SINIBALDO
Forumer attivo
Per la laurea, paga a Hong Kong
Stefano Ricucci potrà appendere al muro i certificati che attestano la conquista dei titoli di "Bachelor" e "Doctor" in Economia (7.640 euro investiti, per un totale di 36 esami e due tesi finali).
La sua signora non è da meno: Anna Falchi si è laureata su Pasolini grazie a un corso da "Doctor Degree" (costo variabile fra i 10 e i 13 mila euro) e pare che ora miri a specializzarsi in Storia del cinema.
Lo sfizio di avere un "Dott." sul biglietto da visita, entrambi se lo sono tolti grazie alla Clayton University, università con base a Hong Kong che sul suo sito si definisce "il padre dell’apprendimento a distanza".
Nata nel 1972, oggi la Clayton si vanta di avere studenti in ogni parte del mondo. Chi clicca per compilare i formulari d’iscrizione (tutto online) può parlare giapponese, italiano, francese o urdu.
Gli esami sono scritti, ma da spedire per posta.
Oltre ai corsi canonici in Business administration o Scienze sociali, alla Clayton si può studiare Psicofisiologia, Fitoterapia ed Erbologia, o Pianificazione ambientale.
I titoli rilasciati non sono riconosciuti in Italia e nemmeno negli Stati Uniti, quasi tutto si svolge online e gli accrediti delle rette finiscono sulla
Hong Kong and Shanghai Banking Corporation di Hong Kong, banca nota per essere stata assolutamente impenetrabile alle rogatorie italiane durante le indagini di Tangentopoli.
Se nonostante tutto questo non siete ancora perplessi, l’indirizzo per voi rimane www.culhk.com.
Il Biscione mangerà il Leone ???
Ricucci apre la strada, poi arriverà uno con soldi e strategia.
La profezia di Ubaldo Livolsi, uomo di Silvio.
Un grande banchiere del Nord ha detto:
«Se perde le elezioni e torna a occuparsi dei suoi affari a tempo pieno, ne vedremo delle belle. Quello ha i soldi e le capacità per comprarsi l’Italia».
Quello è Silvio Berlusconi.
E l’alternativa che si apre, di qui a un anno, è secca. O vince le elezioni e governa l’Italia, trasformando profondamente (in peggio) le regole della democrazia e mettendo in salvo per sempre i beni per le sue famiglie.
Oppure le elezioni le perde, e allora si scatena: il capitalismo italiano è a una svolta, i vecchi poteri non tengono più, gli ex salotti buoni (da Rcs a Mediobanca, fino a Generali) sono sotto attacco e non potranno resistere a lungo, se agli immobiliaristi della rude razza romana si unirà chi ha soldi, strategia e alleanze per far saltare il banco.
Berlusconi ci aveva già provato, a entrare nel cuore del capitalismo italiano.
Come ha ricordato Alberto Statera, nel 1979 tentò di mettere sul piatto una trentina di miliardi di lire per comprare un 3-4 per cento di Generali ed entrare nel consiglio d’amministrazione.
Gli rispose, per iscritto, Cesare Merzagora: no grazie, noi del Leone di Trieste non vogliamo palazzinari.
Da allora il Biscione è sempre stato tenuto fuori dai circoli della grande finanza del Nord. L’unico pezzo d’Italia che Berlusconi non è ancora riuscito a conquistare.
Ora i giochi si sono riaperti e il Biscione potrebbe saldare vecchi conti in sospeso.
Ad avviare le danze sono stati i nuovi outsider.
Il Gianpiero Fiorani di Lodi, di professione banchiere creativo, che per assaltare Bnl e Antonveneta mette a rischio la sua Bipielle e poi chiede i soldi ai clienti, offrendo warrant e abbonamenti al Touring club.
E il Chicco Gnutti di Brescia, «capitano coraggioso» dell’assalto a Telecom.
