News, Dati, Eventi finanziari amico caro, te lo dico da amico, fatti li.... qui e' tutta malvivenza

buona sera a lei franzo
e buongiorno a Lei, ... volevo dire, ho visto nel suo ultimo post che linka alcuni interventi del "fedele Traduttore" di testi antichi prof. Biglino.

I testi antichi sono riportati nella poco maneggiata Torah, ... di certe faccende riguardanti false divinità di comodo e, ... per quanto riguardo gli Adam ibridizzati, cosa veramente era il giardino dell' Eden, il serpente tentatore, ... beh non vorrei fare il "le so tutte" ... ma non per niente, ... gli Ebrei sono ancora in attesa del Messia ... mi spiego ?

Poi è sufficiente fare una carotazione del territorio dove sorgeva Sodoma e e Gomorra (sud-ovest Golan), per scoprire che il territorio è radioattivo, quindi oggetto di trattamento al plutonio, ... evidentemente il sig. Jave ... se ne andava in giro con mezzi muniti di bombe termonucleari ... tanto è vero, che la figlia del maggiorente del posto, tale Loth, ... si descrive trasformata come cristallizzazione salina, ... vedasi Hiroshima e Nagasaki.

In ultimo, ... basta scavare e ... si trovato innumerevoli reperti, ... ossa e resti di esseri, gli Elohim (venuti dal cielo) alti più di 3 metri, ... quelli che hanno modificato il dna insomma,creando così l' adam, ... noi insomma, ... ma non tutti noi.
 
sera a lei franzo se vuole partecipare alle conf. del prof biglino ,alla conclusione ci sono sempre due o tre ore extra molto interessanti cordialita'
 
STRAGE DI USTICA: ENI, URANIO, PACINI BATTAGLIA, TORRISI, P2, MSS...






di Gianni Lannes


Nel 1980 si poteva scendere nel mare a più di 3.000 metri di profondità, per manipolare relitti e cancellare o sottrarre prove di un’azione di guerra? Ufficialmente no, secondo le autorità governative italiane: mancanza di tecnologia adeguata e costi proibitivi. Questi sono i due presunti baluardi che per anni hanno impedito l'avvio della campagna di localizzazione e recupero del relitto dell'aereo. Nel 1980 - secondo questa versione, sposata acriticamente anche dai pubblici ministeri Giovanni Salvi, Vincenzo Roselli e Settembrino Nebbioso - nel nostro Paese mancava ancora la tecnologia per effettuare un'operazione del genere. Se mai vi fosse stato bisogno, si sarebbe comunque dovuti ricorrere a ditte estere, ma i costi sarebbero stati così elevati da considerarsi proibitivi. Tutto ciò, in realtà non corrisponde minimamente al vero. Ecco, infatti, un risvolto a dir poco inquietante.


In un appunto interno della Commissione parlamentare stragi consegnato dal presidente Libero Gualtieri al generale Antonio Subranni, comandante del Raggruppamento Operativo dei Carabinieri il 28 luglio 1993 per suggerirgli una serie di approfondimenti sul tema, si legge: «Nei mesi di luglio-settembre 1980 nel Tirreno Meridionale imbarcazioni della MSS scandagliano il fondo del mare, ufficialmente per “prospezioni geologiche” con l'intervento di esperti francesi e inglesi (il 27 giugno 1980 in quel tratto di mare era affondato il DC9 Itavia). Nel bilancio del 1980 della MSS si legge, in sintesi: “La società ha acquisito una importante, particolarmente interessante e prestigiosa commessa da parte della Sanin spa (Gruppo Eni) per la ricerca di sedimenti minerari sui fondali vulcanici dei Monti Palinuro e Lametini, nel Tirreno Meridionale - le operazioni in mare si sono sviluppate tra il giugno e i primi di settembre hanno impegnato al massimo la società, che ha operato in veste di general contractor, avvalendosi dei migliori operatori nazionali, francesi e del Regno Unito. E nel bilancio dell'anno successivo: La terza campagna di ricerca, per quanto funestata da incidenti meccanici, ha ugualmente sortito risultati particolarmente interessanti, malgrado si sia operato a profondità superiori ai 3.000 metri». Per la cronaca: i resti del DC9 sono stati ripescati ad una profondità di circa 3.400 metri. Ma perché la Samim, ossia l'Eni avrebbe dovuto rivolgersi per una prospezione mineraria alla neonata MSS, priva di esperienza ed attrezzature, ma nel cui consiglio di amministrazione figuravano trafficanti di armi, faccendieri del Sismi, e lo stesso capo di stato maggiore piduista della difesa? Insomma, un'attività di copertura?

La Mediterranean Survey and Service, citata in questo appunto, è una società per azioni con un capitale sociale di un miliardo: è stata costituita a Roma il 17 luglio 1980, anche se nelle carte ufficiali riporta la data del 24 giugno 1980. Questo l'oggetto sociale, così come è stato descritto nel rapporto del Ros dei Carabinieri del 25 settembre 1993 in risposta ai quesiti formulati dalla Commissione: «Promozione ed assunzione di iniziative in ogni campo di attività da altri promosse, con particolare riguardo per il settore marino». La sede della MSS era a Roma, in via Lucio Volumnio 1. «In data 14 ottobre 1987 - si legge sempre sull'appunto predisposto dalla Commissione - la MSS aumenta il suo capitale sociale di 200 milioni. Nel verbale di assemblea societaria, accanto a Pacini Battaglia, figura come secondo consigliere di amministrazione l'ammiraglio Giovanni Torrisi, capo di Stato Maggiore della Difesa nel periodo della strage di Ustica». Durante la sua deposizione in Commissione stragi del 23 novembre 1989 (40ª seduta), l'ex capo di Stato Maggiore della Difesa ha dichiarato:


