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Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio


7 h · Modificato · https://www.facebook.com/pages/Abbattiamo-la-Frode-Bancaria-e-il-Signoraggio/208622872545749#




ALFREDO D'ATTORRE, DEPUTATO DEL PD AMMETTE IN DIRETTA TV: " È INUTILE CHE RENZI CI RIEMPIA DI BALLE SULLA RIPRESA, SA BENISSIMO ANCHE LUI CHE L'UE CI IMPONE UNA DISOCCUPAZIONE PARI ALMENO AL 12%, PER NON FAR AUMENTARE L'INFLAZIONE" ( = "PER TENERCI IN DEFLAZIONE" = PREZZI CHE CALANO, IMPRESE CHE CHIUDONO, LAVORO SOTTOPAGATO, INDEBITAMENTO GENERALE ndr)
http://jedasupport.altervista.org/…/disoccupazione-imposta…/




Disoccupazione alta imposta dall'Europa.Ammissione shock
AMMISSINE SHOCK in diretta di D'Attorre(PD).Disoccupazione imposta dall'Europa.Jobs Act imposto da Draghi a Renzi.Hanno anche la faccia di dirlo in...
jedasupport.altervista.org



http://jedasupport.altervista.org/blog/politica/disoccupazione-imposta-dall-europa/







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Nella foto un Black Bloc anni '70.
I colpi di stato in Italia e la strategia delle élite internazionali*
Spesso, quando si parla di “colpo di stato”, si intende il rovesciamento di un governomanu militari, ovvero avvalendosi dell'uso della forza e della minaccia delle armi.
Ma quello militare non è l'unica forma di colpo di stato possibile. Qualsiasi azione che abbia come fine la sostituzione delle cariche pubbliche o la caduta di un governo, può essere considerata golpista, anche se non si avvale della forza bellica.
In Italia ne esistono alcuni esempi, seppure inscritti dalle cronache nel normale corso storico “legittimo” delle istituzioni.
Nella storia repubblicana, dalla Costituzione del '48 ad oggi, si possono enumerare tre colpi di stato, differenti nella forma, ma tutti uniti da un identico filo rosso.

Il golpe del biennio '78-'79
quello giudiziario del '92
infine, quello economico-finanziario del novembre 2011

Il primo colpo di stato della storia Repubblica italiana (riuscito) è cominciato con un omicidio politico, quello di Aldo Moro. I fatti sono più o meno noti. Il rapimento dell'allora Presidente della Democrazia Cristiana da parte delle Brigate Rosse fino al suo assassinio e la conseguente chiusura del dialogo con i comunisti e della possibilità di un governo con il PCI voluto da Moro. La seconda fase del “biennio golpista” avvenne con l'incriminazione del Governatore della Banca d'Italia Paolo Baffi nel marzo del '79. Sebbene sarebbe stato presto prosciolto da tutte le accuse dovette dimettersi e, ad ottobre, il Presidente del Consiglio Cossiga suggerì come successore Carlo Azeglio Ciampi.
Che cosa hanno in comune questi due eventi? Nel 1979 l'Italia sarebbe entrata a far parte del Sistema Monetario Europeo, che avrebbe fissato il cambio valutario in una forbice di oscillazione. Moro era contrario a un'entrata nello SME immediata e sine conditio. Successivamente al suo omicidio, dopo un colloquio col cancelliere tedesco Helmut Schmidt, nel marzo del 1979, il Capo del Governo Giulio Andreotti ufficializzerà l'entrata dell'Italia nello SME. Paolo Baffi aveva una posizione moderata sul sistema di cambi ed era favorevole ad una banda di oscillazione molto ampia. Proprio nel marzo di quell'anno egli venne incriminato e costretto a dimettersi sei mesi dopo, durante il governo Cossiga, il quale nominò ai vertici della Banca Centrale Carlo Azeglio Ciampi, europeista convinto e monetarista. La linea Baffi, che assicurava la competitività dell'industria italiana e un cambio favorevole a quest'ultima, venne sconvolta. Ciampi inaugurò una nuova linea di direzione anti-inflazionistica e monetarista. Nel 1981, in accordo col Ministro Andreatta, verrà sancito il cosiddetto “divorzio” della Banca d'Italia col Tesoro in nome del principio neoliberale dell'indipendenza delle banche centrali. Nel 1987 verrà stabilito un cambio più rigido, riducendo la banda di oscillazione. Ciò provocherà la crisi speculativa del '92 e il crollo dello SME.
Questa successione di eventi, abbastanza serrata ('78, '79, '81, '87) testimonia di un cambiamento ai vertici delle istituzioni italiane. La linea Moro-Baffi, pro-industria, anti-deflazionistica, con una saggia politica monetaria, aveva accompagnato la crescita dell'Italia come potenza economica, la quale surclassò l'Inghilterra, preparandosi ad affiancare Francia e Germania. L'omicidio Moro e l'incriminazione di Baffi capitarono al culmine della crescita di competitività dell'industria italiana. Baffi aveva bene affrontato e risolto la crisi del '76 in un paio d'anni, con il deprezzamento della lira rispetto al marco e l'apprezzamento sul dollaro. La nuova linea Ciampi fu segnata invece da un irrigidimento del cambio che avrebbe poi portato nel '92 a bruciare le riserve valutarie italiane nel vano tentativo di salvare il sistema monetario. Dopo il biennio '78-'79 comincerà un lento declino dell'economia italiana. I salari smisero di crescere (in nome della lotta anti-inflazionistica) e le potenzialità del sistema economico nazionale vennero imbrigliate dal tasso di cambio fisso.
Già nel '79 con l'affaire Baffi era stata inaugurata una strategia golpistica che successivamente sarebbe stata ampiamente usata: ovvero le indagini giudiziarie come mezzo per “disinnescare” una classe politica non funzionale a certi interessi economici internazionali. Nel '92, infatti, si aprì la stagione di Manipulite, una “rivoluzione mediatico-giudiziaria” che avrebbe ottenuto l'azzeramento della classe politica dirigente della Prima Repubblica. Ovvero quella classe dirigente che, pur tra contraddizioni ed episodi di corruzione (molto esagerati dalla narrazione giornalistica) aveva permesso la crescita economica, la riduzione della disoccupazione e la crescita salariale. Quello che l'economista Marcello De Cecco ha definito, con una formula non priva di efficacia, “keynesismo criminale” fu sostituito da – potremmo dire – un “hayekismo virtuoso”. Ovvero contenimento dei disavanzi pubblici, moderazione salariale, crescita della disoccupazione e stagnazione economica.
L'ultimo colpo di stato si realizzò nel novembre del 2011, quando Silvio Berlusconi, allora Presidente del Consiglio, venne costretto alle dimissioni e sostituito da Mario Monti. I governi Berlusconi erano contraddistinti da un deficit di bilancio non accettato dalla burocrazia europea e dalla Banca Centrale Europea. Nonostante i tentativi di Berlusconi di rientrare nei parametri verso la fine del suo mandato, la banche tedesche iniziarono a vendere massicciamente titoli di stato italiani, provocando una crollo del rendimento di questi ultimi e di conseguenza una carenza di compratori. Con l'euro questo significava andare incontro al default. Subito dopo l'insediamento di Mario Monti (noto per i suoi ottimi rapporti con la cancelleria tedesca) i rendimenti dei titoli tornarono a salire. Ma era iniziata la cosiddetta “austerità” per l'Italia. Ovvero la ricezione delle richieste delle lobby in favore di privatizzazioni, tagli della spesa pubblica e aumento della pressione fiscale.
In questi tre golpe (o unica strategia svoltosi in tre atti) sono stati raggiunti diversi scopi: la politica monetaria fu sottratta ai governi, la finanza pubblica venne imbrigliata da accordi internazionali, l'industria di stato frammentata e privatizzata e la disoccupazione tenuta al di sopra di una certa soglia. Tutto ciò andò ovviamente a vantaggio delle élite finanziarie.
È possibile notare anche un intersecarsi di due diverse strategie: quelle dei servizi segreti e del governo americani, che cercavano di indebolire chiunque non si accordasse ottimamente con l'egemonia atlantica degli Stati Uniti sull'Occidente, e quelle dell'industria e della finanza tedesca, che miravano a indebolire il loro principale concorrente. L'assassinio di Moro serviva per impedire un governo con la partecipazione dei comunisti che, nonostante la svolta berlingueriana a favore della NATO del '76, non erano giudicati alleati affidabili dagli USA; ma di ciò giovò anche il progetto dell'area valutaria europea (prima SME e poi Maastricht) quindi la cancelleria tedesca e la Francia che poterono trovare un'Italia indebolita. Così, le dimissioni di Berlusconi nel 2011, fortemente volute e ricercate dalla Germania, ottennero il via libera da Obama, che poteva ottenere la fine del multilateralismo della politica estera italiana e dell'apertura a paesi che Washington intendeva sfidare apertamente, ovvero Russia e Libia (nonostante Berlusconi si fosse rimangiato la parola con Gheddafi).
L'Italia pagò un prezzo altissimo. L'azzeramento della sua classe politica dirigente, la perdita di settori industriali fondamentali, la perdita della sovranità sotto tutte le forme (economica, monetaria, politica). Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.


