arrestato Assange: agli USA non piaccioni i giornalisti liberi

Il "caso Julian Assange" ci riporta a due questioni cruciali della fase storica attuale:
• il possesso e la manipolazione delle informazioni;
• le mani degli Stati Uniti d’America sugli scenari e sulle vicende di politica internazionale.

In questo convegno affronteremo i possibili e futuri scenari, in ambito sia giornalistico che geopolitico.
Argomenti e relatori:
La battaglia per l’informazione e la cultura nell’era di populismo e sovranismo - Roberto Siconolfi (Oltre la Linea)
Il caso Julian Assange e la manipolazione mediatica - Giulietto Chiesa (AlterLab, www.pandoratv.it)

Luogo e data:
Maddaloni (CE), Hamletica Libri, Piazza Generale Ferraro, n.12
Giovedì 20 giugno, ore 18

62363793_10219016777319752_9064162211986931712_n.jpg

GIO, 20 GIU ALLE ORE 18:00
Quale giornalismo dopo Julian Assange? - con Giulietto Chiesa
 
LA RETE NON È LIBERA
Durante l'arresto di Julian Assange molti commentatori hanno scritto che oggi la Rete è diventata più libera rispetto al 2010, quando WikiLeaks comincia a rendere pubblici centinaia di migliaia di documenti riservati.
Possiamo illuderci che sia così, ma non è vero.

jpeg

Durante l’arresto di Julian Assange, una vergogna giudiziaria e politica al di là dell’opinione che si può avere sulla sua persona, molti commentatori hanno scritto che oggi la Rete è diventata più libera rispetto al 2010, quando WikiLeaks comincia a rendere pubblici centinaia di migliaia di documenti riservati.
Una delle tesi più diffuse è che i social network sono a loro modo costruiti dal basso, dalle interazioni tra gli utenti.
Le bacheche permettono quindi una libertà di espressione e una capacità di diffusione del pensiero, o anche di documenti, sempre maggiore. Una libertà sconosciuta agli albori di internet.

Ok, prendiamo un attimo per buona questa deriva tecno-entusiasta

Fingiamo di ignorare che i social network sono incessantemente al lavoro per estrarre valore dalle nostre vite, ovvero per raccogliere i nostri dati, immagazzinarli, confrontarli e poi rivenderli alle agenzie di marketing che ci restituiscono pubblicità sempre più targettizzate.
Oppure per rivenderli a eserciti e polizie, pubblici e privati, di stati democratici o di dittature, tutti impegnati nella costruzione del più imponente sistema di sorveglianza della storia: il panottico digitale dove ciascuno è sorvegliante di se stesso.

Cambridge Analytica è stata solo la punta dell’iceberg di una trama ben più complessa e pervasiva. Non è solo Google o Facebook. È Amazon. È Uber. È Angry Birds. È il surveillance capitalism, fondato sull’estrazione dei dati personali.
Fingiamo di ignorare anche che questi dati personali sono rivenduti alle multinazionali che si dedicano allo sviluppo dell’intelligenza artificiale: il fulcro e nuovo alfabeto del capitalismo estrattivo. Sarebbe assurdo, come discutere di colonialismo premettendo che non ci occuperemo dell’estrazione di materie prime nei territori soggiogati.
Ok, ma andiamo avanti lo stesso.
Fingiamo di ignorare anche che il sistema di gratifica e punizione messo in atto dalle notifiche è devastante da un punto di vista psichico, e arriva addirittura a modificare le capacità affettive ed emotive degli utenti in Rete.

Bene, abbiamo finto che tutto questo non accade, e dunque le bacheche dei social network sono veramente un luogo di libertà?
Se utilizzate nella maniera giusta, possono portare a cambiamenti positivi per le sorti dell’umanità?
La risposta è no: i social network lavorano al mantenimento dello status quo.