«Purtroppo, questo aereo giaceva su un fondale di 3.000 metri di profondità, per cui - e questo lo dico avendo fatto un'esperienza precedente - vi era un senso di impotenza a fare qualcosa». Quando i commissari domandano quali incarichi avesse ricoperto dopo aver lasciato lo Stato Maggiore ed essere andato in pensione (il 1° giugno 1981), l'ammiraglio Torrisi ha così risposto: «Non ho ricoperto altri incarichi per la pubblica amministrazione. Attualmente svolgo attività di consulenza e lavoro anche in istituti in cui si svolgono studi su questioni strategiche, cose che mi hanno sempre appassionato. Quindi, vi è un'attività sempre viva, che non lascio assolutamente». Nessun accenno esplicito dunque alla MSS: cioè alla società della quale fa parte, la stessa che poche settimane dopo la caduta del DC9 Itavia si trovò a scandagliare e perlustrare i fondali di quel tratto di Mar Tirreno dove giacevano i rottami dell'aereo. Nato a Catania 1'8 novembre 1917, con una lunga carriera alle spalle, già capo del SIOS della Marina militare, poi travolto nei primi anni Ottanta dall'inchiesta sulla Loggia massonica coperta P2 di Licio Gelli (alla quale risultò affiliato), Giovanni Torrisi muore improvvisamente l'11 agosto 1992 mentre in vacanza si trova nell'isola de La Maddalena in Sardegna.
Chissà chi lo sa. Quei solchi misteriosi intorno ai rottami del DC9. Durante l'esplorazione e il successivo recupero dei restanti relitti dell'aereo, sono state scoperte nei dintorni di quest'area visibili tracce di interventi lasciate dai mezzi dell'Ifremer. Erano più che evidenti, peraltro, lunghi solchi paralleli impressi sul fondo assomiglianti a tracce di mezzi dotati di cingoli. La stessa disposizione di alcuni frammenti appariva come il risultato di una qualche azione manipolativa: le strutture dei sedili, per esempio, si presentavano ordinate in cumuli. Nella stessa area l’inglese Wimpol ritrovò una scatola nera del tipo Data Flight Recorder, al momento non attribuibile con certezza al DC9 Itavia, poichè presentava dei numeri di matricola sul contenitore diversi rispetto a quelli registrati nella documentazione ufficiale della compagnia aerea di Davanzali. In seguito a questi ultimi ritrovamenti, il giudice Priore decise di rinviare la conclusione della terza fase di ricerca, ordinando l'immediato recupero del Data Flight Recorder e di altri resti. Le operazioni hanno avuto inizio il 18 luglio 1991: oltre undici anni dopo il disastro. Ecco cosa ha dichiarato sul punto Giovanni Salvi, uno dei tre pubblici ministeri che ha firmato le requisitorie del 31 luglio 1998, in sede di audizione in Commissione il 29 settembre 1998: «Effettivamente dai video del lavoro effettuato dalla nuova società [la Wimpol] sono emerse tracce non attribuibili né ad eventi naturali, né ad eventi umani conosciuti (o almeno non siamo riusciti ad attribuirli). Quindi ci sono in zone particolarmente delicate del recupero delle tracce che sono diverse da quelle lasciate dai trattorini della Ifremer e che appaiono tracce non naturali ... certamente delle tracce anomale nel fondo ci sono».


I magistrati romani, dopo articolate indagini, hanno comunque appurato che l'Ifremer (legata a doppio filo ai servi di sicurezza francesi, ossia allo SDECE, ha svolto il proprio incarico con estrema cura e correttezza. Quindi, se sono d'origine meccanica, quei solchi non possono certo essere attribuiti ai mezzi utilizzati dall'istituto francese.
Il giudice istruttore Rosario Priore, subentrato il 23 luglio 1990 (due anni dopo l’assassinio dei piloti Naldini e Nutarelli) al collega Bucarelli, dopo altri dieci anni, a pagina 4690 della sua sentenza-ordinanza, liquida incredibilmente la faccenda in poche righe:


«Per quanto riguarda la Mediterranean Survey Service S.p.a, le indagini non hanno portato ad alcun riscontro concreto, ma si è giunti solo a verificare l’effettiva presenza dei mezzi e del personale della società nelle acque circostanti il punto di caduta del DC9 nell’estate dell’80, giacchè essa aveva ufficialmente ricevuto l’incarico dalla Samim dell’ENI di svolgere una ricerca mineraria al largo di Palinuro».


Il magistrato Priore aveva ricevuto da ben tre Procure Matera, Reggio Calabria e La Spezia), fascicoli inerenti il traffico di uranio in cui era coinvolta l’Enea e l’Eni. In effetti, al centro Enea della Trisaia in Lucania, dalla fine degli anni ’60, la società Combustibili Nucleari, ovvero una controllata dell’Eni in società con l’ente nucleare della Gran Bretagna, lavorava il combustibile nucleare della centrale plutonigena di Borgo Sabotino. E con certo materiale fissile, come il plutonio si fanno bombe atomiche.

In data 4 febbraio 2000, il presidente Giovanni Pellegrino faceva propria l'istanza del senatore Manca e di altri membri della Commissione e inviava al giudice Rosario Priore copia dei dodici quesiti formulati dal vice presidente in data 18 gennaio. Nella lettera di trasmissione, il senatore Pellegrino evidenziava, fra l'altro: «Alcuni componenti
della Commissione che ho l'onore di presiedere hanno espresso l'opinione
che - ai fini della inchiesta parlamentare sul disastro aereo di Ustica che
la Commissione stessa sta conducendo - sarebbe utile ottenere da Lei
chiarimenti sulle conclusioni alle quali Ella è giunto nella sua sentenza-ordinanza
istruttoria». Il 24 febbraio 2000, il giudice istruttore Rosario Priore rispondeva
per iscritto al presidente Pellegrino declinando l'invito
a fornire chiarimenti sul lavoro svolto.



riferimenti:


http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2014/08/strage-di-ustica-le-operazioni-segrete.html

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/09/21/previti-il-kuwait-uranio-di-ustica.html

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/10/30/pacini-cercava-uranio-di-ustica.html
 
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PER O-banana IL VENEZUELA E' UNA MINACCIA PER GLI STATI UNITI Emoticon unsure
Con l’aumento del 30% al salario minimo decretato venerdì 1 maggio dal Presidente della Repubblica, Nicolás Maduro, la variazione di tale indice si attesta al 52% rispetto al dato registrato all’inizio di quest’anno.
Bisogna ricordare che il salario minimo è stato incrementato del 15% nello scorso mese di novembre, aumento entrato in vigore a dicembre, che ha portato i salari a quota 4.889,11 bolíva...res. Successivamente, nel mese di febbraio, si è stabilito un ulteriore aumento del 20%.
Dopo l’annuncio del presidente, il salario minimo mensile ricevuto dai lavoratori sarà di 7.421,6 bolívares, il che significa un aumento del 52% in appena un semestre.
ARTICOLO COMPLETO: http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php…

Altro...




