non esserlo più. Stato che è assolutamente ed innegabilmente dipendente dalle politiche monetarie di BCE.
Articolo 123 (versione consolidata TFUE)
(ex articolo 101 del TCE)

1. Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate “banche centrali nazionali”), a istituzioni, organi od organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri,così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.
La banca centrale dunque non potrà mai fornire moneta agli Stati, neppure comprando i loro titoli direttamente al tasso ufficiale di sconto che essa stessa unilateralmente determina (gli acquisti, quando avvengono, sono attuati sul mercato secondario a tassi d’interesse molto più alti). Insomma la banca potrà emettere tutta la moneta che sovranamente ritiene, ma la dovrà accreditare unicamente alle banche commerciali.
Queste norme rappresentano la più palese certificazione documentale dell’avvenuta cessione della sovranità monetaria che si possa immaginare. Cessione avvenuta in favore di un sistema di banche centrali che in definitiva sono composte proprio dalle banche private e commerciali che tutti noi conosciamo. BCE infatti è composta dalle banche centrali nazionali che a loro volta sono composte da banche private azioniste. Raramente si è visto un simile e manifesto conflitto d’interesse.
Ma vi è di più, tale sistema è palesemente incompatibile anche con l’art. 47 Cost. che, essendo inserito nella parte economica della carta, semplicemente chiarisce e specifica quelli che sono i principi fondamentali dell’ordinamento. Proprio al fine di avere una Repubblica fondata sul lavoro e non sui capricci della finanza fu disposto con assoluta chiarezza che: “La Repubblica disciplina, coordina e controlla il credito”.
Oggi non solo la Repubblica non coordina e non controlla il credito ma addirittura è il settore creditizio ad imporre le politiche economiche allo Stato. Come prova pacificamente quanto avvenne nel 2011 allorquando una lettera di BCE aprì la porta a quelle politiche di austerità che stanno devastando la nostra economia. BCE, strumentalizzando la falsa crisi dello spread che era stata in realtà direttamente provocata dalla banca centrale con l’annuncio di non sostenere il debito italiano neppure sul mercato secondario, iniziava allora l’attacco volto allo smantellamento degli stati nazionali.
Concludiamo la panoramica con quanto accadde prima dell’effettivo avvento nell’Euro. Ovvero l’approvazione del Regolamento n. 1466/97 con cui vennero stabiliti obiettivi di convergenza e stabilità. Tale regolamento, redatto a cura della Commissione Europea, ha addirittura ristretto i margini di bilancio già risicati previsti dai Trattati (specificatamente nel protocollo n. 12 allegato). Il Regolamento n. 1466/97 anticipa il pareggio in bilancio poi diventato realtà con il six Pack, il two pack ed il Fiscal Compact, nonché con la conseguente modifica dell’art. 81 Cost.
È chiaro che se uno Stato non ha sovranità monetaria dovrà ricorrere ai mercati per finanziarsi. Certamente, se non potrà finanziarsi neppure oltre la misura prefissata da trattati e regolamenti, possiamo tranquillamente dire che si va ben oltre la cessione di sovranità ma siamo innanzi ad un criminale e manifesto progetto di cancellazione delle stesse nazioni per fare posto ad un nuovo ordinamento, all’ordinamento voluto dalla finanza.
Basta solo pensare che anche con il parametro del 3% (inteso come rapporto deficit/pil annuo), che a breve verrà addirittura messo in pensione per fare posto ad un margine ancora più risicato fissato 0,5%, la nazione è costretta ogni anno a tassare più di quanto spende con la conseguenza che la la ricchezza viene drenata dal risparmio dei cittadini.
Benché il tradimento Costituzionale sia manifesto concludo con una proposta emendativa dell’art. 47 Cost. e ciò affinché quanto oggi in atto non possa un domani ripetersi pedissequamente. Sperando che saranno effettivamente fermati ovviamente.
