LA FINANZA VUOLE UN GOVERNO FANTOCCIO PER L’ITALIA
Pubblicato su 10 Maggio 2015 da FRONTE DI LIBERAZIONE DAI BANCHIERI - CM in
POLITICA
Nell’indifferenza generale proseguono le sconcertanti dichiarazioni sia da parte dei politici che da parte delle agenzie di rating sulla situazione italiana. Quelle che mi hanno colpito di più in questi giorni in cui, con l’approvazione dell’italicum, si è surrettiziamente modificata la forma di governo del paese sono quattro.
La prima certamente è stata quella di Alfredo D’Attorre, deputato PD, il quale in un’intervista trasmessa su LA7 ha candidamente affermato (davanti ad un muto e rassegnato Mario Adinolfi) che Renzi sta facendo interessi stranieri e che la disoccupazione è mantenuta alta volontariamente.
Neppure il tempo di rabbrividire per l’ammissione, ampiamente scontata per me e per gli amici di scenari economici, ed ecco arrivare tre dichiarazioni semplicemente incredibili, da parte di Renzi, Moody e del sempre presente (purtroppo) Mario Monti, una calamità perenne per il Paese.
Renzi, prima dell’approvazione dell’italicum, è saltato fuori con uno strepitoso “potete mandarci a casa ma non potete fermarci”.
Nessuno ovviamente ha pensato di chiedere all’abusivo inquilino di Palazzo Chigi chi è il soggetto che non può essere fermato ma tanto la risposta l’aveva già data D’Attorre: Renzi ovviamente si riferiva agli interessi della finanza.
Il “noi” che ha usato assomiglia tremendamente al “noi” che usano i tifosi sportivi quando la propria squadra vince.
Entrambi non contano nulla ed a vincere sono altri. Ma Renzi è fiero del suo ruolo che lo pone ad essere il capo degli schiavi.
L’agenzia di rating Moody, altrettanto incredibilmente, ha ribadito che l’Italia non è più sovrana ed indipendente (come se ci fosse bisogno di rimarcarlo ancora), affermando con la consueta spudoratezza che la sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni è una “sconfitta”. Ancora una volta è lecito domandarsi per chi. La risposta è sempre la stessa, è una sconfitta per la finanza che Moody rappresenta.
Il pagamento di pensioni più alte è un atto infatti che va nella direzione opposta alla distruzione dei consumi interni del paese e della deflazione che invece gli avversari della democrazia vogliono per cancellare gli ultimi barlumi di libertà.
Moody ha poi parlato dell’italicum e chiaramente il giudizio è stato fortemente positivo a patto che venga abolito anche il Senato elettivo e che dunque effettivamente un solo partito possa porsi al controllo della Nazione attraverso l’occupazione di tutti gli organismi istituzionali, occupazione assai semplice quando si ha la maggioranza assoluta nell’unica Camera.
Maggioranza che uno zoccolo d’uro di un centinaio di parlamentari eletti in base alle nomine dirette del partito rendono ancora più salda e sostanzialmente soggetta ad un vincolo di mandato indirettamente costituito.
Moody definisce la dittatura che consegue a tale nuova forma di governo con il termine “stabilità”.
L’agenzia dunque avrebbe certamente dato un ottimo voto anche al fascimo ed alla Legge Acerbo che consolidò la dittatura nel 1923. Anzi forse avrebbe espresso qualche dubbio, la legge Acerbo era troppo democratica, aveva le preferenze!
Con l’italicum la Repubblica Parlamentare cessa di esistere ed il potere legislativo e giudiziario vengono per sempre subordinati a quello esecutivo.
L’Italia diventa un protettorato in cui un governo fedele alla finanza non avrà più alcun problema ad eseguire gli ordini di volta in volta assegnati, senza fastidiosi ritardi.
Il bersaglio grosso è ovviamente giungere all’abrogazione della Costituzione che con i suoi principi fondamentali immutabili (quella italiana è una Costituzione rigida) rimane una spina nel fianco per il completo smantellamento dell’Italia come nazione sovrana ed indipendente.
Ma non è finita, poteva stare zitto in tutto questo Mario Monti? Certamente no.