In un paese sovrano è possibile che il salario minimo venga alzato del 52% in 5 mesi.... - ALBA...
In un paese sovrano è possibile che il salario minimo venga alzato del 52% in 5 mesi.... - ALBA LATINA - L'Antidiplomatico - La politica internazionale che il...
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ORDINI DEL PADRONE USA: L’UE MINACCIA ANCORA L’UNGHERIA
L’Unione Europea, che nel 2012 s’è aggiudicata il premio Nobel per la pace, si candida per un altro ambito premio: quello per l’ipocrisia e il servilismo.
È accaduto infatti che l’Ungheria, la quale oltre a far parte dell’Unione Europea stessa non ne condivide parecchi “valori” (la c.d. “indipendenza” della Banca centrale, l’equiparazione dei nazionali agli allogeni ecc.), ha ventilato la possibilità di reintrodurre, nel...
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Ecco una spiegazione degli ordini di stare fermi: venerdì a Milano la polizia italiana ha scelto la strategia di danesi e tedeschi

Strategia della polizia danese

Ed ecco che sabato spuntano i “cittadini volontari di Milano”, che con tanto di vestiario prestampato (chi lo aveva fatto stampare in anticipo ???) si mettono a ripulire la città.

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Sto seguendo le vicende di Milano, e sta iniziando a crescere in me un sospetto.
E sta cominciando a crescere perché poche settimane fa, per l’inaugurazione della BCE, ho visto succedere la stessa identica cosa, non tanto per le devastazioni (che sono uguali perché alla fine se devasti un quartiere, tanto è) ma per il comportamento della polizia.

I gruppi di devastatori nel nord Europa vengono affrontati in maniera diversa, ma non perché la polizia sia più “civile” (oddio, a dire il vero lo è, almeno con chi non fa nulla di male), ma per una ragione: la strategia con la quale si affrontano questi personaggi è molto diversa, e specialmente è politica.

La politica , nei paesi democratici, è la ricerca del consenso. Se la polizia ti aggredisce, almeno il 50% della popolazione dirà che sia stata troppo violenta. E potrai raccontare che la polizia abbia caricato anche le parti “pacifiche” dei cortei.

Ma se la polizia NON carica, e tu devasti la città, gli unici in scena siete voi. E siete in scena mentre devastate la città.

Con questo metodo, queste frange sociali vengono isolate e private del consenso politico. Se oggi prima di sgombrare un centro sociale avete contro qualche consigliere comunale, dopo che i bravi ragazzi hanno devastato la città difficilmente qualche politico potrà difenderli.

La strategia “nordica” per ridurre al lumicino questo tipo di movimenti consiste nel lasciargli devastare la città. E poi lasciare che sia la società a vendicarsi.

Una cosa simile era successa a Francoforte. Durante l’inaugurazione della nuova sede della BCE, la polizia tedesca ha lasciato fare, lasciando devastare un intero quartiere. Ovviamente tutto è stato ripreso in diretta, e ogni tedesco ha potuto vedere una sola cosa: “i manifestanti devastano la città”

Mi sono chiesto per quale motivo lo abbiano lasciato fare, dal momento che normalmente la polizia tedesca riesce a contenere risse e tafferugli persino all’ Oktoberfest, ove hanno cinque milioni di persone riunite ed ubriache.
La verità è che si tratta di una strategia politica.

Essa consiste in:

Si crea la notizia: quartiere distrutto dai manifestanti no-qualcosa.
La notizia supera ovviamente quella della manifestazione in sé.
I no-qualcosa vengono lasciati da soli sul palcoscenico, e ripresi abbondantemente.
Filmati e fotografie invadono i media, mostrando solo una scena: i no-qualcosa che devastano.
La polizia non appare quasi, in modo che tutta la scena vada sui no-qualcosa.
Anche volendo fare polemiche, ci sono poche foto di poliziotti e molte di no-qualcosa.
Non avendo fatto nulla, alla polizia non può essere imputato nulla.
In questo modo, cosa appare su media e TV (e anche su Internet?). Appare l’unica cosa che c’è.

In questo modo la società inizia a nutrire, lentamente, diffidenza ed astio verso questi movimenti.

Creati i “cattivi vestiti di nero” bisogna costruire i “buoni vestiti di bianco”. Ed ecco che spuntano i “cittadini volontari di Milano”, che con tanto di vestiario prestampato (chi lo aveva fatto stampare in anticipo ???) si mettono a ripulire la città.

Ed ecco che tutto è pronto: abbiamo i Cattivi-Vestiti-Di-Nero e i Buoni-Vestiti-Di-Bianco. La narrazione perfetta del mondo mainstream.

Che cosa succederà? Succederà quello che succede già nel mondo politico dei paesi nordici: i partiti che si identificano con questi no-qualcosa sono rarissimi, sono chiusi, o prendono percentuali da prefisso telefonico.

La strategia con la quale li si combatte, cioè, non è militare. È politica. E consiste nel costruire il dissenso, il fastidio verso queste persone. Sarà molto difficile per loro essere apprezzati, assunti al lavoro, frequentati fuori dal lavoro, dopo che l’opinione pubblica si è formata una simile opinione.

Questa strategia, peraltro, ha costi zero: per ottenere il risultato, la polizia non deve fare NULLA.

Si tratta, cioè, di persone che si screditano da sole. Si tratta di movimenti che distruggono il proprio consenso da soli.

Quando gli si è lasciata devastare la prima, la seconda, la terza città, tutto quello che si otterrà è che prima o poi il questore sarà legittimatissimo a dire “no” al corteo. Dopo che è stato chiaro a tutti che una loro manifestazione consiste nel devastare la città, se qualcuno nega loro l’autorizzazione a manifestare, o li fa manifestare nella tundra extraurbana, nessuno si scandalizza più.

Un’altra cosa che si ottiene lasciando che questi signori si sfoghino contro i cittadini incolpevoli è che viene meno la divisione tra “il corteo buono” e “il corteo cattivo”. Quando la polizia attacca e bastona, qualche fesso ci rimane sempre di mezzo, e siccome è vecchio/donna/foglia di fico allora si dice che per colpa dei pochi cattivi blablabla.

Quando invece si lascia che questi signori si esprimano al meglio e ci si limita a filmarli, si vede chiaramente una cosa, come si è vista a Milano e prima a Francoforte: che i “buoni” sono fin troppo solidali coi cattivi, che li lasciano muovere e che li aiutano pure. Ovvero, senza caricarli si vede ciò che effettivamente è: che non esiste la parte “buona”, quella “festosa e colorata”, distinta dal “blocco nero”, ma alla fine c’è il blocco nero e la sua foglia di fico messa lì per alimentare le polemiche del dopo.

