I RISCHI - Il vero problema sono i tantissimi che non riescono a mantenere nei limiti la glicemia: succede a circa un diabetico su due, che così si espone a complicanze come ictus, infarti, insufficienza renale e dialisi, amputazioni, cecità. Basta una sola complicanza per far quadruplicare il costo medio per paziente; con due complicanze la spesa si moltiplica per sei; con quattro si moltiplica addirittura per venti: lo sottolineano gli esperti dell’associazione Diabete Italia, in vista della Giornata Mondiale del Diabete, il prossimo 14 novembre. «Una glicemia alta oggi, la pagheremo a caro prezzo fra 10 o 20 anni con le complicanze che si presenteranno in futuro: per questo ormai è chiaro che il diabete va curato bene fin da quando si manifesta - osserva Salvatore Caputo, presidente di Diabete Italia -. L’idea di essere “aggressivi” mano a mano che la malattia peggiora è un errore. Dati raccolti in Israele, dove i malati vengono educati e curati tempestivamente, mostrano che nel giro di 6-7 anni dall’avvio di politiche di trattamento adeguate lo Stato risparmia, oltre a garantire maggiore salute ai cittadini».
VANTAGGI - Un buon compenso del diabete fin dall’esordio della malattia consente vantaggi consistenti nel lungo periodo: perfino a 30 anni di distanza il rischio di malattie cardiovascolari resta più basso, stando ad esempio ai risultati dello United Kingdom Prospective Diabetes Study, iniziato alla fine degli anni ‘70 per seguire nel tempo circa 5mila pazienti. Fra l’altro, la terapia in prima battuta spesso non richiede farmaci: se il diabete viene riconosciuto presto, si può intervenire con la dieta e il movimento, ottenendo ottimi risultati. «Per questo è fondamentale non trascurare valori lievemente alterati di glicemia scoperti per caso - aggiunge Carlo Bruno Giorda, presidente della Fondazione dell’Associazione Medici Diabetologi -. Modificare in questa primissima fase lo stile di vita significa spesso riuscire a prevenire un diabete vero e proprio». Se il problema non “rientra”, non bisogna tuttavia darsi per vinti e occorre mettercela tutta per arrivare all’obiettivo di cura, che oggi non è più lo stesso per tutti, come accadeva fino a poco tempo fa: l’emoglobina glicata, il valore che dà un’idea dell’andamento della glicemia nell’arco degli ultimi due-tre mesi, non deve essere per forza mantenuta al di sotto del 7% (valore normale di riferimento) sempre e comunque; la soglia può infatti variare a seconda delle caratteristiche e delle condizioni del paziente: può ad esempio essere più bassa, se altri fattori di rischio impongono un controllo del glucosio nel sangue più stretto; al contrario, può essere tollerato un valore più alto, come accade negli anziani.
MOTIVAZIONE - Ma perché è così difficile tenere a bada la glicemia? «Essere diabetici è difficile - commenta Antonio Ceriello, presidente dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD) -. Chiediamo ai pazienti che seguano una dieta sana, facciano esercizio fisico, controllino con costanza la glicemia, assumano sempre i farmaci. Per riuscirci devono essere molto motivati e non è sempre scontato in una malattia che non dà dolore e si manifesta con sintomi solo quando è ormai troppo tardi e le complicanze sono gravi: la terapia di una malattia cronica perciò è psicologica, prima ancora che farmacologica. Poi certo il sistema non aiuta: risparmiare oggi sulla prevenzione e i trattamenti precoci, come tende a fare il Servizio sanitario, è un atteggiamento miope che si rivelerà un costo enorme in ricoveri domani. I vecchi modelli di assistenza potevano andare bene in passato: i numeri dei malati attuali e quelli previsti per i prossimi decenni non ci consentono di ragionare come prima». Le avvisaglie di tempesta già ci sono: secondo i dati del rapporto Cineca-Arno, nel 2006 ogni diabetico è costato al Servizio sanitario 2.589 euro, nel 2010 si è saliti a 2.756. Un incremento preoccupante soprattutto perché deriva dalla crescita delle ospedalizzazioni: i costi delle terapie sono rimasti uguali, quelli delle prestazioni ambulatoriali sono scesi ma i ricoveri sono aumentati, segno che le complicanze sono lungi dall’essere prevenute e, anzi, l’assistenza si sta spostando sempre più negli ospedali. Che cosa si può fare?
I PUNTI CRITICI - «È il momento di agire davvero: sappiamo già quali sono le iniziative efficaci - risponde Caputo -. Un passo essenziale è la gestione integrata dei pazienti, assieme ai medici di base, non dividendoci i casi a seconda della gravità, bensì condividendo responsabilmente il trattamento. Al momento della diagnosi il paziente dovrebbe essere visto da un diabetologo per impostare le cure; poi il diabetico può essere seguito dal suo medico. Se però le condizioni cambiano o c’è un peggioramento e diventa necessario modificare le terapie, occorre cooperare nuovamente con lo specialista. Questo è il percorso ideale, ma nella realtà il 40-50 % dei diabetici non ha mai visto un diabetologo in vita sua. Perfino il sistema di esenzione dei ticket fa acqua: 1 malato su 4 non ha esenzione, perché non vuole rivelare di essere malato ma anche perché non è stato informato o è stato informato male, magari dicendogli che se ha esenzioni per età non è necessaria quella per il diabete. Non è vero, perché questa, ad esempio, serve per accedere ai materiali per l’autocontrollo della glicemia». Così “salta” l’automonitoraggio, che secondo diversi studi sarebbe utile, almeno saltuariamente, anche per i pazienti con diabete di tipo due che non prendono insulina.
ANCHE I GIOVANI - Di questo passo, a meno di cambiare rotta, investendo sul serio nella prevenzione, “la marea” dei diabetici ci sommergerà ben presto: l’età di comparsa del diabete di tipo 2 sta scendendo, oggi i casi sono tanti già fra i 30-40enni e se ne registrano perfino nella tarda adolescenza. Significa dover convivere sempre più a lungo con la malattia e i suoi pericoli, se non viene ben curata. «Nella popolazione generale (tutti gli italiani da zero anni in su) la diffusione del diabete è stimata del 5-6%, mentre fra gli adulti (20-79 anni) i casi quasi raddoppiano: 1 adulto su 10 ha il diabete e, se non ce ne occupiamo presto e bene, il prezzo da pagare sarà molto salato per tutti» conclude Caputo.