Alzare i tassi non serve, i problemi sono altrove…
March 3, 2006 on 4:13 pm | In Economie e mercati | Nessun commento
Che ieri la Banca Centrale Europea potesse portare i tassi al 2,50% non era certo una novità. Se i mercati dell’area, dalle Borse all’obbligazionario, hanno ugualmente reagito male all’evento, è perché si sono scontate nuove mosse restrittive nei mesi a venire.
Il Presidente dell’Istituto, Trichet, ha infatti lasciato trapelare una visione dell’economia europea improntata all’ottimismo, che tradotto nel linguaggio della politica monetaria significa “allarme per possibili pressioni inflazionistiche”; da qui l’impressione che un ulteriore ritocco dei tassi possa avvenire in giugno, se non addirittura maggio, e che quota 3% entro fine anno non sia più un miraggio.
Il fatto stesso che nella riunione di ieri si sia persino discusso di un aumento di mezzo punto, piuttosto che di un nulla di fatto, la dice lunga sulla visione condivisa dai membri del Direttorio.
Sottostante a questa decisione, e alle probabili prossime, c’è infatti uno scenario di convincente ripresa per la congiuntura europea, con un +2,1% quest’anno ed un +2% il prossimo (ancora a dicembre si stimava un duplice +1,9%), con un’inflazione che rimarrebbe, seppur di poco, sopra le soglie “critiche” del 2%: per la precisione è vista al 2,2% sia quest’anno, sia il prossimo (e oggi siamo a quota +2,3%).
Sulla ripresa ci sarebbe forse da discutere; anche perché riducendo il differenziale con i tassi a breve Usa, c’è il rischio che il cambio continentale tenda a risalire contro il dollaro e che quindi la crescita futura possa perdere pericolosamente colpi.
Quanto ai prezzi, qui al contrario della Fed si continuano a seguire indici che includono l’effetto esogeno dell’energia, su cui poco o nulla può fare la politica monetaria. Senza l’energia, avremmo prezzi al consumo oggi in crescita solo di un modesto +1,3% e che diffilmente potranno risalire nel 2006 oltre la soglia del 2%: su queste basi, francamente, l’inflazione non sembrerebbe un problema così serio di cui preoccuparsi.
Più gravi semmai sono altri aspetti, legati ai ritmi di crescita e alle peculiarità delle varie realtà che compongono l’Unione Europea, e a come li può affrontare una politica monetaria unica. Abbiamo da un lato realtà come l’Italia, che soffrono di difficoltà oramai strutturali, più che congiunturali, e che a malapena riusciranno a toccare l’1% di crescita quest’anno, dopo uno stallo completo del 2005.
Hanno un’inflazione più elevata che altrove a causa di inefficienze e non per un “eccesso di domanda”, visto che i consumi delle famiglie sono oramai da tempo al palo. Ma questa maggiore inflazione contribuisce a far salire il costo del lavoro più che altrove, determinando un’erosione di competitività che si riassume in una posizione commerciale con l’estero che nel 2005 è finita in rosso per oltre €10 mld.
All’opposto abbiamo una Germania che, grazie alla competitività – il suo costo del lavoro, invariato da un decennio, è addirittura sceso dell’1% a fine 2005 – è riuscita l’anno scorso a toccare un nuovo attivo record nella bilancia commerciale, con un avanzo di oltre €160 mld.
Il guaio è che la Germania non riesce a tradurre questa maggior crescita esterna in elevati consumi interni: finisce dunque per sottrarre crescita ai partner più deboli, tra cui appunto l’Italia (anche la Francia ha visto disavanzo esterno esplodere nel 2005, a ben €27,7 mld), senza favorirne la crescita, assorbendo le loro esportazioni tramite adeguati consumi interni.
Con il rischio che nel 2006 la Germania possa davvero incamminarsi sulla via della ripresa, ma l’Italia ne rimanga in larga parte esclusa. Un secondo problema si pone con il differente andamento dei mercati immobiliari, che condiziona anche la crescita degli aggregati monetari. Con un balzo di quasi il 10% su base annua, la componente mutui giustamente crea qualche allarme alla Bce, che teme il diffondersi di una bolla speculativa sull’immobiliare.
Dietro all’aumento dei tassi c’è forse più questa ragione che non il rischio di inflazione su beni e servizi. Ma tutto ciò, se è giustificato in Spagna e Francia, dove gli immobili sono volati, e in qualche misura anche qui da noi, non lo è affatto in Germania, dove il mercato immobiliare è completamente fermo da anni.
Per i tedeschi sarebbe semmai più opportuna, anche per sostenere consumi stagnanti (il recupero di gennaio non deve suscitare troppe attese: è la reazione statistica al flop di dicembre…), una politica monetaria più espansiva: potrebbero anche permettersela, con un’inflazione “core” allo 0,8% soltanto finora.
La via d’uscita sarebbe un’integrazione più stretta, a cominciare da una politica fiscale comune; ma per il momento appare una soluzione impensabile. Quanto ai tassi, continuare ad alzarli per frenare una modesta crescita complessiva e contrastare un fattore esogeno come l’aumento dei prezzi dell’energia rischia solo di portare l’intera area verso guai maggiori.
Nella seconda metà dell’anno ci attendiamo quindi meno ottimismo da parte della Bce e la conclusione della stretta monetaria; sarà il movimento dei cambi, con un dollaro più debole rispetto all’euro, a frenare ancora la ripresa continentale, senza peraltro che ce ne sia bisogno, perché l’inflazione rimarrà comunque sui livelli attuali.
E a quel punto la Banca Centrale potrebbe trovarsi, forse come la Fed, in qualche difficoltà con quella crescita oggi così temuta.