Monti si è lanciato in una critica alla Corte Costituzionale per l’ineccepibile sentenza sulle pensioni. d’altronde è una sentenza che lo ha punto sul vivo poiché è stato uno dei provvedimenti di distruzione della domanda interna più efficaci del suo governo illegittimo.
Tale critica rappresenta, ancora una volta, il preludio ideologico a ciò che con l’italicum sarà possibile fare, ovvero nominare una Corte politica che non fermerà la distruzione della carta costituzionale.
Infatti con Parlamento e Presidente della Repubblica in mano alla maggioranza si potrà procedere a superare definitivamente la Costituzione senza timori di essere fermati dalla Corte preposta a difenderla.
Già si dice che la sentenza sulle pensioni sia stata emessa con un solo voto di scarto a favore dell’incostituzionalità. Ciò significa che sei giudici della Corte sono già pesantemente influenzati dalle volontà politiche perché davvero l’incostituzionalità era manifesta a chiunque. Sei giuristi di quel livello, se in buona fede o comunque liberi da condizionamenti, non potevano non accorgersene.
Ma torniamo alla dichiarazione. Precisamente Monti ha affermato: “La Corte Costituzionale guarda uno spicchio significativo di un intero problema, e cioè il blocco delle indicizzazioni delle pensioni, e forse non da altrettanto rilievo ad altri valori di pari rilievo costituzionale come per esempio il vincolo del pareggio in bilancio” e poi ha demenzialmente rincarato “Ma lassù, più in alto, c’è il mondo augusto e distaccato delle Corti Costituzionali”.
Il plurale, come per Renzi, non è un caso. Monti, quale uomo di spicco della finanza, odia tutte le Corti Costituzionali che ostacolano le cessioni di sovranità degli Stati, dunque non solo la Corte italiana.
Monti come di consueto è peraltro in malafede, altrimenti sarebbe un ignorante di proporzioni cosmiche e sappiamo molto bene che così non è.
Mentre Renzi certamente non è una cima e forse poco comprende di alcune dinamiche, Mario Monti è certamente un uomo dei poteri forti in grado sufficientemente elevato per avere chiaro il disegno complessivo.
Infatti è impossibile ritenere che Monti non sappia che i principi fondamentali della Costituzione ed i diritti inalienabili sono valori di rango costituzionale ben superiori all’insignificante pareggio in bilancio che addirittura non è compatibile con essi.
In una Repubblica fondata sul lavoro il pareggio in bilancio, peraltro introdotto proprio da Monti con un colpo di mano palesemente eversivo dell’ordine costituzionale, contrasta con la necessità di eseguire politiche di piena occupazione che inderogabilmente richiedono un deficit di bilancio nel lungo periodo.
L’art. 47 Cost. coerentemente con i principi fondamentali impone alla Repubblica di tutelare ed incoraggiare il risparmio in tutte le sue forme. Il risparmio, ovviamente, è matematicamente possibile solo con politiche di deficit. Se lo Stato tassa quanto spende, o addirittura di più (conseguendo l’avanzo primario che ci contraddistingue da vent’anni) è evidente a qualsiasi persona dotata di intelletto che il risparmio diviene matematicamente impossibile perché ogni anno la moneta che circolerà nell’economia reale diverrà sempre meno.
Il pareggio in bilancio rende dunque impossibile la crescita nel lungo periodo ed impedisce alla Repubblica di adempiere ai propri obblighi fondanti. Non potendo contrastarsi l’effetto del vincolo con il potenziamento delle esportazioni e ciò è sempre vero soprattutto nel lungo periodo.
Al contrario di quanto dice Monti la Corte, in futuro, non dovrà dunque preoccuparsi di analizzare questo vincolo per farlo prevalere sui principi fondamentali, ma anzi dovrà fare l’esatto opposto.
Attraverso una rimissione ad hoc, che spero possa arrivare già a luglio da parte del Tribunale di Genova nella causa da me intrapresa contro la Presidenza del Consiglio per le illegittime cessioni di sovranità compiute, chiarire il ruolo giuridico del deficit e della moneta mettendo fine, e questa volta per sempre, al crimine del pareggio in bilancio.
