All'alba del 6 luglio, Carlo decise di muoversi perché le provviste dei francesi stavano scarseggiando. Carlo divise l'esercito in tre gruppi. Mise Gian Giacomo Trivulzio al comando dell'avanguardia, che consisteva in trecento cavalieri, duecento
fanti leggeri, duecento soldati tedeschi dotati di picche circondati da uomini con archibugi e asce.
[7]. Poco dopo, il secondo gruppo, comandato dal re. Questo gruppo consisteva in seicento cavalieri, arcieri a cavallo e fanti tedeschi, la parte migliore dell'esercito francese. Infine la retroguardia, comandata dal conte di Fois, con quattrocento cavalieri e un centinaio di soldati. Il resto delle picche componevano una falange non molto distante dalla linea dei cavalieri. L'artiglieria proteggeva la prima linea sul davanti e la seconda verso il fiume Taro.
Melchiorre Trevisan promise ai soldati della lega che il bottino sottratto al regno di Napoli e trasportato dai francesi sarebbe stato loro in caso di vittoria. Francesco Gonzaga divise le forze in 9 linee. Il suo piano di battaglia era di distrarre i primi due gruppi francesi, attaccare in forze il gruppo di coda, generare confusione tra i francesi e attaccare infine con le tre linee di riserva il rimanente dell'esercito francese.
L'attacco frontale della cavalleria leggera fu intralciato dalle condizioni del terreno, come previsto dai francesi, ed il risultato fu incerto. Nel momento più delicato della battaglia, gli Stradiotti videro che la guardia francese al bottino era impegnata dalla cavalleria italiana e si gettarono alla ricerca di un facile guadagno lasciando le posizioni loro assegnate. Quella che era una battaglia che stava evolvendo lentamente verso il successo veneziano si trasformò in uno scontro sanguinoso. L'artiglieria francese era fuori gioco a causa del terreno. La riserva veneziana entrò in battaglia. I francesi erano demoralizzati dal numero dei nemici, ma i veneziani subirono molte diserzioni; molti mercenari cercarono solo il guadagno personale scappando appena raggiuntolo
[8]. I provveditori veneziani e il conte
Niccolò di Pitigliano, che approfittò dell'occasione per liberarsi dai francesi, cercarono di convincere molti fuggitivi a tornare dicendo che la battaglia era quasi vinta
[9].
Dopo più di un'ora di combattimento i francesi cercarono rifugio su una collina. I veneziani disposti ad inseguirli erano troppo pochi ed entrambi i contendenti si accamparono. I francesi persero più di un migliaio di uomini, mentre i veneziani più di duemila uomini, ma i nobili di entrambe le parti erano isolati o morti. Re Carlo perse tutto il suo bottino, valutato in più di 300.000
ducati. Venne dichiarata una tregua di un giorno per seppellire i morti. I morti e anche i feriti vennero spogliati dalla fanteria italiana e dagli abitanti locali.
La sera seguente, il Doge
Agostino Barbarigo ed il Senato ricevettero un rapporto nel quale veniva detto loro che l'esercito veneziano non aveva perso, ma che il risultato della battaglia era incerto perché c'erano state molte perdite e molti disertori e non erano conosciute le perdite del nemico. L'intera città pensò al peggio, ma il giorno successivo un ulteriore rapporto descrisse l'estensione del saccheggio e la paura dei francesi che supplicavano ora la tregua ora la pace. Comunque fu concesso a Carlo di lasciare l'Italia indisturbato.
Vittoria o sconfitta?
Madonna della vittoria,
Andrea Mantegna,
Parigi,
Louvre, ex voto di
Francesco II Gonzaga per la cappella di
Santa Maria della Vittoria a
Mantova per commemorare la battaglia di Fornovo
L'esercito della Lega Antifrancese non ottenne l'annientamento tattico del nemico nonostante fosse in superiorità numerica ed ebbe circa il doppio delle perdite rispetto all'esercito regio - ciò dovuto anche all'abitudine francese di uccidere i cavalieri disarcionati contrariamente al codice bellico italiano che prevedeva salva la vita, dietro riscatto, per il cavaliere caduto dal destriero -. Questo impedisce di parlare di una chiara vittoria tattica dei Collegati. Tuttavia nemmeno Carlo VIII poté rivendicare un successo. Infatti l'esercito regio perse tra il dieci e l'undici per cento dei suoi effettivi (mille morti su nove/diecimila uomini) oltre che tutte le salmerie ed il tesoro reale. Nel bottino dei Collegati figuravano anche l'elmo del re, la sua raccolta personale di disegni erotici e due bandiere reali. Il sovrano, dopo aver chiesto una tregua di tre giorni ai Collegati, scappò dal campo di battaglia nella notte tra il sette e l'otto luglio, allontanandosi dall'esercito avversario, il quale era ancora perfettamente in grado di combattere e padrone del terreno; questo, per la mentalità militare rinascimentale, era sinonimo di vittoria. Le perdite di uomini e soprattutto di denaro per pagare i mercenari, diedero un colpo definitivo all'efficienza bellica dell'esercito francese. La ritirata di Carlo VIII non fu verso la
Francia, come comunemente raccontato, ma verso
Asti. Qui arrivò, il 15 luglio, dopo aver percorso duecento chilometri in sette giorni, con la truppa alla fame, a causa della perdita delle salmerie. Il re si chiuse in città e rimase sordo alle richieste di aiuto del
Duca d'Orléans, asserragliato a
Novara ed assediato dalla Lega Antifrancese. Questo atteggiamento fu dovuto soprattutto al fatto che non disponeva più né delle forze né del denaro per affrontare una nuova battaglia campale ed infatti il suo esercito non combatté più. Infine il re di Francia si spostò a
Torino dove negoziò con
Ludovico il Moro il ritorno in patria, prima che i passi alpini divenissero impraticabili. Il 22 ottobre
1495 Carlo lasciò Torino ed il 27 era a
Grenoble. Si è molto discusso su quale fosse l'obiettivo di Carlo VIII allo sbocco della
Cisa, alcuni sostengono
Parma, altri il
Piemonte, da usare come base d'operazioni contro la
Lombardia. È, però, innegabile che la battaglia di Fornovo, riducendo drasticamente l'efficienza bellica del suo esercito, rese al re impossibile qualsiasi ulteriore azione offensiva nel Nord Italia.
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Le conseguenze
Carlo lasciò l'Italia senza alcun guadagno. Morì due anni e mezzo dopo lasciando alla Francia un grosso debito e perdendo province che ritornarono francesi solo dopo secoli. La spedizione promosse però contatti culturali tra Francia e Italia dando energia alle arti e lettere francesi. Conseguenza importante fu l'aver dimostrato come l'artiglieria potesse essere usata in modo vincente anche in campo aperto e non solo come arma statica.
Per l'Italia le conseguenze furono catastrofiche. Ora l'Europa intera sapeva, tramite i soldati francesi e tedeschi, che l'Italia era una terra incredibilmente ricca e facilmente conquistabile perché divisa e difesa soltanto da mercenari. L'Italia si trasformò in un campo di battaglia per decenni e, ad esclusione di
Venezia, perse la propria indipendenza.