yes todo bien ric
allego l'ultimo articolo di usemlab con un finale horror per gli shortaroli impenitenti
Processo alla Fed
(24/9/04) Terzo rialzo di venticinque basis points. Passi misurati, come promesso. Il nuovo corso restrittivo della politica monetaria della Fed, iniziato con il primo rialzo del 30 giugno scorso, e così insolito per un anno di elezioni, viene giustificato superficialmente come il necessario adeguamento della politica monetaria alla ripresa economica in corso.
Non c'e dubbio che dal 2001 siano stati iniettati nell'economia americana diversi trilioni di dollari. Moltiplicati per un fattore ben maggiore di uno grazie al contributo delle macchine stampasoldi del resto del mondo, hanno prodotto un effetto piuttosto visibile nelle statistiche degli aggregati di crescita economica: quello di una espansione mondiale generalizzata.
Tuttavia tra vera crescita economica e semplice espansione c'è un abisso di mezzo, specialmente per quel che riguarda gli Stati Uniti, cuore dell'orgia inflazionistica degli ultimi anni. Stampare denaro fresco, tranne che nelle situazioni oramai compromesse, ha come effetto quello di causare un'espansione economica, prevalentemente tramite la sollecitazione dei consumi. E' il motivo stesso per il quale, dalla infelice invenzione delle banche centrali, si ricorre alla politica monetaria come strumento di regolazione del ciclo economico. Tuttavia, un'espansione economica non necessariamente equivale a una crescita economica reale. Utilizzando al posto di crescita economica reale un'espressione di gran lunga preferita da Rothbard e Mises, sarebbe più chiaro e corretto dire che un'espansione economica non necessariamente riflette una economia progressiva.
La crescita economica è un concetto molto ambiguo che poco ha a che fare con un'economia progressiva. A tal proposito, la misura del GDP stesso, in quanto aggregato (ma non solo in quanto aggregato), rappresenta un indice statistico di bassa, e a volte nulla, significatività. Esso trascura infatti ciò che avviene nella struttura capitale di un paese, genuino fattore di ricchezza del paese stesso, rilevando solo ciò che avviene nelle fasi finali dell'intero processo produttivo, quelle che ruotano appunto intorno ai consumi.
Per le dinamiche sperimentate nel corso degli ultimi tre anni dagli Stati Uniti, vittima della peggiore politica inflazionistica di tutti i tempi, l'espansione economica nasconde in realtà una economia regressiva, una economia nella quale si consuma capitale. Per ripetere il concetto con altre parole, ed essere del tutto chiari a costo di una noiosa ripetitività, la crescita economica americana in corso sta distruggendo la struttura capitale sottostante, impoverendo e non arricchendo il paese. Diverse evidenze, come i dati del lavoro o le cifre relative all'indebitamento, per citarne solo due, confermano questa tendenza e ritraggono una situazione economica americana decisamente infelice. Forse la più infelice dai tempi della grande depressione.
Viene quindi da chiedersi perché, nonostante il fallimento totale della politica monetaria americana nel riuscire a rigenerare un'economica progressiva, Alan Greenspan e la Fed abbiano deciso di rialzare gradualmente i tassi di interesse.
Una prima risposta è implicita nella domanda stessa. Inutile mantenere i tassi a un livello così basso se la politica monetaria è inefficace e genera solo un'espansione insensata dei consumi che in ultima analisi divorano il capitale del paese e si traducono in un impoverimento sempre più rapido (benché ancora non consapevole a livello pubblico) del sistema economico americano.
Una seconda ragione si può ritrovare nell'altissimo livello di speculazione, che Doug Noland meglio di chiunque altro esamina nei suoi report settimanali, alimentato e stimolato dal denaro a basso costo della banca centrale americana. Dopo aver generato tutta una serie di bolle, e coinvolgendo in una misura senza precedenti anche il mercato immobiliare, la politica monetaria americana ha causato una situazione finanziariamente instabile che andava in qualche modo fermata, o perlomeno rallentata. Presto o tardi, la fragile e apparente stabilità di un sistema monetario sempre più disordinato rischierebbe infatti di crollare sotto il peso stesso di quelle dinamiche speculative che un costo del denaro troppo basso inevitabilmente genera e sollecita.
Una terza ragione, immediata conseguenza della precedente, sta nel tentativo di dare sostegno diretto a un dollaro che ha rischiato e ancora rischia una crisi senza precedenti sui mercati valutari mondiali. L'enorme liquidità creata dal banchiere centrale americano è in grado di scatenare forze talmente violente da rendere impossibili gli sforzi di stabilizzazione concertati delle banche centrali mondiali. Di fatto, dopo questo terzo rialzo, il tasso USA si è riportato a ridosso di quello europeo. L'euro, la valuta che si è dimostrata essere la via di fuga più immediata dal dollaro, perde così una certa allure nei confronti di quest'ultimo, e ciò contribuisce in un buona misura a stabilizzare il valore del dollaro. Gli eventuali scompensi nei confronti di Giappone e Cina, verso i quali gli Usa soffrono di un forte deficit commerciale, restano invece ben sotto controllo in virtù della benevolenza di questi insanziabili accumulatori di dollari che non mancano di riciclare in titoli del debito pubblico americano ogni singolo dollaro che ricevono in cambio dei numerosi gadget prodotti ed esportati in America.
Una quarta ragione risiede nel tentativo di rassicurare (e mettere a tacere) la maggior parte di coloro più sensibili al fenomeno inflazionistico. La propaganda alimentata dalla Fed negli ultimi anni trova ancora molti sostenitori dello scenario deflazionistico, perlopiù economisti e uomini di mercato dalle idee ben poco chiare intorno al concetto di deflazione (che mai hanno sperimentato nel corso della loro vita essendo la deflazione, e il diritto alla stessa, di fatto sparita con l'avvento delle banche centrali e la rimozione del gold standard). Per quanto paradossale, mentre ancora qualcuno starnazza di deflazione, il petrolio viaggia verso nuovi massimi, l'oro si riavvicina agli stessi, e l'indice generale delle commodities mantiene ben saldo il proprio trend rialzista.
E infine, l'ultima, ma non trascurabile ragione, è ovviamente quella pragmatica e allo stesso tempo psicologica: riaprire un margine credibile per un prossimo eventuale taglio dei tassi. Questo potrebbe essere richiesto da un evento geopolitico di vasta portata o potrebbe rendersi necessario nel momento in cui tutta la fragilità, o meglio, tutta l'inconsistenza della crescita economica americana tornasse a essere percepita dal vasto pubblico.