Esiste un solo limite quantitativo alla crescita economica ed è quello naturale, ovvero la presenza materiale sul pianeta di risorse sufficienti. Questo limite ovviamente non sarebbe superabile neppure per la tutela del lavoro, in quanto sarebbe materialmente impossibile.
Peraltro non si vede come non dovrebbe essere possibile evolvere con politiche ecologicamente sostenibili in campo economico. Farlo è possibile, basterebbe togliere il controllo a chi ha interessi opposti per ragioni di mero profitto. Guarda caso un’azione che la nostra Costituzione consentirebbe!
La linea da prendere dunque è semplicissima: basta fare il contrario di quello che chiede la Troika. Non serve nemmeno sforzarsi, ciò che loro dicono essere buono è per noi male e viceversa.
Quando i limiti dello sviluppo non dipendono dalla terra ma da scelte umane quali quella di rendere finito un bene per definizione infinito com’è la moneta, allora le ragioni sono unicamente politiche. Pertanto il bilanciamento dei valori costituzionali deve portare alla prevalenza dei principi fondanti dell’ordinamento.
Chi antepone la vita al pareggio in bilancio dovrebbe avere una casa molto specifica, quella circondariale (il carcere).
La Corte Costituzionale peraltro si è già espressa in questo senso con la sentenza n. 238/14 nella quale ha affermato la superiorità dei principi fondamentali e dei diritti inalienabili dell’uomo anche nei confronti dei Trattati UE che sono poi l’origine del pareggio in bilancio e più in generale della crisi economica.
Evidentemente questa sentenza non è sfuggita a Monti che sa bene che il successo del suo disegno criminoso che ha sposato passa necessariamente dal controllo sulla Corte Costituzionale.
Tali ragionamenti portano a concludere che la riforma dell’art. 81 Cost. voluta ed attuata dallo stesso nel 2012 rappresenta, in tutto e per tutto, un attentato alla costituzione perché ne ha tradito i valori e dunque Mario Monti e tutti coloro che consapevolmente hanno votato la riforma sono punibili ai sensi e per gli effetti dell’art. 283 c.p.
Vero che dopo l’assurda riforma del codice penale del 2006 l’attentato alla Costituzione o il mutamento della forma di governo (che è poi quanto accaduto surrettiziamente con l’italicum) sono puniti solo se compiuti con la violenza, ma è concetto ampiamente noto in giurisprudenza che la violenza sussiste anche quando vi è coercizione attraverso la cooptazione della volontà.
Lo strumento di coercizione con cui si è mutata la Costituzione e la forma di governo del Paese èovviamente la crisi economica, crisi che sempre Monti ha dichiarato essere lo strumento migliore, specialmente se la crisi è grave, per obbligare i popoli a cedere la propria sovranità. Infatti l’ex presidente del consiglio (tutto rigorosamente minuscolo) ci ha ricordato che senza gravi crisi i popoli rifiuterebbero le cessioni per il proprio senso di appartenenza nazionale.
C’è bisogno di aggiungere altro?
Il disegno criminale di smantellamento della democrazia costituzionale è in corso (e quasi compiuto) ed il fatto che la finanza voglia un governo fantoccio per il paese ormai è ammesso da una serie di dichirazioni sempre più folli.
Come sempre concludo chiedendomi che cosa stiano facendo alla Procura di Roma…
Per approfondimenti sui reati conseguenti le cessioni di sovranità troverete vari articoli sul mio sito www.studiolegalemarcomori.it
Per il tema incompatibilità costituzione e per il ruolo giuridico di deficit e moneta si consigliano invece i video dei convegni di www.riscossaitaliana.it
Tratto da:http://scenarieconomici.it/la-finanza-vuole-un-governo-fantoccio-per-litalia/
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La bolla si gonfia, il "botto" s'avvicina
Pubblicato su 10 Maggio 2015 da FRONTE DI LIBERAZIONE DAI BANCHIERI - CM in
ECONOMIA
Un grazie sentito a Enrico Marro, de IlSole24Ore (soltanto un'omonimia con quello del Corriere), per l'eccellente analisi che qui sotto riproponiamo. Non siamo mai larghi di complimenti con la stampa mainstream, ma quando ci vuole, ci vuole.