Lo dimostra, da ultimo, una ricerca empirica della Northeastern e della Cornell University. Il team di studenti supervisionati dai professori Muhammad Ali e Piotr Sapiezynski ha messo su Facebook una serie di pubblicità a pagamento dove offrivano dei lavori o delle proprietà immobiliari. Queste inserzioni erano pressoché uguali alle solite che si vedono, se non che differivano per piccoli particolari, a partire dal compenso lavorativo o dal budget necessario per l’acquisto della casa, fino al tipo di fotografia o di parole usate per lo stesso annuncio.

La risposta è stata che la machine learning di Facebook, il famoso algoritmo, ha deciso che gli annunci riguardanti insegnanti o segretarie dovevano essere rivolti a donne mentre quelli per tassisti o bidelli agli uomini. Allo stesso modo le case in vendita erano riservate ad utenti di pelle bianca, quelle in affitto a utenti di pelle nera.
L’algoritmo di Facebook ha quindi lavorato per confermare tutti gli stereotipi di razza, censo e sesso che rendono la nostra società ingiusta e diseguale.
Anche perché, come spiegano a Intercept, gli autori della ricerca si sono focalizzati sulla categoria ad delivery e non su quella di ad targeting, ovvero non hanno richiesto loro che le pubblicità fossero rivolte a uno specifico target – maschi bianchi benestanti, giovani appassionati di musica, donne laureate in ingegneria informatica, e così via – ma invece hanno posto solo come premessa che gli annunci si rivolgessero a residenti degli Stati Uniti.
È stato quindi Facebook a decidere, autonomamente, che alcune pubblicità – con il loro carico di produzione esterna del desiderio e delle aspettative individuali e sociali – andassero bene per un sesso, una razza, un ceto sociale e un credo religioso piuttosto che per un altro.
Un portavoce di Facebook ha subito risposto che la multinazionale sta lavorando per risolvere il problema. Ma è una storia vecchia, da sempre l’algoritmo lavora per discriminare o, al meglio, per mantenere attuali le discriminazioni esistenti.

Lo dimostra questo breve recap di New Scientist. O Latanya Sweeney, professore ad
Harvard, che già nel 2013 aveva pubblicato un paper in cui si dimostrava la discriminazione razziale insita nelle pubblicità online che apparivano su Google. E sempre restando al gigante di Mountain View, come considerare il fatto che il tanto annunciato Comitato Etico per la gestione dell’Intelligenza Artificiale sia già naufragato dopo solo due settimane di esistenza?
Doveva essere la prova che non ci sarebbero più state discriminazioni, si è rivelato essere la cartina di tornasole dell’impossibilità di pretendere una Rete libera se a gestirla rimangono le multinazionali con una spiccata fede nel neoliberismo.
Una serie di indagini interne condotte dai dipendenti e poi sfociate in aperte manifestazioni di protesta e di sfiducia hanno rivelato che nel fantomatico Comitato (il cui ruolo fondante dovrebbe essere impedire ogni forma di discriminazione) sedevano membri dell’estrema destra creazionista e suprematista americana.
Un autogol clamoroso.
La dimostrazione che, come nel 2010, quando WikiLeaks comincia a rendere pubblici i documenti riservati che svelano le atrocità commesse dalla politica e dall’esercito statunitense, anche nel 2019 la Rete non è niente affatto libera.
Non lo sono i social network né i motori di ricerca, tutti tarati attraverso l’algoritmo alla perpetuazione infinita degli stereotipi e delle disuguaglianze. La Rete è uno strumento e la sua funzione, che sia liberatrice o coercitiva, dipende dall’utilizzo che ne viene fatto. Dal come e anche dal chi, certo.
Pensare che la Rete sia di per sé uno spazio democratico, liberatorio e progressista, è la dimostrazione che a furia di vivere nell’acquario non sappiamo più distinguere l’acqua in cui nuotiamo.
 
Roger Waters paragona Twitter alla "Psicopolizia" del romanzo '1984' dopo sospensione account a sostegno di Assange
700x350c50.jpg


Roger Waters paragona Twitter alla "Psicopolizia" del romanzo '1984' dopo sospensione account a sostegno di Assange

L'ex leader dei Pink Floyd ha ribadito il suo sostegno per Assange "grande eroe della libertà di stampa e la libertà di ogni genere, che è stato così disgustosamente respinta dai fornitori dell'imperialismo".

