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Con un certo distacco
Scritto da Fabio Gardel
17 Gennaio 2009
Ripenso con qualche affetto ed un certo distacco ad un giovane uomo, che nel primissimo inizio del terzo millennio dell’era volgare credé di aver individuato il difetto fondamentale del pensar comune, comune agli uomini che condividevano il suo tempo.
Si trattava di un convincimento radicatissimo nella psiche collettiva, e che accomunava il colto e sofisticato intellettuale, il medio lettore di quotidiani, imprenditore o quadro, finanche il lavoratore manuale.
Essi, nati che fossero in qualsiasi decennio del ’900 e ancora vivi, in differenti sfumature dovute alle variate temperie culturali nelle quali si erano trovati a vivere, condividevano tuttavia l’assioma indiscusso che la soluzione alle difficoltà del vivere sociale dovesse sempre e comunque venire da un intervento politico promosso dallo Stato.
Essi si dimostravano fervidi credenti nella possibilità e nella sperata realtà di un ordine dall’alto. Molto spesso non avrebbero questi miei contemporanei voluto specificare quali uomini avrebbero infine portato avanti un tale mirabile ordine.
Le procedure di selezione, almeno dagli anni della mia entrata in un qualche (relativo) assestamento del raziocinio adulto, nella seconda metà degli anni ’80, non godevano di particolare fiducia soterica da parte dell’elettorato. Ciononostante si manteneva alta la partecipazione al voto, forse solo come irrinunciabile sfogo narcisistico, ribelle alla consapevolezza della propria irrilevanza.
Alla fine del XX secolo le fiammate folli del fascismo e dell’ancor più pervicace socialismo lasciavano in eredità poco della loro dottrina originale, all’alone vintage, ma immutata la fede nell’assunto condiviso di un buon ordine dall’alto, di un bel mondo per via coercitiva, di una palingenesi per azione di politici, con l’ausilio degli intellettuali. Questi ultimi, nella loro quasi totalità perché fanno eccezione solo gli economisti di scuola austriaca, avevano aderito con tutte le loro forze alle varie forme di statalismo proposte dall’ultimo secolo, il più insanguinato.
Rimasero ciechi di fronte a qualunque Cambogia, o apologeti degli stermini in nome dell’uguaglianza estrema, quella del cadavere dell’ucciso. In questo preciso momento del gennaio 2009 la stragrande maggioranza di coloro che in qualche modo possono dirsi seppur bassamente intellettuali non ha sviluppato una analisi critica delle loro passioni e credenze politiche.
L’inferno del socialismo è passato sul pianeta con il suo lascito di sterminio, ha forse soltanto attenuato il suo potere comburente, e non ha suscitato una riflessione critica tra i suoi propugnatori. In questa penisola dalla storia illustre, essi si annoverano tra la quasi totalità dei professori universitari, in particolare gli storici e gli studiosi di scienze sociali, e la gran parte dei giornalisti, degli insegnanti delle scuole di stato, dei magistrati. I politici sono elegantemente passati dalla riflessione teorica, alle Frattocchie, alla gestione pura degli strascichi consistenti di potere residuo e monnezzaro e non si avvertono sintomi di ritorno del rimosso.
Al buon uomo lettore del Sole24Ore, con laurea in economia o scienze politiche (no, he’s not Prince Hamlet) restava però la consolazione del perseverare in una austera serietà di quella istituzione venerata nelle Gazzette e mai criticata, né spiegata, né men che meno compresa, che indefessa vigilava però e provvedeva all’ordine sociale altissimo, quello sulla moneta, la banca d’Italia, dico, la banca centrale, cattolicamente sacrale e puritanamente composta.
E a maggior consolazione c’era da augurarsi che presto detta Banca si fondesse ad altre forse ancor maggiori di virtù, la Deutsche, d’acciaio, e magari la Bank of England, coi suoi sentori d’Impero coloniale e di storia secolare. Quale progresso, quale civiltà non avrebbe portato l’estrinsecarsi nel mondo di tanti arcani saperi riuniti. E se l’Europa rappresentava la tradizione, dall’altra parte dell’Atlantico c’era la dinamicità, l’avventura, il West, la geniale direzione della Federal Reserve di Alan Greenspan, la grande produttività, la flessibilità, la New Economy…
Questo giovane uomo guardava a tutto ciò con un po’ d’invidia: con interessi letterari e filosofici in quel mondo, con mezzi modestissimi, senza amicizie, si chiedeva a quali superiori contorsioni concettuali avrebbe dovuto abituarsi il suo cervello per omogeneizzarsi nel poderoso esercito dei produttori, di coloro che prontamente rispondevano ai capricci di sua Maestà il Consumatore, che, come un conte polacco del Settecento un duello, accettavano le sfide della competizione internazionale.