*Pubblicato anche sull'Intellettuale dissidente
 
Ultima modifica:
Marco Mori
Laura Boldrini tuona ancora contro la sovranità nazionale: chiesta la liquidazione della nazione.

Laura Boldrini ha colpito ancora. Con l’arroganza che la contraddistingue ha nuovamente invocato cessioni della sovranità nazionale.
Ecco l’ennesimo assurdo tweet:


che segue a questo:


Ora come noto le cessioni sono vietate dall’art. 11 Cost che acconsente unicamente alle mere limitazioni di sovranità finalizzate all’adesione dell’Italia ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra i popoli. Il divieto di cessioni è naturale ed ovvio visto che la sovranità appartiene, ex art. 1 Cost., al popolo.

Ma qui si vuole soprattutto ricordare altro. Ovvero che la sovranità è il potere d’imperio sul territorio di uno Stato. Anzi il potere d’imperio è proprio ciò che contraddistingue uno Stato. La sovranità e la conseguente indipendenza costituiscono quel particolare bene che prende il nome di personalità giuridica della nazione e che trova piena tutela nel capo I, titolo I del libro II del codice penale. Orbene per tale ragione, davvero scosso dall’ennesimo tweet di Laura Boldrini, in data odierna ho inviato questa lettera alla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma:



Ecco la trascrizione della missiva:

Rapallo, 11 maggio 2015
Spett.le
Procura Generale presso la Corte d’Appello di Roma
Piazza Adriana n. 2
Raccomandata a.r. 00193 Roma
Alla c.a.
Egr. Dott. Luigi Ciampoli
OGGETTO: Delitti contro la personalità dello Stato compiuti attraverso le cessioni di sovranità e la menomazione dell’indipendenza del Paese.
Redigo la presente al fine di significare, contestare e denunciare quanto segue.
Come a Voi noto il libro secondo del codice penale si apre con un titolo primo così rubricato: “dei delitti contro la personalità dello Stato”. Tali delitti mirano a tutelare quell’insieme di poteri che contraddistinguono l’essenza stessa dello Stato che è un’entità politica che governa ed esercita il potere sovrano su un determinato territorio.
L’art. 241 c.p. tutela espressamente la sovranità ma anche la mera indipendenza dello Stato ed è stato oggetto di modifica nel 2006, modifica che ha reso più difficile la configurabilità della fattispecie delittuosa posto che oggi il reato si consuma solo attraverso un atto violento, fermo restando che nella giurisprudenza, anche la mera coercizione, costituisce pacificamente violenza. L’art. 243 c.p., in conseguenza della citata riforma, diventa la norma residuale con cui punire qualsivoglia atto d’intelligenza (anche i meri accordi dunque) che possano costituire un atto ostile contro lo Stato. Ovvio che la menomazione della personalità giuridica di una nazione è pacificatamente un atto ostile, anzi è per definizione l’atto più ostile possibile risultando secondo solo ad un’ivasione armata del paese. Dunque, senza alcun tema di smentita, la cessione di sovranità nazionale e la menomazione dell’indipendenza dell’Italia costituiscono reato.
Orbene, e veniamo dunque al punto, la cessione di sovranità nazionale e la menomazione dell’indipendenza del paese è esattamente ciò che è avvenuto dal 1992 in poi con la stipula dei Trattati UE che sono, per espressa ammissione della classe politica e delle istituzioni europee, cessioni della sovranità nazionale.
Ultimamente abbiamo sentito Ministri della Repubblica e le più alte cariche dello Stato, tra cui l’ex Presidente Napolitano, chiedere espressamente la cessione della sovranità nazionale, ancora oggi la terza carica della Repubblica, il Ministro Laura Boldrini ha invocato con un tweet la cessione di sovranità. La Boldrini è recidiva visto che con tweet del 14.11.14 aveva addirittura chiesto di “vincere le resistenze a cedere quote di sovranità”.
L’esponente è tra gli avvocati che hanno reso pubblica, senza alcun timore, sul proprio sito (Avv. Marco Mori - Studio Legale) un atto di formale denuncia contro le più alte cariche dello Stato per il comportamento posto in essere, comportamento diretto allo smantellamento della personalità giuridica del paese. D’altronde l’art. 1 Cost. impone che la sovranità appartenga al popolo, se la stessa viene ceduta la democrazia semplicemente muore.
Nonostante ciò, da parte della Procura di Roma, per quanto è dato sapere dallo scrivente, non risultano indagini pendenti benché sia certa la sussistenza dei reati in parola. Chiedo dunque che la Procura Generale di Roma provveda all’avocazione delle indagini restando a disposizione per fornire tutti gli elementi utili al proseguo o all’apertura delle stesse.
Non me ne vorrà l’Ill.mo Procuratore Generale ma la gravità dei fatti in corso (con l’approvazione dell’Italicum e la modifica della Costituzione in corso addirittura si muta surrettiziamente la forma di governo, come rilevato anche da numerosi magistrati) mi impone l’obbligo di preavvertire che, in caso in cui anche la presente missiva rimanesse senza riscontro, sarei costretto a segnalare la circostanza alla Procura di Perugia in quanto competente a valutare l’eventuale ipotesi di sussistenza del reato di omissione d’atti d’ufficio da parte dei propri colleghi che fino ad oggi hanno apparentemente ignorato la consumazione di tali evidenti reati.
Concludo rammentatovi che Mario Monti, tempo fa (il video è facilmente reperibile anche su you tube), affermò che le crisi e le gravi crisi costituiscono lo strumento necessario a vincere la resistenza dei cittadini alla cessione della sovranità nazionale. Secondo Monti ciò avverrebbe in quanto il costo psicologico di non fare le cessioni, proprio grazie ad un crisi conclamata, diventa superiore a quello di farle. Insomma una piena confessione.
Non serve aggiungere altro.
I miei migliori saluti.
Con determinata osservanza.
Avv. Marco Mori
* * *​
La Procura dunque ha il dovere di procedere, aprire un’indagine è atto dovuto. Il codice penale e la Costituzione esistono ancora. Che perlomeno il Governo abbia il coraggio di cancellare entrambi prima di procedere oltre. Così la foglia di fico sarà definitivamente eliminata e sarà chiaro a tutti che, per i nostri rappresentati (che poi rappresentanti non sono a causa della loro illegittima elezione compiuta in forza del porcellum), l’Italia deve sparire.

Continuare a guardare rende complici, da parte mia sono certo di essere dalla parte giusta della storia.



http://scenarieconomici.it/laura-bo...onale-chiesta-la-liquidazione-della-nazione/#


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15 marzo 2013 ·
 
OUR FATHER 7 - LA FINE DELLA..."FINE DELLA STORIA" (TTIP E TTP)- L'ANESTESIA COLLETTIVA


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Il "gran finale" della maxi-inchiesta di Riccardo Seremedi ci posta in uno scenario sinistramente "familiare": privatizzazioni, derivati contratti da città "senza risorse" (anche per via delle delocalizzazioni seguite a liberalizzazioni dei capitali e trattati di libero scambio), ulteriori spinte alla privatizzazione, ulteriori strette sulla copertura pensionistica dei "survivals", calcoli del PIL opportunamente "aggiustati", crollo dei consumi innescata da un mercato del lavoro che acutizza le diseguaglianze di reddito, manifatturiero in dissoluzione, ordinativi in diminuzione e caduta degli investimenti.