Viene infatti illustrato il meccanismo che ha consentito a Wall Street di restare sui livelli massimi degli ultimi anni, anzi di salire ancora un po', anche dopo la chiusura del lungo periodo di quantitative easing da parte delle Fderal Reserve, la banca centrale Usa. Un giochino semplice, in fondo, consistente nel riacquisto – e successiva eliminazione – di azioni parte delle stesse aziende che le hanno emesse.
Un giochino che crea scarsità di azioni, ne fa levitare il prezzo e garantisce quindi “premi di produzione” da favola per i consigli di amministrazione.
Il problema sistemico è che si tratta di un giochino costoso: le aziende che lo praticano devono spendere cifre rilevanti, a volte addirittura indebitandosi, per non produrre assolutamente nulla. Solo un effetto prezzo necessariamente temporaneo.
Giustamente Marro, appoggiandosi sull'analisi di Roberto Fugnoli di Kairos (ne abbiamo pubblicato anche noi delle analisi, a volte), sottolinea come chi fa questo giochino di fatto stia confessando di non aver più molto da vendere sul mercato (e consideriamo che si sta parlando di leader assoluti del mercato mondiale come Apple!). Ed anche il fatto che prima o poi, ma senza alcun dubbio, questo gioco finirà travolgendo sia le aziende coinvolte che tutti quanti vivono di mercato. Compresi i lavoratori dipendenti, le popolazioni nel loro complesso, ecc.
Naturalmente, questo è un segnale inequivocabile di crisi sistemica – vuole dire pressappoco “decisiva”, se non definitiva – del capitalismo attuale. Perché il profitto si trae con sempre minore margine dalle attività produttive e sempre di più viene sostituito con i "rendimenti" garantiti dall'ingegneria finanziaria più sofisticata. Purtroppo, le prime ha senso “fisico” (indipendentemente dalla fisicità delle singole merci), mentre la seconda è matematica pura. Che, com'è noto, “non si mangia” (non si guida, non si indossa, ecc), quindi è altamente "volatile". Un soufflé.
Cosa dobbiamo dunque attenderci? Non certo “la ripresa” (sta per chiudersi l'ottavo anno di crisi e sta per iniziare il nono; ogni trimestre rinviano “la luce in fondo al tunnel” alla fine dell'anno in corso....). Ma il “botto”. E più gonfiano la bolla, più sarà grande.
Non è l'unica anomalia che sta salendo dalle viscere dei mercati globali (basta guardare la “dissociazione” del Fmi dal resto della Troika sulla vicenda greca), ma possiede molte delle caratteristiche tipiche dei “casus belli”. Proprio come lo “schema Ponzi” del 1929 o i mutui subprime del 2007.
*****
La nuova droga di Wall Street si chiama buyback. Ecco come funziona «e perché rischia di farci male»
Enrico Marro
La nuova droga finanziaria che va di moda a Wall Street si chiama buyback. Roba potente, in cui si scivola quando ci si cerca di disintossicare dai vecchi stupefacenti, come l'ormai archiviato Quantitative Easing della Federal Reserve.
Ma che cosa sono i buyback?
Sono semplicemente il riacquisto delle proprie azioni da parte della società che le ha emesse. E visto che una compagnia non può essere azionista di se stessa, i titoli riacquistati vengono assorbiti e quindi cancellati. Il valore delle azioni circolanti finisce così per incrementarsi: essendocene meno sul mercato, ciascuna dà il diritto al possesso di un pezzo più grande dell'azienda. Compro le mie azioni e così facendo le faccio salire, assieme ai dividendi e – guarda caso - ai bonus dei top manager. Un giochetto sempre più di moda, come mostrano i dati degli ultimi anni. Vediamoli.
E' un giochetto sempre più di moda, nell'era dei tassi a zero: mi indebito spendendo poco o nulla e guadagno perché le azioni della mia società salgono. C'è anche questo dietro all'impressionante rally di Wall Street degli ultimi anni, come dimostra l'indicatore che misura le “dosi” di questa inebriante droga. Lo S&P500 Buyback Index segue i 100 titoli più attivi sul fronte riacquisti: se osserviamo il grafico di questo indice (vedi l'immagine qui sopra) vediamo che dal 2012 inizia a impennarsi per arrivare a raddoppiare in appena tre anni. E se sovrapponiamo il “Buyback Index” all'indice S&P500 vero e proprio, vediamo che il primo batte regolarmente il secondo in 17 degli ultimi 20 anni, con una progressione incredibile negli ultimi tre anni. Tanto che ora sono spuntati anche ETF proprio su quest'indice (in Europa il primo è quello lanciato da Amundi pochi giorni fa), per investire sul boom dei riacquisti. Che piace a tutti, a partire dalla società più grande del mondo, quella con una Mela come simbolo. La campionessa del buyback.