Nelle more di tanta incertezza buttava il tempo in confuse letture: tra le quali alcune di filosofia politica in salsa liberale. Quasi a piè di pagina di tali astrattezze politologiche trovava accennati due nomi mai sentiti in quasi venti anni passati nelle strutture educative quasi gratuite fornite dalla Repubblica Italiana, quelli di Mises e Rothbard. Costoro promettevano di spiegare l’essenza del mistero sacrale nella modernità, the mistery of banking.
Un flash nella mente. Neo ingoia la pillola rossa. E vede che ai dinamici Bocconiani di tante sperate palme e dilettosi errori avanza una poderosa inevitabile depressione economica, e quel che è peggio la dannazione di non aver capito come funziona il loro mondo. Anche se pure avessero fatto in tempo a scappar via con le ricchezze a dimostrar comprensione del mondo, pur tuttavia al cinismo è necessaria piena cognizione della virtù.
La completa mancanza di comprensione dell’economia instillata loro all’università, trasforma tali profittatori in truffatori che non sanno di esserlo, tecnici, al limite innocenti. Una curiosità: nella prima parte di queste note ho accennato al delirio comunista, ora a quello misterico diffuso dalle banche centrali; colpisce la fantasia lombrosiana il mettere accanto le foto dei quotidiani di questo gennaio 2009 dell’assassino Battisti con quelle di tale Draghi e notare la somiglianza, a me pare, di tratto, di due forme contemporanee di disturbo di personalità antisociale grave.
Sperò quel giovane uomo di trovare amici a cui confidare lo spaesamento di essere il solo a assistere all’assurdo spettacolo della Matrix centralbancaria e, grazie a Internet, credé di aver risolto. Gruppuscoli che in quella o quell’altra occasione facevano cose intorno al nome di Mises o Rothbard e qui, nella povera, arretrata Italia. Ahimè, come andar di notte! Con la luce accesa, essi non vedevano e pure accresciuto ne era perciò lo sconforto. Infine ci fu l’incontro in un tempio della più sublime conoscenza con tale Fratello Francesco e lui sceglierà se prendersi il nome di Robinson o quello di Venerdì.
Adesso guardiamo alle metamorfosi del Truffone, dell’universale Schema di Ponzi con un certo distacco. Le civiltà si sono succedute avvicendandosi alla fine di grandi esperimenti di implementazione di ogni sorta di caos dall’alto. La cultura dei megacentri commerciali ormai mondializzata passerà dal caos creato per via monetaria e creditizia e qualcosa di nuovo accadrà sotto il sole.
Scritto da Fabio Gardel
17 Gennaio 2009
Ripenso con qualche affetto ed un certo distacco ad un giovane uomo, che nel primissimo inizio del terzo millennio dell’era volgare credé di aver individuato il difetto fondamentale del pensar comune, comune agli uomini che condividevano il suo tempo.
Si trattava di un convincimento radicatissimo nella psiche collettiva, e che accomunava il colto e sofisticato intellettuale, il medio lettore di quotidiani, imprenditore o quadro, finanche il lavoratore manuale.
Essi, nati che fossero in qualsiasi decennio del ’900 e ancora vivi, in differenti sfumature dovute alle variate temperie culturali nelle quali si erano trovati a vivere, condividevano tuttavia l’assioma indiscusso che la soluzione alle difficoltà del vivere sociale dovesse sempre e comunque venire da un intervento politico promosso dallo Stato.
Essi si dimostravano fervidi credenti nella possibilità e nella sperata realtà di un ordine dall’alto. Molto spesso non avrebbero questi miei contemporanei voluto specificare quali uomini avrebbero infine portato avanti un tale mirabile ordine.
Le procedure di selezione, almeno dagli anni della mia entrata in un qualche (relativo) assestamento del raziocinio adulto, nella seconda metà degli anni ’80, non godevano di particolare fiducia soterica da parte dell’elettorato. Ciononostante si manteneva alta la partecipazione al voto, forse solo come irrinunciabile sfogo narcisistico, ribelle alla consapevolezza della propria irrilevanza.
Alla fine del XX secolo le fiammate folli del fascismo e dell’ancor più pervicace socialismo lasciavano in eredità poco della loro dottrina originale, all’alone vintage, ma immutata la fede nell’assunto condiviso di un buon ordine dall’alto, di un bel mondo per via coercitiva, di una palingenesi per azione di politici, con l’ausilio degli intellettuali. Questi ultimi, nella loro quasi totalità perché fanno eccezione solo gli economisti di scuola austriaca, avevano aderito con tutte le loro forze alle varie forme di statalismo proposte dall’ultimo secolo, il più insanguinato.
Rimasero ciechi di fronte a qualunque Cambogia, o apologeti degli stermini in nome dell’uguaglianza estrema, quella del cadavere dell’ucciso. In questo preciso momento del gennaio 2009 la stragrande maggioranza di coloro che in qualche modo possono dirsi seppur bassamente intellettuali non ha sviluppato una analisi critica delle loro passioni e credenze politiche.
