ILSOLE24ORE.COM La mappa del rischio paese. Attenti a Est Europa e Sudamerica
di Morya Longo
6 dicembre 2009 - Il mercato dei credit default swap, quelle speciali polizze assicurative che misurano il rischio di crack in giro per il mondo, punta il dito su Paesi come l'Ucraina, il Venezuela e la sempre traballante Argentina. Le agenzie di rating, e in particolare Standard & Poor's, assegnano altissimi rischi di insolvenza a Ucraina, Jamaica ed Ecuador. Un recente indicatore del Credit Suisse sulla vulnerabilità degli Stati sovrani mette invece al primo posto l'Islanda, seguita da Ungheria, Grecia, Romania, Bulgaria e – udite udite – Spagna. Benvenuti nel toto-default. Dopo aver giocato per mesi a «chi è il prossimo» sulle banche, ora gli economisti e i mercati finanziari iniziano a fare lo stesso sui Paesi sovrani. E purtroppo non hanno tutti i torti: due anni di crisi finanziaria e due anni di maxi-interventi pubblici per salvare banche e imprese hanno sconquassato i bilanci. Se le banche ormai sono «too big to fail» (troppo grandi per fallire), gli Stati rischiano quindi di essere «too big to save» (troppo grandi da salvare).
Ai primi posti tra le aree geografiche vulnerabili c'è certamente l'Est Europa. L'Ucraina, nonostante il debito pubblico fermo al 25% del Pil, è ritenuto all'unanimità il Paese più a rischio: Standard & Poor's gli assegna un rating di CCC+ (che significa alte probabilità di insolvenza), mentre i credit default swap quotano a 1.304 punti base. Questo significa che assicurare 100 milioni di euro contro il default dell'Ucraina costa poco più di 13 milioni di euro. Tantissimo: circa 3 volte più di Dubai. Questo significa che il mercato assegna al Paese dell'Est alte probabilità di insolvenza. Sorvegliata speciale anche la Lituania (che ha rating BB con prospettive negative). Il Credit Suisse mette invece al secondo posto dei Paesi più fragili l'Ungheria. Anche alcuni Stati del Sud America, sebbene quell'area geografica abbia dimostrato di reggere meglio di altre alle turbolenze finanziarie, sono visti ad alto rischio. Non solo l'Argentina, le cui polizze anti-insolvenza quotano a più di mille punti base. Ma soprattutto il Venezuela, Paese che attualmente ha i credit default swap più elevati al mondo: 1.437 punti base.
Eppure, con gradazioni di rischio ovviamente diverse, anche Paesi ben meno esotici non sono immuni. Unione europea in primis. Royal Bank of Scotland ha calcolato che l'Irlanda deve aumentare il bilancio primario dell'8% per mantenere invariato il rapporto tra debito e Pil. Per la Grecia e la Spagna lo sforzo per evitare che il debito pubblico esploda è invece intorno al 5%. Questi sono dunque i Paesi che maggiormente rischiano di vedere crescere in maniera esponenziale il debito pubblico. In questo senso l'Italia appare inevece più tranquilla: con la sua tradizione di super-debito, secondo i calcoli di Rbs, non dovrebbe aumentare gli sforzi per tenere il debito sui livelli attuali. Il mercato dei credit default swap dice la stessa cosa. L'assicurazione sull'insolvenza della Grecia costa 181 punti base, quella sull'Irlanda 148 e quella sulla Spagna 83 (più o meno come quella sull'Italia).
Ma tanti economisti si spingono oltre. E guardano con una certa apprensione anche ad alcuni big mondiali: Stati Uniti e Gran Bretagna. Proprio tre giorni fa Mark Field, deputato Conservatore inglese, ha affermato che la Gran Bretagna rischia una crisi valutaria se le prossime elezioni non mostrassero un vincitore netto. In tal caso – afferma il deputato – l'Inghilterra potrebbe addirittura chiedere un aiuto al Fondo monetario internazionale. Questa è sicuramente una boutade da campagna elettorale, ma parte da una situazione realmente difficile per la Corona. Il deficit di bilancio è intorno al 15%, il debito pubblico è stimato in crescita dagli analisti di Bnp Paribas fino al 160% del Pil entro il 2020 e il settore su cui il Paese ha basato la sua crescita negli anni passati – cioè quello finanziario – è in crisi. Non a caso Standard & Poor's ha recentemente messo in «prospettive negative» il suo rating, tutt'ora di «Tripla A». Discorso non diverso per gli Stati Uniti. Il deficit di bilancio è al 12% del Pil e il debito pubblico è stimato – sempre da Bnp – al 150% nel 2020.