Tra i campioni del giochetto del buyback c'è Apple, il cui programma di riacquisto di azioni proprie ha toccato quota 140 miliardi di dollari. C'è anche questa magia dietro al volo delle azioni della Mela (+40% nel 2014). Ma il fenomeno è diffuso in società di ogni ordine e grado: Bloomberg l'anno scorso calcolava che le 500 maggiori società di Wall Street hanno investito nei buyback circa mille miliardi di dollari, pari al 95% dei loro profitti. Secondo Morgan Stanley dal 2012 più del 50% della crescita degli utili per azione si deve ai buyback: senza i riacquisti, gli utili per azione dello S&P 500 sarebbero aumentati di appena il 3,3% annualizzato. In un mondo di bassa crescita e ritorni fiacchi, la droga dei buyback sembra l'unica strada per remunerare gli azionisti. Per continuare a sognare, insomma. Ma il sogno potrebbe presto trasformarsi in incubo. Vediamo perché.
I buyback sono una droga piacevole e remunerativa, già nota durante le bolle del 2000 e del 2007, ma alla lunga pericolosa. Per tante ragioni, come spiega tra gli altri Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos. Primo: sono il modo meno produttivo di investire i profitti aziendali. «Le società ammettono, usando il cash per acquistare azioni proprie, di non avere molte idee per un uso produttivo della liquidità o, peggio ancora, di non avere fiducia nel futuro del loro settore», spiega Fugnoli. Secondo: alla prossima crisi ci troveremo con un mercato azionario «che cadrà da un livello gonfiato dai buyback e con società con uno stato patrimoniale meno solido di quello che avrebbero avuto restando ferme», sottolinea lo strategist di Kairos. E quelle che lo stesso Warren Buffett definisce quotazioni “gonfiate” potrebbero esplodere all'improvviso, precipitando. Senza contare il debito. Il gioco del buyback prevede infatti che si prendano soldi in prestito a tassi infimi. Così, come ha ricordato ieri il Wall Street Journal, in marzo il margin debt della Borsa di New York ha superato di slancio quota 476 miliardi, il livello più alto degli ultimi cinquant'anni. Tutto bello? Sì, finché la musica continua. Ma quando improvvisamente si fermerà, nel fuggi fuggi generale la liquidità sul mercato secondario rischia di prosciugarsi tutta d'un colpo. E allora sì che ne vedremo delle belle.
Tratto da:Home - contropiano.org
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Fornero denunciata per mobbing sociale: arriva la ribellione di 191 esodati
Pubblicato su 9 Maggio 2015 da FRONTE DI LIBERAZIONE DAI BANCHIERI - CM in
POLITICA
Detto fatto: arriva la denuncia contro l’ex ministro del Lavoro Elsa Fornero per mobbing sociale. Tutto questo perché la Riforma delle Pensioni, secondo la Ragioneria di Stato, ha prodotto 314.576 esodati, di cui solo 130mila sono stati salvaguardati nel raggiungimento della pensione. La denuncia parla di risarcimento dovuto e di danno psicologico da patema d’animo. E i tutelati non se la sono vista meglio.
ESODATI CONTRO LA FORNERO – I non salvaguardati sono 184.500 e proprio da loro è partito l’esposto contro il Ministro.
Come si sono organizzati? Si sono costituiti in comitati (contributori volontarie Quindicenni) e hanno presentato a nome delle persone giuridiche la denuncia al ministro.
Le cose ora stanno così: sono ormai partite le prime pratiche di salvaguardia, sullo scaglione di 65.000 relativo al primo iter legislativo (in totale gli interventi sono stati tre), e ora l’Inps mette i numeri online: sono 11mila ad oggi ad aver ricevuto la pensione.