Tale proposta emendativa nasce dall’illuminata mente di Luciano Barra Caracciolo, Presidente della quinta sezione del Consiglio di Stato e membro fondatore di Riscossa Italiana: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme, disciplina coordina e controlla l’esercizio del credito nonché, attraverso le forme di direttiva e coordinamento demandate dalla legge al Governo, in armonia con l’indirizzo espresso dal Parlamento, l’emissione della moneta avente corso legale, al fine di salvaguardare l’effettività del diritto al lavoro e ad un’equa retribuzione, quali presupposti di un risparmio diffuso e armonico con le esigenze di sviluppo della Nazione (artt.1, 4 e 36)”.
Ringrazio il Prof. Claudio Moffa, il PM Gennaro Varone ed Aldo Tanari per il bel convegno organizzato di cui a breve pubblicherò il video integrale grazie alle riprese di “Brigate Sovraniste” (http://brigatesovraniste.blogspot.it/?m=1)
Tratto da: Avv. Marco Mori - Studio Legale





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Manfredi De Leo L’eccezione tedesca nel collocamento dei titoli di stato Manfredi De Leo - 07 dicembre 2011 1. L’esito della recente asta dei titoli pubblici tedeschi ha sollevato un interessante dibattito intorno alle specificità del meccanismo di collocamento dei titoli pubblici che sembrano distinguere la Germania dagli altri paesi dell’eurozona. Il dibattito prende spunto dai dettagli presenti nel resoconto ufficiale della procedura d’asta, laddove si comunica che sono stati emessi tutti i 6 miliardi di euro di titoli inizialmente previsti dal governo, ma al contempo si afferma che – di questi – solamente 3,6 sono stati collocati presso investitori privati. Si tratta dunque di capire esattamente cosa è successo a quei 2,4 miliardi di euro di titoli residui, che sono stati dichiarati emessi, ma non sono stati sottoscritti dai partecipanti all’asta. Il resoconto ufficiale dell’asta definisce quella particolare quota dell’emissione come “Ammontare messo da parte per operazioni sul mercato secondario”. Dunque il 40% dei titoli emessi è stato trattenuto con lo scopo di essere successivamente venduto sul mercato secondario: una quota consistente dei titoli è stata, in altri termini, emessa ma non collocata presso gli investitori privati. Una simile operazione sembra possibile solamente qualora si ammetta l’intervento della Bundesbank, che avrebbe sottoscritto una parte della nuova emissione – come suggeriscono numerosi commentatori[1]. Ciò significherebbe che la Germania opera al di fuori delle regole comuni dell’eurozona[2], ossia in deroga a quegli stessi principi che hanno impedito, ad esempio, alla Banca Centrale Greca di intervenire a sostegno dei titoli pubblici ellenici tra il Dicembre 2009 ed il Maggio 2010, quando la spirale nei tassi di interesse pretesi dai mercati finanziari internazionali in sede d’asta ha di fatto costretto Atene a ricorrere ad un prestito istituzionale, vincolato all’adozione delle cosiddette misure di austerità. L’“eccezione tedesca” alle regole europee sull’emissione di titoli del debito pubblico appare ancora più significativa se si considera che la pratica di trattenere una quota (anche consistente) dell’emissione “per operazioni sul mercato secondario” non costituisce affatto un’anomalia nelle ordinarie operazioni di collocamento dei bund, ma ne rappresenta piuttosto il regolare funzionamento: come illustrato dal seguente grafico, la Germania trattiene regolarmente una quota delle emissioni, esattamente come accaduto in quest’ultima, discussa, asta di bund decennali. Cercheremo di dimostrare che la Bundesbank sostiene attivamente il collocamento dei titoli pubblici tedeschi, esercitando un’influenza dominante sul prezzo dei titoli di nuova emissione, senza però ricorrere alla sottoscrizione degli stessi sul mercato primario, ma articolando il proprio intervento in modo tale da aggirare i divieti imposti dal Trattato di Maastricht, e praticare di fatto il finanziamento diretto del debito pubblico tedesco. 