E il Giovanni Consorte di Unipol, banchiere rosso vicino a Massimo D’Alema.
E, per finire in gloria, Stefano Ricucci detto Gastone, ex odontotecnico che si spacciava per dentista e ora si spaccia per finanziere alla conquista del Corriere (e in tanti, anche a sinistra, gli danno credito).
Di una compagnia così male assortita non ci sarebbe bisogno di preoccuparsi, se non fosse che i salotti buoni oggi sono così malmessi che qualunque Ezechiele lupo, con il suo soffio, può riuscire a far crollare la casa.
Ci aveva tentato un certo Michele Sindona, con i soldi del Vaticano e di Cosa nostra, ed era stato respinto da Enrico Cuccia. Appena in tempo: finì in bancarotta, con una condanna per omicidio (del commissario liquidatore delle banche sindoniane, Giorgio Ambrosoli) e una dose di stricnina nel caffè (aveva scelto partner d’affari molto severi, inflessibili).
Aveva scalato la finanza italiana anche il ragionier Roberto Calvi, successore di Sindona in certi riciclaggi di soldi a rischio: finì anch’esso in bancarotta, terrorizzato e in fuga, infine appeso a un ponte sul Tamigi con qualche mattone in tasca.
Ci riusciranno ora, e senza le precedenti disavventure, Ricucci, Fiorani e appendice rossa? Riusciranno a nobilitare se stessi e a cambiare volto al capitalismo italiano? Certo quel che non si vede all’orizzonte è uno straccio di progetto strategico, che strappi questo Paese al destino di declino dell’industria.
L’Italia sembra avviata a diventare il campo in cui scorrazzano vecchi e nuovi finanzieri, producendo ricchezza per sé ma non valore per il Paese.
In questo quadro, Berlusconi, una volta che la razza mattona avrà fatto da ariete, rinuncerà a raccogliere i risultati, buttando alla fine sul piatto gli unici soldi veri di tutta questa storia?
Il Biscione, questa volta, potrebbe mangiarsi il Leone. E non ci sarà alcun Cuccia a mediare, alcun Merzagora a bloccare.
Che Silvio potrebbe essere della partita è annunciato da più d’un segnale. Il più lampante?
L’intervista di Aldo Livolsi al Sole 24 ore, il 21 giugno, che decreta la fine dello status quo, quello delle grandi famiglie ormai tramontate e delle banche arroccate a difendere un mondo che non c’è più; e annuncia l’arrivo di una radiosa era nuova per il capitalismo italiano.
Si presentano sulla scena «nuovi attori»: Ricucci, certamente (di cui Livolsi è advisor). E poi?
Livolsi lo spiega in una frase:
«Ricucci può inizialmente essere l’uomo che apporta i primi capitali, che dà una scossa per valorizzare gli asset non pienamente sfruttati, per poi essere affiancato da uno o più soci-industriali capaci di portare contenuti e strategie di business». Chiaro??????
Ricucci sfonda, poi arriva lo stratega. Detto da Livolsi, ex manager di Berlusconi che ancora siede nel consiglio d’amministrazione di Fininvest, sembra un piano d’attacco.
Se a questo si aggiunge la possibilità che gli acquisti di azioni Generali delle ultime settimane siano manovrate da Tarak ben Ammar, imprenditore televisivo franco-tunisino che già in passato ha reso preziosi servigi a Berlusconi, il quadro è completo.
Tarak ha smentito. Ma le scalate riuscite sono quelle in cui il cavaliere (bianco o nero?) si palesa solo alla fine.
Berlusconi, poi, avrebbe qualche problema perfino in Italia a dire ora in pubblico che lui, padrone della politica e della tv, di Mediolanum e della
Mondadori, punta a scardinare gli equilibri di chi lo aveva respinto, a conquistare il maggior quotidiano italiano e una delle compagnie d’assicurazioni più grandi d’Europa.
Meglio aspettare le elezioni, poi si vedrà. Il Leone dorme, il Biscione ha appetito..
