Cazzeggiando per il web,,ho incontrato queste news..

Grecia a rischio caos, la «cura» non risana

La cura è ottima, ma il paziente si sta avviando alla morte. Si parla della Grecia, che ha evitato il fallimento - come Stato - solo perché ha chiesto e ottenuto un maxiprestito di 100 miliardi di euro (in più rate) dall'Unione europea e dal Fondo monetario internazionale. La condizione posta per concedere questa iniezione di denaro fresco è stata, come ovvio, di quelle stile «capestro»: taglio drastico della spesa pubblica per rimettere in ordine il bilancio dello stato. Ora però si vede che questa «cura dimagrante» sta facendo collassare l'esausto asinello ellenico.

La cosa stupefacente è che ad accorgersene siano stati per primi due giornali tedeschi (per di più di centrodestra, ovvero filo-Merkel). E dire la Germania è stata la più dura, tra le nazioni europee, nel pretendere «lacrime e sangue». Sia la Bild che il Der Spiegel sono andati a farsi un giro - complice l'estate per incentivare la curiosità degli inviati - in diverse città greche e hannor iscontrato una situazione sociale disperante. Che favorisce reazioni rabbiose.
La «scoperta» è arrivata nel giorno in cui la Commissione europea, analizzati i «progressi» di Atene, ha «consigliato» ai paesi membri di versare anche la seconda tranche del prestito (circa 20 miliardi), visto che «la Grecia ha realizzato un aggiustamento di bilancio impressionante nel primo semestre 2010 e ha fatto rapidi progressi nelle riforme strutturali». Quali siano state, è presto detto. Il deficit è stato ridotto di un «incredibile» 37,9%, mentre il 10% della spesa pubblica è stato cancellato. La Ue si era limitata a chiedere un taglio del 5,5.

Ne vien fuori un paese «pietrificato», perché alla crisi globale - che vale per tutti - si è aggiunto un salasso che è andato a toccre direttamente la capacità di acquisto della popolazione. La scure è calata soprattutto sui dipendenti pubblici (e quindi anche su una serie di servizi), come chiedono dovunque i più ottusi ideologi «rigoristi»: 20% di salario in meno, aumento dell'età pensionabile e riduzione dell'assegno relativo, privatizzazioni (spesso difficili da realizzare, visto che certi servizi per il capitale privato non sono «interessanti»). Risultato: il prodotto interno lordo è caduto dell'1,5% nei primi sei mesi e si prevede che scenda a -4 per la fine dell'anno (dopo un 2009 anche più tragico). Che altro poteva accadere in un paese dove, come negli States e in altri paesi avanzati, la maggioranza assoluta del Pil (in questo caso vicina al 70%) è rappresentata dai consumi? Ma anche il turismo (sia per la crisi degli altri paesi, sia per i tanti scioperi di giugno-luglio) si è ridotto del 23% rispetto a due anni fa.

Così, nella sola Atene, il 17% dei negozi ha chiuso i battenti. Nelle vie dello shopping - quelle del centro, non solo nell'hinterland - lo sconto dei saldi si aggira intorno al 70%. E i locali svuotati non trovano nuovi affittuari. Buona parte del fragile «ceto medio» ellenico, che metteva insieme un salario o una pensione con un piccolo locale dato in affitto, stringe la cinghia due volte.
Chi è andato a rovistare nei grandi cantieri navali, come Perama ha scoperto lavoratori che quest'anno sono scesi in banchina solo 25 volte, mentre erano abituati a lavorare 300 giorni l'anno. Con contributi così bassi, tra l'altro, rischiano di perdere l'assicurazione medica. Il tasso di disoccupazione previsto dall'Ocse dovrebbe aggirarsi - a fine anno - sul 12,1%, mentre nel 2014 potrebbe arrivare al 14,3%. Cifre risibili, secondo il sindacato Gsee, che vede probabile un 20% di senza lavoro, come negli anni '60, quando decine di migliaia di greci presero la via dell'emigrazione (chi lo dice a Maroni?). Il potere d'acquisto è invece già ora tornato ai livelli dell'84.
La responsabilità principale, com'è noto, ricade sulle spalle dell'ex governo di centrodestra (diretto da Karamanlis), che per anni aveva tranquillamente truccato i conti dello stato, nascondendo la gravità della situazione. Ma il premier socialista George Papandreou - figlio del leader del ritorno alla democrazia - sembra aver preso una strada di «risanamento» addirittura più estremista (e dannosa) di quelle consigliate dalle istituzioni internazionali.
Questo porta all'ultima preoccupazione, in ordine logico, che turba ora i sonni dell'Europa. Tanto disastro sociale sta avendo un impatto destabilizzante sugli equilibri interni del paese.