La strategia politica contro i no-qualcosa consiste cioè nel considerare questo:

Il punto debole di questi movimenti è che non sanno conquistare il consenso.
L’unico modo che hanno è di farsi picchiare per alimentare (giuste) polemiche contro la polizia.
Finita la manifestazione queste persone tornano nella società.
Facciamoli punire dalla società.
Se siete conosciuti per essere dei no-expo, grillini compresi, da domani la vita a Milano per voi sarà in salita. Scoprirete subiti che la spilla no-expo suscita una certa antipatia. Scoprirete che tutta la simpatia va ai cittadini che hanno ripulito la città. Scoprirete che non potrete più dire che voi eravate nella parte buona della manifestazione. Scoprirete che non potete più dare la colpa alle cariche indiscriminate della polizia.

Questa è la strategia “politica” seguita dalla polizia nordeuropea contro questi signori. Colpire il movimenti sul piano politico, ovvero sfilare loro il consenso da sotto i piedi.

Quando non avranno più il consenso, quando non avranno più le foglie di fico, quando non avranno più politici in TV a difenderli (tanto saranno inguardabili politicamente), rimarranno soli.

Poche centinaia.

E quelli si gestiscono facilmente.

Il fatto che la polizia italiana abbia dato una svolta e stia iniziando a seguire tecniche “tedesche” (ad onore del vero sono danesi) fa capire che in qualche modo, almeno ad alto livello, le polizie europee si stanno scambiando tattiche e modus operandi.

U.F.
 
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STRAGE DI USTICA: LE OPERAZIONI SEGRETE DELLA MEDITERRANEAN SURVEY & SERVICES








di Gianni Lannes




Carneficine di civili e traffici statali di armi, materiali nucleari strategici e rifiuti pericolosi, il tutto gestito dai servizi segreti. Attenzione alla cronologia degli eventi. Roma, 17 luglio 1980: 20 giorni dopo la strage di Ustica che ha annientato la vita a 81 persone. Dinanzi al notaio Luigi Napoleone viene fondata la Mediterranean Survey & Services spa. I presenti sono: Mario Stevenin, Albano Trombetta, Ugo Graziano e Carlo Macchi di Cellere, «il quale dichiara di intervenire al presente atto non in proprio ma quale procuratore speciale della ditta “La Mandria”», società del banchiere Francesco Pacini Battaglia, di cui in seguito diventò presidente Franz Sesti, ex procuratore generale della corte d’appello di Roma.


Nell’estate del 1980 alcune navi per conto della MSS scandagliano ufficialmente per prospezioni geologiche - con l’intervento di esperti francesi e inglesi - i fondali dove è precipitato il Dc 9 Itavia, decollato da Bologna e diretto a Palermo. Nel bilancio societario datato 1980 della Mediterranean Survey & Services si legge: «La Vostra società - riferito agli azionisti - ha acquisito una importante e particolarmente interessante e prestigiosa commessa da parte della Samin Spa (gruppo Eni), per la ricerca di sedimenti minerari sui fondali vulcanici dei Monti Palinuro e Lametini, nel Tirreno meridionale. Le operazioni si sono sviluppate tra giugno e i primi di settembre, impegnando al massimo la Vostra società, che ha operato in veste di general contractor, avvalendosi dei migliori operatori nazionali, francesi e del Regno Unito». E nel bilancio dell’anno successivo risulta annotato: «La terza campagna, per quanto funestata da incidenti meccanici ha ugualmente sortito risultati particolarmente interessanti malgrado si sia operato a profondità superiori ai 3.000 metri». Esattamente dove giaceva il relitto sparso del Dc 9 Itavia.








Un’attività di copertura frettolosa. Dunque la Mediterranean Survey & Services ha effettuato ricerche proprio sui fondali dove era stato inabissato il Dc 9 Itavia, senza che nessuna autorità, tantomeno il giudice Santacroce (oggi presidente di Cassazione) si fosse preso la briga di controllare che cosa effettivamente stava recuperando a quelle grandi profondità. Strano, perché non risulta alcuna autorizzazione statale alla ricerca di idrocarburi in quella zona marina e in quel periodo. Ed è quantomeno singolare che il primo recupero affidato alla società francese Ifremer (controllata dallo SDECE: i servizi segreti di Parigi) sia stato avviato ben 7 anni dopo il tragico evento. Ed è piuttosto singolare la constatazione ufficiale, riscontrata anche dal giudice istruttore Rosario Priore, ma non approfondita dal medesimo, che lo scenario in cui è precipitato l’aereo civile, e i relativi reperti siano stati palesemente alterati ben prima dei recuperi giudiziari, opportunamente telecomandati in mare.


Oltre ai riscontri sul campo, i conti non tornano anche in base alla logica. Come ha fatto la MSS ad aggiudicarsi una commessa dall’Eni, prima di essersi costituita come società? Oltretutto la multinazionale energetica, operava per conto proprio, senza appaltare alcunché esternamente.


Ma allora la Mediterranean Survey & Services che cosa ha combinato in loco? E per conto di chi ha operato sullo scenario della strage di Ustica? Questi aspetti cruciali, o meglio fondamentali, non sono mai stati sfiorati dalla magistratura inquirente. Effettivamente quale autorità dello Stato ha consentito che fosse manomessa nell’immediatezza dei tragici avvenimenti, la cosiddetta scena dell’impunita strage?


Roma, 14 ottobre 1987. La Mediterranean Survey & Services aumenta il suo capitale di 200 milioni di lire. Nel verbale di quell’assemblea societaria, accanto a Pacini Battaglia, figura anche come secondo consigliere di amministrazione l’ammiraglio di squadra Giovanni Torrisi, già capo di Stato Maggiore della Marina Militare dal 1977 al 1980 e già capo di Stato Maggiore della Difesa dal 1980 al 1981, quando dopo il sequestro giudiziario a Castiglion Fibocchi, viene scoperta la sua affiliazione alla superloggia massonica P 2.