Dopo l’intervista del 21 giugno sul Sole 24 ore al finanziere ex Fininvest Ubaldo Livolsi
(«Ricucci può inizialmente essere l’uomo che apporta i primi capitali... per poi essere affiancato da uno o più soci-industriali capaci di portare contenuti e strategie di business»),
Silvio Berlusconi in persona – come evocato dal nulla – ha detto la sua: non ho alcun contatto con Stefano Ricucci, escludo ogni relazione «con il mio gruppo»
(ma il presidente del Consiglio non aveva risolto il conflitto d’interessi?);
però lo difendo perché «dà fastidio ai cosiddetti poteri forti».
Quanto alle domande sulle origini dei soldi di Ricucci, Berlusconi dice di «non essere in sintonia con le critiche» (figurarsi, non ha ancora risposto sui soldi suoi!).
Stesso giorno (23 giugno), stessa simpatia: anche a Piero Fassino, segretario dei Ds, Ricucci piace:
«incomprensibile la puzza sotto il naso» che circonda i palazzinari, dichiara a Sky Tg24.
Intanto Ricucci e la sua holding Magiste (come anche Chicco Gnutti e la sua Fingruppo) sono indagati dalla procura di Milano per aggiotaggio.
Ma la notizia non sembra sfiorare Berlusconi né impressionare Fassino.
Non una parola sul rispetto delle regole e sulla trasparenza.
Ricucci è difeso (sul Corriere del 22 giugno) anche da veri esperti del ramo, come l’ex latitante Romano Comincioli e l’indagato per bancarotta Paolo Romani.
Con questi chiari di luna, la difesa delle regole se l’assume il leader di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo:
«Quando in Italia negli anni passati si sono verificati fenomeni di cui non si sapeva bene l’origine, o sono spuntati capitali ingenti dalla provenienza misteriosa, spesso ci siamo trovati di fronte a delle sorprese...».
Intanto, sul fronte Antonveneta, Gianpiero Fiorani (anch’egli indagato per vari reati finanziari) cambia logo alla sua banca (da Popolare di Lodi a Banca popolare italiana), incurante del fatto che le nuove iniziali ricordino la tristemente famosa Banca privata italiana di Michele Sindona.
I conti del suo istituto sotto sforzo per acquisti e scalate restano a rischio, dicono gli analisti, e dipenderanno dal successo delle operazioni d’aumento di capitale.
Per quanto riguarda la «finanza rossa», il Monte dei Paschi di Pier Luigi Fabrizi ha diviso chiaramente le sue sorti da quelle del finanziere creativo di Unipol Giovanni Consorte, impegnatissimo nelle scalate Bnl e Antonveneta (e anch’egli sotto osservazione delle procure di Milano e Roma).
Anche una parte del mondo cooperativo – dal toscano Turiddu Campaini al lombardo Silvano Ambrosetti – critica Consorte per le «cattive compagnie» con cui fa affari (Fiorani, Gnutti, Ricucci, Fininvest...).
Sotto attacco (da entità ancora senza nome) anche Mediobanca e Generali. Da rifare la gara per le case Enasarco.
Assalto a Rcs.
Altalena del titolo in Borsa (-4 per cento il 28 giugno).
Ma Stefano Ricucci non vende.
Ormai è al 20,1 per cento e il 1 luglio respinge la richiesta della Consob di comunicare le variazioni di quota anche solo dell’1 per cento. Sul fronte politico, incassa il sostegno anche della Lega (dopo quello di Berlusconi).
Roberto Maroni infatti il 28 giugno dichiara:
«Ricucci mi ha ispirato un’istintiva simpatia perché è stato duramente attaccato da chi ha spazio sui mezzi d’informazione, come è capitato a noi della Lega».
