A partire dal 2001, quando la crisi dei mercati finanziari ha mostrato tutta la sua gravità, è maturata la convinzione, sia tra gli addetti ai lavori che nei singoli investitori, che la fase di sviluppo degli anni ’90 non fosse altro che una bolla speculativa, basata su aspettative irrazionali, che è bene ( per chi ?) aver visto finire, e le cui conseguenze nefaste sono motivo o concausa della crisi che viviamo tuttora
Pur riconoscendo che certi eccessi speculativi fossero presenti, dissento fortemente con questa interpretazione, ed intendo ora fornire le argomentazioni a favore della tesi che sintetizzo nei punti seguenti:
-Il ruolo della new economy fu tutt’altro che una chimera, ed i suoi effetti positivi sono ben presenti tutt’oggi.
-La politica monetaria, troppo morbida a giudizio di tanti, NON fu la causa della bolla, bensì conseguenza opportuna.
-La vera causa delle scarse performance economiche a partire dal 2000 NON risiedono né nella New Economy né nella fiducia degl’investitori, a tratti certamente eccessiva, ma sono da ricercarsi altrove.
Cominciamo dal primo:
Il ruolo della New Economy dagli anni ’90 sino ai giorni nostri.
La New Economy: qualche parola di chiarezza su questa locuzione ambigua e detestata.
Con i termini di New Economy ci si riferisce agli effetti che gli investimenti in information technology hanno prodotto sull’economia reale, sino a modificarne profondamente gli equilibri conosciuti, disegnando così un nuovo paradigma.
Non soltanto sono convinto che tale paradigma non fosse affatto un’illusione, ma intendo discuterne gli effetti che penso tuttora perduranti.
Le radici della new economy risiedono certamente nello sviluppo dell’IT (Information Technology) e della sua diffusione nel tessuto economico e sociale.
Le implicazioni più vistose sono state:
-Modifica del NAIRU (Il NAIRU è un acronimo in lingua inglese, il cui significato è”tasso di disoccupazione “naturale” compatibile con crescita senza inflazione.
-Crescita della produttività.
Su entrambi questi aspetti ci sono ampi riscontri empirici, studi corroborati da dati che confermano in modo chiaro che il NAIRU è effettivamente diminuito per effetto degli investimenti in IT.
Se il NAIRU diminuisce, le conseguenze a livello macroeconomico sono pesantissime: la curva di Phillips, che mostra il legame tra disoccupazione ed inflazione, viene modificata durevolmente.
Questo effetto della New Economy, è ben valido malgrado la congiuntura degli ultimi anni sembri dimostrare un’inversione rispetto agli anni ´90: lo spettro della stagflazione, una fase in cui inflazione in rialzo e bassa crescita si accompagnano, è un pericolo concreto.
Una contrazione del NAIRU, e deve essere sottolineato che questo dato scese sotto il 4% negli Stati Uniti, proprio alla fine degli anni ´90, implica anche una crescita del GDP potenziale.
Benché la fase attuale di stagflazione sembri dimostrare che lo spostamento della curva di Phillips fosse solo di breve periodo, un’analisi dei fattori di shock suggerisce a mio avviso che tale spostamento, proprio per la diversa natura rispetto ai fattori che determinarono il primo positivo movimento della curva, non è di riequilibrio.
In altre parole, se a determinare il miglioramento del trade-off inflazione-disoccupazione è stato un miglioramento delle funzioni di produzione, per tramite di un incremento della produttività, il peggioramento dello stesso, dovuto ad uno shock dei costi energetici NON inficia affatto il ruolo dell’IT nel miglioramento della curva di Phillips.
Anzi, se guardiamo all’evidenza storica, non posso fare a meno di notare che crescita del PIL, molto verosimilmente, sarebbe crollata in risposta ad un rialzo dei costi energetici come quello che stiamo conoscendo se non ci fosse stato il sostegno di migliorati sistemi di produzione ed organizzazione.
E questi miglioramenti sono in buona parte frutto della New Economy.
Se confrontiamo la situazione attuale con gli anni ´70 appare evidente che l’incremento del tasso disoccupazione è stato nettamente più contenuto.
Se si considera che il tasso naturale di disoccupazione (ribadisco: naturale) era stato stimato attorno al 4% ( Mi riferisco, chiaramente, all’economia USA) verso la fine degli ani ´90, il suo valore attuale, pari al 5.5%, in presenza di tensione inflattive, sembrerebbe segnalare il fallimento sia della teoria economica Keynesiana che di quella classica, entrambe concordi nel segnalare pericoli inflazionistici solo in prossimità del livello di piena occupazione.
Questa apparente fallacia della teoria trova spiegazione allorquando si considerino da un lato la portata degli shock energetici, ma dall’altro gli effetti positivi dei cambiamento indotti dall’IT in modo pervasivo.