Il prevedibile aumento di conflittualità nell'autunno rischia perciò di far vedere anche ai ciechi che certe «cure», ottime sui manuali, sono una catastrofe quando vengono messe in pratica. Una catastrofe anche per il capitale, vogliamo dire. Una Grecia in trambusto, infatti, peserebbe su tutta l'architettura europea. E infatti l'euro ne ha subito risentito sui mercati.

Francesco PIccioni
 
Sì, siamo tutti spiati (intervista a Steven Ramban)

Colloquio con Steven Ramban


Steven Rambam è un cinquantenne alto, atletico e decisamente loquace, tanto fiero di essere ebreo quanto di far parte di una famiglia che risiede a Brooklyn da cinque generazioni. Ama raccontare di aver scoperto il fascino del lavoro d'indagine da giovanissimo (apparentemente negli ambienti dell'estrema destra sionista), facendosi notare per la sua abilità nei ruoli di infiltrazione. Oggi è il titolare di Pallorium, un'agenzia d'investigazione privata specializzata in grandi frodi finanziarie e nel ritrovamento di persone scomparse. Dal 1996 è anche un ospite fisso di Hope (Hackers On Planet Earth), il raduno dell'underground informatico di New York, dove quest'anno ha condotto un seminario affollatissimo intitolato 'La privacy è morta, rassegnatevi'. Ed è proprio su questo tema sensibile e attuale che 'L'espresso' lo ha intervistato.

Rambam, la sua è un provocazione o un'affermazione con pretese scientifiche?

'La privacy è morta, la mia non è una battuta. E almeno per tre ragioni...'.

Prego.

'Innanzi tutto, grazie alla crescita continua della potenza dei computer, delle memorie digitali e dei programmi informatici, oggi è possibile raccogliere ogni tipo di dati e archiviarli per sempre. Ci facciamo visitare da un dottore? Paghiamo la cena al ristorante con il Bancomat? Passiamo il casello dell'autostrada con il Telepass? Ognuno di quegli eventi è registrato all'istante in un database e non sarà mai più dimenticato. E le occasioni di memorizzazione digitale dei nostri comportamenti saranno sempre di più in futuro: dalla spesa al supermercato fino ai nostri passaggi accanto alle telecamere di sorveglianza'.

La seconda ragione?

'La privacy è morta perché si è suicidata. La stragrande maggioranza dei dati disponibili su ciascuno di noi sono stati divulgati volontariamente. MySpace, Facebook, blog, siti Web personali, Flickr, Twitter, Foursquare, YouTube... La gente pubblica in Rete anche i più minuti dettagli delle OAS_RICH('Middle'); sue vite quotidiane: quello che gli piace e non piace, i luoghi che frequenta, i libri che legge, i film che guarda, la musica che ascolta, il suo orientamento sessuale, le sue idee politiche, la sua carriera professionale. Fra chi ha meno di 35 anni - molto semplicemente - il senso della privacy non esiste più'.

La terza ragione?

'è la più importante: questi dati, aggregati assieme, valgono miliardi e miliardi di dollari. Che cosa produce Google? All'apparenza nulla. Google è diventato un business multimiliardario senza fare niente di più che succhiare ogni possibile frammento d'informazione da tutti i database del pianeta, aggregare questi dati, capire chi siamo come individui, e cercare quindi di venderci delle merci'.

Dovremmo allora smettere di usare Google?

'Non è questo il punto. Google fa il suo lavoro in modo brillante - e a mio parere in maniera molto più trasparente di tanti suoi concorrenti. Ma proprio perché l'informazione è oggi il motore più potente del capitalismo, proprio perché i nostri dati personali sono così preziosi, c'è un incentivo fortissimo a raccoglierli, indicizzarli, analizzarli, incrociarli, sottoporli a forme d'intelligenza artificiale per evidenziare relazioni inattese. Che ci piaccia o no, un'infinità di aziende è alla ricerca di nuovi metodi per scoprire e catalogare ogni segreto delle nostre vite'.

Lei stesso ha creato un business, PallTech, che offre a poliziotti e investigatori l'accesso a decine di miliardi di schede su aziende e individui. Cosa ha imparato con quel lavoro di aggregazione? La perdita della privacy sta accelerando?