Unity4J, uno dei maggiori account Twitter che supportava e diffondeva informazioni sul fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, è stato sospeso dalla piattaforma giovedì scorso. Secondo gli amministratori dello stesso, che ha più di 10.000 follower, il social network non ha dato loro alcun motivo per la misura e non hanno ricevuto risposta ai loro appelli.

I sostenitori del cyber-attivista, compresa la madre Christine, hanno già reagito alla sospensione, chiedendo a Twitter e al suo fondatore, Jack Dorsey, di ristabilire l'account.

Da parte sua, il famoso musicista inglese e attivista Roger Waters si è unito alle critiche, definendo Twitter "Psicopolizia", a quanto pare facendo riferimento alla organizzazione di polizia immaginaria ispirato dalla Gestapo nel romanzo '1984', di George Orwell.

"Twitter, tu sei il Grande Fratello, ora lo sappiamo per certo, lo sospettiamo sempre", ha detto l'ex leader dei Pink Floyd in un video pubblicato sul suo account del social network. "Sei un braccio della polizia del pensiero, sei un braccio delle forze dell'oppressione, vuoi sopprimere la libertà di espressione, il giornalismo, la libertà di qualsiasi cosa, probabilmente."

Inoltre, Waters ha ribadito il suo sostegno "al grande eroe della libertà di stampa e della libertà di qualsiasi tipo, che è stato respinto così disgustosamente dagli Stati Uniti, dal Regno Unito e da tutti gli altri fornitori di imperialismo".

Il co-fondatore di Pink Floyd ha sottolineato di sentirsi obbligato a rispondere alla sospensione, aggiungendo che probabilmente sarebbe stato messo a tacere dalla sua dichiarazione. "Roger Waters crede davvero nella libertà di espressione, crede che gli esseri umani debbano essere autorizzati a comunicare tra loro." Sospendetelo", ha detto Waters. "Avanti, figli di puttana!", ha concluso.


Notizia del: 13/07/2019
 
Assange assolto per la diffusione di informazioni"riservate". Il Giudice ha stabilito che non compete al Partito Democratico decidere quali informazioni possano essere pubblicate. La notizia dell'assoluzione non è stata diffusa in Italia perché la sentenza è valida solo negli USA.
 
Una coltre di silenzio si è distesa sul caso Assange nelle ultime settimane.
Le presstitutes della stampa di regime hanno avuto l'ordine di non parlarne.
Tanto la gente - con tutti i problemi che ha - dimentica presto.
Eppure su questo caso si gioca una partita importantissima, - vitale direi - per il futuro di tutti noi.
Continuare ad avere una (relativa) libertà o rassegnarci ad un mondo distopico.

Scegliete voi: pillola rossa o pillola blu?

Leggi tutto...


LIBEROPENSARE.COM

Julian Assange: punirne uno per educarne cento
Non me la prendo con Hillary Clinton che ieri non è riuscita a dissimulare la sua esultanza di fronte alla cattura del giornalista australiano, trascinato fuori come un animale da macello dall’Ambasciata ecuadoriana, citando anche le parole che usò di fronte al vergognoso assassi
 
"Guerra contro il giornalismo":
Snowden ripudia le accuse presentate dagli Stati Uniti contro Assange
"Guerra contro il giornalismo": Snowden ripudia le accuse presentate dagli Stati Uniti contro Assange

700x350c50.jpg


L'ex contractor della NSA ritiene che la misura presa da Washington "deciderà il futuro dei media".

Il destino del giornalismo, come lo conosciamo ora, è in gioco dopo che Washington ha accusato Julian Assange di spionaggio, ha scritto il noto ex-contractor e informatore della NSA Edward Snowden, in risposta alla notizia sulle 17 nuove accuse presentate dagli USA contro il fondatore di WikiLeaks.