2.Iniziamo col dire che il dibattito sull’asta dei titoli tedeschi ha il grande pregio di restituire il meccanismo di emissione dei titoli pubblici – fatto di regolamenti, prassi e rapporti di forza tra governi, banche private nazionali e internazionali – ad un contesto istituzionale più complesso di quella ‘forma di mercato’ che gli viene attribuita dalle istituzioni europee, e che giustifica il divieto di acquisto dei titoli pubblici imposto alle banche centrali, chiamate appunto a non interferire con il regolare funzionamento del mercato del credito. Vogliamo capire come sia possibile che un titolo pubblico venga emesso, ma non collocato. Precisiamo innanzitutto cosa si intende per collocamento: un titolo si definisce collocato quando viene sottoscritto per la prima volta. L’ufficio governativo responsabile dell’emissione dei titoli del debito pubblico tedesco è l’Agenzia per il debito (Finanzagentur), la quale gestisce le procedure d’asta e poi trattiene i titoli non collocati presso quella platea di investitori privati che hanno l’accesso riservato al mercato primario, platea costituita da una quarantina di banche e società finanziarie tedesche ed internazionali. L’idea, suggerita da molti commentatori, che i titoli non collocati vengano di fatto sottoscritti dalla banca centrale tedesca è stata immediatamente contestata, poiché sembra scaturire da una errata interpretazione del particolare ruolo svolto da quest’ultima all’interno del processo di emissione dei titoli. Come vedremo, sebbene sia effettivamente possibile confutare la tesi secondo cui la Bundesbank sottoscrive i titoli pubblici tedeschi direttamente sul mercato primario, la banca centrale tedesca può contare su altri e diversi canali per intervenire sui titoli di nuova emissione, con risultati assolutamente equivalenti all’azione diretta sul mercato primario. La Bundesbank agisce per conto dell’Agenzia per il debito tedesca in qualità di “banca custode e non di prestatore di ultima istanza”, come sostiene Isabella Bufacchi sul Sole 24 Ore del 26 Novembre 2011: i titoli trattenuti risultano in sostanza congelati presso la banca centrale tedesca, senza che questa corrisponda al governo alcuna somma di denaro in cambio, ossia senza che quei titoli risultino effettivamente sottoscritti. Spiega ancora la Bufacchi: “L`agenzia del debito tedesco riprende poi quei titoli invenduti e li ricolloca in tranche sul secondario, nell`arco di qualche giorno o in casi di mercati ostici di qualche settimana.” Dunque sembra, a prima vista, che la Germania non stia procedendo alla cosiddetta ‘monetizzazione’ del debito pubblico. A confermare questa interpretazione interviene anche la prestigiosa rivista The Economist, pubblicando sul proprio sito l’articolo Fun with bunds in cui, “per evitare che i bloggers passino molto tempo immersi nei meccanismi d’asta delle obbligazioni europee”, si affida la soluzione al dilemma alle parole di un rappresentate della PIMCO, una delle più importanti società private di investimento a livello internazionale: “La Finanzagentur ha emesso solamente 3,6 miliardi in cambio di liquidità. Loro hanno collocato 3,6 miliardi sul mercato ed hanno trattenuto 2,4 miliardi sui loro libri contabili. In futuro potranno vendere l’ammontare trattenuto sul mercato secondario, ottenendo la corrispondente liquidità. Potreste aver letto che la Bundesbank ha acquistato la quota dell’emissione che non è stata collocata in asta; ciò non è corretto. La Bundesbank non sta finanziando la Germania; opera semplicemente come un’agenzia per la Finanzagentur.” La pratica dell’Agenzia tedesca per il debito, consistente nel trattenere una quota dell’emissione, viene dunque presentata, molto semplicemente, come un metodo per procrastinare il collocamento di quei titoli, in attesa di più favorevoli condizioni sui mercati finanziari: una mera questione di tempo, poiché i titoli emessi ma non anche collocati saranno, prima o poi, effettivamente collocati. 