In un giudizio a posteriori, il recente quadro di crescita macroeconomico e finanziario ha come fondamenta sbilanciamenti, politiche monetarie e fiscali espansionistiche, una eccessiva "deregulation" e un uso incauto del credito e della leva finanziaria. La crisi finanziaria odierna, che ha avuto inizio con i mutui subprime negli Usa nel 2007, segna l'inizio di un rovesciamento disordinato di questi squilibri globali. Mentre il senno di poi rivela un insieme di altre cause della crisi, un uso eccessivo della finanza fuori bilancio, un credito ed una gestione del rischio troppo accomodante e politiche di compensazione errate, la più seria e prolungata sfida ai modelli di crescita esistenti nel sistema finanziario è rappresentata dal rovesciamento di questi squilibri globali, il quale ha rallentato la crescita globale e dato un rinnovato e maggiore ruolo ai governi ed ai politici.
La crisi finanziaria segna l'inizio di un nuovo capitolo per il sistema finanziario globale, caratterizzato da tre importanti cambiamenti: deleveraging e rallentamento dell'economia globale, crescita degli interventi dei governi, minaccia al cammino verso la globalizzazione.
Nel breve periodo (2009-2012), il sistema finanziario continuerà il processo di deleveraging, mentre le istituzioni finanziarie adattano le loro strategie alle restrizioni derivanti da un intervento crescente dei governi e previsioni di crescita in calo. Nel lungo periodo (2009-2020), il grado di leverage finanziario, il ruolo del governo e la minaccia alla globalizzazione sono meno probabili, ma saranno ugualmente importanti per le istituzioni finanziarie nello sviluppare strategie economiche efficaci.
Deleveraging e rallentamento economico globale
Nel breve periodo il processo di deleveraging dei bilanci delle banche e delle famiglie avrà un notevole impatto sul settore finanziario, e di conseguenza sull'economia globale. Le azioni correttive delle banche e degli investitori hanno già ottenuto effetti cospicui, come testimoniano il declino globale dei prezzi di obbligazioni ed azioni. Il crescente costo del credito e le previsioni economiche negative hanno costretto molti investitori a ridurre drasticamente il loro uso della leva finanziaria portando a grosse vendite globali di quasi ogni classe di titoli. Questi cali dei mercati hanno diminuito le aspettative delle famiglie sulla creazione di ricchezza e di conseguenza abbassato il livello di debito ed aumentato il tasso di risparmio.
Il ritracciamento del debito al consumo, in particolare per le famiglie statunitensi, avrà un effetto persistente. Nonostante i vari stimoli fiscali adottati dalle maggiori economie, il consumo nei paesi industrializzati cederà il passo ad un aumento del risparmio.
Anche se ci sono ancora delle divergenze nelle previsioni economiche, molti pensano che questo calo dei consumi a livello globale porterà ad un rallentamento dell'economia duraturo. Il Fondo Monerario Internazionale prevede una crescita mondiale del 2,2% nel 2009, contro il 5% del 2007 ed una stima del 3,7% nel 2008. Questo rallentamento sarà guidato dal continuo calo dei prezzi immobiliari, un aumento dei fallimenti ed un calo dei consumi accompagnato da tassi di risparmio più alti.
La crisi globale avrà effetti importanti sul panorama dei servizi finanziari. Nel breve termine, il rallentamento dell'industia finanziaria e dell'economia reale verrà amplificato a vicenda. Con livelli calanti del consumo globale, la crescita economica sarà limitata, rendendo meno attraente il credito da parte delle istituzioni finanziarie e diminuendo le opportunità di investimento. L'innalzamento dei requisiti per il credito e la diminuzione della propensione al rischio renderà più difficile il finanziamento da parte delle imprese, portando ad ulteriori perdite e fallimenti. Questo diminuirà nuovamente il valore degli attivi esistenti delle banche, inducendo nuovi aggiustamenti di bilancio e restrizioni al credito.
E' improbabile che il ritracciamento dei livelli di debito si concluderà nel breve termine. I livelli di leverage del sistema si sono accumulati in un periodo di venti e più anni e difficilmente scompariranno. Mentre la "grande retromarcia" si diffonderà in tutto il sistema, i suoi effetti cambieranno fondamentalmente il sistema macroeconomico globale. Primo, i governi prevederanno un rinnovato ruolo nella sorveglianza dei mercati finanziari. Secondo, diversi paesi saranno coinvolti e riponderanno in maniere differenti, portando a potenziali aumenti o diminuzioni nel processo di spostamento della forza esistente dalle nazioni industrializzate a quelle emergenti. Terzo ed ultimo, la riduzione della ricchezza ed una più bassa leva finanziaria cambieranno le strategie delle istituzioni finanziarie. Coloro i quali non si adatteranno verranno emarginati dai nuovi arrivati, liberi da pratiche del passato.