Un paradigma al tramonto guidato da entità proteiformi e onnipossenti (nell'assetto politico USA...), che di fronte all'appuntamento con i rivolgimenti della Storia, non si fa scrupolo di trascinare con sè centinaia di milioni di cittadini, anestetizzati mediaticamente (nella migliore delle ipotesi).
La familiarità che, nella nostra realtà, abbiamo acquisito con con questi epifenomeni del tramonto dell'Occidente, ci riporta al rabbioso tramonto dell'euro e ai suoi "derivati".
Naturalmente, per accorgersi di essere in questa fase distopica della ex-civiltà delle grandi democrazie "illuministe", occorre voler superare la barriera di moralismo colpevolizzatore che i media addestrati dall'oligarchia finanziaria, in preda alla sua "rabbia" irresponsabile, riversano sulle masse occidentali.
E, purtroppo, non c'è da attendersi che il neo-incubo americano serva da "indicatore di allarme" sul nostro destino per questa opinione pubblica autoasservitasi ai propri oppressori.
E' molto più facile vivere nel senso di colpa il gigantesco aggiustamento a spese della collettività escogitato dalle elites al tramonto: si diffonde l'impressione sedativa che "emendarsi", espiare e liberarsi (transitoriamente) del peso di un'angoscia perennemente incombente, ci consenta di ritrovare una serenità "finale".
Ma questo solo grazie all'imposizione mediatica della totale rimozione del fatto che ogni serenità (solo teoricamente ritrovabile) si basa sul contingente inseguire notizie ad effetto, parziali e fuorvianti, connotate invariabilmente del moralismo instillato dai manovratori.
Quand'anche momentanea, infatti, questa "serenità" può reggersi solo su un concetto: "è meglio non sapere" (quante volte me lo sono sentito dire, negli ultimi anni!) e vivere la semplificazione (mediatica) del "delitto e castigo" che, catarticamente, ci fa illudere di poter continuare a vivere delle vite "come prima", vite delle quali, invece, abbiamo perso il controllo.
Perchè dietro ogni "crisi" e ogni colpa, non c'è una congiuntura astrale, una casualità magari determinata dalla nostra pigrizia e incautela: c'è un piano inclinato ben orientato, in modo che la "punizione", cioè la trasformazione imposta come "giusta espiazione", non abbia mai fine...
E dunque, la massa delle popolazioni europee è ormai rassegnata, nella sua stragrande maggioranza, a pagare il prezzo delle proprie colpe, kafkianamente costruite ad arte, rimuovendo la realtà dei fatti e accettando a livello inconscio la prospettiva di essere, in fondo, soltanto in attesa di un nuovo crollo.
Di esso, rimanendo in questa oscurità mediatizzata, si incolperà il caso cinico e baro, o indeterminati "ambienti speculativi": come se questi oscuri ambienti fossero distinguibili dai poteri economici neo-istituzionalizzati che ogni giorno perpetuano le forze implacabilmente messe in gioco, nel gigantesco casinò del capitalismo finanziario internazionalizzato.





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1. Un paradigma da rigettare
Quante volte abbiamo udito levarsi lamentazioni e lagnanze sulla presunta inattualità dello “Stato imprenditore”, ricettacolo di corruzione e malaffare ; non c'è settore della vita pubblica (pensioni, sanità, utenze domestiche, security, ecc.) nel quale la furia iconoclasta delle avanguardie mediatiche delle corporations non si sia abbattuta, e tutto per avvalorare l'idea che una “delega in bianco” a multinazionali e rentiers sia per noi vantaggiosa a prescinderein termini di efficienza e “moralità” - eliminando sprechi e corruzione che inibiscono potenzialità inespresse e, in ultima analisi, provocano l'aumento delle tariffe e del debito pubblico in generale.

Risulta allora di difficile comprensione – sia detto in termini puramente retorici, va da sé - il declino irreversibile del modello economico americano, dove la privatizzazione pressoché totale della società non ha – come abbiamo visto – “mantenuto le promesse” di efficienza, moralità e costi contenuti decantate dai suoi apologeti mentre, viceversa, ha portato alla creazione di oligopoli sempre più grandi e potenti, dove scandali, corruzione e aumento ingiustificato di costi e tariffe (in assenza di investimenti apprezzabili) hanno punteggiato le cronache di questi ultimi anni, dalle quali i cittadini emergono - more solito – sempre “cornuti e mazziati”.


2. Se le città falliscono: il caso di Detroit

Pensiamo soltanto alla vicenda di Detroithttps://www.blogger.com/null patria della General Motors -la cui bancarotta del luglio 2013è la palese espressione della crisi e della decadenza del capitalismo americano, unametropoli ridimensionata ed immiserita, dove un terzo degli edifici e della superficie metropolitana è abbandonata e in decadimento, catalogata come “food desert”, ovvero uno di quei luoghi dove la popolazione ha scarso accesso ad alimenti freschi; come sono lontani i bei tempi di William Crapo Durant e Pierre du Pont, quando la città del Michigan si avviava a diventare il simbolo dell'industria automobilistica e della potenza economica americane, segnata in seguito da anni di delocalizzazioni che hanno portato – poco a poco – allo smantellamento del tessuto industriale, arrivato all'acme con la firma del NAFTA (North American Free Trade Agreement): tra il 1972 e il 2007, Detroit ha perso l'80% della sua produzione e decine di migliaia di posti di lavoro.




“Counterpunch” riporta gli sviluppi post-fallimento e le “nuove idee” dell'”Emergency Manager” Kevyn Orr, colui a cui spetta il compito di gestire la fase intermediahttps://www.blogger.com/null che si è aperta dopo l'adesione al “Chapter 9″, la parte della legge fallimentare statunitense che permette alle amministrazioni pubbliche di ristrutturare il loro debito quando si trovano in dissesto finanziario.

La grande pensata del “liquidatore metropolitano” è fare cassa svendendo le utilities cittadine – quelle che danno profitti certi a rischio zero – alla consueta torma di grassatori in giacca e cravatta:https://www.blogger.com/null la vendita potenziale del “Detroit Water and Sewerage Department” (DWSD) è un altro sviluppo dell'idea che l'acqua, come per qualsiasi merce, esiste per produrre un profitto privato piuttosto che per essere una necessità pubblica.

Nonostante Detroit sia oggi una delle città più povere degli Stati Uniti, https://www.blogger.com/nullle tariffe del “carbone bianco” sono più che raddoppiate negli ultimi dieci anni – come riporta il “Left Labor Reporter” - e nel giugno dello scorso anno sono state ritoccate di un ulteriore +8,7%, giungendo a doppiare i costi rispetto al resto del paese, fino a 150-200 dollari a famiglia.


3. L'acqua è un bene comune, non una merce
L’escalation delle tariffe è iniziata nel 2013, quando l’amministrazione comunale ha dichiarato bancarotta ed ha aperto il vaso di Pandora dei processi di privatizzazione e svendita di tutto il patrimonio pubblico, arrivando - tra marzo e giugno 2014 – a sospendere il servizio a circa 12.500 utenze che non riuscivano a pagare le bollette, una strategia di recupero crediti che il DWSD ha lanciato per presentare la società in una veste più attraente agli occhi degli investitori privati, rendendo però impossibile alla metà degli utenti la regolarità nei pagamenti; https://www.blogger.com/nullattualmente, circa 17.000 abitanti di Detroit non fruiscono più di acqua corrente (https://www.blogger.com/nulli residenti possono vedersi privati dell'erogazione anche per non più di 150 dollari di debito), una scelta disparitaria poiché ha risparmiato i grandi utenti aziendali, responsabili di circa la metà delle morosità, dove solo 40 trasgressori hanno - secondo il Dipartimento - conti scaduti che vanno da circa 35.000 a più di 430.000 dollari.

L'evidente insostenibilità della situazione ha spinto la popolazione - supportata dagli attivisti locali della “Detroit People's Water Bord” e dalle organizzazioni americane e canadesi “Food and Water Watch” e “Blue Planet Project” - a richiedere l’intervento delle Nazioni Unite; la risposta della Special Rapporteur per il diritto all’acqua, Catarina de Albuquerque, non si è fatta attendere: in un comunicato, la Albuquerque ha dichiarato che “i distacchi dovuti a mancati pagamenti per mancanza di risorse economiche costituiscono una violazione del diritto umano all’acqua. Essi sono infatti ammissibili solo se può essere dimostrata la solvibilità dell’utente. In altre parole se l’impossibilità di pagare è oggettiva il distacco costituisce una violazione dei diritti umani.”


Il DWSD fornisce circa 600 milioni di galloni di acqua al giorno a Detroit e a 127 comunità suburbane in 7 contee, fatturando circa 1 miliardo di dollari all'anno con un favorevole rapporto costi-ricavi ; https://www.blogger.com/nullse il sistema idrico fosse privatizzato, il bilancio della città di Detroit riceverebbe un piccolo sollievo temporaneo ma rinuncerebbe ai futuri ricavi, perdendo altresì il controllo di un bene pubblico costruito con denaro pubblico, ed è appena il caso di ricordare che la cessione dei servizi idrici - a domanda anelastica, gestiti necessariamente in regime di monopolio naturale - alle multinazionali dell'acqua reca sempre in dote aumenti considerevoli nelle tariffe, come hanno recentemente sperimentato 5 città della Pennsylvania, dove le bollette sono arrivate a più che triplicarsi.