'Direi che non c'è più nulla da accelerare. Non solo le nostre vite sono ormai un libro aperto, ma menti geniali hanno già perfezionato strumenti raffinatissimi per analizzarle, scoprire correlazioni che evidenziando aspetti della nostra psicologia di cui noi stessi non siamo consapevoli'.

Ci vuole fare un esempio?

'è stato provato che se lei ama il burro di noccioline a pezzi grossi, e possiede un gatto, sarà tre volte più propenso all'acquisto di un Maggiolino Volkswagen!'.

Tutto questo però succede in America, dove la privacy non ha protezione legale. Lei crede davvero che vietare la raccolta di certi dati, o imporne la cancellazione dopo un certo periodo, non faccia nessuna differenza?

'Io lavoro fuori dagli Usa oltre la metà del mio tempo. Ho condotto indagini in tutta l'Europa. Non posso ricordare un solo caso in cui non sia riuscito ad avere accesso a tutte le informazioni di cui avevo bisogno. Le leggi sulla protezione dei dati personali sono una barzelletta, i garanti della privacy sono tigri senza denti. Le aziende europee sono solo più furbe nell'offrire un'illusione di controllo ai consumatori. Chiunque voglia navigare in Rete è di fatto costretto a offrire il suo permesso a essere spiato'.

Sta parlando del cosiddetto 'consenso al trattamento dei dati personali'?

'Esatto. Lei crede che anche una persona su mille si prenda la briga di leggere le condizioni di erogazione dei servizi digitali che usa? Ovvio che no. Clicchiamo su una casellina e tiriamo avanti, senza nemmeno pensare che abbiamo appena accettato di spalancare una finestra sui segreti più profondi della nostra anima. L'unica differenza fra gli Usa e l'Europa è che i vostri governi sono assai più meticolosi nel collezionare informazioni sui loro cittadini. Così, quando quei dati sono incrociati con quelli raccolti dai privati, si ricavano dei dossier più accurati'.

David Brin, l'autore di 'La societa' trasparente', è arrivato a concludere che, se la privacy dei cittadini non esiste più, dovremmo esigere un livello di trasparenza simile dai nostri governanti e dalle aziende private. Lei che ne pensa?

'Questa è una questione chiave. Sempre più spesso, tanto negli Usa quanto in Europa, gli stessi governi che continuano ad accumulare profili sempre più dettagliati sui loro cittadini, vogliono secretare il loro operato. Questo trend è pericolosissimo, perché l'informazione oggi è potere, è più importante dei soldi e dei fucili, è cio che determina la nostra percezione della realtà'.

Bruce Schneier, il celebre esperto di sicurezza digitale, dice che la mancanza di privacy crea uno squilibrio intollerabile fra i potenti, che hanno sempre l'opzione di nascondersi dietro società anonime e segreti di Stato, e i cittadini comuni.

'Ho immensa stima per Schneier, ma non sono d'accordo. Internet ha livellato il campo di gioco. Oggi chiunque può controllare se l'autista del pulmino scolastico è stato condannato per guida in stato di ubriachezza, quanto valgono le case nel suo quartiere, o se un dottore è in realtà un macellaio. Proprio perché questi dati sono accessibili a tutti, oggi abbiamo più opportunità di gestire le nostre vite in modo positivo che in qualsiasi altro momento storico. Strillando che la privacy è in pericolo si corre invece il rischio di offrire la scusa perfetta a chi vorrebbe limitare l'accesso all'informazione ai ricchi, ai potenti e ai professionisti come me'.

Allora ha ragione Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, quando sostiene che incentivando la massima trasparenza lui renderà il mondo migliore?

'L'idea che Mark Zuckerberg possa essere preso sul serio come paladino della trasparenza in Rete è ridicola. Zuckerberg vuole solo far soldi rivendendo i segreti degli utenti del suo sito. Facebook controlla il suo pezzo di cyberspazio con zelo fanatico. è un sistema chiuso che non ammette interazioni dall'esterno. Google, nonostante sia un mostro terribile sul fronte privacy, almeno ci offre interfacce di accesso ai suoi dati, ci regala ottimi sistemi operativi, può essere navigato in modo anonimo. Non lo fa certo per beneficenza. Ma perlomeno è intelligente e gentile nel suo modo di operare. Al confronto, Facebook e Apple si sentono in diritto di prenderci a randellate, senza neppure far finta di essere dispiaciuti'.