Massimo D’Alema, che già aveva sdoganato Ricucci sostenendo nella sostanza che il capitalismo non è questione di pedigree, il 2 luglio se la cava con una battuta sulla (risaputa) debolezza del capitalismo italiano:
«Se degli oscuri immobiliaristi, dietro ai quali si è finalmente appurato che non ci sono io, spaventano i salotti buoni del capitalismo italiano, evidentemente c’è una fragilità di quegli assetti proprietari che non ha uguali al mondo».
Vittorio Merloni, invece, rimette al centro la vera questione del capitalismo, quella della trasparenza:
«Ricucci è un mistero. Quanto meno, si può dire che il suo percorso non è tracciabile».
Assalto ad Antonveneta.
Prosegue la scalata della Banca popolare italiana (Bpi, ex Lodi) di Gianpiero Fiorani ad Antonveneta.
I conti (e i ratios patrimoniali) di Bpi sono fatti quadrare con finanza creativa: prestiti mascherati da cessioni di quote di controllate.
Bankitalia non vede, non sente, non parla.
Il 28 giugno i magistrati di Milano Eugenio Fusco e Giulia Perrotti chiedono il sequestro di 110 milioni di euro, considerati illecito profitto di 18 correntisti della Popolare di Lodi per compravendita di titoli Antonveneta.
Lo stesso giorno la Consob dà il via libera all’opas di Lodi a 27,5 euro (di cui solo 4,9 in contanti), dopo averla bloccata per quattro volte (perché non migliorativa dell’opa a 26,5 euro tutta contanti di Abm Amro).
Il 1 luglio Francesco Greco interroga alla procura di Milano (che lavora su ben 40 indagati) il finanziere italosvizzero Luigi Colnago.
Ma la bomba arriva il 4 luglio: tre funzionari di Bankitalia sono indagati dalla procura di Roma, per aver controllato poco e male la scalata di Fiorani.
Finanza rossa.
Il numero uno di Unipol, Giovanni Consorte, va all’attacco di Bnl, malgrado i rischi per la sua compagnia assicurativa:
Bnl costa il triplo del valore di Unipol, disavanzo e indebitamento alla fine sarebbero enormi, la logica industriale enunciata (la conquista di Bnl vita) sarebbe modesta nei risultati finanziari.
Consorte (con il suo 15 per cento in Bnl) cerca un’intesa con Ricucci e il fronte degli immobiliaristi (che hanno il 27 per cento).
Intanto a Siena scontro sulle fondazioni.
La commissione Finanze del Senato vota – il 23 giugno, lo stesso giorno in cui il Monte dei Paschi (Mps) abbandona Unipol nell’assalto a Bnl
– un emendamento al disegno di legge sul risparmio che sterilizza al 30 per cento il diritto di voto delle fondazioni bancarie nelle assemblee delle banche.
Un provvedimento su misura per Mps: il suo 49 per cento è nelle mani della Fondazione Montepaschi guidata da Giuseppe Mussari.
Con le nuove regole la Fondazione «pesa» solo il 30 per cento.
Divisione, a sorpresa, tra i Ds: votano tutti contro, tranne due dalemiani, Massimo Bonavita e Nicola Latorre, che si astengono.
Quest’ultimo, ex segretario di D’Alema, spiazzando anche Piero Fassino, dichiara:
«Le Fondazioni sono il simbolo della conservazione».
Voci sul possibile ritorno a Siena di Vincenzo De Bustis (considerato dalemiano, ex numero uno di Mps e ora di Deutsche Bank Italia,
istituto che da Londra è il grande finanziatore di Ricucci): Montepaschi sarebbe una buona preda per la banca tedesca.
Intanto la Consob il 24 giugno commina una maximulta a 40 manager bancari (tra cui De Bustis) per non essersi «comportati con diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti»:
avevano venduto, attraverso Banca 121 e poi Mps, prodotti bancari «strutturati» e complessi, mascherati sotto nomi rassicuranti (MyWay, 4You, Btp-tel, Btp-index, Btp-on line...). (gb)
__________________________________________________
(continua)
SINIBALDO
Stefano Ricucci potrà appendere al muro i certificati che attestano la conquista dei titoli di "Bachelor" e "Doctor" in Economia (7.640 euro investiti, per un totale di 36 esami e due tesi finali).