3. Dopo aver “passato molto tempo immersi nei meccanismi d’asta delle obbligazioni europee”, è forse possibile mettere in discussione la validità di questa lettura del problema, ed incentrare l’interpretazione del particolare meccanismo di emissione dei titoli pubblici tedeschi non tanto sul ‘quando’ i titoli trattenuti verranno sottoscritti, quanto piuttosto sul ‘dove’ quei titoli verranno poi, effettivamente, collocati. La struttura istituzionale conferita generalmente agli odierni processi di emissione dei titoli del debito pubblico si fonda su una netta distinzione tra il mercato primario, dove i governi collocano i titoli di nuova emissione, ed il mercato secondario, dove i titoli già emessi possono essere liberamente scambiati. Tale distinzione è rilevante, all’interno della cornice istituzionale dell’eurozona, poiché il Trattato di Maastricht (comma 1 art. 101[2]) vieta esplicitamente alle banche centrali dell’eurozona l’acquisto di titoli del debito pubblico dei paesi membri solamente sul mercato primario: la BCE e le banche centrali dei paesi membri sono dunque lasciate libere di acquistare titoli del debito pubblico dei paesi membri dell’eurozona sul mercato secondario, e siamo certi che stiano operando in questo senso quantomeno a partire dal Maggio 2010, nel contesto del Securities Markets Programme[4]. Si noti come la chiara distinzione tra mercato primario e mercato secondario, ovvero la regola per cui sul mercato secondario possono essere scambiati solamente titoli già emessi sul mercato primario, sia il presupposto della logica seguita dalle istituzioni europee, le quali prevedono contemporaneamente il divieto imposto da Maastricht, che si riferisce al mercato primario, ed il Securities Markets Programme, che limita al mercato secondario la libertà di intervento delle banche centrali. Nelle parole dell’allora Governatore della BCE Trichet: “le nostre azioni sono pienamente conformi al divieto di finanziamento monetario [del debito pubblico] e dunque alla nostra indipendenza finanziaria. Il Trattato vieta l’acquisto diretto, da parte della BCE, dei titoli del debito emessi dai governi. Noi stiamo acquistando quei titoli solamente sul mercato secondario, e dunque restiamo ancorati ai principi del Trattato”.[5] Alla luce di quanto detto circa la pratica – operata negli anni dalla Germania – di destinare una quota rilevante delle emissione ad operazioni sul mercato secondario, risulta evidente che, quando consideriamo il mercato dei titoli pubblici tedeschi, la distinzione tra mercato primario e mercato secondario si fa quantomeno labile: tramite la quota di titoli di nuova emissione regolarmente trattenuta dall’Agenzia del debito, infatti, la Germania è in grado di collocare i propri titoli del debito pubblico direttamente sul mercato secondario. Ciò è rilevante perché se il mercato primario dei titoli pubblici è esplicitamente riservato, in tutti i paesi dell’eurozona, ad un gruppo di investitori privati, sul mercato secondario operano – accanto agli investitori privati – anche le banche centrali dei paesi membri. Questo significa che il tasso di interesse che si determina sul mercato primario può essere spinto al rialzo da una carenza di domanda di titoli che non ha ragione di esistere sul mercato secondario, laddove l’azione della banca centrale implica una domanda potenzialmente infinita per i titoli pubblici: sul mercato primario, dove non operano le banche centrali, può sussistere una situazione di eccesso di offerta di titoli che conduce ad un rialzo nei tassi di interesse, quale quello osservato in Grecia nei primi mesi del 2010, ed in Italia a partire dall’Agosto 2011, mentre sul mercato secondario l’intervento della banca centrale ha il potere di creare tutta la domanda necessaria a spingere al ribasso il rendimento dei titoli pubblici. Pertanto, il semplice fatto che il