Insomma, gli investimenti in ICT non soltanto sono stati una componente additiva del PIL, ma hanno anche reso permanentemente più efficace ed efficiente il sistema economico. Sviluppare sistemi di comunicazione ed elaborazione dei dati, fornendo anche una serie nuovissima di servizi, non soltanto ha contribuito alla crescita economica, ma ha avuto effetti duraturi e positivi grazie al loro uso. Il sito che ci ospita è uno dei tantissimi esempi possibili.
La crescita della produttività (Quota di Pil per ogni addetto)è certamente beneficiaria anch’essa del contesto di cui sopra.
Ma la sua misurazione è faccenda molto controversa, perché se è abbastanza facile misurare la variazione nel numero degli addetti, molto più difficile è misurare le variazioni qualitative del Pil, ovvero della sua composizione.
È questo che rende difficile la misura della crescita della produttività.
Malgrado ciò, i dati confortano la tesi: la crescita della produttività fu particolarmente forte nella seconda metà degli anni ´90.
Un approccio riflessivo, accorto, verso il ruolo dell’ICT nella cosiddetta New Economy conduce a risultati difficilmente controvertibili: un nuovo paradigma economico vi fu, nel senso che le relazioni tra le variabili macroeconomiche furono molto influenzate dal processo di cambiamento organizzativo indotto dall’ICT.
Tutto questo, si badi bene, NON giustificava in alcun modo le quotazioni di Tiscali, il Nasdaq a 5000 o il fatto che, ad esempio, Idra presse salisse del 10% in un giorno per il solo fatto di aver annunciato la creazione di un sito Internet.
Gli eccessi della prima parte del 2000 sono da bollare come tali, ma non sono spiegazione coerente degli accadimenti che seguirono, né della crisi attuale.
E se è vero, come in effetti risultò, che molte società non avevano un modello di business sostenibile, ciò non dimostra che il cambiamento derivante dall’ICT fosse, nel suo complesso, un’illusione: Google od Amazon, tanto per citare due società conosciute da tutti, sono un esempio eccellente di un progetto di business che, partendo da risultati di gestione negativi, com’è normale che sia per società Start up, è arrivato a dare dimostrazione efficace di quanto profondi siano gli effetti perduranti dell’ICT e della New Economy che ne derivò.
Ed è appena da ricordare come il mercato, in preda alla speculazione ribassista del 2002-2003, non fosse assolutamente in grado di capirne il valore, riconoscendone il prezzo solo a posteriori, a risultati ormai conseguiti.
Saluti.
Pur riconoscendo che certi eccessi speculativi fossero presenti, dissento fortemente con questa interpretazione, ed intendo ora fornire le argomentazioni a favore della tesi che sintetizzo nei punti seguenti:
-Il ruolo della new economy fu tutt’altro che una chimera, ed i suoi effetti positivi sono ben presenti tutt’oggi.
-La politica monetaria, troppo morbida a giudizio di tanti, NON fu la causa della bolla, bensì conseguenza opportuna.
-La vera causa delle scarse performance economiche a partire dal 2000 NON risiedono né nella New Economy né nella fiducia degl’investitori, a tratti certamente eccessiva, ma sono da ricercarsi altrove.
Cominciamo dal primo:
Il ruolo della New Economy dagli anni ’90 sino ai giorni nostri.
La New Economy: qualche parola di chiarezza su questa locuzione ambigua e detestata.
Con i termini di New Economy ci si riferisce agli effetti che gli investimenti in information technology hanno prodotto sull’economia reale, sino a modificarne profondamente gli equilibri conosciuti, disegnando così un nuovo paradigma.
Non soltanto sono convinto che tale paradigma non fosse affatto un’illusione, ma intendo discuterne gli effetti che penso tuttora perduranti.
Le radici della new economy risiedono certamente nello sviluppo dell’IT (Information Technology) e della sua diffusione nel tessuto economico e sociale.
Le implicazioni più vistose sono state:
-Modifica del NAIRU (Il NAIRU è un acronimo in lingua inglese, il cui significato è”tasso di disoccupazione “naturale” compatibile con crescita senza inflazione.
-Crescita della produttività.
Su entrambi questi aspetti ci sono ampi riscontri empirici, studi corroborati da dati che confermano in modo chiaro che il NAIRU è effettivamente diminuito per effetto degli investimenti in IT.
Se il NAIRU diminuisce, le conseguenze a livello macroeconomico sono pesantissime: la curva di Phillips, che mostra il legame tra disoccupazione ed inflazione, viene modificata durevolmente.