La sua signora non è da meno: Anna Falchi si è laureata su Pasolini grazie a un corso da "Doctor Degree" (costo variabile fra i 10 e i 13 mila euro) e pare che ora miri a specializzarsi in Storia del cinema.
Lo sfizio di avere un "Dott." sul biglietto da visita, entrambi se lo sono tolti grazie alla Clayton University, università con base a Hong Kong che sul suo sito si definisce "il padre dell’apprendimento a distanza".
Nata nel 1972, oggi la Clayton si vanta di avere studenti in ogni parte del mondo. Chi clicca per compilare i formulari d’iscrizione (tutto online) può parlare giapponese, italiano, francese o urdu.
Gli esami sono scritti, ma da spedire per posta.
Oltre ai corsi canonici in Business administration o Scienze sociali, alla Clayton si può studiare Psicofisiologia, Fitoterapia ed Erbologia, o Pianificazione ambientale.
I titoli rilasciati non sono riconosciuti in Italia e nemmeno negli Stati Uniti, quasi tutto si svolge online e gli accrediti delle rette finiscono sulla
Hong Kong and Shanghai Banking Corporation di Hong Kong, banca nota per essere stata assolutamente impenetrabile alle rogatorie italiane durante le indagini di Tangentopoli.
Se nonostante tutto questo non siete ancora perplessi, l’indirizzo per voi rimane www.culhk.com.
Il Biscione mangerà il Leone ???
Ricucci apre la strada, poi arriverà uno con soldi e strategia.
La profezia di Ubaldo Livolsi, uomo di Silvio.
Un grande banchiere del Nord ha detto:
«Se perde le elezioni e torna a occuparsi dei suoi affari a tempo pieno, ne vedremo delle belle. Quello ha i soldi e le capacità per comprarsi l’Italia».
Quello è Silvio Berlusconi.
E l’alternativa che si apre, di qui a un anno, è secca. O vince le elezioni e governa l’Italia, trasformando profondamente (in peggio) le regole della democrazia e mettendo in salvo per sempre i beni per le sue famiglie.
Oppure le elezioni le perde, e allora si scatena: il capitalismo italiano è a una svolta, i vecchi poteri non tengono più, gli ex salotti buoni (da Rcs a Mediobanca, fino a Generali) sono sotto attacco e non potranno resistere a lungo, se agli immobiliaristi della rude razza romana si unirà chi ha soldi, strategia e alleanze per far saltare il banco.
Berlusconi ci aveva già provato, a entrare nel cuore del capitalismo italiano.
Come ha ricordato Alberto Statera, nel 1979 tentò di mettere sul piatto una trentina di miliardi di lire per comprare un 3-4 per cento di Generali ed entrare nel consiglio d’amministrazione.
Gli rispose, per iscritto, Cesare Merzagora: no grazie, noi del Leone di Trieste non vogliamo palazzinari.
Da allora il Biscione è sempre stato tenuto fuori dai circoli della grande finanza del Nord. L’unico pezzo d’Italia che Berlusconi non è ancora riuscito a conquistare.
Ora i giochi si sono riaperti e il Biscione potrebbe saldare vecchi conti in sospeso.
Ad avviare le danze sono stati i nuovi outsider.
Il Gianpiero Fiorani di Lodi, di professione banchiere creativo, che per assaltare Bnl e Antonveneta mette a rischio la sua Bipielle e poi chiede i soldi ai clienti, offrendo warrant e abbonamenti al Touring club.
E il Chicco Gnutti di Brescia, «capitano coraggioso» dell’assalto a Telecom.
E il Giovanni Consorte di Unipol, banchiere rosso vicino a Massimo D’Alema.
