Ungheria, mercati in allarme
per il golpe bianco di Orban
Il governo nazionalpopulista ha riscritto la Costituzione e ha avviato una politica economica che sembra allontanare sempre di più il Paese dall'Europa. Budapest è in recessione da quattro trimestri, ma intanto il premier adombra una parziale statalizzazione del sistema bancario, costringendo il presidente della banca centrale ad una precisazione per rassicurare gli interlocutori internazionali.
BERLINO – Banca Intesa sta valutando di ridurre la propria presenza in Ungheria, anche in modo aggressivo, perché la perdita registrata nel Paese pari a 279 milioni “si è trasformata in una specie di incubo”. Lo ha detto pochi giorni fa il ceo dell’istituto di credito italiano, Enrico Cucchiani. E il suo giudizio è solo un esempio, è sintomatico di come i mercati guardano alla situazione creata a Budapest dall'esecutivo nazionalpopulista ed euroscettico del premier-autocrate Viktor Orbàn. Il recente golpe bianco del partito di governo (Fidesz), con la riscrittura autoritaria della Costituzione, s’inserisce nel quadro di tendenza generale: i mercati sembrano bocciare Orbàn, la sua politica economica, la sua Weltanschauung.
I dati fondamentali già la dicono lunga. Il rating dell’Ungheria l’anno scorso è stato abbassato da Moody’s a BB+, praticamente quasi livello spazzatura. La disoccupazione è all’11,20%. Il debito pubblico totale si mantiene attorno all’80%, ma il disavanzo è ancora alto, secondo Bruxelles al 3,4%. Cifra contestata dal premier che parla di un 3% scarso e dice che “quelli a Bruxelles non sanno mai fare i conti giusti”. Comunque Budapest rischia la procedura di deficit eccessivo. I dati sul prodotto interno lordo sono allarmanti: l’economia è in recessione da ormai quattro trimestri, il Pil è caduto del 2,7% rispetto a un anno fa. La produzione agricola è crollata, scendendo del 26,4%, quella industriale è dimunita del 3,8%, l’edilizia ha subìto una flessione del 6,1%.
L’incertezza politica pesa sull’Ungheria come location di investimenti. Incertezza sia sulle prossime scelte di politica economica, finanziaria e monetaria del governo, sia sul futuro dei rapporti con l’Unione europea. Spesso è il premier in persona a creare allarmi, e i suoi sottoposti poi devono rassicurare il mondo. Giorni fa ad esempio Orbàn aveva dichiarato: “Ci piacerebbe che il sistema bancario ungherese appartenesse almeno per il 50% all’Ungheria”. E il neonominato governatore della Magyar Nemzeti Bank (la banca centrale ungherese), Gyorgy Matolci, pur considerato braccio destro del capo del governo, si è dovuto affrettare a correre a Vienna per incontrare il governatore della Banca nazionale austriaca e membro del consiglio della Banca centrale europea, Ewald Nowotny. Tranquilli, non pensiamo a nazionalizzazioni.
Il problema è che la stessa scelta di Matolcsy alla guida della MNB è vista dagli osservatori internazionali come problematica. Il suo predecessore, Andras Simor, inviso al premier e uscito di scena a scadenza regolare del mandato, difendeva l’indipendenza dell’istituto. Matolcsy, da ministro economico ha sempre caldeggiato una cospicua influenza del potere politico sull’istituto d’emissione, qualcuno gli attribuiva persino l’idea di mettere mano alle riserve auree per ridurre il debito. E con lui nell’esecutivo sono passate misure altamente controverse, dalla statalizzazione forzata dei fondi pensione privati, all’irpef ad aliquota unica che ovviamente penalizza in modo brutale i poveri e costituisce un regalo enorme per oligarchi e ricchi amici del premier, fino a tassazioni speciali di fatto punitive quasi in modo protezionista per banche e multinazionali e a imposte sull’uso dei telefonini, calcolate per minuto di conversazione.
“Noi affrontiamo la crisi europea meglio di tutti gli altri”, non si stanca di ripetere Orbàn. E promette a vuoto crescita e più lavoro per tutti, forse anche ispirato da consiglieri inviatigli da anni da Berlusconi. Il problema è appunto che i mercati non gli credono. Te ne accorgi già atterrando a Budapest: la compagnia di bandiera, la gloriosa Malév, è fallita, arrivi solo volando con compagnie straniere o con i low cost di Wizzair. E solo per menzionare un dettaglio in più, dopo il golpe bianco costituzionale il fiorino, la valuta nazionale magiara, è scesa a circa 305 per un euro, un minimo storico. Sullo sfondo, a preoccupare gli investitori internazionali, ci sono anche le ipotesi di politiche punitive dell’Unione europea per rispondere alle forti violazioni dei principi dello Stato di diritto compiute con la riforma costituzionale. La commissario europea per i diritti umani Viviane Reding non ha escluso sanzioni come la sospensione del diritto di veto in Consiglio e la riduzione dei trasferimenti di risorse ue a Budapest. “Con la Costituzione non si scherza”, ha detto. La stessa cancelliera Angela Merkel, finora moderata e prudente con Orbàn, comincia a dare segnali di insofferenza.
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