"Il Dipartimento di Giustizia ha appena dichiarato guerra non a Wikileaks, ma sal giornalismo stesso, non si tratta più di Julian Assange: questo caso deciderà il futuro dei media", ha scritto Snowden sul suo account Twitter, ieri.
Edward Snowden
✔@Snowden


The Department of Justice just declared war––€”not on Wikileaks, but on journalism itself. This is no longer about Julian Assange: This case will decide the future of media. https://www.nytimes.com/2019/05/23/us/politics/assange-indicted-espionage-act-first-amendment.html …


Assange Indicted Under Espionage Act, Raising First Amendment Issues
The WikiLeaks founder Julian Assange faces 17 counts in a superseding indictment over his role in obtaining and publishing classified documents in 2010.
nytimes.com

18.000
22:27 - 23 mag 2019
Informazioni e privacy per gli annunci di Twitter
12.100 utenti ne stanno parlando
 
Il più importante prigioniero politico al mondo
julian-assange-660x330.jpg

Il più importante prigioniero politico al mondo

Rosanna 23 Settembre 2019 , 8:49 Anti-Empire Report, Libertà Informazione, Politica No Comments 1,890 Viste
DI CRAIG MURRAY
craigmurray.org.uk

Siamo a solo una settimana dalla fine della lunghissima detenzione di Julian Assange, reo di non essersi presentato in tribunale dopo esser stato rilasciato su cauzione. Dal resto di quella sentenza riceverà la libertà condizionale, ma continuerà a rimanere in custodia cautelare in attesa dell’udienza sull’estradizione verso gli Stati Uniti – un processo che potrebbe durare diversi anni.
A quel punto, svaniranno tutte le giustificazioni per la prigionia di Assange che i finti liberali britannici hanno accampato.
Non ci sono accuse né indagini pendenti in Svezia, dove le “prove” si sono disintegrate al primo soffio di controllo critico. Ha scontato la propria pena.
L’unico motivo della sua attuale incarcerazione è la pubblicazione dei registri di guerra afgani ed iracheni, ricevuti da Chelsea Manning, che comprovavano molteplici illeciti e crimini di guerra da parte degli USA

Nell’incarcerare Assange per non esser comparso innanzi alla corte dopo la cauzione, il Regno Unito è chiaramente andata contro la sentenza del Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sulla Detenzione Arbitraria (UNWGAD), la quale attesta:
“In base al diritto internazionale, la detenzione preventiva deve essere imposta solo in limitati casi. Quella durante le indagini deve essere ancor più limitata, soprattutto in assenza di accuse. Le indagini svedesi sono chiuse da oltre 18 mesi: l’unico motivo rimasto per la continua privazione della libertà del signor Assange è il non essersi presentato in tribunale dopo il rilascio su cauzione nel Regno Unito. Questo è, oggettivamente, un reato minore, che non può giustificare, post facto, gli oltre 6 anni di confino a cui è stato sottoposto da quando ha cercato asilo nell’ambasciata dell’Ecuador. Assange dovrebbe essere in grado di esercitare il proprio diritto alla libera circolazione, in conformità alle convenzioni sui diritti umani, che il Regno Unito ha ratificato.”

Nel ripudiare l’UNWGAD, il governo britannico ha minato un importante pilastro del diritto internazionale, uno che ha sempre sostenuto in centinaia di altre decisioni. I media mainstream non hanno del tutto sottolineato il fatto che l’UNWGAD abbia chiesto il rilascio di Nazanin Zaghari-Ratcliffe – una potenzialmente preziosa fonte di pressione internazionale sull’Iran, che il Regno Unito ha reso vano per il proprio rifiuto di conformarsi alle Nazioni Unite sul caso Assange. L’Iran ha semplicemente risposto “se non rispettate voi l’UNWGAD, perché dovremmo noi?”

È in effetti un’indicazione chiave della collusione tra media e governo il fatto che i media britannici, che riportano regolarmente sul caso Zaghari-Ratcliffe per promuovere la propria agenda governativa anti-iraniana, non abbiano riportato l’appello dell’UNWGAD per la scarcerazione di lei – per il desiderio di negare la credibilità dell’organismo delle Nazioni Unite nel caso di Julian Assange.