Crescita degli interventi dei governi
Una volta che gli effetti della crisi finanziaria sono diventati evidenti nella metà del 2008, molti ministri delle finanze, governi e banche centrali sono intervenuti energicamente. Queste azioni hanno rappresentato un nuovo contratto implicito tra i paesi ed i loro rispettivi settori finanziari, nei quali i governi assumeranno i rischi del loro sistema bancario in cambio di un aumento della regolamentazione e della supervisione del settore. Quest'ultimo aspetto del contratto richiederà tempo per essere progettato ed implementato.
Per ora gli interventi sono stati estesi e relativamente consistenti nelle principali economie. Queste misure hanno incluso acquisizioni di banche, intere nazionalizzazioni quando non si sono potuti trovare acquirenti, linee di credito di emergenza, iniezioni di liquidità atte a sostenere il mercato del credito, garanzie statali sui prestiti interbancari, e l'introduzione o l'espansione degli schemi di assicurazione sui depositi.
La scala degli interventi ha messo a dura prova le finanze, e la creatività, delle principali banche centrali, come dimostra il cambiamento registrato dal bilancio della Federal Reserve. Con questi sforzi nel ricapitalizzare il sistema bancario nazionale ed immettere liquidità nel sistema, le banche centrali hanno istituito un insieme di nuovi programmi di prestito che hanno effettivamente trasferito gran parte del leverage e del rischio finanziario ai bilanci nazionali.
Interventi di dimensioni massicce hanno reso necessario per le banche centrali la richiesta di pacchetti finanziari speciali da parte dei governi. Come risultato le politiche fiscali nazionali saranno messe sotto pressione, aumentando il rischio di bancarotta da parte degli stati e di potenziali interventi da parte del Fondo Monetario Internazionale. Nelle economie emergenti che si basano prevalentemente sui mercati finanziari esteri, i rischi sono ancora maggiori, e comprendono rinnovate pressioni inflazionistiche, svalutazioni monetarie, il deterioramento degli investimenti stranieri ed una previsione di crescita negativa.
Questa crescita dell'accollamento del richio da parte degli stati ha cambiato drammaticamente il ruolo del governo all'interno del settore finanziario. Mentre le attività del governo e delle sue agenzie erano precedentemente focalizzate sulla supervisione, sono ora diventati partecipanti attivi nei mercati che loro stessi regolano. L'intervento del governo sarà avvertito soprattutto dalle banche semi-nazionalizzate, che dovranno combinare obiettivi in competizione tra loro da parte dei governi e degli azionisti privati. In un periodo nel quale gli azionisti privati assumeranno un ruolo più attivo per riportare competitività a queste aziende, gli azionisti governativi potrebbero introdurre nuovi obiettivi non necessariamente compatibili con quelli degli investitori privati. Prendiamo ad esempio, UK Financial Investments Limited (UKFI), il veicolo del governo per le proprietà delle banche. Il suo obiettivo sarà quello di proteggere e creare valore per i contribuenti in quanto azionisti, con il dovuto riguardo alla stabilità finanziaria ed agendo in una maniera tale da promuovere la competizione. Come la UKFI bilancerà il suo obiettivo di massimizzazione della crescita economica del Regno Unito, che potrebbe implicare temporaneamente un livello dei tassi inferiori al costo del capitale ed al rischio di credito, con quello della massimizzazione dei rendimenti per i suoi azionisti pubblici rimane una domanda senza risposta. In breve, i governi e gli azionisti privati delle banche semi-nazionalizzate potrebbere non concordare sulle misure da intraprendere nel breve periodo: crescita del prodotto interno lordo o profittabilità della banca. Infine, gli effetti dell'intervento del governo saranno anche avvertiti dagli operatori non nazionalizzati in quanto devono competere con operatori garantiti dallo stato.
L'assunzione del rischio da parte dei governi condurrà probabilmente ad una maggiore regolamentazione di tutte le istituzioni finanziare che beneficeranno dei loro aiuti per potersi assicurare che gli investimenti finanziati dai contribuenti siano gestiti correttamente. Ciò rappresenta la seconda parte del contratto implicito tra governi ed istituzioni finanziarie. Questa regolamentazione e supervisione avrà il doppio obiettivo di minimizzare i rischi finanziari sistemici e di proteggere le imprese e le famiglie dalle mancanze del mercato quando si verifichino. A differenza della risposta relativamente contenuta data all'insuccesso del mercato, il grado di cambiamento nella regolamentazione e nel controllo varierò probabilmente da paese a paese, insieme all'approccio nella gestione del capitale e della liquidità, alle riforme compensative, supervisione dei regolamenti del settore non-bancario e in misura minore all'introduzione di sistemi di allarme e di protezione da rischi finanziari sistemici ed un aumento di coordinazione con la regolamentazione straniera.
