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L’ARTE DI ROMA: FARSI MANTENERE E GABBARE GLI ALTRI
di GILBERTO ONETO
«Roma, città parassitaria di affittacamere, di lustrascarpe, di prostitute, di preti e di burocrati, Roma – città senza proletariato degno di questo nome – non è il centro della vita politica nazionale, ma sibbene il centro e il focolare d’infezione della vita politica nazionale (…). Basta, dunque, con lo stupido pregiudizio unitario per cui tutto, tutto, tutto dev’essere concentrato in Roma – in questa enorme città-vampiro che succhia il miglior sangue della nazione». Questo scriveva il ventisettenne Benito Mussolini prima di rinciulirsi, di diventare il Duce-Dux, l’inventore di Roma-Doma, prima di farsi corrompere – come tanti padani prima e, soprattutto, dopo di lui – dall’aria mefitica di un impero di cartapesta. Dedichiamo queste parole al sindaco-podestà Alemanno, che con Mussolini ha avuto (neppur tanto) giovanili frequentazioni e alla governatrice-proconsole Polverini, anche lei baciata dal “sole che sorge libero e giocondo”. A loro, che si sono offesi per l’onta di non essere stati candidati a ospitare l’Olimpiade, proprio nei giorni in cui tre o quattro centimetri di neve mettono in crisi le “quadrate legioni” e salta fuori la poco encomiabile vicenda del Pronto soccorso. Una città che tratta i propri malati peggio di Calcutta, che non riesce a tenere puliti i marciapiedi, vuole organizzare le Olimpiadi! Le sole competizioni sportive che gli amministratori romani possono organizzare sono le gimcane delle auto blu, il salto a ostacoli delle poltrone, il lancio dei coltelli alla schiena, fare a chi la spara più grossa, il campionato di trangugiamento di coda alla vaccinara, la maratona dello spreco dei soldi altrui.
Una specialità, quest’ultima, in cui Roma politica eccelle da millenni, dal parassitismo sanguinario del “panem et circenses”, alla Grande Babilonia di Lutero, fino alla “capitale corrotta, nazione infetta” della Repubblica italiana, al buco nero mangiasoldi di sempre. Altro che “Roma caput mundi”, “Roma-Amor”, “SPQR” e altre asinate del genere: la Roma politica è il più purulento foruncolo della storia, che si nutre delle risorse e del sangue degli altri e che ammorba per primi i suoi cittadini per bene e poi ovunque i suoi miasmi riescano ad arrivare: oggi sicuramente in tutto il territorio occupato dallo Stato italiano. Una influenza meno estesa che in passato, ma per questo più concentrata e pestifera.
Non possono neppure nascondersi dietro la scusa della mancanza di fondi: Roma è la città più foraggiata e mantenuta del mondo. Non c’è uno solo dei suoi monumenti insigni che non sia stato costruito con denaro proveniente da qualche altra parte e – con l’eccezione di Bernini e pochissimi altri – da gente venuta da fuori. Perciò per la nevicata non è stato un problema di mancanza di soldi per gli spalaneve, e oggi non è un problema di fondi quello che impedisce alla sanità romana di trattare i propri malati come esseri umani e non come candidati alla Rupe Tarpea.
Romacapitale riceve montagne di quattrini per via “ordinaria” e straordinaria: ci sarebbero risorse per mettere le serpentine elettriche sotto tutte le strade e per curare i malati in alberghi a cinque stelle, ma evidentemente qualcosa non funziona. La spesa sanitaria pro capite della Lombardia è di circa 1.750 Euro l’anno, quella del Lazio circa 2.000, la Lombardia ha un attivo di circa 30 milioni, il Lazio un passivo di un miliardo e 300 milioni. Però ha la gente accatastata nel Pronto (minga tròp) Soccorso: i lazzaretti più vergognosi e costosi del mondo intero. Fa anche una certa impressione che l’ospedale oggi incriminato sia dedicato a Umberto I, che la storia patria ricorda come il “re buono”, quello che da Roma aveva mandato il fido Bava Beccaris a sparare sui cittadini inermi milanesi, stufi di pagare tasse allo Stato italiano. “Tout se tient”, direbbero maliziosamente i francesi. É una vecchia storia, con una novità post-moderna: nel passato imperatori e pontefici “raggranellavano” soldi in giro, se li mangiavano ma costruivano anche monumenti e opere d’arte di valore, questi prendono e sprecano, e basta. Non fanno più bella la città, ma solo un grande rabelotto sporco, disordinato e rumoroso. Non riescono neanche a far vivere meglio i loro concittadini.