collocamento dei bund di nuova emissione avvenga, in parte, direttamente sul mercato secondario ha un impatto significativo sul tasso di interesse dei titoli pubblici tedeschi, garantendo alla Germania un minor costo dell’indebitamento pubblico, a prescindere dalla possibilità (pure presente) che i titoli di nuova emissione collocati sul mercato secondario vengano sottoscritti direttamente dalla Bundesbank. La particolare struttura istituzionale del processo di emissione dei titoli pubblici tedeschi sopprime di fatto la distinzione tra mercato primario e mercato secondario, aprendo lo spazio per il finanziamento del debito pubblico tramite la banca centrale – spazio negato agli altri paesi membri dell’eurozona. Il complesso meccanismo di emissione dei titoli pubblici appena descritto consente alla Germania di proporre, in asta, un tasso dell’interesse molto basso, come avvenuto il 23 Novembre: se gli investitori privati si rifiutano di sottoscrivere i titoli del debito pubblico tedeschi a quei tassi, giudicati poco remunerativi, lo Stato trattiene la quota dell’emissione non collocata e procede, successivamente, al collocamento di quei titoli sul mercato secondario, dove l’azione della banca centrale è in grado di orientare i livelli del tasso dell’interesse vigente, o addirittura di tradursi in un intervento diretto, con la Bundesbank che sottoscrive i titoli del debito non collocati sul mercato primario. In assenza di un simile meccanismo, i governi sono costretti ad accettare il tasso di interesse che gli investitori privati pretendono sul mercato primario, laddove la loro disponibilità a sottoscrivere i titoli pubblici rappresenta l’unica possibilità che lo stato ha di finanziare il proprio debito. L’“eccezione tedesca” può essere concepita come un metodo che permette di aggirare i divieti imposti dal Trattato di Maastricht, e viene da chiedersi per quale motivo gli altri paesi dell’eurozona non si siano dotati di un simile dispositivo, capace di arginare le pretese dei mercati finanziari internazionali sui rendimenti dei propri titoli pubblici. [1] Alesina e Giavazzi sul Corriere dela Sera del 24 Novembre 2011 affermano che “l’asta dei Bund è stata sottoscritta solo grazie alla Bundesbank che ha acquistato il 40% dei titoli offerti da Berlino.”. Lo stesso giorno, simili affermazioni compaiono sui più importanti quotidiani. Sul Sole 24 Ore Bufacchi sostiene che: “va scartata la maxi-quota, pari al 39% dei 6 miliardi, che è stata sottoscritta dalla Buba [Bundesbank] per essere rivenduta sul secondario per via del peculiare meccanismo usato fin dagli anni 70 nelle aste dei titoli di Stato tedeschi.”; Quadrio Curzio commenta che “senza l’intervento della Bundesbank poteva andare anche peggio” sul Messaggero; Tabellini afferma, sul Sole 24 Ore, che: “la Bundesbank di fatto continua ad agire come prestatore di ultima istanza quanto meno in via temporanea nei confronti dello Stato tedesco. I titoli non venduti in asta infatti sono stati assorbiti dalla Bundesbank, che da sempre svolge questo ruolo per garantire la liquidità dei titoli tedeschi.” [2] “La banca centrale tedesca ha subito assorbito tutti i titoli invenduti. È esattamente ciò che la Bundesbank stessa non vuole che la BCE faccia con Italia e Spagna. [...] ha comprato direttamente dal governo, un comportamento in apparenza illegale ai termini del trattato: finanziamento monetario del deficit.” Fubini, Corriere della Sera del 24 Novembre 2011. [3] “È vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della BCE o da parte delle Banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate “Banche centrali nazionali”), a istituzioni o organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle banche centrali nazionali.” (Cfr. Versione consolidata del Trattato che istituisce la Comunità Europea, Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, 24/12/2002, corsivo nostro). [4] “Nei termini definiti in questa Decisione, le banche centrali dell’Eurosistema possono acquistare […] sul mercato secondario titoli di debito […] emessi dai governi centrali o da enti pubblici dei Paesi Membri e denominati in euro.” (Cfr. Decision of the European Central Bank of 14 May 2010 establishing a securities markets programme, Official Journal of the European Union, 20/05/2010, corsivo nostro). [5] Cfr. Speech by Jean-Claude Trichet, President of the ECB, at the 38th Economic Conference of the Oesterreichische Nationalbank, Vienna, 31 May 2010. 