Minaccia al cammino della globalizzazione
Le previsioni di un forte rallentamento dell'economia mondiale minaccia il cammino della globalizzazione del mercato finanziario e, di conseguenza, le opportunità di crescita per le istituzioni finanziarie internazionali. La globalizzazione finanziaria ha permesso a queste imprese di espandere la propria operatività sia in mercati avanzati che emergenti. Questo è stato un vantaggio per il settore, con il risultato di maggiori ricavi, accesso agli investimenti e diversificazione del portafoglio.
Con il diffondersi degli effetti della crisi finanziaria sulle economie emergenti, la minaccia di un aumento dei controlli sul capitale diventa una seria possibilità. I dibattiti riguardanti il ruolo di flussi di "hot money" nelle crisi finanziarie internazionali, che hanno già richiamato l'attenzione durante la crisi asiatica e quella russa, potrebbero tornare ancora una volta all'attenzione del pubblico. Mentre i governi nazionali indagano sulle cause che hanno portato alla crisi odierna, le tesi per limitare l'esposizione delle economie domestiche alle crisi esterne riguadagneranno probabilmente il rilievo avuto in passato. Se i governi nazionali dovessero chiudersi in se stessi e ripristinare i controlli sui capitali per poter proteggere le proprie economie, queste restrizioni limiterebbero in maniera significativa la crescita e le opportunità di investimento per le istituzioni finanziarie. Questi controlli potrebbero potenzialmente portare a costi maggiori di indebitamento, con equilibri domanda/offerta molto diversi da regione a regione, e potrebbero diminuire la correlazione tra i rendimenti globali degli attivi.
Segni di un rallentamento della globalizzazione dell'economia sono già evidenti nei flussi di capitale e nei volumi del commercio. L'Institute of International Finance prevede che i flussi privati netti di capitale verso le economie emergenti torneranno sui livelli tra il 2005 ed il 2006 dopo aver raggiunto un massimo di 898 miliardi di dollari nel 2007. Similmente, per i flussi del commercio globale, che sono cresciuti del 9,4% nel 2006 e del 7,2% nel 2007, è prevista una crescita di solo il 2,1% nel 2009, il tasso di crescita più basso dal 2001.
Come il numero delle banche nazionalizzate continua a crescere, così accadrà agli incentivi ad adottare politiche bancarie nazionali da parte dei governi. Avendo investito miliardi di dollari nel salvataggio delle banche nazionali, qualche governo potrebbe essere riluttante nel concedere alle banche straniere di competere nel proprio mercato domestico. Questi impulsi potrebbero in qualche maniera essere mitigati dalla necessità di nuove fonti di prestito derivanti da un economia globale. Comunque, se i sentimenti nazionalistici fossero predominanti, potrebbero portare una maggiore frammentazione del sistema bancario, con banche focalizzate maggiormente sui propri mercati domestici.
C'è molta incertezza riguardo al grado col quale la crisi corrente potrebbe sfociare in un'inversione in grande scala della tendenza verso la globalizzazione. Mentre alcune economie potrebbero tentare di isolarsi dal contagio globale futuro, altre probabilmente riconoscono che il danno potenziale derivante da politiche di questo tipo supera i vantaggi. Inoltre, molte delle conseguenze della globalizzazione, come la comparsa di banche globali, l'integrazione del mercato delle obbligazioni e l'interconnessione di dati finanziari e sistemi di comunicazione, sarebbero estremamente difficile da rovesciare. Comunque, un certo grado di inversione rimane una chiara possibilità.
Forze chiave nel breve e lungo periodo
Quindi, nel breve termine (2009-2012), le tendenze dominanti nel sistema finanziario globale continueranno ad essere il deleveraging, l'adattamento agli interventi crescenti dei governi e la debolezza dell'attività economica internazionale. Nel lungo periodo (2009-2020), il livello della leva finanziaria, il ruolo dei governi e le prospettive riguardanti la globalizzazione sono molto più incerti, ma saranno ugualmente aspetti critici per le istituzioni finanziarie alla ricerca di strategie economiche efficaci.
estratto da:
"The future of the global financial system"
World Economic Forum
vedi anche:
Stati Uniti e Regno Unito sull'orlo di un disastro del debito
Baltic dry index e la globalizzazione
Il deleveraging è dannoso per l'economia?
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