Banco Popolare (BP) aspettando un vecchio amico .........

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è inevitabile che arrivi il giorno del redde rationem nella biska..........il giorno del

MENO 10%

del crollo mondiale della carta straccia

si salveranno soltanto l'oro, l'argento, il platino e gli ..................... alloggetti
 
Il bluff dei TremontiBond


ADRIANO BONAFEDE


Cinque mesi di gestazione, due decreti già approvati ma mai di fatto utilizzati e un terzo in dirittura d’arrivo. Quest’ultimo ha avuto, dicono i bene informati, ben sette versioni. E in mezzo a tutto ciò una strisciante guerra non dichiarata fra il ministro Giulio Tremonti e il governatore della Banca d’Italia, e fra lo stesso ministro e le banche. In più, all’inizio si parlava di un intervento da 20 miliardi, che sono poi scesi a 15, mentre ora si parla addirittura di 12. Questa è, raccontata in sintesi e con estrema crudezza, la storia dell’intervento d’urgenza a favore del sistema creditizio che lo Stato italiano aveva messo in cantiere come tutti gli altri Paesi e che finora ha prodotto zero risultati.

In questo lasso di tempo tanto per fare un paragone il primo ministro Gordon Brown ha di fatto nazionalizzato l’intero sistema bancario britannico, in Francia è stata salvata Dexia e tutte le banche hanno la possibilità di avere dei prestiti subordinati, mentre in Germania sono stati stanziati fondi per 80 miliardi di euro.
Tutto si potrà dire, quando saranno esaminati nei dettagli, dei Tremonti bond, ma almeno una qualità gli deve per forza essere negata a priori: la tempestività. «Si è andati un po’ troppo per le lunghe», ammette Marco Onado, docente di Economia degli intermediari finanziari alla Bocconi di Milano. Del resto, se la crisi era davvero grave, se alcune banche con un basso Core Tier 1 (il principale indice di patrimonializzazione) stanno aspettando con impazienza l’intervento dello Stato (e Alessandro Profumo, ad di Unicredit, ha avuto il coraggio la settimana scorsa a Davos di ammettere apertamente che userà questi fondi appena saranno messi a disposizione), non si comprende il perché di questo continuo slittamento.
Gli stessi addetti ai lavori sono perplessi. «Al momento è tutto nebbioso dice Salvatore Bragantini, presidente del Mac, il mercato alternativo alla Borsa per le piccolissimi imprese ma questo clima di incertezza deve essere risolto al più presto».
In verità nessuno sa esattamente cosa sia accaduto né dove stiano le ragioni di tanto ritardo. Ma qualcuno, a questo punto, comincia a parlare di un vero e proprio bluff del ministro. Che dichiara sì di volere un intervento ma poi, giorno dopo giorno, lo fa slittare riducendone anche la portata. E, secondo interpretazioni diffuse, alla fine i Tremonti Bonds ci saranno, ma le condizioni saranno così onerose che soltanto chi sarà con l’acqua alla gola li utilizzerà.
In Abi, in Banca d’Italia e al ministero dell’Economia le bocche più che cucite sono saldate a fuoco. Dunque nessuna spiegazione ufficiale, ma ripercorrendo tutti gli avvenimenti di questi ultimi mesi è possibile ricostruire l’intera vicenda. Che comincia con un Tremonti all’inizio dell’estate che, contrariamente a quanto ha cercato di accreditare lui stesso nei mesi successivi, non aveva alcuna cognizione della fase drammatica che stava per aprirsi nella finanza internazionale. Facile dimostrarlo: all’inizio il ministro era partito con la Robin Tax per banche e petrolieri, pensando di poter mungere quelle che considerava le vacche grasse. Ma quelle vacche, almeno quelle del credito, sarebbero deperite molto rapidamente, riservandogli una pessima sorpresa.
Tra settembre e ottobre, con i drammatici crolli dei listini di tutto il mondo, con il fallimento della pluricentenaria Lehman Brothers, ci si è resi conto, anche in Italia, che si rischiava il crollo di tutto il sistema. Tremonti sembrava aver compreso la gravità della crisi e subito presentava un primo decreto, che prevedeva che lo Stato entrasse nel capitale delle banche in difficoltà, previo parere della Banca d’Italia. «Ma questa prima versione dice Marco Onado aveva un’impostazione vagamente punitiva. Nel testo infatti si parlava di banche ‘sottocapitalizzate’ e nessuna voleva ovviamente presentarsi per prima con questa etichetta».
Ma c’è di più. Non appena fu chiaro che un intervento dello Stato era consigliabile e forse indispensabile, Tremonti lanciò una frecciata ai banchieri responsabili, a sua detta, di questa situazione: «Se la banca fallisce i banchieri vanno a casa, o vanno in galera». Non pochi lessero queste dichiarazioni come un aut aut a banchieri come Alessandro Profumo (Unicredit era in quel momento la banca più penalizzata sul mercato borsistico) o a Corrado Passera. Per un certo tempo si pensò che Tremonti pretendesse, a fronte di un intervento dello Stato, la testa di alcuni grandi manager. Ma poi, si racconta nei corridoi dei palazzi che contano, il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, lo convinse che un improvviso allontanamento di manager validi e ai quali non si potevano certo attribuire le colpe di un crack dei listini di proporzioni bibliche, non sarebbe stato compreso dal mercato.