Roma, 14 maggio 1993. In via Fauro scoppia un’autobomba imbottita di Rdx (esplosivo militare ad alto potenziale) attivata da una miccia di pentrite. Nella medesima strada al civico 82, ad uno sputo dall’esplosione, hanno sede tre società dall’incerta attività, fondate - guarda caso - dallo stesso Torrisi. Nel 1989 l’ammiraglio di squadra Torrisi Giovanni ormai in pensione diventa amministratore delegato di una serie di nuove società: la Simi Sistemi spa di Massafra in provincia di Taranto, il consorzio Aluvaz, il consorzio Aluagi e il Cent srl (centro europeo nuove tecnologie) di Roma. Le tre società capitoline hanno sede ufficiale in via Fauro 82, nei presso del luogo dove hanno mandato in onda l’attentato del 14 maggio 1993. Un messaggio cifrato per l’alto ufficiale e suoi sodali in affari? Che singolare coincidenza. Uno dei soci della Mediterranean Survey & Services è un certo Mario Stevenin, azionista di una serie di società riconducibili a Mario Collodel. Precisamente tale Collodel Mario, a meno che che di un’omonimia, era uno dei principali intermediari attraverso la Trevis Financing Engineering and General Contrac, per conto dell’Export Efim, società del gruppo Efim controllata dalla Stato italiano, che si occupava di gestire i contratti bellici, appunto in tutte le operazioni che riguardavano la vendita di armamenti a nazioni arabe: Iraq, Arabia Saudita, Yemen, Oman, Sudan, Egitto, Libia. Lo stesso Collodel entrò nell’inchiesta del giudice Carlo Palermo (costretto a dimettersi dalla magistratura dopo attentati falliti e minacce di morte) sui traffici statali di armi, droga, in quanto fu uno dei mediatori della vendita delle sei fregate all’Iraq (una delle contropartite italiane che accompagnava la cessione a Saddam Hussein della tecnologia nucleare).


Chicchi Battaglia, ovvero il finanziere delle tangenti plurimiliardarie pagate dall'Eni a dc, psi e pci, non è l’unico vip di tangentopoli contiguo ai servizi segreti nostrani (Sismi & Sisde). Un altro nome diffuso era quello di Sergio Castellari, il dirigente delle partecipazioni statali, suicidato nelle campagne di Sacrofano. Castellari si occupò anche e soprattutto dei traffici di uranio venduti dall’Enea, ossia dallo Stato italiano, a India e Pakistan, come denunciato alla magistratura dall'ingegnere nucleare, ispettore dell'Enea, Carlo Giglio. E proprio di uranio e di scorie nucleari (progetti Urano 1 e 2) si è occupato anche Guido Garelli con la copertura di eterodiretti dall’estero politicanti tricolore e degli immancabili servizi segreti.


Infine, due righe sulla ricorsività di talune sostanze. Il micidiale esplosivo militare T4 e le micce di pentrite, sono state rintracciate ufficialmente in diversi contesti stragisti: a bordo del traghetto Moby Prince, nella strage di Capaci, nella strage di via D’Amelio, e nei vari attentati in Italia del 1993. Vediamo se a quei criminali in divisa e doppiopetto che manovrano sempre dietro le quinte sulla pelle di tutti, torna la memoria. Allora, chi è STATO?


Pubblicato da Gianni Lannes a 12:42 Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest
 
1978 e 1992- III. IL "DOPO" E IL NOSTRO PRESENTE A UN BIVIO (finale)



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1. Proviamo a parlare de "la questione generale".
Nel post di ieri Alberto Bagnai ha proposto una linea interpretativa che definisce e sviluppa le cause e i rimedi di tale questione.
Alberto, peraltro, si rivolge a degli interlocutori considerati, alla luce degli sviluppi più recenti della politica italiana, più rilevanti e potenzialmente "idonei": diciamo riassuntivamente a quella parte della "dissidenza" interna al partito di maggioranza relativa (nonchè di governo) che ha iniziato a raccontare come e perchè le cose non possono andare bene.
Riassuntivamente, dicevo; modalità che, sul piano contenutistico della "questione", cioè su quello della evoluzione della realtà socio-economica italiana, può ormai dirsi strutturale.
In altri termini, la politica economico-fiscale seguita, certamente negli ultimi quattro anni, ma in sostanza da oltre un ventennio (Maastricht, per semplificare), costituisce un continuum coerente (con delle accelerazioni che portano il sistema sotto stress, ma sempre sul tracciato della stessa rotta che includeva ab initio il propinare dosi crescenti di shock economy) che "ridisegna" in modo strutturale la società italiana.


2. Credo di poter dire che Alberto faccia necessariamente riferimento a questo intero disegno, quando, segnala, - con riferimento alla opportunità, perduta, di anticipare in occasione dell'approvazione del jobs act una rivendicazione "finale" sul dissolvimento della democrazia-, come il cogliere questa stessa opportunità "avrebbe almeno portato l'attenzione sul punto cruciale del disegno liberista del quale l'euro è testata d'angolo: il tentativo (finora riuscito) di estirpare il diritto al lavoro dalla costituzione, per riportarlo nel codice civile".
Alberto conclude con questa pregnante esortazione:
"Ma almeno, e questo ve lo suggerisco toto corde nell'interesse vostro e del paese, trovate il modo di spiegare perché, come e quando avete capito che quello che difendevate non aveva senso, che la narrazione che avete propugnato era sbagliata. Documentando il vostro percorso (senza far nomi, per carità, altrimenti i colleghi si ingelosiscono!) eviterete di fare la figura dei voltagabbana, e soprattutto aiuterete quelli che a voi interessano tatticamente, cioè gli insider, a fare un percorso simile, o quanto meno a porsi delle domande. Come siete passati dal fateprestismo montiano alla percezione scientificamente fondata che il sistema è insostenibile? Lo volete spiegare ai vostri compagni? Non è che dobbiate fargli una lezioncina: ci sono mille e uno modi per farsi capire! Gli esperti siete voi..."



3. Questa esortazione contiene un passaggio fondamentale: l'enunciazione dell'interesse tattico a far compiere agli "insider" - cioè ai, si suppone, bene informati- un percorso simile: questo vuol significare il confluire in una sorta di "rivoluzione culturale" (espressamente richiamata da Alberto come rimedio indispensabile) dell'apporto positivo degli economisti (evidentemente in termini di diffusione aperta e completa di verità economiche manifeste, se non addirittura auto-esplicative: cioè appartenenti al minimo etico della oggettività scientifica).