4. Derivati alla deriva

https://www.blogger.com/nullUna delle concause nella caduta di Detroit è da ricondursi anche alla sottoscrizione di complicati strumenti finanziari come i derivati legati alle obbligazioni municipali, e vi è il fondato sospetto che il DWSD abbia pagato alle banche 537 milioni di dollari in penali per uscire dai suoi “interest-rate default swaps”; invece di limitarsi a vendere obbligazioni “plain vanilla” - corrispondendo ai detentori un importo stabilito e pianificato nel tempo - Detroit (come molte altre amministrazioni) si è impelagata in questi contratti, ritenendoli una forma di assicurazione a copertura del rialzo dei tassi di interesse: la loro prevedibile discesa – per effetto della politica monetaria della banca centrale, tipica in una recessione - ha invece lasciato l'amministrazione scoperta per grandi somme di denaro, e il “Financial Times” riporta che ciò costerà a Detroit 2,7 miliardi di dollari per ripagare 1,4 miliardi di dollari di prestiti ricevuti, inclusi 502 milioni di dollari in pagamenti di interessi e 770 milioni di dollari come costo sui derivati: tra l'altro, i 537 milioni di dollari versati dal DWSD alle banche, per cessare i pagamenti extra a copertura degli swaps, sono più di quattro volte l'intera bolletta dell'acqua scaduta, sia residenziale che commerciale.


5. Anche Chicago è in difficoltà

Negli ultimi anni diverse città americane hanno dichiarato fallimento, molte in CaliforniaStockton, San Bernardino, Vallejo, per citarne solo alcune - mentre altre sembrano sul punto di aggiungersi al club e, tra queste, Chicago sembra quella messa peggio; lo scorso febbraio, Moody's ne ha declassato il rating a Baa2 - a due passi sopra il livello “spazzatura” - https://www.blogger.com/nulle ciò potrebbe innescare la cessazione immediata di quattro accordi di “interest-rate swaps” (ancora loro) - un onere di circa 58 milioni di dollari - avvertendo che il giudizio potrebbe peggiorare ulteriormente, e portare a costi più elevati in futuro, se le banche decidessero di interrompere altre operazioni di copertura sui tassi di interesse contro le fluttuazioni degli stessi.
Tali “pizzini” sono del tutto conformi alla consolidata prassi che vede i banchieri di Wall Street “dettare la linea” sulle opzioni di spesa delle amministrazioni pubbliche; l'oggetto del contendere è qui rappresentato dai fondi pensione - troppo generosi, a loro dire – e pertanto si minaccia un declassamento “a cascata” - che https://www.blogger.com/nullesporrebbe Chicago a dei pagamenti immediati e a sensibili variazioni nei tassi di interesse (e alla probabile insolvenza) – se il vulnus non verrà sanato: Chicago detiene contratti swap relativi a 2,67 miliardi dollari di debiti, e l'articolo di “Reuters” illustra diversi scenari in proposito, tutti estremamente sfavorevoli, che dimostrano come le grandi banche d'affari e le agenzie di rating (che sono, in effetti, entità sovrapponibili) tengano in pugno la metropoli dell'Illinois: la stessa https://www.blogger.com/nullStandard & Poor's ha paventato un possibile downgrade multiplo se quest'anno la città non presenterà un piano sostenibile per far fronte ai propri crescenti contributi pensionistici.



6. La fabbrica del consenso reloaded: numeri in allegria

Quanto fin qui esposto dovrebbe rendere abbastanza evidente che l'economia americana non è affatto - e non può essere - quella “locomotiva mondiale” di cui si favoleggia nella “catena di montaggio” della “fabbrica del consenso”, e gli stessi dati (e successive revisioni) del PIL, che dovrebbero suffragare tale asserzione, scontano una certa qual dose di aleatorietà derivante da numeri aggiustati e adattati, aggregati e disaggregati alla bisogna, da farli ritenere poco attendibili; una pratica che ricorda la stessa maestria e disinvoltura di un sarto nell'atto di confezionare un abito per un cliente fisicamente poco proporzionato.
Aveva fatto gridare al miracolo la revisione del “Bureau of Economic Analysis”, secondo il quale la crescita del 3° trimestre 2014 era arrivata a toccare addirittura il 5% , ma “Zero Hedge” ha scoperto cose assai interessanti sul “taglia e cuci” dei sarti della “maison Obama”: https://www.blogger.com/nullanalizzando – a fine giugno - la revisione definitiva del 1° trimestre 2014 (Q1), Tyler Durden si è accorto che il BEA aveva rimosso i pagamenti di ObamaCare dai risultati già deludenti di quel trimestre, un fattore sospetto che lo aveva portato a scommettere sulla loro riutilizzazione in uno dei trimestri successivi.

Questo è esattamente quello che è successo nel Q3, dove i 2/3 della "spinta" del consumo personale provengono dallo stesso ObamaCare che inizialmente avrebbe dovuto incrementare proprio il PIL del Q1, fino a quando i pessimi numeri di quest'ultimo hanno “suggerito” al BEA di estrarre i circa 40 miliardi di dollari in PCE (Personal Consumption Expenditures) da quel trimestre oramai compromesso e riutilizzarli in un altro, nella fattispecie il 3°: del resto, sarebbe bastato dare un'occhiata alla rilevazione dello stesso periodo dell'anno precedente (2,7%) per rendersi conto che la situazione economica generale non poteva giustificare un simile miglioramento nell'arco di 12 mesi.

E infatti il successivo Q4 del 2014 secondo l'ultima (?) revisione di qualche giorno fa – è ritornato ad attestarsi intorno al 2,2%, ben sotto il trimestre precedente e le aspettative degli stessi analisti; e non va meglio con le previsioni del 1° trimestre del 2015: la FED di Atlanta ha rivisto le proiezioni già diverse volte, passando dal quasi 2,5% di febbraio fino allo 0,2% di fine marzo.


7. Vendite al dettaglio in affanno

I dati che arrivano dall'economia reale lasciano poco spazio per voli pindarici; le vendite al dettaglio collassano, e focalizzando la nostra attenzione solo nel recente passato abbiamo il flop del “Thanksgiving Day” e del “BlackFriday” - il weekend lungo del Giorno del Ringraziamento, dedicato tradizionalmente allo shopping - con un calo dell'11% (negozi e web) , e la serie negativa (dicembre: - 09% ; gennaio: - 0,8% ; febbraio: - 0,6%) più lunga dal crash Lehman.

E che dire del simbolo per antonomasia del consumismo americano, lo shopping mall?

https://www.blogger.com/nullIn tutta l'America, grandi centri commerciali un tempo rutilanti ed affollati sono ora in fase declinante e in disfacimento; famose catene di negozi ad alto richiamo come Sears e JCPenney stanno chiudendo i loro punti vendita e i proprietari dei centri commerciali stanno avendo difficoltà nel trovare dei rivenditori abbastanza grandi per sostituirli; con una nuova ondata di chiusure all'orizzonte, circa il 15% dei centri commerciali statunitensi fallirà o sarà trasformato in spazio non-retail entro i prossimi 10 anni.
Dal 2010, più di due dozzine di grandi spazi commerciali sono stati chiusi mentre altri 60 sono in bilico, e con la disuguaglianza di reddito che continua ad allargarsi solo gli shopping malls di fascia alta riescono a mantenere un accettabile livello di vendite, a differenza di quelli frequentati dalla middle class e dal proletariato.



8. Nuvole nere all'orizzonte

L'indice PMI (Purchasing Managers Index) della “Kansas City Fed” -https://www.blogger.com/null che monitora la salute economica del settore manifatturiero riferito a: nuovi ordini, livelli di magazzino, produzione, consegne dei fornitori e ambiente di lavoro - è precipitato di un - 4 a marzo (contro le aspettative di + 1), un livello toccato nel febbraio 2013; l'indice ha ormai perso 6 puntidegli ultimi 8 mesi e il rapporto è un disastro su tutta la linea: i nuovi ordini sono crollati a - 20(2° registrazione più bassa dal crash Lehman), portafoglio ordini inevasi imploso, la settimana lavorativa media è crollata a -17 (valore più basso post Lehman), e le aspettative futuredel capex (investimenti in conto capitale per l'acquisto di beni durevoli, come ad esempio i macchinari) sonoscese al minimo da cinque anni
Uno degli intervistati ha osservato: "non vediamo l'economia forte come viene dipinta nei rapporti dei media nazionali".



E come se non bastasse, c'è il crollo del settore dello scisto – le cui conseguenze stanno appena emergendo - a far vacillare anche “Lady Liberty”; il 13 gennaio, la FED di Dallas prevedeva che nel solo Texas 140.000 posti di lavoro potrebbero essere eliminati e la Schlumberger - prima società di servizi petroliferi del mondo - taglierà 9.000 posti di lavoro, dopo che l’utile netto del quarto trimestre 2014 è sprofondato dell’81% a causa di svalutazioni da 1,6 miliardi di dollari delle attività produttive in Texas.