Tremonti mise sul piatto altre misure con un secondo decreto per introdurre una garanzia statale sulle passività; il decreto fu poi unificato con il primo. Non devono essere state delle norme ben studiate e neppure, semplicemente, utili se queste due leggi non hanno mai trovato fino a questo momento attuazione. Da qui la necessità di programmare un altro intervento, questa volta sotto forma di ‘prestito subordinato’ da parte dello Stato alle aziende creditizie.
Il terzo decreto sembrava già a novembre in dirittura d’arrivo. La formula, usata in altri paesi come la Francia, si mostrava più gradita alle banche, che avrebbero potuto attingere ai finanziamenti e restituire il prestito facilmente appena le cose fossero tornate alla normalità. Ma anche in questo caso la vicenda si è di nuovo inopinatamente ingarbugliata. Il tasso d’interesse, prima di tutto, è diventato uno scoglio: si parlava dell’8,5 per cento. Troppo, secondo l’Abi, con cui dovrà essere sottoscritto un ‘protocollo’ d’intesa. Ora si parla di un 77,5 per cento, un tasso che appare più accettabile.
Ma negli ultimi giorni sono venuti fuori chiaramente da fonti bancarie alcuni calcoli sulle penalità da pagare in caso di restituzione anticipata del credito: pare si possa arrivare anche al 25 per cento se la restituzione avviene dopo un solo anno. La trattativa con l’Abi si è dunque incagliata. Ancora una volta i banchieri hanno avuto l’impressione che in Tremonti prevalesse un intento punitivo. Represso, forse, ma sempre pronto a riemergere come un fiume carsico. In questa trattativa fra banche e Tremonti si è inserita anche la Banca d’Italia, che ha fatto delle proprie valutazioni in ordine al decreto in gestazione su cui è stata chiamata a esprimere un parere.
Gli osservatori esterni hanno comunque preso atto che fra Tremonti e Draghi, oltre che fra Tremonti e le banche, non corre buon sangue. Lo dimostrerebbero anche le dichiarazioni estemporanee del ministro dopo le previsioni nere per il Pil italiano 2009 da parte di Bankitalia. Tremonti non ha perso l’occasione per chiosare: «Quelle della Banca d’Italia sono solo previsioni». Insomma questo triangolo TremontibancheDraghi ha poco di magico, e questo spiega il perché del ritardo.
Qualcuno comincia a pensare adesso che, decreto o non decreto, le banche italiane possano (o debbano) persino fare a meno dell’intervento pubblico. Ma davvero gli istituti di credito possono rinunciare a quest’ancora di salvezza di fronte alla prospettiva di un deterioramento del credito nel 2009 per affrontare il quale occorrerà avere spalle più larghe ovvero un patrimonio più alto? «Non so cosa potrebbe accadere se non ci saranno aiuti di Stato o se questi saranno considerati troppo onerosi dalle banche dice Marcello Messori, presidente di Assogestioni . Dal punto di vista teorico c’è il rischio che gli istituti facciano un po’ di credit crunch verso le Pmi e le famiglie».
Ma c’è chi non crede che le aziende creditizie possano di fatto avere un ‘Piano B’. «C’è anche un problema di raffronti internazionali», dice Marcello Zanardo, analista di Keefe, Bruyette & Woods (Kbw). «Se le banche europee vengono ricapitalizzate dai loro governi, quelle italiane corrono il rischio di veder abbassare le loro quotazioni se non fanno altrettanto, anche se hanno attivi meno rischiosi».
Zanardo ritiene che per alcune, come Mps, Banco Popolare e Bpm, la ricapitalizzazione sia necessaria. Unicredit avrebbe maggiore flessibilità in quanto potrebbe anche decidere di utilizzare i finanziamenti dello Stato austriaco, più difficilmente di quello tedesco.
Alla fine, comunque, dovrebbe prevalere il realismo sui TremontiBond. «Certo continua Zanardo l’intervento pubblico potrebbe essere più circoscritto di quanto si ipotizzasse inizialmente. Questo anche considerando la volontà di salvaguardare al massimo le finanze pubbliche, in relazione all’alto rapporto del debito pubblico sul pil. Dal punto di vista teorico c’è il rischio che gli istituti facciano un po’ di credit crunch verso le Pmi e le famiglie».
Ma c’è chi non crede che le aziende creditizie possano di fatto avere un ‘Piano B’. «C’è anche un problema di raffronti internazionali», dice Marcello Zanardo, analista di Keefe, Bruyette & Woods (Kbw). «Se le banche europee vengono ricapitalizzate dai loro governi, quelle italiane corrono il rischio di veder abbassare le loro quotazioni se non fanno altrettanto, anche se hanno attivi meno rischiosi».
Zanardo ritiene che per alcune, come Mps, Banco Popolare e Bpm, la ricapitalizzazione sia necessaria. Unicredit avrebbe maggiore flessibilità in quanto potrebbe anche decidere di utilizzare i finanziamenti dello Stato austriaco, più difficilmente di quello tedesco.
Alla fine, comunque, dovrebbe prevalere il realismo sui Tremonti<\->Bond. «Certo <\-> continua Zanardo <\-> l’intervento pubblico potrebbe essere più circoscritto di quanto si ipotizzasse inizialmente. Questo anche considerando la volontà di salvaguardare al massimo le finanze pubbliche, in relazione all’alto rapporto del debito pubblico sul pil. Dal punto di vista del deficit di bilancio l’Italia è in una situazione molto migliore rispetto a Usa, Gran Bretagna e Portogallo. Con il peggioramento dei ratios pubblici di altri paesi per salvare le loro banche, l'Italia può risalire le classifiche internazionali del deficit sul pil».


