Una decisione formale non è ancora stata presa ma un orientamento c’è già: Astaldi è pronta a valutare lo strumento del concordato in bianco. L’ipotesi sarà al vaglio del consiglio di amministrazione che si terrà tra due giorni. Secondo fonti finanziarie, la strada del concordato prenotativo avrebbe diversi vantaggi stante soprattutto la ripartizione dell’indebitamento dell’azienda. Astaldi si trova a dover fare i conti con un debito per cassa di 2,5 miliardi (900 milioni di bond più 1,6 miliardi di linee di credito) più linee di bondistica, ossia di garanzie legate a progetti internazionali, per altri 1,7 miliardi. A cui si sommano 500 milioni di revolving credit facility. Un’esposizione rilevante a cui il gruppo, complice una contemporanea crisi di liquidità e l’impossibilità di dar seguito al vecchio progetto di rafforzamento patrimoniale, non riesce più a far fronte. Di qui la necessità di ricorrere a uno strumento, il concordato in bianco, capace di tutelare al meglio, in questa fase, società e creditori. L’iter prevede che una volta depositata la richiesta Astaldi abbia tra i 120 e i 180 giorni di tempo a disposizione per decidere se procedere con un concordato preventivo oppure fare ricorso all’articolo 182 bis (o septies), che prevede il raggiungimento di un’intesa di tipo negoziale, ma con garanzie costituite da una verifica e da un’omologa del tribunale. Il progetto deve essere gradito ad almeno il 60% dei creditori, considerando anche i privilegiati, e normalmente si utilizza sia per liquidare l’impresa che per continuare l’attività.
Il gruppo è alle prese con una complessa crisi aziendale da diverso tempo. La scorsa primavera ha deliberato un piano di rafforzamento patrimoniale da 2 miliardi, con annesso aumento di capitale da 300 milioni, ormai di fatto non più attuabile. Questo perché la ricapitalizzazione è legata a doppio filo alla cessione del terzo Ponte sul Bosforo. Operazione che allo stato non sembra poter trovare una veloce conclusione. C’è già un compratore, un gruppo cinese, e c’è già una trattativa in corso, ma è sui tempi che la partita è disallineata, a tutto svantaggio di Astaldi. Dopo la tempesta valutaria e politica scoppiata in Turchia ai primi di agosto, i cinesi chiedono maggiore flessibilità per chiudere l’affare. Ma l’azienda italiana ha poco spazio di manovra. Non foss’altro perché le banche creditrici, allo stato, hanno chiuso i rubinetti. L’allarme dei creditori, infatti, è agli atti. A ciò si associa anche il fatto che a fine mese scadrà il mandato a Jp Morgan, banca che avrebbe dovuto garantire l’inoptato dell’aumento di capitale da 300 milioni, funzionale tra l’altro all’ingresso dei giapponesi di Ihi. Si spiega così, stante peraltro il fabbisogno di almeno 100 milioni di nuova liquidità, la necessità di metter mano al debito. Tassello cruciale di questa manovra è naturalmente il bond da 750 milioni con scadenza al 2020, a cui si aggiunge un altro bond convertibile da 140 milioni.
Il progetto, nel suo complesso, dovrà anche contemplare un nuovo piano di cessioni che dia ossigeno in tempi brevi alla compagnia. Qualcosa è stato già fatto. La società ha comunicato nei giorni scorsi il perfezionamento della cessione di una quota del 59,4% di Veneta Sanitaria Finanziaria di Progetto, concessionaria dell’Ospedale dell’Angelo di Venezia-Mestre. A questo punto manca il Ponte sul Bosforo e Goi Motorway, asset destinato a finire sul mercato nel 2019 ma che potrebbe diventare oggetto di una cessione lampo.
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Laura Galvagni
Marigia Mangano