Luca Neri
Fonte: L'espresso - Homepage
 
Usa, crescono i senza lavoro

La ripresa senza occupazione fa nuove vittime: nell'ultima settimana altri 500 mila lavoratori hanno perso il posto. Il super-indice Usa non cresce più e anche per il Cbo la ripresa sarà modesta e senza lavoro. Nuova giornata negativa per tutte le borse mondiali: a Milano -2%

Si sta aggravando la già grave situazione dell'occupazione negli Stati uniti: nella seconda settimana di agosto (quella terminante il 14) 500 mila lavoratori Usa si sono messi in coda davanti agli uffici di collocamento per presentare la domanda iniziale per la concessione del sussidio di disoccupazione. In altre parole negli ultimi sette giorni, mezzo milione di lavoratori ha perso il posto.
Secondo i dati diffusi ieri dal Dipartimento al lavoro nell'analoga settimana lo scorso anno le richieste iniziali di sussidi erano state 575 mila.

Apparentemente un miglioramento, ma solo apparente: un anno fa la disoccupazione era collocata sui massimi storici post bellici, poi la situazione era lentamente migliorata e le richieste iniziali erano scese attorno quota 400 mila. Ma nelle ultima settimane le richieste hanno ripreso a crescere e le 500 mila dell'ultima settimana rappresentano il dato peggiore degli ultimi nove mesi.

Nonostante gli sforzi dell'amministrazione Obama Da ultimo lo stanziamento di parecchi miliardi di dollari per non far licenziare 300 mila insegnanti) l'occupazione seguita a non aumentare o lo fa con cifre ridicole. Così il tasso di disoccupazione è rimasto appena inferiore al 10% e sono oltre 16 milioni i senza lavoro. Normalmente nel ciclo economico l'occupazione ritarda a risalire: statisticamente segue di circa un anno l'inizio della ripresa. Questa volta, però, le cose stanno andando diversamente. è dall'ultimo trimestre del 2008 che il Pil ha smesso di diminuire, ma la disoccupazione non scende o diminuisce pochissimo. E questo sta sconvolgendo il tradizionale modo di analizzare il ciclo economico, mettendo in crisi quasi tutti gli economisti Usa che, ormai, parlano apertamente di una ripresa senza occupazione.
Il problema reale è che c'è in tutte le imprese statunitense una ricerca all'unisono di una ripresa basata su forti aumenti di produttività, sul migliore utilizzo (o sfruttamento) della forza lavoro impiegata. E questo frena nuove assunzioni, ritorcendosi sulla forza stessa delle ripresa. Minore occupazione, infatti, significa minore domanda di beni da parte delle famiglie che, otretlutto, stanno diventando più «risparmiose» cioè prudenti nelle decisioni di spesa, cercando di risparmiare il massimo per fronteggiare una situazione recessiva che non appare ancora risolta. Certo, la fiducia dei consumatori è cresciuta, ma non come è avvenuta in passato in occasione di precedenti recessioni.

Il clima di incertezza è stato ben rappresentato dal Cbo, il Congressional Budget Office, l'Ufficio di bilancio indipendente del Congresso Usa, nell'aggiornamento delle previsioni di bilancio diffuse ieri. Secondo il Cbo, l'economia crescerà a un ritmo di «solo 2%» dal quarto trimestre del 2010 al quarto trimestre del 2011. Anche se la crescita dovesse accelerare negli anni successivi, «il tasso di disoccupazione non dovrebbe scendere al 5%» fino alla fine del 2014. La crescita dalla metà del 2009 è stata «anemica» aggiunge il Cbo comparata alla ripresa da precedenti crisi economiche e il tasso di disoccupazione è rimasto «piuttosto alto», in media il 9,7% nella prima del 2010. Un modello di ripresa, rileva il Cbo, tipico per le crisi economiche originate da crisi finanziarie. I fattori che condizionano la ripresa, oltre alla fine del supporto fiscale federale, sono così spiegati dal Cbo: il numero considerevole di case vuote e fabbriche e uffici sottoutilizzati continuerà ad essere un «fardello» per il mercato immobiliare residenziale e per gli investimenti, mentre la lenta crescita del reddito e la perdita di ricchezza peseranno sulla capacità di spesa dei consumatori.
Il Cbo ha anche diffuso una stima aggiornata del deficit federale: per l'anno fiscale 2010 (che termina il 30 settembre) si attesterà a 1.340 miliardi di dollari, poco meno dei 1.350 miliardi stimati a gennaio, ma per l'anno fiscale successivo è atteso un deficit di 1.070 miliardi, in rialzo dai 980 miliardi stimati a gennaio. In rapporto con il Pil siamo al 9,1% (contro il 9,9% del 2009) e per coprire l'enorme debito (oltre 13 mila miliardi di dollari) sarà necessario offrire alti rendimenti che rischiano di far crescere i tassi di interesse che la Fed vorrebbe tenere bassi per favorire la ripresa che appare fragile tale propositi ieri sono stati diffusi un paio di dati che hanno suscitato preocupazione. Il primo è il suprindice: in luglio è cresciuto dello 0,1%, meno delle attese e gli economisti del Conference board che lo elaborano hanno anche rivisto al ribasso il dato di giugno che ora riflette una flessione dello 0,3% anziché dello 0,2% come riportato trenta giorni fa.