dal giornale kommunista: e se fosse vero?
 
Il Banco Popolare vende la ‘gioielleria’


PAOLO POSSAMAI


Alleggerire il carico e puntare con forza sulle attività di Banca retail con un gruppo ben radicato nelle aree più sviluppate del Paese. Sta qui il primo comandamento della gestione Saviotti. Il Banco Popolare sta cedendo tutte le partecipazioni non essenziali, per fare cassa e a un tempo per concentrare gli sforzi sul mestiere originario di questa banca "del territorio". Banca delle famiglie e delle piccole imprese. L’ad chiamato a Verona agli inizi dello scorso dicembre tende anche a contenere al minimo l’impatto sui soci della ristrutturazione in atto.
Posto che Bankitalia sollecita un irrobustimento dei parametri patrimoniali, mirando quest’anno a un core Tier 1 dell’6,5%, e a un Tier 1 del 8%, all’obiettivo è possibile arrivare senza chiedere sacrifici ai soci? La domanda troverà risposta a marzo, quando i vertici del Banco esamineranno i conti del 2008 e stabiliranno le politiche del dividendo. Il Banco negli anni passati ha erogato utili con un payout attorno al 50%, e i conti sono presto fatti considerando che al 30 settembre scorso l’utile netto dichiarato consisteva in 522 milioni di euro (6% sul corrispondente periodo del 2007). L’orientamento di fondo espresso al più ristretto entourage dal presidente del consiglio di sorveglianza, Carlo Fratta Pasini, parte da un assunto semplice e tuttavia stringente: evitare un aumento di capitale ordinario.
In primis è aperta l’opzione di accedere ai Tremonti bond, il cui regolamento è in questi giorni aperto sulle scrivanie che contano in Piazza Nogara, per 11,5 miliardi di euro. In secondo luogo, attesa la probabile incompatibilità tra aiuto pubblico e assegnazione di dividendi cash, potrà essere considerato il percorso annunciato per esempio da Unicredit, anche se viene ritenuto poco persuasivo: distribuire nuove azioni, dal momento che non ha effetti concreti sui soci. Resta una terza opzione, che è valutata come extrema ratio: cedere pezzi di banche retail. Ma si tratta di eventualità che vengono risolutamente cassate, anche perché la rete del Banco Popolare non mostra evidenti sovrapposizioni.
E qui torna in questione la strategia di alleggerimento delle partecipazioni. Il caposaldo già messo a segno consiste nel fondo Eracle, cui il Banco ha conferito la propria dotazione immobiliare e al quale paga l’affitto per gli sportelli. Operazione che ha permesso di mettere in cassaforte 750 milioni di euro. Un secondo tassello fondamentale consiste nell’accordo con Credit Agricole per la joint DucatoAgos, nel credito al consumo. Altre dismissioni attuate nelle settimane più recenti riguardano la totalità o quote di società quali Linea, Popolare di Mantova, Delta, Icbp. Manovre comunque d’impatto limitato sui conti.
Sul mercato è poi Efibanca, merchant bank del gruppo, il cui portafoglio di partecipazioni di private equity potrebbe finire sotto la gestione di Palladio Finanziaria (di cui il Banco è azionista pesante). Da definire pure i destini della quota di Arca in mano alla banca guidata da Saviotti (circa il 30%, mentre il 23% appartiene a Bper e il 21% a Ubi)). La sgr potrebbe essere ceduta a Bper, ma potrebbe anche destare l’interesse di AnimaBpm, o ancora costituire lo strumento per un’alleanza durevole tra le banche popolari azioniste ed un partner estero, sul modello di quanto già fatto da Ubi attraverso la joint venture con Prudential. Di sicuro la cessione di Arca rientra nei piani di Saviotti.