Non è per muovere obiezioni a questa analisi che cerco di sviluppare qualche ulteriore osservazione: tutt'altro. Ed infatti, dobbiamo dare per scontate le dinamiche socio-culturali di settore che da sempre pongono in una situazione peculiare la scienza economica.
Su questo aspetto rinvio a quanto in precedenza evidenziato dall'acuta analisi di una delle menti più brillanti mai apparse nel mondo dell'economia, Thorstein Veblen.
Questi - come ci dice Galbraiith nella sua "Storia dell'economia" (pagg.194-195), compie, nel libro "The Higher Learning in America- a Memorandum on the Conduct of Universities by Business Men", un esame "mirabilmente corrosivo" del mondo accademico americano.

"I colleges e le università americani...erano controllati molto rigidamente dagli interessi commerciali di società che facevano sentire i loro voleri attraverso i consigli di amministrazione. Le opinioni dei docenti venivano esaminate con grande attenzione alla ricerca di possibili eresie, le quali venivano definite come qualsiasi cosa si opponesse ai bisogni percepiti dalle grandi società industriali"

Aggiunge Galbraith. "Benchè nel frattempo le cose siano molto cambiate, un'eco di quegli atteggiamenti un tempo dominanti si avverte nella convinzione tuttora persistente che l'orientamento ultimo della cultura accademica debba essere fornito da uomini d'affari - oggi dirigenti dei grandi gruppi societari- in quanto dotati di una formazione adeguata nell'amministrazione pratica..."



4. Questa fenomenologia non può che acuirsi in un ambiente (ri)globalizzato, e più che mai liberoscambista-finanziarizzato, dove "uomini d'affari" provenienti dal mondo delle grandi banche universali, o in esse approdati da specifici percorsi accademici e/o governativi, sono sempre più indistiguibili dai vertici istituzionali degli organismi che governano i processi sovranazionali di decisione politico-economica (direi, politica tout-court).
E questa anomalia (per i parametri della imparzialità dell'esercizio delle funzioni di governo, sancita dalla nostra Costituzione) non può che acuirsi, in tali condizioni, perchè si verifica un'eccezionale concentrazione di potere: essa caratterizza la nostra epoca anche più di altre, configurando una piramide gerarchica che disarticola- in un modo che non ha precedenti, se non nel...medioevo-, il concetto (centrale, negli ordinamenti costituzionali democratici) di interesse generale (non di "bene comune": vi prego, non arrendetevi alla terminologia ingannevole proveniente da questa stessa matrice culturale!).


Tale è l'accentramento di potere istituzionale in questi soggetti che, il loro potere di influenzamento, che è poi un potere supremo di indirizzo e di creazione normativa vincolanti, viene ormai esercitato a doppio e intrecciato titolo: come eminenti uomini d'affari (spesso divenuti tali in un percorso di induzione reciproca tra i due piani, istituzionale e privato-professionale) e, aggiuntivamente, proprio in conseguenza di ciò, come legittimati preferenziali alla titolarità delle cariche di governo sovranazionale (e per la verità, anche nazionale, laddove lo "stato di eccezione" riemerga periodicamente nella vita dei sinigoli Stati nazionali assoggettati al vincolo sovranazionale).


5. Non elaborerò oltre (l'abbiamo già fatto ripetutamente): mi limito a segnalare che riscontrandosi nel nostro tempo una classe dirigente "suprema", investita di una simile "effettività" autoritativa, cioè una governance sovranazionalizzata e padrona di imporre quasi a suo piacimento "lo stato di eccezione" (quello che caratterizza la sovranità, sottratta ai processi democratici nazionali), è naturale fenomeno sociologico quello del consolidarsi di una cultura conformistica.
Il fenomeno a cui assistiamo è che le riforme strutturali non investono solo il mercato del lavoro, cioè l'obiettivo principale ed essenziale del "sistema", ma sono opportunamente e sollecitamente dirette ad occuparsi di ogni gruppo e funzione professionale "strategici", cioè che possano recare problemi di incompatibilità con gli obiettivi perseguiti o che, durante il processo di affermazione del regime, si rivelino propensi a fare qualsiasi tipo di "resistenza": e questo non da oggi (cioè non solo negli ultimi quattro anni, sia chiaro), perchè un regime pianificato da un'elaborazione pluridecennale ben conosce gli snodi della società che intende controllare e modificare.
Una "riforma" - orchestrata dall'appoggio mediatico totalitario che l'ordine sovranazionale dei mercati (euro-istituzionalizzato, in Europa), si è previamente assicurato nel realizzare la sua inarrestabile affermazione- può sempre divenire, tempestivamente e all'occorrenza, attuale: non è solo il "costo del lavoro" o la competitività, e cioè il mondo del lavoro direttamente coinvolto nella determinazione dei costi dell'offerta ad essere oggetto dell'attenzione programmatica del nuovo "ordo".


Anche gli insider, cioè coloro che avrebbero i mezzi per realizzare la natura del processo di concentrazione del potere in corso (che è poi il "l'ordine internazionale dei mercati"), alla stessa stregua di ogni altra categoria sociologica, sono stati (o possono ulteriormente essere) assoggettati alla "conformazione" che procede dal vertice agli strati intermedi della neo-gerarchia; e ciò in base ad un processo brutale, fatto di punizioni (di status) e di ristretti privilegi ben indirizzati, secondo la neo-tecnica legislativa che si irradia in ogni livello o settore sociale, senza tralasciare alcuno strumento di coercizione disponibile, anzitutto politico-normativo. Parliamo dell'accumularsi di riforme legislative ordinamentali-sezionali, che riguardano invariabilmente ogni categoria-chiave nell'affermazione del controllo di questa governance.



6. Diciamo che la cultura, intesa come espressione di pensiero (generale o specialistico) oggetto di comunicazione, è sovrastruttura, e che una diversa cultura può discendere solo dall'affermazione progressiva di una diversa struttura: non è che con questo voglia implicare che il nostro destino sia bloccato in modo irrevocabile in questa palude in cui affonda la democrazia.
Dico solo che una forza correttiva deve possedere una spinta tendenzialmente eguale e contraria a quella, patologica, che intende correggere.
Potrebbe l'azione (auspicabilmente, appassionata e coraggiosa) degli interlocutori "idonei" indicati da Alberto produrre questa spinta?