«Gli indicatori sembrano puntare a un'espansione lenta fino alla fine dell'anno - ha detto il capoeconomista Ken Goldstein - tuttavia la buona notizia è che questi dati non sembrano puntare a una ricaduta in recessione». Altro delusione l'ha provocata la caduta in agosto dell'indice sull'attività manifetturiera dell'area di Filadelfia che è sceso a -7,7 punti da +5,1 punti di luglio. Il dato reso noto dalla locale Federal Reserve smentisce le attese degli analisti, che avevano previsto un aumento a 7 punti. E così, dopo la piccola ripresa di mercoledì, ieri le borse statunitense hanno ripreso a perdere.

Roberto Tesi
Fonte: IL MANIFESTO
 
Borsa, il fantasma di Hinderburg

Sui mercati, dicono i graficisti, si aggira lo spettro di Hindenburg, il dirigibile che si schianto' nel cielo di New York nel 1937. Intanto, c'e' denaro in quantità illimitate e a costo zero. Il sogno di ogni buon speculatore. Opinione di Giuseppe Turani


(WSI) – Da qualche giorno sui mercati finanziari (e quindi sulla congiuntura più in generale) si aggira il fantasma di Hindenburg, il dirigibile che si è schiantato nel cielo di New York nel 1937. Alcuni esperti di analisi grafica sostengono che, ogni tanto, si fa avanti, appunto, una "figura" che essi chiamano Hindenburg: quando arriva non prevede ribassi, ma semplicemente uno schianto dei listini, che può raggiungere anche il 30 per cento. Insomma, un crash come quello del dirigibile.

Secondo questi esperti, l´Hindenburg (che deve manifestarsi due volte nel giro di 36 giorni), si è già fatto vedere il 12 agosto. Non resta che attendere la seconda apparizione (che ci sarebbe addirittura già stata, per alcuni), e poi ci sarà lo schianto dei mercati, seguito da una crisi finanziaria di grandi proporzioni.

Ma le cose stanno veramente così? Non si può dire con certezza. Le previsioni dei graficisti sono molto simili alla stregoneria, e quindi qualche volta possono anche essere nel giusto.

Quello che si sa di sicuro è che il mercato da qui a fine anno non può attendersi buone notizie. La ripresina che c´è stata nel primo semestre coincideva con la fase di ricostituzione delle scorte (mandate a zero durante la Grande Crisi), fase che è ormai finita praticamente ovunque. E quindi la congiuntura va a rallentare. Si crescerà meno di quello che si era soliti fare e non sarà una faccenda tanto breve. La "bassa crescita" potrebbe durare anche un paio d´anni, in attesa che si rimettano in moto i meccanismi tradizionali dell´economia (soprattutto i consumi americani).

Nel corso di questo biennio il rischio di un double dip (cioè di un ritorno alla recessione) sarà praticamente costante, anche se molto probabilmente non si verificherà perché le autorità monetarie lo sanno benissimo e stanno molto attente. Già a fine mese la Federal Reserve americana dovrebbe varare un piano di interventi proprio per ridare un po´ di smalto all´economia americana e per rialzare la congiuntura a un livello tale che scongiuri il rischio di cadere nel double dip.

Inoltre, a partire dall´inizio del 2011 la Cina dovrebbe tornare a investire con forza, e questo finirà per spingere in avanti tutto il sistema degli scambi internazionali. Ma, nonostante queste consolanti osservazioni, il fantasma di Hindenburg non lascia i mercati. Perché?