16 Commenti per questo articolo ivan Says: - See more at: L?eccezione tedesca nel collocamento dei titoli di stato | Economia e Politica
 

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Piazza Affari che in chiusura è la peggiore d'Europa con il Ftse Mib che crolla a -4,44%

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''IL DADO E' TRATTO: REFERENDUM SULL'EURO IN ITALIA O - MEGLIO - LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE'' (AMBROSE EVANS PRITCHARD)

mercoledì 15 ottobre 2014
LONDRA - Eccezionale articolo di Ambrose Evans Pritchard per il Telegraph sull'Italia che si avvia al ritorno della lira (o alla bancarotta).
"In Italia il dado è tratto. Il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo ha lanciato una petizione per il ritiro dell'Italia dall'unione monetaria europea e per il ritorno alla sovranità economica. "Dobbiamo lasciare l'euro il più presto possibile", ha detto Grillo nel fine settimana, parlando ad un raduno del suo movimento.
"Stasera lanciamo un referendum consultivo. Raccoglieremo mezzo milione di firme in sei mesi - un milione di firme - e arriveremo al parlamento, e questa volta grazie ai nostri 150 parlamentari, dovranno parlare con noi". Da quando il comico pugnace ha fatto il suo ingresso nella scena politica, le élite della zona euro hanno potuto rassicurarsi sul fatto che il partito non è davvero euroscettico, e di certo non vuole riportare la lira. Questa illusione è stata infranta.
Un referendum in sé non sarebbe vincolante, ma una "legge di iniziativa popolare" sicuramente lo sarebbe. Per la prima volta, in Italia è in corso un processo che farà sorgere un dibattito nazionale sull'unione monetaria e può spingere a un voto sull'adesione all'UEM che non può essere facilmente controllato.
Gianroberto Casaleggio, il co-fondatore del partito e guru economico, mi ha detto oggi che il Movimento Cinque Stelle - o Cinque Stelle - a maggio aveva presentato le proprie richieste sulla creazione di Eurobond per sostenere la UEM, così come sull'abolizione del Fiscal Compact dell'UE. "Sono passati cinque mesi e non abbiamo avuto nessuna risposta. Ci hanno completamente ignorato" ha detto.
Il Fiscal Compact è una follia economica. Obbligherebbe l'Italia a enormi avanzi di bilancio per decenni. Questi causerebbero una depressione ancora più profonda, spingendo il rapporto debito/Pil ancora più in alto, e sarebbero quindi scientificamente controproducenti. Gli storici emetteranno un verdetto di condanna sui mascalzoni che hanno imposto questa atrocità in Europa.
La mia opinione è che l'Italia non potrebbe avviare una ripresa all'interno dell'UEM, anche se la Germania accettasse le due condizioni di cui sopra (un'idea impossibile). E' ormai troppo tardi. L'Italia ha perso il 40% di competitività del costo del lavoro contro la Germania da quando il cambio del marco e della lira sono stati fissati stabilmente a metà degli anni '90.
Qualsiasi tentativo di effettuare una "svalutazione interna" in stile irlandese in una economia chiusa in condizioni che sono già di deflazione sarebbe suicida, innescherebbe un crollo del sistema bancario italiano e un'esplosione dei rapporti di indebitamento pubblico e privato. Ho il sospetto che il signor Casaleggio la pensi allo stesso modo. "Un quarto dell'industria italiana è scomparsa. La nostra moneta è sopravvalutata e non c'è niente che possiamo fare restando all'interno dell'euro ", ha detto.