Come scrive William Engdahl “[...] il boom del petrolio di scisto negli Stati Uniti era una bolla di Wall Street, come già abbiamo notato, alimentato dalla Federal Reserve con tassi di interesse a zero e banche di Wall Street alla disperata ricerca di prestiti dopo il crollo della bolla immobiliare nel 2008. Hanno fatto grassi profitti sottoscrivendo 'junk bonds' per le compagnie petrolifere dello scisto, molte delle quali di piccole e medie dimensioni che ora scompariranno (…) fino a quando i tassi d’interesse negli Stati Uniti erano bassi, negli ultimi sei anni, e il prezzo del petrolio era oltre i 100 dollari al barile, le compagnie petrolifere potevano accollarsi il rischio e le banche prestare con liberalità. Ora avviene una brusca frenata mentre i proventi del petrolio crollano del 40-50%, negli ultimi sette mesi. Fintanto che i prezzi erano alti, le compagnie petrolifere dello scisto potevano avere prestiti come se non ci fosse un domani [...]”.




9. Una volta Francis Fukuyama mi disse che...

L'élite finanziaria americana e i suoi “political puppets” sono sicuramente coscienti della insostenibilità economica e sociale interna, e di quanto l'accelerazione del declino del dollaro - ad opera, soprattutto, di Russia e Cina – come valuta di riserva e strumento internazionale di pagamento, ponga lorodeiproblemi quasi insolubili ; gli Stati Uniti, venendo meno il loro diritto di signoraggio, sarebbero ora obbligati a compiere drastici aggiustamenti strutturali, poiché non potrebbero più permettersi di aprire un passivo della bilancia commerciale in condizioni di totale impunità.
Invece di prendere atto dell'inevitabilità del crepuscolo, rassegnandosi alla fine della “fine della storia” e adoperandosi per una gestione multipolare e più equilibrata della politica mondiale – convocando, ad esempio, una sorta di Bretton Wood II per definire un nuovo assetto monetario mondialeWashington,come al solito, pensa di risolvere i suoi problemi scaricandoli sui presunti “preziosi alleati”.
E' da vedersi in quest'ottica la fretta con cui Wall Street e Corporate America vogliono arrivare alla firma di trattati come TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) e TTP (Trans-Pacific Partnership), due cavalli di Troia attraverso i quali le corporations d'oltreoceano mirano a rafforzare, in maniera definitiva, il controllo economico su due macroaree strategiche a ridosso di Russia e Cina nel tentativo di impedirne lo sviluppo e che, nel caso del TTIP arriverebbero nel Vecchio Continente “[...] per riversarsi sui pochi settori industriali ancora in vita e sul vecchio e, specialmente, nuovo settore dei servizi; quest'ultimo verrà creato privatizzando pensioni e sanità, da devolvere a soggetti finanziari stranieri cui si aprirebbe un ghiotto mercato in Europa […]”, dove le eventuali controversie tra stati e multinazionali verrebbero definite “[…] mediante diritto internazionale autoapplicativo, enforcedda arbitri privati pagati dalle multinazionali [...]”, come scrive il giurista Luciano Barra Caracciolo.




10. “Gli Stati Uniti hanno bisogno di una guerra”

Diversi commentatori e politologi, come ad esempio Paul Craig Roberts, ritengono che Washington stia cercando uno scontro armato – magari anche una “guerra per procura”, con gli europei nel ruolo degli “utili idioti” - per risolvere tutti i propri problemi economici, avendo bene in mente che i semi della destabilizzazione in Medio Oriente e soprattutto i venti di guerra che spirano ai confini della Russia, dove USA e NATO stanno ammassando truppe e armamenti pesanti, sono due facce della stessa medaglia; Sergei Glaziev, economista e consigliere di Putin, ha sviluppato un'analisi molto lucida degli odierni accadimenti, come capita ormai raramente di ascoltare, specie in Italia :
“[…] Ora gli Stati Uniti vogliono ancora mantenere la loro leadership a spese dell'Europa.
Questo processo è minacciato da una Cina in rapida espansione. Il mondo oggi sta slittando su un altro ciclo, questa volta politico. Questi cicli hanno una durata di secoli e sono associati con le istituzioni globali che regolano l'economia. Oggi stiamo passando dal ciclo americano dell'accumulo del capitale a un ciclo asiatico.
Questa è un'altra crisi che sta sfidando l'egemonia americana. Gli americani, per mantenere la loro posizione di egemonia di fronte alla competizione con la Cina e con altre nazioni asiatiche emergenti, stanno iniziando una guerra in Europa. Vogliono indebolire l'Europa, spezzare la Russia e soggiogare l'intero continente europeo. E così, invece della zona di sviluppo da Lisbona a Vladivostok offerta dal presidente Putin, gli Stati Uniti vogliono iniziare una guerra caotica su questo territorio, coinvolgere l'Europa in questa guerra, svalutare il capitale europeo, cancellare il proprio debito pubblico, sotto il cui fardello gli Stati Uniti stanno già cominciando a crollare, annullare i debiti che hanno con la Russia e con l'Europa, soggiogare i nostri spazi economici e stabilire il controllo sulle risorse del gigantesco territorio eurasiatico. Credono che questa sia la loro unica maniera per mantenere l'egemonia nel mondo e superare la Cina [...]”.





11.Requiem
In conclusione, tanto per ricordare chi comanda negli Stati Uniti, è sintomatico il modo con il quale le banche di Wall Street continuano a giocare al “Casino Royalesenza alcun ritegno, ben sapendo che – in caso di necessità - i contribuenti saranno nuovamente forzati a salvare loro i glutei;https://www.blogger.com/null lo scorso dicembre, durante le discussioni e le votazioni al Congresso sul nuovo piano di spesa del governo, è accaduto che Citigroup (e JPMorgan Chase)sia riuscita a far inserire furtivamente la sua legislazione di deregolamentazione sui derivati nel “Cromnibus”, il piano di spesa da 1.1 trilioni di dollari che vincolerà il budget governativo fino al prossimo settembre (si chiama Cromnibus perché è la “Continuing Resolution” (CR) del piano di spesa omnibus).
Citigroup, con la partecipazione volontaria del Congresso e di Obama, ha impostato il paese verso il prossimo crollo finanziario in cui appare destinata a giocare un altro ruolo da protagonista, visto che la legislazione appena approvata dal Congresso permette a Citigroup e ad altre banche di Wall Street di mantenere i loro assets più rischiosi - interest rate swap e altri derivati - nell'unità bancaria che è supportata dall'assicurazione federale sui depositi FDIC (Federal Deposit Insurance Corp.), che è - a sua volta – supportata dai contribuenti americani, assicurandosi così un altro piano di salvataggio se il bubbone dei derivati dovesse scoppiare ancora una volta.
Secondo i dati di Bloomberg, negli ultimi cinque anni - quando si supponeva che la riforma finanziaria Dodd-Frank avrebbe reso più sicure queste mega banche - Citigroup ha aumentato il valore nozionale dei derivati nei propri libri contabili del 69%: lo scorso giugno, secondo Bloomberg, Citigroup aveva 62 trilioni di dollari in contratti aperti, contro i 37 trilioni di dollari del giugno 2009.





La “Sabbia del Tempo” nella clessidra è ormai agli sgoccioli...




“Prima o poi verrà un crollo, e sarà forse terribile”. (Roger Babson, settembre 1929)


Pubblicato da Quarantotto a 19:06 18 commenti: Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest






venerdì 8 maggio 2015
 
OUR FATHER 7 - LA FINE DELLA..."FINE DELLA STORIA" (TTIP E TTP)- L'ANESTESIA COLLETTIVA


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Il "gran finale" della maxi-inchiesta di Riccardo Seremedi ci posta in uno scenario sinistramente "familiare": privatizzazioni, derivati contratti da città "senza risorse" (anche per via delle delocalizzazioni seguite a liberalizzazioni dei capitali e trattati di libero scambio), ulteriori spinte alla privatizzazione, ulteriori strette sulla copertura pensionistica dei "survivals", calcoli del PIL opportunamente "aggiustati", crollo dei consumi innescata da un mercato del lavoro che acutizza le diseguaglianze di reddito, manifatturiero in dissoluzione, ordinativi in diminuzione e caduta degli investimenti.