E, per finire in gloria, Stefano Ricucci detto Gastone, ex odontotecnico che si spacciava per dentista e ora si spaccia per finanziere alla conquista del Corriere (e in tanti, anche a sinistra, gli danno credito).
Di una compagnia così male assortita non ci sarebbe bisogno di preoccuparsi, se non fosse che i salotti buoni oggi sono così malmessi che qualunque Ezechiele lupo, con il suo soffio, può riuscire a far crollare la casa.
Ci aveva tentato un certo Michele Sindona, con i soldi del Vaticano e di Cosa nostra, ed era stato respinto da Enrico Cuccia. Appena in tempo: finì in bancarotta, con una condanna per omicidio (del commissario liquidatore delle banche sindoniane, Giorgio Ambrosoli) e una dose di stricnina nel caffè (aveva scelto partner d’affari molto severi, inflessibili).
Aveva scalato la finanza italiana anche il ragionier Roberto Calvi, successore di Sindona in certi riciclaggi di soldi a rischio: finì anch’esso in bancarotta, terrorizzato e in fuga, infine appeso a un ponte sul Tamigi con qualche mattone in tasca.
Ci riusciranno ora, e senza le precedenti disavventure, Ricucci, Fiorani e appendice rossa? Riusciranno a nobilitare se stessi e a cambiare volto al capitalismo italiano? Certo quel che non si vede all’orizzonte è uno straccio di progetto strategico, che strappi questo Paese al destino di declino dell’industria.
L’Italia sembra avviata a diventare il campo in cui scorrazzano vecchi e nuovi finanzieri, producendo ricchezza per sé ma non valore per il Paese.
In questo quadro, Berlusconi, una volta che la razza mattona avrà fatto da ariete, rinuncerà a raccogliere i risultati, buttando alla fine sul piatto gli unici soldi veri di tutta questa storia?
Il Biscione, questa volta, potrebbe mangiarsi il Leone. E non ci sarà alcun Cuccia a mediare, alcun Merzagora a bloccare.
Che Silvio potrebbe essere della partita è annunciato da più d’un segnale. Il più lampante?
L’intervista di Aldo Livolsi al Sole 24 ore, il 21 giugno, che decreta la fine dello status quo, quello delle grandi famiglie ormai tramontate e delle banche arroccate a difendere un mondo che non c’è più; e annuncia l’arrivo di una radiosa era nuova per il capitalismo italiano.
Si presentano sulla scena «nuovi attori»: Ricucci, certamente (di cui Livolsi è advisor). E poi?
Livolsi lo spiega in una frase:
«Ricucci può inizialmente essere l’uomo che apporta i primi capitali, che dà una scossa per valorizzare gli asset non pienamente sfruttati, per poi essere affiancato da uno o più soci-industriali capaci di portare contenuti e strategie di business». Chiaro??????
Ricucci sfonda, poi arriva lo stratega. Detto da Livolsi, ex manager di Berlusconi che ancora siede nel consiglio d’amministrazione di Fininvest, sembra un piano d’attacco.
Se a questo si aggiunge la possibilità che gli acquisti di azioni Generali delle ultime settimane siano manovrate da Tarak ben Ammar, imprenditore televisivo franco-tunisino che già in passato ha reso preziosi servigi a Berlusconi, il quadro è completo.
Tarak ha smentito. Ma le scalate riuscite sono quelle in cui il cavaliere (bianco o nero?) si palesa solo alla fine.
Berlusconi, poi, avrebbe qualche problema perfino in Italia a dire ora in pubblico che lui, padrone della politica e della tv, di Mediolanum e della
Mondadori, punta a scardinare gli equilibri di chi lo aveva respinto, a conquistare il maggior quotidiano italiano e una delle compagnie d’assicurazioni più grandi d’Europa.
Meglio aspettare le elezioni, poi si vedrà. Il Leone dorme, il Biscione ha appetito..