Un’attività di razionalizzazione e un ritorno al mestiere di banca "a maglie strette" che in tante occasioni, durante le assemblee dei soci in particolare, il presidente Fratta Pasini aveva rivendicato come caratteristica di un "sano istituto localistico". Ma lungo questo percorso rimane un rebus che si chiama Italease, che al 30% fa capo appunto al Banco. Secondo quanto sostiene Kbw, in un report a firma di Marcello Zanardo e Aldo Comi, "il futuro del Banco dipende da come sarà risolto il caso Italease, che è troppo grande per essere consolidata dal Banco e non abbastanza forte per stare sulle sue gambe da sola". Due gli scenari possibili secondo gli analisti: lo spacchettamento di Italease, con il consolidamento proquota del portafoglio di leasing tra le banche popolari azioniste dell’istituto presieduto da Lino Benassi; il consolidamento di Italease all’interno della fusione tra Banco e Ubi.
Ma la fusione con Ubi è stata più volte smentita da entrambi gli Istituti e recentemente definita come "ipotesi destituita di ogni fondamento" anche dall’ad Pierfrancesco Saviotti, banchiere assai esperto nell’abbassare il profilo di rischio. E, a proposito di rischi, Italease appare un’autentica zavorra per i conti del Banco: agli inizi di dicembre, quando è fallita la joint venture con i tedeschi di Dz, a fronte dei 2 miliardi di funding garantiti dai pattisti a Italease per il 2009, il Banco si è impegnato per 1,5 miliardi. I vertici dell’istituto veronese sottolineano di avere abbondante liquidità, positiva per 5/7 miliardi, tale da mettersi al riparo da ogni possibile crisi. Ma si tratta di considerazioni che il mercato continua a non tenere in gran conto, se è vero che dalla fusione tra Popolare di Verona e Novara e Bpi il gruppo ha perso il 70%.
Il titolo appare sottovalutato sotto molteplici aspetti. Vale quanto al rapporto tra patrimonio netto e prezzo dell’azione, così come nel rapporto tra prezzo e valore di libro. Vale riguardo alla comparazione possibile con altri titoli quotati: il totale attivo del Banco è superiore a quello di Ubi, che a Piazza Affari è valutata quasi il doppio. Ma sono pure interessanti i recuperi di redditività espressi dalle banche già nella galassia di Lodi (in particolare la Cassa di Lucca, Pisa e Livorno). Dell’incertezza dei destini del Banco, sospeso tra potenzialità di riscatto e eredità difficili, sono specchio tutti gli ultimi report: Deutsche Bank e Natixis propongono un target price di 7 euro, Equita di 7,3 e Ubs di 6,2. Db in particolare stima un decremento del 23% degli utili netti operativi rispetto alle precedenti ipotesi sul biennio 20082010 e una forte discesa dei profitti netti (dai 592 milioni previsti per il 2009 ai 375 della nuova stima, dai 738 attesi per il 2010 ai 509 della nuova ipotesi).
Ed è proprio l’andamento delle banche commerciali, che continuano a portare redditività al gruppo e procedono con regolarità a centrare gli obiettivi di budget, la ragione principale per cui nelle stanze del Banco Popolare si respira un cauto ottimismo, dopo un biennio certamente difficile.