Un paradigma al tramonto guidato da entità proteiformi e onnipossenti (nell'assetto politico USA...), che di fronte all'appuntamento con i rivolgimenti della Storia, non si fa scrupolo di trascinare con sè centinaia di milioni di cittadini, anestetizzati mediaticamente (nella migliore delle ipotesi).
La familiarità che, nella nostra realtà, abbiamo acquisito con con questi epifenomeni del tramonto dell'Occidente, ci riporta al rabbioso tramonto dell'euro e ai suoi "derivati".
Naturalmente, per accorgersi di essere in questa fase distopica della ex-civiltà delle grandi democrazie "illuministe", occorre voler superare la barriera di moralismo colpevolizzatore che i media addestrati dall'oligarchia finanziaria, in preda alla sua "rabbia" irresponsabile, riversano sulle masse occidentali.
E, purtroppo, non c'è da attendersi che il neo-incubo americano serva da "indicatore di allarme" sul nostro destino per questa opinione pubblica autoasservitasi ai propri oppressori.
E' molto più facile vivere nel senso di colpa il gigantesco aggiustamento a spese della collettività escogitato dalle elites al tramonto: si diffonde l'impressione sedativa che "emendarsi", espiare e liberarsi (transitoriamente) del peso di un'angoscia perennemente incombente, ci consenta di ritrovare una serenità "finale".
Ma questo solo grazie all'imposizione mediatica della totale rimozione del fatto che ogni serenità (solo teoricamente ritrovabile) si basa sul contingente inseguire notizie ad effetto, parziali e fuorvianti, connotate invariabilmente del moralismo instillato dai manovratori.
Quand'anche momentanea, infatti, questa "serenità" può reggersi solo su un concetto: "è meglio non sapere" (quante volte me lo sono sentito dire, negli ultimi anni!) e vivere la semplificazione (mediatica) del "delitto e castigo" che, catarticamente, ci fa illudere di poter continuare a vivere delle vite "come prima", vite delle quali, invece, abbiamo perso il controllo.
Perchè dietro ogni "crisi" e ogni colpa, non c'è una congiuntura astrale, una casualità magari determinata dalla nostra pigrizia e incautela: c'è un piano inclinato ben orientato, in modo che la "punizione", cioè la trasformazione imposta come "giusta espiazione", non abbia mai fine...
E dunque, la massa delle popolazioni europee è ormai rassegnata, nella sua stragrande maggioranza, a pagare il prezzo delle proprie colpe, kafkianamente costruite ad arte, rimuovendo la realtà dei fatti e accettando a livello inconscio la prospettiva di essere, in fondo, soltanto in attesa di un nuovo crollo.
Di esso, rimanendo in questa oscurità mediatizzata, si incolperà il caso cinico e baro, o indeterminati "ambienti speculativi": come se questi oscuri ambienti fossero distinguibili dai poteri economici neo-istituzionalizzati che ogni giorno perpetuano le forze implacabilmente messe in gioco, nel gigantesco casinò del capitalismo finanziario internazionalizzato.





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1. Un paradigma da rigettare
Quante volte abbiamo udito levarsi lamentazioni e lagnanze sulla presunta inattualità dello “Stato imprenditore”, ricettacolo di corruzione e malaffare ; non c'è settore della vita pubblica (pensioni, sanità, utenze domestiche, security, ecc.) nel quale la furia iconoclasta delle avanguardie mediatiche delle corporations non si sia abbattuta, e tutto per avvalorare l'idea che una “delega in bianco” a multinazionali e rentiers sia per noi vantaggiosa a prescinderein termini di efficienza e “moralità” - eliminando sprechi e corruzione che inibiscono potenzialità inespresse e, in ultima analisi, provocano l'aumento delle tariffe e del debito pubblico in generale.

Risulta allora di difficile comprensione – sia detto in termini puramente retorici, va da sé - il declino irreversibile del modello economico americano, dove la privatizzazione pressoché totale della società non ha – come abbiamo visto – “mantenuto le promesse” di efficienza, moralità e costi contenuti decantate dai suoi apologeti mentre, viceversa, ha portato alla creazione di oligopoli sempre più grandi e potenti, dove scandali, corruzione e aumento ingiustificato di costi e tariffe (in assenza di investimenti apprezzabili) hanno punteggiato le cronache di questi ultimi anni, dalle quali i cittadini emergono - more solito – sempre “cornuti e mazziati”.


2. Se le città falliscono: il caso di Detroit

Pensiamo soltanto alla vicenda di Detroithttps://www.blogger.com/null patria della General Motors -la cui bancarotta del luglio 2013è la palese espressione della crisi e della decadenza del capitalismo americano, unametropoli ridimensionata ed immiserita, dove un terzo degli edifici e della superficie metropolitana è abbandonata e in decadimento, catalogata come “food desert”, ovvero uno di quei luoghi dove la popolazione ha scarso accesso ad alimenti freschi; come sono lontani i bei tempi di William Crapo Durant e Pierre du Pont, quando la città del Michigan si avviava a diventare il simbolo dell'industria automobilistica e della potenza economica americane, segnata in seguito da anni di delocalizzazioni che hanno portato – poco a poco – allo smantellamento del tessuto industriale, arrivato all'acme con la firma del NAFTA (North American Free Trade Agreement): tra il 1972 e il 2007, Detroit ha perso l'80% della sua produzione e decine di migliaia di posti di lavoro.




“Counterpunch” riporta gli sviluppi post-fallimento e le “nuove idee” dell'”Emergency Manager” Kevyn Orr, colui a cui spetta il compito di gestire la fase intermediahttps://www.blogger.com/null che si è aperta dopo l'adesione al “Chapter 9″, la parte della legge fallimentare statunitense che permette alle amministrazioni pubbliche di ristrutturare il loro debito quando si trovano in dissesto finanziario.

La grande pensata del “liquidatore metropolitano” è fare cassa svendendo le utilities cittadine – quelle che danno profitti certi a rischio zero – alla consueta torma di grassatori in giacca e cravatta:https://www.blogger.com/null la vendita potenziale del “Detroit Water and Sewerage Department” (DWSD) è un altro sviluppo dell'idea che l'acqua, come per qualsiasi merce, esiste per produrre un profitto privato piuttosto che per essere una necessità pubblica.

Nonostante Detroit sia oggi una delle città più povere degli Stati Uniti, https://www.blogger.com/nullle tariffe del “carbone bianco” sono più che raddoppiate negli ultimi dieci anni – come riporta il “Left Labor Reporter” - e nel giugno dello scorso anno sono state ritoccate di un ulteriore +8,7%, giungendo a doppiare i costi rispetto al resto del paese, fino a 150-200 dollari a famiglia.


3. L'acqua è un bene comune, non una merce
L’escalation delle tariffe è iniziata nel 2013, quando l’amministrazione comunale ha dichiarato bancarotta ed ha aperto il vaso di Pandora dei processi di privatizzazione e svendita di tutto il patrimonio pubblico, arrivando - tra marzo e giugno 2014 – a sospendere il servizio a circa 12.500 utenze che non riuscivano a pagare le bollette, una strategia di recupero crediti che il DWSD ha lanciato per presentare la società in una veste più attraente agli occhi degli investitori privati, rendendo però impossibile alla metà degli utenti la regolarità nei pagamenti; https://www.blogger.com/nullattualmente, circa 17.000 abitanti di Detroit non fruiscono più di acqua corrente (https://www.blogger.com/nulli residenti possono vedersi privati dell'erogazione anche per non più di 150 dollari di debito), una scelta disparitaria poiché ha risparmiato i grandi utenti aziendali, responsabili di circa la metà delle morosità, dove solo 40 trasgressori hanno - secondo il Dipartimento - conti scaduti che vanno da circa 35.000 a più di 430.000 dollari.

L'evidente insostenibilità della situazione ha spinto la popolazione - supportata dagli attivisti locali della “Detroit People's Water Bord” e dalle organizzazioni americane e canadesi “Food and Water Watch” e “Blue Planet Project” - a richiedere l’intervento delle Nazioni Unite; la risposta della Special Rapporteur per il diritto all’acqua, Catarina de Albuquerque, non si è fatta attendere: in un comunicato, la Albuquerque ha dichiarato che “i distacchi dovuti a mancati pagamenti per mancanza di risorse economiche costituiscono una violazione del diritto umano all’acqua. Essi sono infatti ammissibili solo se può essere dimostrata la solvibilità dell’utente. In altre parole se l’impossibilità di pagare è oggettiva il distacco costituisce una violazione dei diritti umani.”


Il DWSD fornisce circa 600 milioni di galloni di acqua al giorno a Detroit e a 127 comunità suburbane in 7 contee, fatturando circa 1 miliardo di dollari all'anno con un favorevole rapporto costi-ricavi ; https://www.blogger.com/nullse il sistema idrico fosse privatizzato, il bilancio della città di Detroit riceverebbe un piccolo sollievo temporaneo ma rinuncerebbe ai futuri ricavi, perdendo altresì il controllo di un bene pubblico costruito con denaro pubblico, ed è appena il caso di ricordare che la cessione dei servizi idrici - a domanda anelastica, gestiti necessariamente in regime di monopolio naturale - alle multinazionali dell'acqua reca sempre in dote aumenti considerevoli nelle tariffe, come hanno recentemente sperimentato 5 città della Pennsylvania, dove le bollette sono arrivate a più che triplicarsi.




