Alessandria, 5 mar –
Borsalino, storico produttore alessandrino di cappelli che sta alla moda quasi come la Ferrari sta alle auto, è
prossima al fallimento. Dopo quasi 160 anni di storia, con 130 dipendenti di altissima qualificazione, il Cda guidato da
Marco Moccia ha deciso di chiedere al tribunale di Alessandria il concordato preventivo “
che consenta la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti”, ma che potrebbe anche portare a uno “
scenario alternativo di natura liquidatoria”, appunto il fallimento.
Il vero dramma consiste nel fatto che
non si tratta di una crisi industriale – il prodotto non ha mai avuto
tanta richiesta in innumerevoli mercati di tutto il mondo, incluso il settore dei copricapo religiosi – ma del
gigantesco crack finanziario, che con
tre miliardi di euro si colloca al secondo posto in Italia dopo il crack Parmalat, del socio di maggioranza: l’astigiano
Marco Marenco.
Marenco,
59 anni, un personaggio vagamente misterioso, tanto riservato che non compare in alcuna fotografia pubblica, ma ben noto ai
tribunali di Asti e Alessandria che, tra giugno e luglio dello scorso anno, spiccarono contro di lui
mandati di cattura finora andati a vuoto: da oltre sei mesi, infatti, il finanziere astigiano è di fatto latitante, probabilmente in Svizzera, dove è noto avere legami molto forti e ramificati, ma il rischio è che si trovi in un altro e assai più lontano e complesso dei tantissimi paesi del mondo dove il suo impero industriale ha sviluppato progetti e rapporti, dall’Asia centrale alla Russia, dall’Ucraina alla Germania e ad alcuni paesi africani.
La gestione dell’impero di Marenco era affidata a una società di famiglia, la
Fisi, che fino qualche anno fa risultava essere a sua volta controllata da almeno un’altra società a monte, forse una semplice
Snc ancora più “familiare” e che al tempo dei provvedimenti giudiziari era comunque controllata dalla quasi omonima
Fisi GmbH (analoga come tipo a una Srl italiana) con sede in Germania. Il resto, un intrico tuttora solo parzialmente svelato fatto di innumerevoli
scatole cinesi distribuite in Italia e in mezzo mondo. Per farsene almeno un’idea superficiale, può essere utile leggere la visura storica di una delle infinite partecipate, la
Italbrevetti Srl, che a suo tempo ha sviluppato moltissimi impianti idroelettrici in Toscana settentrionale e in Emilia.
L’inchiesta era
partita dalla Dogana di Alessandria, che ha competenza anche su Asti, a causa di un’evasione da 4 milioni di accise sul gas della
Metanprogetti, fino a scoprire 300 milioni di evasione, mentre cominciavano ad arrivare richieste di concordati preventivi da diverse società del gruppo con
passivi impressionanti, fino appunto a delineare il
maxi crack e a portare al
fallimento personale di Marenco.
Come è possibile che un gruppo leader nel trading di petrolio e gas, che negli anni ha
metanizzato mezzo Piemonte, proprietario di innumerevoli
dighe idroelettriche sulle Alpi e gli Appennini, produttore di energia da diverse
fonti rinnovabili, leader in settori ad alta intensità industriale come quello delle
grondaie, delle
condotte, dell’
upstream di petrolio e gas, e appunto di una florida azienda come
Borsalino, abbia accumulato così tanto debito da vedersi sequestrare le quote di proprietà in almeno 11 partecipate, tra cui appunto il
50,45% della Borsalino di proprietà della
Fisi, e il
17,47% di quota della
Finind, altra società “
marenchiana” a sua volta da tempo commissariata per bancarotta?