Un’antipatia fra commissari rischia di mandare a casa i 6 mila dipendenti della Trevi, azienda cesenate che dopo un periodo difficile dovuto a una diversificazione malriuscita era riuscita a mettere in piedi un piano di ristrutturazione che aveva messo d’accordo i fondatori, la famiglia Trevisani, l’azionista CDP, il fondo Polaris e le banche creditrici.
Con una decisione davvero inconsueta, però, il tribunale di Forlì non ha dato l’omologa al piano, non perché non lo reputi valido, ma perché ha contestato la presunta non indipendenza di un consulente usato per la stesura dello stesso, il professor Enrico Laghi, più noto per essere commissario di Alitalia e in passato di Ilva.
Non indipendenza che Trevi peraltro contesta e su cui ha annunciato ricorso. Il problema è che il consulente del tribunale che ha bocciato l’omologa è un altro ex commissario di Alitalia, quello Stefano Ambrosini di recente salito all’onore delle cronache giudiziarie proprio a causa dell’attività svolta come commissario di Astaldi e che, sostengono i piadinari della città romagnola, sarebbe davvero in conflitto d’interesse, avendo svolto il ruolo di consulente di Sound Point, un fondo che era una possibile alternativa al piano poi scelto per l’azienda e che per questa partita si era avvalso degli uffici dell’avvocato torinese. Ora l’azienda farà ricorso e il piano avrà l’omologa. Bisogna solo sperare che nel frattempo Trevi non fallisca e i 6 mila dipendenti vadano a casa, o ad aumentare la flotta di venditori di piadine di fronte al Tribunale di Forlì.