Difficile dirlo: se l'intero regime ordinamentale-legislativo, e di conseguenza culturale, è ormai il prodotto di ciò che si intende avversare, - avendo avuto il tempo di divenire "vincolo" irradiato in ogni settore della società-, l'innesco di una spinta contraria dovrebbe manifestarsi, anzitutto, mediante un potenziale di consenso di massa enorme, direi scardinante (tale da minacciare di sovvertire, secondo la teoria generale del diritto, la "effettività" del regime coincidente con la istituzionalizzazione dell'ordine internazionale dei mercati).
Se invece la si vuole vedere come una spinta "correttiva" che debba generarsi in modo mirato, in quanto opportunamente concentrata in un settore socio-professionale nevralgico, - tale cioè da irradiarsi immediatamente verso l'alto e da trascinare poi spontaneamente ciò che si colloca al di sotto di esso-, tale spinta dovrebbe essere accoppiata alla capacità dei suoi promotori di "esentare" i propri destinatari dalle conseguenze sanzionatorie (in senso lato, agevolmente comprensibile nel contesto di cui stiamo parlando) predisposte dal regime (nel senso di categoria descrittiva di diritto pubblico). Cioè accoppiata alla capacità di prospettare, alla categoria "strategica", di aver acquisito un contro-potere normativo di reindirizzo-ridisciplina (egualmente correttiva) del segmento sociale e professionale considerato decisivo nell'espandere la spinta correttiva. O almeno di prospettare la rapida caduta della "effettività" del potere di controllo sociale del regime avversato.



7. Ed allora, siamo spacciati?
Probabilmente sì, perchè il ritardo nel reagire, in questa situazione, equivale al non aver reagito affatto, dato che la posta in gioco è il collasso definitivo dell'ordinamento democratico-costituzionale.
E tuttavia...
Le cose, forse, non sono messe così male, ma certo occorre saper ben sfruttare i punti deboli del sistema avversato.

Mi riporto alla recensione di un interessante libro scritto da Giuseppe Berta, professore di storia alla Bocconi, per trovare la mappa di questo "percorso inverso" che appare assolutamente necessario. Notiamo la quasi coincidenza nell'individuare le due date cruciali della storia italiana rispetto ai nostri post sull'argomento, col solo piccolo dettaglio che nella nostra trattazione abbiamo fatto riferimento alla data di effettiva conclusione di Maastricht, cioè al 1992:


"L’Italia fu rappresentata nel cruciale negoziato di Maastricht da Guido Carli, Ministro del Tesoro del Governo Andreotti (che è in realtà il primario responsabile delle due scelte gemelle dell’adesione allo SME e all’Euro, deciso nel Trattato che crea l’Unione Europea) nel 1991. Queste sono le due date essenziali della storia italiana recente, quelle della devoluzione di sovranità entro uno schema Europeo già preordinato –nell’asse Francia-Germania- all’affermazione del modello sociale ed economico nordico (rappresentato in Italia come “vincolo esterno”): 1978 e 1991. Nella prima data l’Italia aderisce allo SME, malgrado le perplessità ed opposizioni, nella seconda aderisce alla UE, e di fatto, all’Euro (che nascerà di lì a pochi anni di serrata trattativa, come ricorda anche un protagonista come Sarrazin).

Carli conduce la trattativa nella convinzione, maturata da lungo tempo, che l’Italia non potrà “riformarsi” da se stessa, secondo le auspicate linee liberali, senza essere costretta a ciò da vincoli istituzionali indisponibili alle pressioni sociali. Per questa ragione è per lui assolutamente necessario creare “un vincolo giuridico internazionale” per ripristinare una “sana finanza pubblica”. Secondo la sua visione, ancora oggi fortemente condivisa, lo stato dei conti e la stessa nazione ha bisogno di assoggettarsi ad un’autorità sovranazionale, “per sottoporre a disciplina i comportamenti di partiti e società” (come scrive Berti). La società italiana gli appare, infatti, in quegli anni “frammentata, lacerata, disorganica”, con una vita politica bloccata e indifferente.
Partendo da questa analisi, tutt’altro che priva di fondamento, Carli vede nel Trattato di Maastricht lo strumento per dare il necessario “scossone violento” che altrimenti solo un regime autoritario, come quello fascista, potrebbe dare (risposta dello stesso a chi lo invitava a maggiore azione nel suo ruolo di Ministro, p.100). Lucidamente Carli vede quindi che la del Trattato è ; cioè “la drastica riduzione del potere dei governi nazionali” alla quale, in una delle più incredibili e illuminanti affermazioni riportate nell’utile libro di Berta, Carli fa corrispondere nella sua valutazione “un accrescimento del potere decisionale dei singoli cittadini".

Qui c’è il nodo ideologico, ed operativo, della costruzione della nuova Europa. Carli intende esattamente che l’indebolimento del potere dei Governi Nazionali (e dunque dei Partiti e dei Parlamenti democratici, ma anche delle organizzazioni sociali che influenzano la sfera pubblica nazionale) sia bilanciato da un maggiore dei cittadini a . Cosa? Cosa possono i “singoli” che restano tali, cioè che non si organizzano o associano, che non partecipano a processi politici?

Lo dice lui stesso, con impareggiabile chiarezza di pensiero e franchezza, il potere è nel diritto di investire i propri soldi nel debito pubblico o altrove. In altre parole la democrazia che resta è quella “dei mercati”. Con le sue parole: la “sintesi politica” è data dal “permanere del debito pubblico nei portafogli delle famiglie italiane, per una libera scelta, senza costrizioni, rappresenta la garanzia per la continuazione della democrazia” (p. 100, da G.Carli, Cinquant’anni di vita italiana, Laterza 1993, p. 386-7).
Questo i-n-c-r-e-d-i-b-i-l-e rovesciamento di due secoli di pensiero politico democratico, di ogni prassi democratica, di ogni lotta condotta in Europa dalla rivoluzione francese ad oggi, questo vero e proprio pensiero eversivo, è la ragione per la quale il Ministro della Repubblica (che ha giurato sulla Costituzione Italiana), perfettamente cosciente di attuare una “rivoluzione del potere”, promuove nel negoziato. L’implementazione di una “federazione europea basata sul principio dello Stato minimo;, tenuta unita da una politica monetaria, da una politica estera e da una Difesa unitaria”. Questa Federazione è l’unica, a suo parere, che può resistere agli “urti che provengono da un mondo esterno che cade in frantumi”.




E’ questa visione della globalizzazione (ma siamo nel 1991, dunque ai suoi esordi), e del processo di crollo dello schema d’ordine della guerra fredda (siamo negli anni in cui l’Urss di dissolve), che ispira il tentativo delle èlite finanziarie e politiche, di cui Carli è da sempre parte integrante, internazionali di ricondurre ad uno schema più semplice le forze sociali e politiche che agitano le arene nazionali. Dunque i paesi del sud (e l’Italia in particolare), come sottolinea opportunamente Berta, devono abbandonare il proprio modello storico di sviluppo (imperniato su una versione dell’ che aveva fatto il dopoguerra).