Dopo l’intervista del 21 giugno sul Sole 24 ore al finanziere ex Fininvest Ubaldo Livolsi
(«Ricucci può inizialmente essere l’uomo che apporta i primi capitali... per poi essere affiancato da uno o più soci-industriali capaci di portare contenuti e strategie di business»),
Silvio Berlusconi in persona – come evocato dal nulla – ha detto la sua: non ho alcun contatto con Stefano Ricucci, escludo ogni relazione «con il mio gruppo»
(ma il presidente del Consiglio non aveva risolto il conflitto d’interessi?);
però lo difendo perché «dà fastidio ai cosiddetti poteri forti».
Quanto alle domande sulle origini dei soldi di Ricucci, Berlusconi dice di «non essere in sintonia con le critiche» (figurarsi, non ha ancora risposto sui soldi suoi!).
Stesso giorno (23 giugno), stessa simpatia: anche a Piero Fassino, segretario dei Ds, Ricucci piace:
«incomprensibile la puzza sotto il naso» che circonda i palazzinari, dichiara a Sky Tg24.
Intanto Ricucci e la sua holding Magiste (come anche Chicco Gnutti e la sua Fingruppo) sono indagati dalla procura di Milano per aggiotaggio.
Ma la notizia non sembra sfiorare Berlusconi né impressionare Fassino.
Non una parola sul rispetto delle regole e sulla trasparenza.
Ricucci è difeso (sul Corriere del 22 giugno) anche da veri esperti del ramo, come l’ex latitante Romano Comincioli e l’indagato per bancarotta Paolo Romani.
Con questi chiari di luna, la difesa delle regole se l’assume il leader di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo:
«Quando in Italia negli anni passati si sono verificati fenomeni di cui non si sapeva bene l’origine, o sono spuntati capitali ingenti dalla provenienza misteriosa, spesso ci siamo trovati di fronte a delle sorprese...».
Intanto, sul fronte Antonveneta, Gianpiero Fiorani (anch’egli indagato per vari reati finanziari) cambia logo alla sua banca (da Popolare di Lodi a Banca popolare italiana), incurante del fatto che le nuove iniziali ricordino la tristemente famosa Banca privata italiana di Michele Sindona.
I conti del suo istituto sotto sforzo per acquisti e scalate restano a rischio, dicono gli analisti, e dipenderanno dal successo delle operazioni d’aumento di capitale.
Per quanto riguarda la «finanza rossa», il Monte dei Paschi di Pier Luigi Fabrizi ha diviso chiaramente le sue sorti da quelle del finanziere creativo di Unipol Giovanni Consorte, impegnatissimo nelle scalate Bnl e Antonveneta (e anch’egli sotto osservazione delle procure di Milano e Roma).
Anche una parte del mondo cooperativo – dal toscano Turiddu Campaini al lombardo Silvano Ambrosetti – critica Consorte per le «cattive compagnie» con cui fa affari (Fiorani, Gnutti, Ricucci, Fininvest...).
Sotto attacco (da entità ancora senza nome) anche Mediobanca e Generali. Da rifare la gara per le case Enasarco.
Assalto a Rcs.
Altalena del titolo in Borsa (-4 per cento il 28 giugno).
Ma Stefano Ricucci non vende.
Ormai è al 20,1 per cento e il 1 luglio respinge la richiesta della Consob di comunicare le variazioni di quota anche solo dell’1 per cento. Sul fronte politico, incassa il sostegno anche della Lega (dopo quello di Berlusconi).
Roberto Maroni infatti il 28 giugno dichiara:
«Ricucci mi ha ispirato un’istintiva simpatia perché è stato duramente attaccato da chi ha spazio sui mezzi d’informazione, come è capitato a noi della Lega».
