Moravia, il 26 marzo 1935, chiese aiuto direttamente a Mussolini, dicendosi «assai stupito della cosa», «non avendo nulla» da rimproverarsi «sia dal punto di vista morale che da quello politico». Costretto a prosternarsi al regime totalitario, giustificò la mancata iscrizione al Partito fascista per la «grave infermità che mi fece stare a letto cinque anni astraendomi nonché dalla vita sociale e politica dalla vita addirittura». E cercò di cancellare ogni sospetto con una professione di fede: «Ammiro l' opera del Regime in tutti i vari campi in cui si è esplicata e in particolare in quella che come artista a me più interessa, cioè in quello delle lettere e della cultura.
Debbo inoltre soggiungere che la personalità intellettuale e morale della Eccellenza Vostra, mi ha sempre singolarmente colpito come esemplare e straordinaria per la molteplicità delle attitudini e la forza della ispirazione».
LA SUPPLICA La supplica non ebbe non seguito. Ai primi di giugno, su pressioni dell' editore Mondadori, Moravia difese il suo romanzo scrivendo all' astro nascente della politica culturale fascista e genero del Duce, Galeazzo Ciano, habitué con Edda del salotto Pecci Blunt frequentato anche da lui: «Sono convinto di aver fatto opera che non sia estranea né esorbiti dal clima e dai quadri della Rivoluzione Fascista». La lettera non ebbe risposta, ma il romanzo ricevette il nulla osta di Mussolini, anche se Ciano impose ai giornali il divieto di parlarne.