L’inferno del socialismo è passato sul pianeta con il suo lascito di sterminio, ha forse soltanto attenuato il suo potere comburente, e non ha suscitato una riflessione critica tra i suoi propugnatori. In questa penisola dalla storia illustre, essi si annoverano tra la quasi totalità dei professori universitari, in particolare gli storici e gli studiosi di scienze sociali, e la gran parte dei giornalisti, degli insegnanti delle scuole di stato, dei magistrati. I politici sono elegantemente passati dalla riflessione teorica, alle Frattocchie, alla gestione pura degli strascichi consistenti di potere residuo e monnezzaro e non si avvertono sintomi di ritorno del rimosso.
Al buon uomo lettore del Sole24Ore, con laurea in economia o scienze politiche (no, he’s not Prince Hamlet) restava però la consolazione del perseverare in una austera serietà di quella istituzione venerata nelle Gazzette e mai criticata, né spiegata, né men che meno compresa, che indefessa vigilava però e provvedeva all’ordine sociale altissimo, quello sulla moneta, la banca d’Italia, dico, la banca centrale, cattolicamente sacrale e puritanamente composta.
E a maggior consolazione c’era da augurarsi che presto detta Banca si fondesse ad altre forse ancor maggiori di virtù, la Deutsche, d’acciaio, e magari la Bank of England, coi suoi sentori d’Impero coloniale e di storia secolare. Quale progresso, quale civiltà non avrebbe portato l’estrinsecarsi nel mondo di tanti arcani saperi riuniti. E se l’Europa rappresentava la tradizione, dall’altra parte dell’Atlantico c’era la dinamicità, l’avventura, il West, la geniale direzione della Federal Reserve di Alan Greenspan, la grande produttività, la flessibilità, la New Economy…
Questo giovane uomo guardava a tutto ciò con un po’ d’invidia: con interessi letterari e filosofici in quel mondo, con mezzi modestissimi, senza amicizie, si chiedeva a quali superiori contorsioni concettuali avrebbe dovuto abituarsi il suo cervello per omogeneizzarsi nel poderoso esercito dei produttori, di coloro che prontamente rispondevano ai capricci di sua Maestà il Consumatore, che, come un conte polacco del Settecento un duello, accettavano le sfide della competizione internazionale.
Nelle more di tanta incertezza buttava il tempo in confuse letture: tra le quali alcune di filosofia politica in salsa liberale. Quasi a piè di pagina di tali astrattezze politologiche trovava accennati due nomi mai sentiti in quasi venti anni passati nelle strutture educative quasi gratuite fornite dalla Repubblica Italiana, quelli di Mises e Rothbard. Costoro promettevano di spiegare l’essenza del mistero sacrale nella modernità, the mistery of banking.
Un flash nella mente. Neo ingoia la pillola rossa. E vede che ai dinamici Bocconiani di tante sperate palme e dilettosi errori avanza una poderosa inevitabile depressione economica, e quel che è peggio la dannazione di non aver capito come funziona il loro mondo. Anche se pure avessero fatto in tempo a scappar via con le ricchezze a dimostrar comprensione del mondo, pur tuttavia al cinismo è necessaria piena cognizione della virtù.
La completa mancanza di comprensione dell’economia instillata loro all’università, trasforma tali profittatori in truffatori che non sanno di esserlo, tecnici, al limite innocenti. Una curiosità: nella prima parte di queste note ho accennato al delirio comunista, ora a quello misterico diffuso dalle banche centrali; colpisce la fantasia lombrosiana il mettere accanto le foto dei quotidiani di questo gennaio 2009 dell’assassino Battisti con quelle di tale Draghi e notare la somiglianza, a me pare, di tratto, di due forme contemporanee di disturbo di personalità antisociale grave.
Sperò quel giovane uomo di trovare amici a cui confidare lo spaesamento di essere il solo a assistere all’assurdo spettacolo della Matrix centralbancaria e, grazie a Internet, credé di aver risolto. Gruppuscoli che in quella o quell’altra occasione facevano cose intorno al nome di Mises o Rothbard e qui, nella povera, arretrata Italia. Ahimè, come andar di notte! Con la luce accesa, essi non vedevano e pure accresciuto ne era perciò lo sconforto. Infine ci fu l’incontro in un tempio della più sublime conoscenza con tale Fratello Francesco e lui sceglierà se prendersi il nome di Robinson o quello di Venerdì.
Adesso guardiamo alle metamorfosi del Truffone, dell’universale Schema di Ponzi con un certo distacco. Le civiltà si sono succedute avvicendandosi alla fine di grandi esperimenti di implementazione di ogni sorta di caos dall’alto. La cultura dei megacentri commerciali ormai mondializzata passerà dal caos creato per via monetaria e creditizia e qualcosa di nuovo accadrà sotto il sole.