La spiegazione è abbastanza semplice. Oggi i mercati vivono una situazione che potrebbe essere definita assurda e che è caratterizzata da due elementi.
In giro c´è una liquidità abbondantissima (che le banche centrali si guardano bene dal togliere di mezzo, a causa della bassa congiuntura) e tutto questo denaro non costa praticamente niente. In sostanza: denaro in quantità illimitate e a costo zero. Il sogno di ogni buon speculatore.

E infatti il rischio vero, in una situazione del genere, è appunto che i più temerari (ma anche i compassati geometra Rossi e ragionier Bianchi) vadano a infilarsi in qualche bolla di qualche tipo. In giro ci sono più soldi che occasioni vere e quindi non si può escludere che a fianco della lenta ripresa, del lento riavvio dell´economia possano sorgere e crescere bolle di ogni tipo: dalle materie prime ai titoli azionari.

Gli operatori (che pure stanno approfittando del denaro a basso costo) sanno benissimo tutto questo e quindi stanno molto attenti ai "segnali" che vengono mandati da Hindenburg o da altre diavolerie del genere inventate dai graficisti (i quali, peraltro, giurano che Hindenburg, finora, si è fatto vivo in occasione di tutti i crash degli ultimi venti anni).

In sostanza, tutti sanno che stanno pattinando su un ghiaccio molto sottile e tutti sanno che la loro controparte ha molte probabilità di essere uno speculatore o uno che vuole semplicemente tirare un pacco. Il denaro a costo zero fa tutti un po´ disonesti, e tutti lo sanno.
 
S&P boccia l'Irlanda

S&P ha ridotto la valutazione del rating sul debito sovrano di Dublino a AA da AA+ per i costi di salvataggio del sttore bancario. Il cambio EUR/USD ha subito perso terreno, scivolando a 1.2630.


Standard & Poor’s ha tagliato il rating creditizio sul debito sovrano di lungo termine dell'Irlanda a AA- da AA. L'agenzia cita come motivazione i costi stimati per far fronte al settore finanziario del paese. In pochi minuti, dopo la diffusione della notizia, il cambio EUR/USD ha subito perso terreno, scivolando a 1.2630. L'indice ISEQ della borsa di Dublino aveva chiuso in ribasso del 5,8%, trainato dal calo dei titoli bancari.

"L'outlook negativo riflette la nostra opinione secondo cui un
downgrade e' possibile se i costi finanziari per supportare il settore bancario saliranmno ulteriormente, o se altri sviluppi economici negativi dovessero indebolire la capacita' del governo di far fronte ai suoi obiettivi fiscali di medio termine", scrive S&P in un comunicato.

Secondo S&P le nuove proiezioni suggeriscono che il debito netto totale del governo irlandese salira' al 113% del pil nel 2012. Si tratta di oltre 1,5 volte la media delle nazioni dell'eurozona (anche se l'Italia viaggia gia' al 116% del pil) cioe' molto al di la' del rapporto che altra nazioni europee con rating simile vantano, come il Belgio che si attesta al 98% o la Spagna al 65%.
 
Gira un pettegolezzo......

Greece to withdraw from Euro tonight. spain and Portugal set to follow :eek:

Speriamo non sia vero,meglio dormirci su.
 
Gli Usa? Sono gia' in bancarotta. Molto peggio della Grecia

La provocazione arriva come uno schiaffo da un professore della Boston University, Laurence J. Kotlikoff. La tesi: il deficit fiscale americano e' 15 volte superiore a quello ufficiale. Per cui serve un piano subito che passi da un astronomico rialzo delle tasse e da un'enorme quantita' di moneta da stampare. Le conseguenze: inflazione, tassazione, poverta'". "Il nostro pease e' finito".


Inutile temere sul futuro dell'economia americana. Gli Stati Uniti sono gia' in bancarotta. La dichiarazione e' forte e non vuole certo gettare panico tra gli operatori. Ma val la pena capire le basi del ragionamento di colui che lancia l'allarme (a dire il vero, non e' il solo) dalle colonne di Bloomberg: Laurence J. Kotlikoff, professore di economia alla Boston University.

L'idea chiave e' la seguente: il deficit di bilancio Usa e' 15 volte superiore a quello ufficiale. Una possibile soluzione per rimettere ordine passa attraverso quattro mosse, purche' siano "radicali" e riguardino tasse, settore della salute, sistema pensionistico e comparto finanziario.