Sere fa dalla Gruber, con una certa improntitudine, la Polverini ha affermato che il Lazio ha un residuo fiscale positivo (nel senso che da all’Italia più di quanto riceve) e che il Pil regionale è fra i più alti. Sul residuo fiscale ha detto una palla strepitosa: ogni cittadino laziale riceve dallo Stato 1.430 Euro in più di quanto versi ogni anno. Il suo reddito pro capite è il più alto delle regioni meridionali ma è inferiore a quello di tutte le regioni padane. Ha sostenuto l’impavida governatrice che il Lazio paga il 17,02% di tutte le tasse, seconda solo alla Lombardia. Nessuno in studio ha però ricordato che il gettito fiscale laziale e romano è in gran parte costituito dal fatto che nella capitale hanno sede tutte le grandi aziende nazionali, statali e para-statali che producono altrove e pagano le imposte a Roma. Questo è documentato – ad esempio – dalla differenza fra i dati Ires e Irap rispetto a quelli dell’Irpef, per i quali il Lazio è nuovamente dietro a tutte le regioni padane.
Non solo, nella regione si concentra un numero impressionante di pubblici dipendenti (76 ogni mille abitanti, contro i 44 della Lombardia), molti dei quali rivestono posizioni molto profumatamente pagate: non si può confondere chi produce con chi prende, chi costruisce ricchezza con chi usufruisce della ricchezza prodotta dagli altri e ci guazza dentro.
Insomma: padani cornuti e mazziati! Questa è però l’evidente forza storica di Roma: farsi mantenere e far sentire in colpa chi la mantiene perché non la fa vivere ancora più agiatamente.
di GILBERTO ONETO
«Roma, città parassitaria di affittacamere, di lustrascarpe, di prostitute, di preti e di burocrati, Roma – città senza proletariato degno di questo nome – non è il centro della vita politica nazionale, ma sibbene il centro e il focolare d’infezione della vita politica nazionale (…). Basta, dunque, con lo stupido pregiudizio unitario per cui tutto, tutto, tutto dev’essere concentrato in Roma – in questa enorme città-vampiro che succhia il miglior sangue della nazione». Questo scriveva il ventisettenne Benito Mussolini prima di rinciulirsi, di diventare il Duce-Dux, l’inventore di Roma-Doma, prima di farsi corrompere – come tanti padani prima e, soprattutto, dopo di lui – dall’aria mefitica di un impero di cartapesta. Dedichiamo queste parole al sindaco-podestà Alemanno, che con Mussolini ha avuto (neppur tanto) giovanili frequentazioni e alla governatrice-proconsole Polverini, anche lei baciata dal “sole che sorge libero e giocondo”. A loro, che si sono offesi per l’onta di non essere stati candidati a ospitare l’Olimpiade, proprio nei giorni in cui tre o quattro centimetri di neve mettono in crisi le “quadrate legioni” e salta fuori la poco encomiabile vicenda del Pronto soccorso. Una città che tratta i propri malati peggio di Calcutta, che non riesce a tenere puliti i marciapiedi, vuole organizzare le Olimpiadi! Le sole competizioni sportive che gli amministratori romani possono organizzare sono le gimcane delle auto blu, il salto a ostacoli delle poltrone, il lancio dei coltelli alla schiena, fare a chi la spara più grossa, il campionato di trangugiamento di coda alla vaccinara, la maratona dello spreco dei soldi altrui.