Sulla denuncia ha invece spiegato tutto Francesco Flore, portavoce dei Contributori Volontari: “Sono serviti sei mesi per mettere assieme i documenti, tra cui i certificati medici di tanti esodati che hanno sofferto di patologie psicologiche derivanti dall’enorme stress subito”. Ci scrivono: “La Riforma Fornero delle pensioni, è ormai di pubblico dominio, era finalizzata a fare cassa immediata e ha finito per stravolgere la vita di centinaia di migliaia di persone. Si tratta di un procedimento giudiziale prima di tutto di natura dichiaratamente etico-morale ed è importante sottolineare che gli attori in giudizio chiedono un simbolico risarcimento danni di 10.000 euro ciascuno, che sarà quasi totalmente devoluto ad una costituenda associazione senza fini di lucro, con il fine di sostenere le famiglie indigenti dei colpiti dalla riforma previdenziale Monti-Fornero”.
Il ministro del lavoro Giovannini ha voluto precisare nell’imminenza di una ricognizione della platea. “Sia ben chiaro che la denuncia attiene esclusivamente all’operato del precedente Ministro”, ci scrivono gli esodati. “E non certamente del ministro Giovannini che, ne siamo certi, ed anche a seguito dei solenni impegni presi dal Presidente Letta nelle sue dichiarazioni programmatiche, si impegnerà proficuamente per risolvere alla radice il dramma dei cosiddetti esodati”.
LA RABBIA DEI 191 – Centonovantuno sono gli esodati coraggiosi che hanno partecipato attivamente alla denuncia. Altri 73 invece sono starti soltanto sostenitori. Hanno firmato l’atto di citazione del risarcimento del danno morale da sofferenza e patema d’animo seguito dallo studio legale Alleva di Bologna.
Sei mesi ci sono voluti per il raccoglimento del materiale che verrà man mano allegato nel procedimento civile durante le varie fasi.
Sono i comitati a spiegarci il perché del patema d’animo: “Il procedimento chiede il risarcimento del danno morale causato dalla gestione negligente, imperita ed assolutamente dilettantesca di questa riforma, che ha procurato un continuo allarme sociale e psicologico nei soggetti interessati dai provvedimenti in esame, mediante uno stillicidio di dichiarazioni e controdichiarazioni formali, ordini e contrordini, una vera e propria sequela di ‘docce gelate’ ininterrotta durata mesi e mesi e fatta di promesse (poi mancate) che, nel loro insieme, hanno letteralmente demolito la tenuta nervosa degli attori. Vi sono state, addirittura, in questa triste vicenda della politica italiana, le finali pubbliche ammissioni di un ministro del lavoro che ha candidamente confessato di essersi sbagliato nel computo dei soggetti esodati”.
POCHI SALVAGUARDATI – Sono loro stessi a raccontare l’inferno patito durante l’anno del Governo di Mario Monti. Una esigua parte di loro è stata sottoposta a vere e proprie lotterie nelle quali veniva estratto il diritto alla pensione.
Dovevano essere rispettate cavillose e capziose condizioni studiate a tavolino per escludere decine di migliaia di cittadini dal legittimo diritto alla pensione.
“Il senso della azione civile contro il Ministero del Lavoro – ha dichiarato ancora Francesco Flore – è quello di richiedere il risarcimento del danno morale patito in questi lunghi mesi. Con questo atto intendiamo pertanto chiamare il ministro responsabile a rispondere, nella sede più adeguata, del suo grave operato contro decinedi migliaia di famiglie italiane”.
Per contattare i vari comitati di esodati che si stanno muovendo in questo senso postiamo tutti i contatti a disposizione:
Per la “Rete dei Comitati degli Esodati”:
Angelo Moiraghi (Organizzazione “Rete dei Comitati di Esodati”);
e-mail [email protected];
I Comitati aderenti alla Rete:
COMITATO MOBILITATI ROMA E NAPOLI
Segreteria Comitato [email protected]
COMITATO LAVORATORI MOBILITA’ LODI
[email protected]
COMITATO ESONERATI P.A.