La critica dei Cinque Stelle alla UEM non è puramente economica, un punto di importanza cruciale. Si sta difendendo la sovranità italiana, l'autogoverno e la democrazia e contro gli abusi di un meccanismo europeo che ha usurpato le funzioni parlamentari.
"Io non do via la mia sovranità a nessuno", ha detto Casaleggio. "Mio nonno ha combattuto con i partigiani per tre anni. Se volete la mia sovranità, dovete venire a prenderla, non sventolando qualche lettera della BCE. Dovete venire ben armati, come hanno già provato in passato" ha detto.
La lettera della BCE - “La Lettera”, come è chiamata in Italia - era il diktat segreto inviato al leader italiano Silvio Berlusconi nel mese di agosto 2011 che richiedeva drastiche "riforme" di tutti i tipi. Una lettera simile è stata inviata al capo del governo spagnolo. La contropartita erano gli acquisti dei bond.
La minaccia implicita era che la BCE avrebbe rifiutato di svolgere la sua funzione di prestatore di ultima istanza a meno che Berlusconi non capitolasse. Egli non lo ha fatto, o è stato ritenuto che non lo avesse fatto. Gli acquisti di obbligazioni sono stati interrotti. I rendimenti italiani a 10 anni si sono impennati sopra il 7pc. Berlusconi è stato rovesciato.
Ho sempre pensato che queste due lettere sarebbero ritornate a galla a rendere la vita difficile alla BCE, e all'unione monetaria stessa, e così ora sta avvenendo. "[Mario] Draghi [Presidente della BCE] ci ha detto che i governi che non fanno le riforme saranno rovesciati. Egli non è un membro del governo e non so con quale autorità egli esiga queste riforme. Egli non ha il diritto di darci degli ordini, direttamente o indirettamente ", ha detto Casaleggio.
Il Movimento Cinque Stelle ha ottenuto il 25.6% dei voti nelle elezioni politiche italiane lo scorso anno, testa a testa con il Partito Democratico (PD). (Non gli è stato assegnato un numero paragonabile di seggi a causa del modo in cui è progettato il sistema elettorale). Dispone di 108 deputati alla Camera, e 54 senatori.
E' vero che il premier Matteo Renzi quest'anno ha rubato la scena a Beppe Grillo, ma il Movimento Cinque Stelle non è scomparso. E' arrivato secondo alle elezioni europee di maggio, ottenendo il 21.5pc dei voti. I suoi 17 deputati siedono con l'UKIP a Strasburgo.
La luna di miele di Renzi è già finita, e lui in ogni caso ha fatto un errore di valutazione strategica. Il giovane prodigio ha strappato il potere in un colpo di Stato interno al partito nel mese di febbraio - con brillantezza tattica, senza dubbio – sulla base del presupposto che l'Italia avesse ormai toccato il fondo dopo sei anni di depressione, un calo di produzione del 9.1pc, un crollo del 24pc della produzione industriale, e una disoccupazione giovanile al 43pc.
Egli credeva nel mantra, così largamente diffuso, che l'Europa fosse sull'orlo di un nuovo ciclo di ripresa autonoma, sull'onda della crescita mondiale, e che tutto quello che doveva fare era di farsi trasportare dalla marea montante. Invece, si è schiantato di nuovo nella crisi.
L'errore di Renzi è comprensibile. L'illusione è stata generale, anche se queste pretese di ripresa ignoravano le teorie di Irving Fisher sulla deflazione del debito, o le teorie di Knut Wicksell sui circoli viziosi causati dalla contrazione del credito e dai tassi di interesse disallineati, o anche le più recenti teorie di Michael Woodford sul tasso di cambio reale.