Questo effetto della New Economy, è ben valido malgrado la congiuntura degli ultimi anni sembri dimostrare un’inversione rispetto agli anni ´90: lo spettro della stagflazione, una fase in cui inflazione in rialzo e bassa crescita si accompagnano, è un pericolo concreto.
Una contrazione del NAIRU, e deve essere sottolineato che questo dato scese sotto il 4% negli Stati Uniti, proprio alla fine degli anni ´90, implica anche una crescita del GDP potenziale.
Benché la fase attuale di stagflazione sembri dimostrare che lo spostamento della curva di Phillips fosse solo di breve periodo, un’analisi dei fattori di shock suggerisce a mio avviso che tale spostamento, proprio per la diversa natura rispetto ai fattori che determinarono il primo positivo movimento della curva, non è di riequilibrio.
In altre parole, se a determinare il miglioramento del trade-off inflazione-disoccupazione è stato un miglioramento delle funzioni di produzione, per tramite di un incremento della produttività, il peggioramento dello stesso, dovuto ad uno shock dei costi energetici NON inficia affatto il ruolo dell’IT nel miglioramento della curva di Phillips.
Anzi, se guardiamo all’evidenza storica, non posso fare a meno di notare che crescita del PIL, molto verosimilmente, sarebbe crollata in risposta ad un rialzo dei costi energetici come quello che stiamo conoscendo se non ci fosse stato il sostegno di migliorati sistemi di produzione ed organizzazione.
E questi miglioramenti sono in buona parte frutto della New Economy.
Se confrontiamo la situazione attuale con gli anni ´70 appare evidente che l’incremento del tasso disoccupazione è stato nettamente più contenuto.
Se si considera che il tasso naturale di disoccupazione (ribadisco: naturale) era stato stimato attorno al 4% ( Mi riferisco, chiaramente, all’economia USA) verso la fine degli ani ´90, il suo valore attuale, pari al 5.5%, in presenza di tensione inflattive, sembrerebbe segnalare il fallimento sia della teoria economica Keynesiana che di quella classica, entrambe concordi nel segnalare pericoli inflazionistici solo in prossimità del livello di piena occupazione.
Questa apparente fallacia della teoria trova spiegazione allorquando si considerino da un lato la portata degli shock energetici, ma dall’altro gli effetti positivi dei cambiamento indotti dall’IT in modo pervasivo.
Insomma, gli investimenti in ICT non soltanto sono stati una componente additiva del PIL, ma hanno anche reso permanentemente più efficace ed efficiente il sistema economico. Sviluppare sistemi di comunicazione ed elaborazione dei dati, fornendo anche una serie nuovissima di servizi, non soltanto ha contribuito alla crescita economica, ma ha avuto effetti duraturi e positivi grazie al loro uso. Il sito che ci ospita è uno dei tantissimi esempi possibili.
La crescita della produttività (Quota di Pil per ogni addetto)è certamente beneficiaria anch’essa del contesto di cui sopra.
Ma la sua misurazione è faccenda molto controversa, perché se è abbastanza facile misurare la variazione nel numero degli addetti, molto più difficile è misurare le variazioni qualitative del Pil, ovvero della sua composizione.
È questo che rende difficile la misura della crescita della produttività.
Malgrado ciò, i dati confortano la tesi: la crescita della produttività fu particolarmente forte nella seconda metà degli anni ´90.
Un approccio riflessivo, accorto, verso il ruolo dell’ICT nella cosiddetta New Economy conduce a risultati difficilmente controvertibili: un nuovo paradigma economico vi fu, nel senso che le relazioni tra le variabili macroeconomiche furono molto influenzate dal processo di cambiamento organizzativo indotto dall’ICT.
Tutto questo, si badi bene, NON giustificava in alcun modo le quotazioni di Tiscali, il Nasdaq a 5000 o il fatto che, ad esempio, Idra presse salisse del 10% in un giorno per il solo fatto di aver annunciato la creazione di un sito Internet.
Gli eccessi della prima parte del 2000 sono da bollare come tali, ma non sono spiegazione coerente degli accadimenti che seguirono, né della crisi attuale.
E se è vero, come in effetti risultò, che molte società non avevano un modello di business sostenibile, ciò non dimostra che il cambiamento derivante dall’ICT fosse, nel suo complesso, un’illusione: Google od Amazon, tanto per citare due società conosciute da tutti, sono un esempio eccellente di un progetto di business che, partendo da risultati di gestione negativi, com’è normale che sia per società Start up, è arrivato a dare dimostrazione efficace di quanto profondi siano gli effetti perduranti dell’ICT e della New Economy che ne derivò.
Ed è appena da ricordare come il mercato, in preda alla speculazione ribassista del 2002-2003, non fosse assolutamente in grado di capirne il valore, riconoscendone il prezzo solo a posteriori, a risultati ormai conseguiti.
Saluti.