Nel presentare domanda di asilo politico, Assange stava entrando in un procedimento legale diverso e più elevato, un diritto riconosciuto a livello internazionale. Un’altissima percentuale di prigionieri politici in tutto il mondo sono in carcere con accuse penali apparentemente non correlate, che le autorità affibbiano loro. Molti dissidenti hanno ricevuto asilo in queste circostanze. Assange non si è nascosto – si sapeva dove fosse. La semplice caratterizzazione di questo come “fuga” da parte del giudice distrettuale Vanessa Baraitser è una farsa di giustizia – e, come il ripudio del rapporto UNWGAD nel Regno Unito, è un atteggiamento che i regimi autoritari saranno lieti di ripetere nei confronti dei dissidenti di tutto il mondo.

La sua decisione di costringere Assange ad una ulteriore prigionia, in attesa dell’udienza di estradizione, è stata eccessivamente crudele, anche in considerazione dei gravi problemi di salute che questi ha incontrato a Belmarsh.

Vale la pena far notare che l’affermazione della Baraitser, secondo cui Assange aveva dei “precedenti di fuga in questi procedimenti” – e ho già considerato “fuga” un termine estremamente inappropriato – è inaccurata, in quanto “questi procedimenti” sono del tutto nuovi, e si riferiscono soltanto alla richiesta di estradizione statunitense. Assange era in prigione per tutto il corso di “questi procedimenti”, e certamente non è fuggito. Il governo ed i media hanno interesse a confondere “questi procedimenti” con le precedenti, risibili, accuse provenienti dalla Svezia, e con la successiva condanna in séguito al rilascio su cauzione. Dobbiamo dipanare questa maligna matassa. Dobbiamo chiarire che Assange è ora detenuto solo e soltanto per aver pubblicato quei documenti. Che un giudice debba mescolare le accuse è disgustoso. Vanessa Baraitser è una vergogna.

Assange è stato demonizzato dai media come un pericoloso, insano e folle criminale. Non c’è cosa più lontana dalla verità. Assange non è mai stato condannato per alcunché, tranne che per violazione dopo cauzione.

Nel Regno Unito abbiamo quindi ora un governo di destra con evidente scarsa preoccupazione per la democrazia. Abbiamo, in particolare, un estremista di destra come Segretario degli Interni. Assange ora è, chiaramente e senza discussioni, un prigioniero politico. Non è in prigione per aver disertato il tribunale dopo la cauzione. Né per molestie sessuali. È incarcerato soltanto per aver pubblicato segreti d’ufficio. Il Regno Unito detiene ora il prigioniero politico più famoso al mondo, e non ci sono motivi razionali per negare questo fatto. Chi prenderà posizione contro questo atto d’autoritarismo ed a favore della libertà di pubblicazione?



Craig Murray

Fonte: Craig Murray

Link: The World's Most Important Political Prisoner - Craig Murray
 
Julian Assange è stato scagionato da una delle principali accuse per cui si trova tuttora nel carcere britannico di Belmarsh dopo il suo prelievo forzato e illegale dall’ambasciata londinese della Repubblica ecuadoregna. Poi se ne sono accorti il New York Times e, di seguito, dopo l’”autorizzazione”, anche Repubblica e il manifesto.
Il pronunciamento è venuto dal giudice Federale del Distretto meridionale di New York, John G. Koeltl, che ha respinto l’accusa del comitato nazionale del Partito democratico secondo cui Assange e Wikileaks avrebbero hackerato i computer del Partito democratico asportandone e diffondendo il contenuto di migliaia di e-mail. Secondo il giudice l’accusa è “in completo divorzio rispetto ai fatti”.
Non solo, ma visto l’”estremo interesse” pubblico del contenuto di quelle mail, ogni tentativo di impedirne la diffusione sarebbe da considerare come illegale e come una “violazione del Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America”.


 

Users who are viewing this thread

Back
Alto