Andiamo con ordine, partendo da una nota del mese scorso del Fondo Monetario Internazionale sulle politiche economiche degli Stati Uniti. Nel sommario di questo rapporto annuale, ricorda Kolikoff, c'era l'invito alla classe politica a una stabilizzazione fiscale attraverso aggiustamenti "piu' ampi dei costi stimati". Un esempio: "chiudere il deficit richiede un aggiustamento fiscale permanente del 14% del Pil Usa su base annuale". Insomma, per ripianare tale deficit, frutto della differenza tra spese e ricavi programmati per il futuro, secondo il professore di economia, sarebbe necessario un immediato e permanente raddoppio di redditi personali e tasse federali e aziendali.

Un simile aumento delle tasse porterrebbe gli Stati Uniti a un surplus del 5% del Pil quest'anno invece di un deficit del 9%. Parafrasando la nota del Fmi, Kolikoff suggerisce che gli Usa hanno bisogno di una bella fetta di surplus per un bel po' di anni per poter pagare le spese di bilancio. E piu' si aspetta per porre rimedio alla situazione fiscale attuale piu' la stessa peggiorera'.

Il disavanzo fiscale calcolato dal professore della Boston University e' 15 volte superiore a quello ufficiale: $202 mila miliardi. Si tratta di una discrepanza "non sorprendente: riflette cio' che gli economisti chiamano "labeling problem". E' un po' come se tutto dipendesse da che cosa prendere in considerazione per ottenere un determinato dato. "Il Congresso e' stato molto attento negli ultimi anni ad etichettare i suoi passivi in modo tale da tenerli al di fuori dal proprio bilancio e cosi' fara' nel futuro" ha spiegato Kolikoff.

Perche' la cifra e' cosi' ampia? Semplice, spiega l'economista: negli Usa ci sono 78 milioni di baby boomer che, quando saranno tutti in pensione, riceveranno benefici in termini di Social Security, Medicare e Medicaid. Tutti programmi statali il cui costo superera' il Pil pro capite: $4 mila miliardi all'anno. "L'economia americana potra' anche crescere da qui a 20 anni ma mai cosi' tanto da poter gestire costi di questa portata anno dopo anno", ha scritto su Bloomberg il professore. "Questo e' il risultato dell'applicazione di una sorta di Schema Ponzi che va avanti da 60 anni: prendere risorse dalla popolazione piu' giovane per darla a quella piu' vecchia". E citando Herb Stein, presidente dello staff degli economisti alla Casa Bianca ai tempi di Richard Nixon, Kolikoff avverte: "cio' che non puo' andare avanti verra' fermato".

Il punto e' che lo si fermera' troppo tardi e con modalita' non piacevoli. Tre le possibilita': "ingente sforbiciata dei benefici legati al pensionamento dei baby boomer, incremento astronomico delle tasse e enorme quantita' di moneta da stampare da parte del governo per coprire i buchi nei propri conti".

Insomma, un piano lacrime e sangue che non solo ricorda la situazione greca, peggio. Poverta', tasse, costo del denaro e inflazione cresceranno, una strada "terribile" da percorrere senza se e senza ma perche' gli "Stati Uniti si trovano in una situazione fiscale peggiore della Grecia".

L'economista conclude criticando i keynesiani convinti che stimoli fiscali ulteriori non inficerebbero la capacita' di gestione del deficit stesso. "Il nostro paese e' finito", e' la perentoria conclusione.
 
Cina, atteso rallentamento utili banche dopo sem1 forte
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Reuters - 26/08/2010 16:55:36
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SHANGHAI/HONG KONG, 26 agosto (Reuters) - Si preannunciano tempi difficili per i colossi bancari cinesi come Industrial & Commercial Bank of China (ICBC) e Bank of China dopo un forte secondo trimestre.

Gli utili dei principali istituti del paese, dopo il picco raggiunto grazie al boom dei prestiti voluto dal governo e alla crescita dei margini di interesse, risentiranno presto di un rallentamento degli impieghi e di un peggioramento della qualità degli asset.

Gli analisti sottolineano in particolare un contesto di politica economica mutata in direzione di una stretta di liquidità per raffreddare la corsa dell'economia, mentre le autorità di regolamentazione impongono alle banche di attivarsi per essere pronte ad affrontare una crescita delle sofferenze soprattutto se il mercato immobiliare inizierà a peggiorare.