4. Derivati alla deriva

https://www.blogger.com/nullUna delle concause nella caduta di Detroit è da ricondursi anche alla sottoscrizione di complicati strumenti finanziari come i derivati legati alle obbligazioni municipali, e vi è il fondato sospetto che il DWSD abbia pagato alle banche 537 milioni di dollari in penali per uscire dai suoi “interest-rate default swaps”; invece di limitarsi a vendere obbligazioni “plain vanilla” - corrispondendo ai detentori un importo stabilito e pianificato nel tempo - Detroit (come molte altre amministrazioni) si è impelagata in questi contratti, ritenendoli una forma di assicurazione a copertura del rialzo dei tassi di interesse: la loro prevedibile discesa – per effetto della politica monetaria della banca centrale, tipica in una recessione - ha invece lasciato l'amministrazione scoperta per grandi somme di denaro, e il “Financial Times” riporta che ciò costerà a Detroit 2,7 miliardi di dollari per ripagare 1,4 miliardi di dollari di prestiti ricevuti, inclusi 502 milioni di dollari in pagamenti di interessi e 770 milioni di dollari come costo sui derivati: tra l'altro, i 537 milioni di dollari versati dal DWSD alle banche, per cessare i pagamenti extra a copertura degli swaps, sono più di quattro volte l'intera bolletta dell'acqua scaduta, sia residenziale che commerciale.


5. Anche Chicago è in difficoltà

Negli ultimi anni diverse città americane hanno dichiarato fallimento, molte in CaliforniaStockton, San Bernardino, Vallejo, per citarne solo alcune - mentre altre sembrano sul punto di aggiungersi al club e, tra queste, Chicago sembra quella messa peggio; lo scorso febbraio, Moody's ne ha declassato il rating a Baa2 - a due passi sopra il livello “spazzatura” - https://www.blogger.com/nulle ciò potrebbe innescare la cessazione immediata di quattro accordi di “interest-rate swaps” (ancora loro) - un onere di circa 58 milioni di dollari - avvertendo che il giudizio potrebbe peggiorare ulteriormente, e portare a costi più elevati in futuro, se le banche decidessero di interrompere altre operazioni di copertura sui tassi di interesse contro le fluttuazioni degli stessi.
Tali “pizzini” sono del tutto conformi alla consolidata prassi che vede i banchieri di Wall Street “dettare la linea” sulle opzioni di spesa delle amministrazioni pubbliche; l'oggetto del contendere è qui rappresentato dai fondi pensione - troppo generosi, a loro dire – e pertanto si minaccia un declassamento “a cascata” - che https://www.blogger.com/nullesporrebbe Chicago a dei pagamenti immediati e a sensibili variazioni nei tassi di interesse (e alla probabile insolvenza) – se il vulnus non verrà sanato: Chicago detiene contratti swap relativi a 2,67 miliardi dollari di debiti, e l'articolo di “Reuters” illustra diversi scenari in proposito, tutti estremamente sfavorevoli, che dimostrano come le grandi banche d'affari e le agenzie di rating (che sono, in effetti, entità sovrapponibili) tengano in pugno la metropoli dell'Illinois: la stessa https://www.blogger.com/nullStandard & Poor's ha paventato un possibile downgrade multiplo se quest'anno la città non presenterà un piano sostenibile per far fronte ai propri crescenti contributi pensionistici.



6. La fabbrica del consenso reloaded: numeri in allegria

Quanto fin qui esposto dovrebbe rendere abbastanza evidente che l'economia americana non è affatto - e non può essere - quella “locomotiva mondiale” di cui si favoleggia nella “catena di montaggio” della “fabbrica del consenso”, e gli stessi dati (e successive revisioni) del PIL, che dovrebbero suffragare tale asserzione, scontano una certa qual dose di aleatorietà derivante da numeri aggiustati e adattati, aggregati e disaggregati alla bisogna, da farli ritenere poco attendibili; una pratica che ricorda la stessa maestria e disinvoltura di un sarto nell'atto di confezionare un abito per un cliente fisicamente poco proporzionato.
Aveva fatto gridare al miracolo la revisione del “Bureau of Economic Analysis”, secondo il quale la crescita del 3° trimestre 2014 era arrivata a toccare addirittura il 5% , ma “Zero Hedge” ha scoperto cose assai interessanti sul “taglia e cuci” dei sarti della “maison Obama”: https://www.blogger.com/nullanalizzando – a fine giugno - la revisione definitiva del 1° trimestre 2014 (Q1), Tyler Durden si è accorto che il BEA aveva rimosso i pagamenti di ObamaCare dai risultati già deludenti di quel trimestre, un fattore sospetto che lo aveva portato a scommettere sulla loro riutilizzazione in uno dei trimestri successivi.

Questo è esattamente quello che è successo nel Q3, dove i 2/3 della "spinta" del consumo personale provengono dallo stesso ObamaCare che inizialmente avrebbe dovuto incrementare proprio il PIL del Q1, fino a quando i pessimi numeri di quest'ultimo hanno “suggerito” al BEA di estrarre i circa 40 miliardi di dollari in PCE (Personal Consumption Expenditures) da quel trimestre oramai compromesso e riutilizzarli in un altro, nella fattispecie il 3°: del resto, sarebbe bastato dare un'occhiata alla rilevazione dello stesso periodo dell'anno precedente (2,7%) per rendersi conto che la situazione economica generale non poteva giustificare un simile miglioramento nell'arco di 12 mesi.

E infatti il successivo Q4 del 2014 secondo l'ultima (?) revisione di qualche giorno fa – è ritornato ad attestarsi intorno al 2,2%, ben sotto il trimestre precedente e le aspettative degli stessi analisti; e non va meglio con le previsioni del 1° trimestre del 2015: la FED di Atlanta ha rivisto le proiezioni già diverse volte, passando dal quasi 2,5% di febbraio fino allo 0,2% di fine marzo.


7. Vendite al dettaglio in affanno

I dati che arrivano dall'economia reale lasciano poco spazio per voli pindarici; le vendite al dettaglio collassano, e focalizzando la nostra attenzione solo nel recente passato abbiamo il flop del “Thanksgiving Day” e del “BlackFriday” - il weekend lungo del Giorno del Ringraziamento, dedicato tradizionalmente allo shopping - con un calo dell'11% (negozi e web) , e la serie negativa (dicembre: - 09% ; gennaio: - 0,8% ; febbraio: - 0,6%) più lunga dal crash Lehman.

E che dire del simbolo per antonomasia del consumismo americano, lo shopping mall?

https://www.blogger.com/nullIn tutta l'America, grandi centri commerciali un tempo rutilanti ed affollati sono ora in fase declinante e in disfacimento; famose catene di negozi ad alto richiamo come Sears e JCPenney stanno chiudendo i loro punti vendita e i proprietari dei centri commerciali stanno avendo difficoltà nel trovare dei rivenditori abbastanza grandi per sostituirli; con una nuova ondata di chiusure all'orizzonte, circa il 15% dei centri commerciali statunitensi fallirà o sarà trasformato in spazio non-retail entro i prossimi 10 anni.
Dal 2010, più di due dozzine di grandi spazi commerciali sono stati chiusi mentre altri 60 sono in bilico, e con la disuguaglianza di reddito che continua ad allargarsi solo gli shopping malls di fascia alta riescono a mantenere un accettabile livello di vendite, a differenza di quelli frequentati dalla middle class e dal proletariato.



8. Nuvole nere all'orizzonte

L'indice PMI (Purchasing Managers Index) della “Kansas City Fed” -https://www.blogger.com/null che monitora la salute economica del settore manifatturiero riferito a: nuovi ordini, livelli di magazzino, produzione, consegne dei fornitori e ambiente di lavoro - è precipitato di un - 4 a marzo (contro le aspettative di + 1), un livello toccato nel febbraio 2013; l'indice ha ormai perso 6 puntidegli ultimi 8 mesi e il rapporto è un disastro su tutta la linea: i nuovi ordini sono crollati a - 20(2° registrazione più bassa dal crash Lehman), portafoglio ordini inevasi imploso, la settimana lavorativa media è crollata a -17 (valore più basso post Lehman), e le aspettative futuredel capex (investimenti in conto capitale per l'acquisto di beni durevoli, come ad esempio i macchinari) sonoscese al minimo da cinque anni
Uno degli intervistati ha osservato: "non vediamo l'economia forte come viene dipinta nei rapporti dei media nazionali".



E come se non bastasse, c'è il crollo del settore dello scisto – le cui conseguenze stanno appena emergendo - a far vacillare anche “Lady Liberty”; il 13 gennaio, la FED di Dallas prevedeva che nel solo Texas 140.000 posti di lavoro potrebbero essere eliminati e la Schlumberger - prima società di servizi petroliferi del mondo - taglierà 9.000 posti di lavoro, dopo che l’utile netto del quarto trimestre 2014 è sprofondato dell’81% a causa di svalutazioni da 1,6 miliardi di dollari delle attività produttive in Texas.