Massimo D’Alema, che già aveva sdoganato Ricucci sostenendo nella sostanza che il capitalismo non è questione di pedigree, il 2 luglio se la cava con una battuta sulla (risaputa) debolezza del capitalismo italiano:
«Se degli oscuri immobiliaristi, dietro ai quali si è finalmente appurato che non ci sono io, spaventano i salotti buoni del capitalismo italiano, evidentemente c’è una fragilità di quegli assetti proprietari che non ha uguali al mondo».
Vittorio Merloni, invece, rimette al centro la vera questione del capitalismo, quella della trasparenza:
«Ricucci è un mistero. Quanto meno, si può dire che il suo percorso non è tracciabile».
Assalto ad Antonveneta.
Prosegue la scalata della Banca popolare italiana (Bpi, ex Lodi) di Gianpiero Fiorani ad Antonveneta.
I conti (e i ratios patrimoniali) di Bpi sono fatti quadrare con finanza creativa: prestiti mascherati da cessioni di quote di controllate.
Bankitalia non vede, non sente, non parla.
Il 28 giugno i magistrati di Milano Eugenio Fusco e Giulia Perrotti chiedono il sequestro di 110 milioni di euro, considerati illecito profitto di 18 correntisti della Popolare di Lodi per compravendita di titoli Antonveneta.
Lo stesso giorno la Consob dà il via libera all’opas di Lodi a 27,5 euro (di cui solo 4,9 in contanti), dopo averla bloccata per quattro volte (perché non migliorativa dell’opa a 26,5 euro tutta contanti di Abm Amro).
Il 1 luglio Francesco Greco interroga alla procura di Milano (che lavora su ben 40 indagati) il finanziere italosvizzero Luigi Colnago.
Ma la bomba arriva il 4 luglio: tre funzionari di Bankitalia sono indagati dalla procura di Roma, per aver controllato poco e male la scalata di Fiorani.
Finanza rossa.
Il numero uno di Unipol, Giovanni Consorte, va all’attacco di Bnl, malgrado i rischi per la sua compagnia assicurativa:
Bnl costa il triplo del valore di Unipol, disavanzo e indebitamento alla fine sarebbero enormi, la logica industriale enunciata (la conquista di Bnl vita) sarebbe modesta nei risultati finanziari.
Consorte (con il suo 15 per cento in Bnl) cerca un’intesa con Ricucci e il fronte degli immobiliaristi (che hanno il 27 per cento).
Intanto a Siena scontro sulle fondazioni.
La commissione Finanze del Senato vota – il 23 giugno, lo stesso giorno in cui il Monte dei Paschi (Mps) abbandona Unipol nell’assalto a Bnl
– un emendamento al disegno di legge sul risparmio che sterilizza al 30 per cento il diritto di voto delle fondazioni bancarie nelle assemblee delle banche.
Un provvedimento su misura per Mps: il suo 49 per cento è nelle mani della Fondazione Montepaschi guidata da Giuseppe Mussari.
Con le nuove regole la Fondazione «pesa» solo il 30 per cento.
Divisione, a sorpresa, tra i Ds: votano tutti contro, tranne due dalemiani, Massimo Bonavita e Nicola Latorre, che si astengono.
Quest’ultimo, ex segretario di D’Alema, spiazzando anche Piero Fassino, dichiara:
«Le Fondazioni sono il simbolo della conservazione».
Voci sul possibile ritorno a Siena di Vincenzo De Bustis (considerato dalemiano, ex numero uno di Mps e ora di Deutsche Bank Italia,
istituto che da Londra è il grande finanziatore di Ricucci): Montepaschi sarebbe una buona preda per la banca tedesca.
Intanto la Consob il 24 giugno commina una maximulta a 40 manager bancari (tra cui De Bustis) per non essersi «comportati con diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti»:
avevano venduto, attraverso Banca 121 e poi Mps, prodotti bancari «strutturati» e complessi, mascherati sotto nomi rassicuranti (MyWay, 4You, Btp-tel, Btp-index, Btp-on line...). (gb)
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(continua)
SINIBALDO