dal giornale kommunista

mah............
 
la fine del mondo

son costretto a rinegoziare(allungare) i leasing pre fortuna i più grossi sono quasi alla fine,stasera ho chiamato un consulente.Mai lo avrei pensato 6 mesi fà.
insoluti di gennaio(30% del fatturato+calo fatturato e clienti a cui ho sospeso le forniture.
credo che per le società di leasing,sullo strumentale(macchinari)sarà un disastro il primo trimestre 2009.
da marzo il mio personale 4 giorni lavoro 1 a casa.

altra cosa l'inps non pùo reggere al calo dei contributi con tutti i sussidi da pagare...bohhhh
 
Però, che indecenza l'Italia delle banche (E NON SOLO)!
Altro che si difendono meglio perchè qua e perchè là ...

La realtà è che nessuno scava mai sulle lordure di questo "mondo",
altrimenti collassa il sistema politico intero, come collateral.

Prima Prof.umo umilia Gero.nzi ingoiando B.Roma ... e poi, questi
lo umilia a sua volta "commissariando" Unic.redit, via Medi.obanca.

"E le stelle stanno a guardare"

Intanto il governo gioca ai 4 cantoni!!!!!!
Continuano gli sbarchi, l'economia s'affossa, le fabbriche chiudono, ...
Unica certezza italiana: BANCARI e PUBBLICI DIPENDENTI sempre al loro posto, e
sempre più pagati. Perché? Semplice: stampelle del POTERE!!!

Intanto c'è chi osa paragonare l'immigrazione di oggi con le
migrazioni dei nostri nonni di inizio 900 e dei nostri padri degli anni 50.
Il lurido programma di ier sera sulla terza rete Rai è inaccettabile.

*********
UNICA SALVEZZA: SECESSIONE DEL VENETO!!!!!!!!!!!!!!!!!
 
Ultima modifica:
Intanto il governo gioca ai 4 cantoni!!!!!!
Continuano gli sbarchi, l'economia s'affossa, le fabbriche chiudono, ...
Unica certezza italiana: BANCARI e PUBBLICI DIPENDENTI sempre al loro posto, e
sempre più pagati. Perché? Semplice: stampelle del POTERE!!!

Intanto c'è chi osa paragonare l'immigrazione di oggi con le
migrazioni dei nostri nonni di inizio 900 e dei nostri padri degli anni 50.
Il lurido programma di ier sera sulla terza rete Rai è inaccettabile.

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UNICA SALVEZZA: SECESSIONE DEL VENETO!!!!!!!!!!!!!!!!!

barry,ti faccio un GRANDE APPLAUSO,veramente ignobile quel programma di rai 3.....:wall::wall:

x zagalone,che mi dici di bum-bum??andiamo male...diagnosi?correttivi??
 
....per oggi probabilmente no...
Ma probabilmente si nei prossimi gg.
---------------------
parmalat ultime 3 settimane :

................................................................. a

gr..zie .. -ke.


...................................... a

PICASSO.jpg
 
il cda ha partorito il solito topolino....

...di +...da qs mediocrissimo cda non può uscire....

...manco la trasformazione in spa.....

....ma la colpa + grossa è di quel pecorume acefalo dell'ultima assemblè.....:wall::wall::wall:

...i soci cianno il cda ke si meritano.....:-D:ciapet::-D:ciapet::clap::clava:
ake, nessuno saspettava miracoli,........

saviot stà monitorando la situescion:D:D:D:D

spa? lasapered
 

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