L'Italia è già in una tripla recessione, la sua produzione è ai livelli di quattordici anni fa. L'OCSE dice che la crisi si trascinerà per gran parte del prossimo anno. La crescita sarà solo dello 0.1pc nel 2015.
Si noti che il governo Monti aveva detto tre anni fa che il rapporto debito/Pil in Italia sarebbe sceso al 115% nel 2014. In realtà ha raggiunto il 135.6% del PIL nel primo trimestre di quest'anno, impennandosi al ritmo del 5% del PIL all'anno, nonostante una serie di pacchetti di austerità, e un avanzo di bilancio primario del 2.5%.
Antonio Guglielmi di Mediobanca ha avvertito il mese scorso che questo è "catastrofico per le finanze del Paese". Il debito automaticamente esploderà al 145pc il prossimo anno (secondo la vecchia misurazione, e ora al 140pc in base alle nuove norme contabili). "Occorrerà una bomba nucleare per rimettere le cose a posto. Se Draghi finisce col fare quasi nulla, l'Italia è morta", ha detto. Non è un fallimento morale dell'Italia negli ultimi anni. E' solo la meccanica dell'"effetto denominatore", un onere del debito che aumenta sulla base di un PIL nominale in contrazione.
Il punto è molto semplice.
Il tasso di interesse medio sul debito pubblico italiano è ancora intorno al 4pc, così che il pagamento degli interessi è vicino al 5.5pc del PIL. A meno che il PIL nominale cresca alla stessa velocità, il rapporto del debito deve continuare a salire. Le riforme strutturali sono senza dubbio auspicabili come un fine in sé, ma non hanno nulla a che fare con i fatti in questione.
La crisi attuale in Italia è INTERAMENTE dovuta al fallimento della politica monetaria e al rifiuto della BCE di puntare al suo obiettivo di inflazione, o di rispettare i propri obblighi derivanti dal trattato di Lisbona di sostenere la crescita. (E sì, la BCE ha un duplice mandato ai sensi dei trattati UE.) Più l'Italia attua riforme drastiche in queste circostanze, e peggio otterrà. Gli effetti a breve termine delle riforme sono notoriamente recessivi.
Abbiamo raggiunto uno stato di cose davvero notevole in tutte e tre le principali economie dell'UEM: il Fronte Nazionale francese ha ottenuto una vittoria schiacciante alle elezioni europee a maggio con la sua richiesta di un ritorno immediato al franco francese; il partito tedesco anti-euro AfD ha fatto irruzione in tre parlamenti statali con gli appelli a tornare al marco tedesco; e ora il Movimento Cinque Stelle vuole il ritorno alla lira in un paese che è stato affidabilmente e appassionatamente europeista per 60 anni".
Ambrose Evans Pritchard, Londra. - Tradotto da Voci dall'Estero - che ringraziamo.
Link in inglese: The great Lira revolt has begun in Italy - Telegraph

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Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio

Ierihttps://www.facebook.com/pages/Abba...-e-il-Signoraggio/208622872545749?fref=photo#

GIOVANNI CAIANELLO (AERONAUTICA MILITARE ITALIANA) "IN OLTRE 43 ANNI DI AERONAUTICA NON HO MAI NOTATO TANTA IMMONDIZIA NEI NOSTRI CIELI COME NEGLI ULTIMI TEMPI. E SE QUALCUNO, SPECIALMENTE GENTE CHE PER ARIA NON C'È MAI STATA, SALVO CHE PER... VIAGGIARE SUGLI AEROBUS DI LINEA, MI VIENE A DIRE CHE È CONDENSA, NON CI PERDO TEMPO, LO MANDO IMMEDIATAMENTE A QUEL PAESE "

approfondisci qui:
"Scie, metalli, filamenti, piogge: stanno irrorando il cielo"
http://www.libreidee.org/2014/10/scie-metalli-filamenti-piogge-stanno-irrorando-il-cielo/ Altro...






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