Ma, dato che non esiste il necessario consenso politico e sociale per questa trasformazione, viene in soccorso lo strumento dell’Euro (e dell’intera Unione Europea) per “ridurre e contenere gli spazi della democrazia, almeno di quella che si è sperimentata in Italia dal 1945 al 1993, in quanto non più compatibile con l’assetto di una nuova Europa” (come scrive giustamente Berti).
Una formazione istituzionale il cui assetto deve “corrispondere alle trasformazioni poi rubricate sotto l’etichetta onnicomprensiva della globalizzazione” (p. 102). Questa chiarissima scelta liberista, che Berti qualifica come espressione della volontà di “subordinare le istanze politiche all’egemonia di un’economia desiderosa di autoregolamentarsi fin dove può” è appena temperata dal tentativo (che Carli dice di aver condotto senza successo) di far inserire nella l’obiettivo della lotta alla disoccupazione a fianco alla stabilità dei prezzi (come è nella missione della FED). Chiaramente aggiungere ai famosi Parametri di Maastricht anche un target di disoccupazione avrebbe mitigato la purezza ideologica “nordica” del disegno, ma non avrebbe cambiato la sostanza delle cose. Il cuore del progetto è di ridurre la partecipazione democratica."



8. Mi è piaciuto riportare per esteso questa recensione perchè è una soddisfazione in sè vedere come un altro pensatore, utilizzando premesse fattuali omogenee con quelle qui utilizzate, arrivi grosso modo alla stessa descrizione e analisi storico-economica.
Ma di più, questa impostazione, ci induce a alcune altre osservazioni:
a) che è (ancora) possibile esprimere certe verità (elementari) a livello accademico, ma, non di meno, queste non possono immediatamente trasmettersi a tutta la platea di coloro che, per predisposizione e mezzi culturali, sarebbero in grado di coglierne l'importanza (è accaduto con "Euro e(o) democrazia costituzionale", così com'è accaduto nel caso dei libri, di ancora maggiore successo di pubblico, di Alberto e di Vladimiro Giacchè). E questo a causa del conformismo irradiato di cui abbiamo sopra parlato (con il suo minaccioso substrato ordinamentale-sanzionatorio, se non altro preclusivo dei privilegi estemporanei di cui è disseminato), conformismo che rende (piaccia o meno) difficile la simultanea coincidenza delle proprie soggettive esigenze di manifestazione pubblica del pensiero;

b) che promuovere una correzione di paradigma culturale esige una preparazione organizzativa ben strutturata, che non può essere disgiunta da una coesione umana (prima ancora che politica), raggiunta attraverso la stabile aggregazione almeno di quelle voci che, oggi separatamente, collimano, nei vari settori della cultura e della politica, nel formulare la diagnosi e nel prefigurarsi un rimedio;
c) che questo è quanto ci mostra la Storia, circa la preparazione che precedette l'esperienza dei CNL e la predisposizione di una cultura democratica "pronta" e già consolidata, che consentì di produrre l'esperienza dell'Assemblea Costituente. Come abbiamo visto, è in questa esperienza che si ritrova tutta l'energia (non dispersiva) della parte autenticamente vittoriosa dell'Italia uscita dal conflitto mondiale;

d) la coesione umana e organizzativa a cui faccio riferimento implica un impegno di dialogo e di "riunione" progressiva che, se ben svolto, condurrebbe ad un effetto aggregativo in espansione, tale da divenire fenomeno "comunicativo" in sè, cioè, a sua volta, aggregativo dell'opinione pubblica.
Ma per ottenere questo effetto, occorre in primo luogo l'abbandono, da parte di chi ritenesse di promuovere un tale sforzo, di ogni compromesso con la post-ideologia del libero mercato, in ogni sua pregressa manifestazione storica (recente e meno recente), avendo ben chiara questa vicenda storica e senza alcuna riserva mentale circa i limiti "opportuni" di un eventuale "ravvedimento".
In questo sono totalmente d'accordo con Alberto;

e) Infine, per ottenere questo effetto aggregativo, - sempre che esistano la volontà e l'urgenza di dargli vita-, occorre a maggior ragione superare anche gli steccati ideologici "pre-1992", (diciamo così per semplificare), cioè l'idea che esistano una sinistra e una destra che ancora possano razionalmente dirsi tali di fronte alla comune prospettiva di svuotamento dell'ordine democratico.
Su questo tema si può a lungo discutere, ma il solo fatto di continuare a farlo, implica il "non rendersi conto": cioè non aver compreso che i partiti di massa non possono più esistere nel tempo dell'ordine sovranazionale dei mercati mentre, viceversa, in una democrazia sostanziale "effettiva", un partito dichiaratamente liberista non potrebbe altro che raggiungere percentuali elettorali irrisorie.

Ma una democrazia sostanziale consente una partecipazione generale ed informata alla vita economica e sociale del paese (art.3, comma 2, Cost.) che non ha nulla a che vedere con l'attuale penetrazione totalitaria dell'ideologia dello Stato minimo e delle "risorse limitate", consentita dalla grande schermatura della pace e della costruzione europea.
Quindi, la scelta, quale che sia la matrice ideologica stancamente trascinata dai singoli individui (privata di ogni concreto significato, se non quello di attirare, inerzialmente, consenso elettorale di breve termine) è tra l'uno e l'altro paradigma, l'una e l'altra "forma di governo" materiale (con ben diverse ricadute istituzionali, come constatiamo proprio in questi tempi di accelerazione).
La denuncia ineludibile di questa dicotomia, che è in realtà la conseguenza della divaricazione insanabile tra Costituzione vigente e vincolo esterno, è ciò che dovrebbe accomunare ogni settore della cultura e della società che ancora ritiene che l'Italia abbia un senso come comunità nazionale impegnata a ritrovare le ragioni della sua sovranità.
Cioè del perseguimento da parte delle istituzioni dell'effettivo benessere e dei diritti fondamentali dei cittadini.
Quanti sono oggi gli insider e i cittadini, e i politici, che potrebbero capire ciò? Molti, forse. Magari "abbastanza". Ma potrebbero non aggregarsi mai; almeno in tempo per salvarsi e salvarci.






Pubblicato da Quarantotto a 20:01 Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest







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