[email protected]
COMITATO LAVORATORI MOBILITA’ LIVORNO
[email protected]
COORDINAMENTO ESODATI ROMANI
[email protected]
COMITATO MOBILITATI MILANO
[email protected]
COMITATO AUTORIZZATI CONTRIBUTI VOLONTARI
[email protected]; [email protected]
COORDINAMENTO ”MOBILITATI, ESODATI” MILANO
[email protected]
COMITATO DIRIGENTI ESODATI
[email protected]
COMITATO ESODATIBANCARI
[email protected]
GRUPPO DONNE ESMOL (ESODATE MOBILITATE LICENZIATE)
[email protected]
COMITATO FONDI DI SOLIDARIETA’ di SETTORE FERROVIERI
[email protected]
COMITATO ESODATI PARMA
[email protected]
COMITATO LICENZIATI E CESSATI SENZA TUTELE
[email protected]
COMITATO “I QUINDICENNI”
[email protected]
Tratto da:infiltrato.it | Tutto quello che non ti vogliono far sapere
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GRECIA: L’ULTIMA PUNTATA CHE NON SI VEDE (di Francesca Donato)
Pubblicato su 9 Maggio 2015 da FRONTE DI LIBERAZIONE DAI BANCHIERI - CM in
ECONOMIA
La tragifarsa greca continua ad intrattenerci, con attori ormai sempre meno credibili: il bollitoTsipras, il lunatico Dijssenbloem, l’austera Merkel e l’algida Lagarde, con il contorno di un Varufakis ormai nelle retrovie, Schauble imbavagliato, i “mercati” altalenanti fra incauti ottimismi ed improvvisi attacchi di panico e noi, cittadini europei, spettatori sempre più confusi e perplessi.
L’ennesima “data soglia” del 12 maggio, prevedibilmente, non porterà nessuna svolta né soluzione della spinosa questione, e si rimanderà alla prossima puntata la quadratura del cerchio che dovrebbe “risolvere” la questione del debito greco.
L’ultimo scenario, delineatosi tra ieri ed oggi, vede un FMI che rimbrotta l’Eurogruppo intimandogli di considerare un haircut, cioè uno sconto sul debito greco verso la UE (mentre quello verso il FMI andrà pagato per intero, ovviamente). Ed improvvisamente, da Bruxelles arrivano segnali di apertura: in fondo l’haircut colpirebbe quasi unicamente i contribuenti, quindi – come insegna il FMI – si può anche essere generosi (con i crediti degli altri).
Nel frattempo, Tsipras continua a fare l’unica cosa che ha saputo fare – benissimo – sino ad oggi: perdere tempo. Anzi, secondo qualcuno (chi dà credito ad un’inconfessata linea strategica ordita da Varufakis per “preparare” il ritorno alla dracma) vuole prendere tempo.
Servirà? Sarà inutile? Alle borse l’ardua sentenza. Già, perché ormai il “sentiment” dei mercati decide molto più dei summit politico-economici.
Sino a ieri, sembrava che il default greco fosse inesorabile e vicinissimo. Oggi di nuovo pare allontanarsi. Questo balletto reggerà ancora per un po’, ma se la situazione non si stabilizzerà presto, in qualsiasi modo, la possibile “scivolata” rimane dietro l’angolo.
In parole povere, se i detentori di bond di paesi periferici dell’eurozona, visti come a “rischio” per gli alti debiti pubblici, vedessero le prossime manovre come una minaccia ai propri investimenti, potrebbe partire un’ondata di vendite che, magari incrociandosi con un’imprudente azione speculativa, potrebbe scatenare la tempesta perfetta.
Forse – anche se quasi nessuno lo dice ad alta voce – tale infausta evenienza potrebbe sopravvenire anche senza il passaggio attraverso la temutissima Grexit (che le banche vedono come il diluvio, e a ragione, nonostante i sorrisi e le rassicurazioni di facciata), per un susseguirsi di reazioni a catena che potrebbero innescarsi a partire da un’apparentemente innocua e semplice “ristrutturazione“.
Può ben darsi che queste prospettive siano eccessivamente fantasiose, chissà. Ma non sarebbe la prima volta che sulla scena politica economica accade che la realtà superi la fantasia.
Francesca Donato
Tratto da:GRECIA: L'ULTIMA PUNTATA CHE NON SI VEDE (di Francesca Donato) | Scenarieconomici.itScenarieconomici.it
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