"La crescita degli utili delle banche può avere raggiunto un picco visto che gli impieghi dovrebbero rallentare nel secondo semestre e c'è poco spazio per una crescita ulteriore dei margini di interesse", ha detto Qiu Peng, analista di Western Securities.

"C'è anche una persistente preoccupazione sulla qualità dell'attivo delle banche in caso di un rallentamento drastico dell'economia, ma finora non ci sono segnali di deterioramento. Queste paure continueranno comunque a pesare sui titoli bancari", aggiunge.

ICBC e Bank of China, la prima e la quarta banca della Cina hanno annunciato oggi utili in crescita rispettivamente del 38% e del 15% nel secondo trimestre sulla spinta della forte attività di impieghi, chiudendo così una stagione di forti risultati per il comparto in Cina e che rispecchia un'economia cresciuta al ritmo del 10,3% nel secondo trimestre.

I due istituti hanno tuttavia espresso cautela per il secondo semestre citando incertezze sul contesto economico interno ed internazionale che pongono grosse sfide all'espansione del business in un settore che sta cercando di trasformarsi e affrancarsi dalla guida dello Stato verso un orientamento più commerciale e maggiormente rivolto al mercato.
 
Risse alla Fed, mentre il sistema crolla

n’alta fonte di intelligence di Washington ha riferito questa mattina che una seria battaglia è scoppiata all’interno della Federal Reserve a proposito dell’ iperinflazione, e che delle persone vicine alla Fed ne stanno rivelando i dettagli, il che significa che la lotta si intensificherà e diventerà più pubblica. Tale lotta è scoppiata all’interno dell’annuale summit economico della Federal Reserve tenutosi questa settimana a Jackson Hole, il cui ospite, Thomas Hoenig della Fed di Kansas City, ha pubblicamente dissentito dalle decisioni iperinflazioniste di Bernanke in ciascuna delle ultime otto riunioni del Federal Open Market Comittee. E in effetti, le stesse fonti riportano di una discussione estremamente interessante, in particolare quella svoltasi dietro le quinte.

Lyndon LaRouche ha risposto “Non sono sorpreso per la rissa nella Fed, per me non è una notizia. So cosa sta succedendo. Se non ci si sbarazza di questo Presidente, non avremo più un paese. Stiamo parlando di eventi a brevissimo termine, e penso che sia un errore interpretare eventi, piuttosto che interpretare i non-eventi, o gli eventi che stanno accadendo, ma che non sono stati segnalati o dei quali non si riferisce. “

Tornando su questo argomento, ha aggiunto poi: “La rottura è effettivamente accaduta alcune settimane fa, e ciò che sta avvenendo in questo incontro a Jackson Hole è solo il riflesso di cose che gli addetti ai lavori già sanno, senza alcuna statistica Mumbo-Jumbo, e cioè che questo sistema sta crollando velocemente.”

Allo stesso modo, oggi il Wall Street Journal riporta che la riunione del 10 agosto del Federal Open Market Committee, la cui decisione di acquistare Treasuries a centinaia di miliardi faceva parte della svolta di politica economica iperinflazionista alla Weimar che LaRouche aveva previsto, è stata una tra le più “controverse” riunioni che si siano tenute da quattro anni e più di mandato di Ben Bernanke come presidente. Anche se Hoenig è stato l’unico dissenziente al voto finale, il Journal riporta che ben sette dei diciassette membri della commissione hanno espresso gravi riserve in ordine alla folle decisione.

Lunedi 23 Agosto, Hoenig ha testimoniato a un’audizione del House Subcommittee on Oversight and Investigations. Nella sua testimonianza, disponibile presso il sito della Fed di Kansas City, Hoenig ha dimostrato che sono le banche locali che stanno ancora fornendo credito alle imprese, mentre le banche “salvate” di Wall Street hanno smesso di fare credito per scopi pratici. E che il grande pericolo per queste banche locali è rappresentato proprio dai giganti di Wall Street “troppo grandi per fallire» . Il sito web della Fed di Kansas City mette in evidenza anche un intervento di Hoenig del 13 agosto, in cui svolge nel dettaglio le sue argomentazioni contro la politica di Bernanke di interessi a tasso zero. Fonti vicine alla Fed riportano che Hoenig si sente tanto più in dovere di pubblicizzare la sua opposizione, a causa del gran numero di avversari che allo stato attuale non riescono ad uscire in pubblico.

Fonte: larouchepac
 

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