Una specialità, quest’ultima, in cui Roma politica eccelle da millenni, dal parassitismo sanguinario del “panem et circenses”, alla Grande Babilonia di Lutero, fino alla “capitale corrotta, nazione infetta” della Repubblica italiana, al buco nero mangiasoldi di sempre. Altro che “Roma caput mundi”, “Roma-Amor”, “SPQR” e altre asinate del genere: la Roma politica è il più purulento foruncolo della storia, che si nutre delle risorse e del sangue degli altri e che ammorba per primi i suoi cittadini per bene e poi ovunque i suoi miasmi riescano ad arrivare: oggi sicuramente in tutto il territorio occupato dallo Stato italiano. Una influenza meno estesa che in passato, ma per questo più concentrata e pestifera.
Non possono neppure nascondersi dietro la scusa della mancanza di fondi: Roma è la città più foraggiata e mantenuta del mondo. Non c’è uno solo dei suoi monumenti insigni che non sia stato costruito con denaro proveniente da qualche altra parte e – con l’eccezione di Bernini e pochissimi altri – da gente venuta da fuori. Perciò per la nevicata non è stato un problema di mancanza di soldi per gli spalaneve, e oggi non è un problema di fondi quello che impedisce alla sanità romana di trattare i propri malati come esseri umani e non come candidati alla Rupe Tarpea.
Romacapitale riceve montagne di quattrini per via “ordinaria” e straordinaria: ci sarebbero risorse per mettere le serpentine elettriche sotto tutte le strade e per curare i malati in alberghi a cinque stelle, ma evidentemente qualcosa non funziona. La spesa sanitaria pro capite della Lombardia è di circa 1.750 Euro l’anno, quella del Lazio circa 2.000, la Lombardia ha un attivo di circa 30 milioni, il Lazio un passivo di un miliardo e 300 milioni. Però ha la gente accatastata nel Pronto (minga tròp) Soccorso: i lazzaretti più vergognosi e costosi del mondo intero. Fa anche una certa impressione che l’ospedale oggi incriminato sia dedicato a Umberto I, che la storia patria ricorda come il “re buono”, quello che da Roma aveva mandato il fido Bava Beccaris a sparare sui cittadini inermi milanesi, stufi di pagare tasse allo Stato italiano. “Tout se tient”, direbbero maliziosamente i francesi. É una vecchia storia, con una novità post-moderna: nel passato imperatori e pontefici “raggranellavano” soldi in giro, se li mangiavano ma costruivano anche monumenti e opere d’arte di valore, questi prendono e sprecano, e basta. Non fanno più bella la città, ma solo un grande rabelotto sporco, disordinato e rumoroso. Non riescono neanche a far vivere meglio i loro concittadini.
Sere fa dalla Gruber, con una certa improntitudine, la Polverini ha affermato che il Lazio ha un residuo fiscale positivo (nel senso che da all’Italia più di quanto riceve) e che il Pil regionale è fra i più alti. Sul residuo fiscale ha detto una palla strepitosa: ogni cittadino laziale riceve dallo Stato 1.430 Euro in più di quanto versi ogni anno. Il suo reddito pro capite è il più alto delle regioni meridionali ma è inferiore a quello di tutte le regioni padane. Ha sostenuto l’impavida governatrice che il Lazio paga il 17,02% di tutte le tasse, seconda solo alla Lombardia. Nessuno in studio ha però ricordato che il gettito fiscale laziale e romano è in gran parte costituito dal fatto che nella capitale hanno sede tutte le grandi aziende nazionali, statali e para-statali che producono altrove e pagano le imposte a Roma. Questo è documentato – ad esempio – dalla differenza fra i dati Ires e Irap rispetto a quelli dell’Irpef, per i quali il Lazio è nuovamente dietro a tutte le regioni padane.
Non solo, nella regione si concentra un numero impressionante di pubblici dipendenti (76 ogni mille abitanti, contro i 44 della Lombardia), molti dei quali rivestono posizioni molto profumatamente pagate: non si può confondere chi produce con chi prende, chi costruisce ricchezza con chi usufruisce della ricchezza prodotta dagli altri e ci guazza dentro.
Insomma: padani cornuti e mazziati! Questa è però l’evidente forza storica di Roma: farsi mantenere e far sentire in colpa chi la mantiene perché non la fa vivere ancora più agiatamente.