Come scrive William Engdahl “[...] il boom del petrolio di scisto negli Stati Uniti era una bolla di Wall Street, come già abbiamo notato, alimentato dalla Federal Reserve con tassi di interesse a zero e banche di Wall Street alla disperata ricerca di prestiti dopo il crollo della bolla immobiliare nel 2008. Hanno fatto grassi profitti sottoscrivendo 'junk bonds' per le compagnie petrolifere dello scisto, molte delle quali di piccole e medie dimensioni che ora scompariranno (…) fino a quando i tassi d’interesse negli Stati Uniti erano bassi, negli ultimi sei anni, e il prezzo del petrolio era oltre i 100 dollari al barile, le compagnie petrolifere potevano accollarsi il rischio e le banche prestare con liberalità. Ora avviene una brusca frenata mentre i proventi del petrolio crollano del 40-50%, negli ultimi sette mesi. Fintanto che i prezzi erano alti, le compagnie petrolifere dello scisto potevano avere prestiti come se non ci fosse un domani [...]”.




9. Una volta Francis Fukuyama mi disse che...

L'élite finanziaria americana e i suoi “political puppets” sono sicuramente coscienti della insostenibilità economica e sociale interna, e di quanto l'accelerazione del declino del dollaro - ad opera, soprattutto, di Russia e Cina – come valuta di riserva e strumento internazionale di pagamento, ponga lorodeiproblemi quasi insolubili ; gli Stati Uniti, venendo meno il loro diritto di signoraggio, sarebbero ora obbligati a compiere drastici aggiustamenti strutturali, poiché non potrebbero più permettersi di aprire un passivo della bilancia commerciale in condizioni di totale impunità.
Invece di prendere atto dell'inevitabilità del crepuscolo, rassegnandosi alla fine della “fine della storia” e adoperandosi per una gestione multipolare e più equilibrata della politica mondiale – convocando, ad esempio, una sorta di Bretton Wood II per definire un nuovo assetto monetario mondialeWashington,come al solito, pensa di risolvere i suoi problemi scaricandoli sui presunti “preziosi alleati”.
E' da vedersi in quest'ottica la fretta con cui Wall Street e Corporate America vogliono arrivare alla firma di trattati come TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) e TTP (Trans-Pacific Partnership), due cavalli di Troia attraverso i quali le corporations d'oltreoceano mirano a rafforzare, in maniera definitiva, il controllo economico su due macroaree strategiche a ridosso di Russia e Cina nel tentativo di impedirne lo sviluppo e che, nel caso del TTIP arriverebbero nel Vecchio Continente “[...] per riversarsi sui pochi settori industriali ancora in vita e sul vecchio e, specialmente, nuovo settore dei servizi; quest'ultimo verrà creato privatizzando pensioni e sanità, da devolvere a soggetti finanziari stranieri cui si aprirebbe un ghiotto mercato in Europa […]”, dove le eventuali controversie tra stati e multinazionali verrebbero definite “[…] mediante diritto internazionale autoapplicativo, enforcedda arbitri privati pagati dalle multinazionali [...]”, come scrive il giurista Luciano Barra Caracciolo.




10. “Gli Stati Uniti hanno bisogno di una guerra”

Diversi commentatori e politologi, come ad esempio Paul Craig Roberts, ritengono che Washington stia cercando uno scontro armato – magari anche una “guerra per procura”, con gli europei nel ruolo degli “utili idioti” - per risolvere tutti i propri problemi economici, avendo bene in mente che i semi della destabilizzazione in Medio Oriente e soprattutto i venti di guerra che spirano ai confini della Russia, dove USA e NATO stanno ammassando truppe e armamenti pesanti, sono due facce della stessa medaglia; Sergei Glaziev, economista e consigliere di Putin, ha sviluppato un'analisi molto lucida degli odierni accadimenti, come capita ormai raramente di ascoltare, specie in Italia :
“[…] Ora gli Stati Uniti vogliono ancora mantenere la loro leadership a spese dell'Europa.
Questo processo è minacciato da una Cina in rapida espansione. Il mondo oggi sta slittando su un altro ciclo, questa volta politico. Questi cicli hanno una durata di secoli e sono associati con le istituzioni globali che regolano l'economia. Oggi stiamo passando dal ciclo americano dell'accumulo del capitale a un ciclo asiatico.
Questa è un'altra crisi che sta sfidando l'egemonia americana. Gli americani, per mantenere la loro posizione di egemonia di fronte alla competizione con la Cina e con altre nazioni asiatiche emergenti, stanno iniziando una guerra in Europa. Vogliono indebolire l'Europa, spezzare la Russia e soggiogare l'intero continente europeo. E così, invece della zona di sviluppo da Lisbona a Vladivostok offerta dal presidente Putin, gli Stati Uniti vogliono iniziare una guerra caotica su questo territorio, coinvolgere l'Europa in questa guerra, svalutare il capitale europeo, cancellare il proprio debito pubblico, sotto il cui fardello gli Stati Uniti stanno già cominciando a crollare, annullare i debiti che hanno con la Russia e con l'Europa, soggiogare i nostri spazi economici e stabilire il controllo sulle risorse del gigantesco territorio eurasiatico. Credono che questa sia la loro unica maniera per mantenere l'egemonia nel mondo e superare la Cina [...]”.





11.Requiem
In conclusione, tanto per ricordare chi comanda negli Stati Uniti, è sintomatico il modo con il quale le banche di Wall Street continuano a giocare al “Casino Royalesenza alcun ritegno, ben sapendo che – in caso di necessità - i contribuenti saranno nuovamente forzati a salvare loro i glutei;https://www.blogger.com/null lo scorso dicembre, durante le discussioni e le votazioni al Congresso sul nuovo piano di spesa del governo, è accaduto che Citigroup (e JPMorgan Chase)sia riuscita a far inserire furtivamente la sua legislazione di deregolamentazione sui derivati nel “Cromnibus”, il piano di spesa da 1.1 trilioni di dollari che vincolerà il budget governativo fino al prossimo settembre (si chiama Cromnibus perché è la “Continuing Resolution” (CR) del piano di spesa omnibus).
Citigroup, con la partecipazione volontaria del Congresso e di Obama, ha impostato il paese verso il prossimo crollo finanziario in cui appare destinata a giocare un altro ruolo da protagonista, visto che la legislazione appena approvata dal Congresso permette a Citigroup e ad altre banche di Wall Street di mantenere i loro assets più rischiosi - interest rate swap e altri derivati - nell'unità bancaria che è supportata dall'assicurazione federale sui depositi FDIC (Federal Deposit Insurance Corp.), che è - a sua volta – supportata dai contribuenti americani, assicurandosi così un altro piano di salvataggio se il bubbone dei derivati dovesse scoppiare ancora una volta.
Secondo i dati di Bloomberg, negli ultimi cinque anni - quando si supponeva che la riforma finanziaria Dodd-Frank avrebbe reso più sicure queste mega banche - Citigroup ha aumentato il valore nozionale dei derivati nei propri libri contabili del 69%: lo scorso giugno, secondo Bloomberg, Citigroup aveva 62 trilioni di dollari in contratti aperti, contro i 37 trilioni di dollari del giugno 2009.





La “Sabbia del Tempo” nella clessidra è ormai agli sgoccioli...




“Prima o poi verrà un crollo, e sarà forse terribile”. (Roger Babson, settembre 1929)


Pubblicato da Quarantotto a 19:06 18 commenti: Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest






venerdì 8 maggio 2015
 
Uhmm cosa vorrà mai dire?
da l’Antidiplomatico Negli ultimi 5 giorni, scrive Zero Hedge, un produttore poco noto di carta del Canada ha visto le sue azioni salire oltre il 74%. In un momento di crisi finanziaria come è stato possibile?
20150512_FTP1.jpg



Fortress Paper e la sua consociata interamente controllata, Landqart AG, uno dei principali produttori di carte di banconote e di sicurezza, hanno annunciato al culmine della crisi finanziaria europea 2012 di aver dato il via ad un ordine di banconote materiali reintegrate che determinò all’epoca l’impennata delle azioni e che rappresentò una chiara indicazione sulla possibilità di Grexit, Spexit e Itexit.

In questi giorni le azioni di questa azienda si stanno impennando allo stesso ritmo senza che ci siano notizie in tal senso, anche se sappiamo, conclude Zero Hedge, che le nuove bancanote in dracma sono state create già e tutti i soggetti coinvolti nelle trattative con l’UE si stanno preparando alla creazione di una valuta parallela.
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no, preferisco tenerlo per me


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