Certificati di investimento - Cap. 4 (35 lettori)

Stato
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NoWay

It's time to play the game
@kiaker. CH1110429235. Non mi è chiaro il rimborso a scadenza se worst of compreso tra 52 e 60%. In pratica paga la cedola, ma registra una perdita sul capitale di, per esempio, il 45%?
 

NoWay

It's time to play the game
Bankitalia: nuovo record debito, a marzo 2.651 mld. Migliorano entrate tributarie a 30,1 miliardi (+9,8%).
 

Fabrib

Forumer storico
L’indice dei titoli bancari europei, dopo aver perso metà del valore, è oggi appena il 2 per cento al di sotto del livello pre Covid (fine 2019), poco distante dall’indice generale. Tra le banche italiane, Intesa è ritornata ai livelli pre Covid, mentre l’andamento delle altre nello stesso periodo è stato dominato dalle indiscrezione su ipotesi varie di fusioni e acquisizioni, che hanno avvantaggiato Bpm (+ 26 per cento rispetto a fine 2019) e nociuto a Unicredit e Bper (rispettivamente, - 23 e -35). I valori delle banche in borsa dipendono prevalentemente dalle prospettive dell’economia e dalle attese circa la politica monetaria della Bce: pertanto la dinamica dei prezzi riflette il convincimento del mercato che le conseguenze economiche della crisi da Covid nell’Eurozona saranno presto riassorbite, senza strascichi duraturi, e che le politiche messe in atto da Bce e governi sosterranno questo scenario di crescita.
Valutazioni coerenti con le previsioni di consenso, con un Pil dell’Eurozona in crescita quest’anno del 4,1 per cento (4,3 per l’Italia), e del 4 nel 2022, in linea con gli Usa. Sempre stando al consenso, la ripresa globale sarà sostenuta dal mantenimento di politiche monetarie espansive, con i tassi di intervento delle banche centrali invariati fino al 2023 (a 0,25 negli Usa e -0,5 nell’area euro).
Crisi asimmetrica
Il primo rischio che il mercato minimizza è lo strascico di sofferenze che seguirà alla crisi. L’analisi prevalente è che non esista un rischio sistemico per le banche europee, perché la crisi è stata asimmetrica, come lo è stata la politica degli accantonamenti delle banche nei vari paesi. A differenza delle crisi precedenti, il crollo dell’attività economica si è infatti concentrato nei settori legati a tempo libero, ristorazione-alberghiero e commercio al dettaglio, mentre sono rimasti relativamente indenni quelli manifatturiero, industriale, servizi alle imprese e di pubblica utilità, grande distribuzione e immobiliare, che sono anche quelli verso i quali le banche hanno la maggiore esposizione. Dato confermato dall’andamento dei crediti in moratoria (regime che finirà quest’anno) e con garanzia statale, poiché coinvolgono debitori in temporanea difficoltà e quindi costituiscono un buon previsore dell’evoluzione futura delle sofferenze.
Alcune analisi mostrano come le garanzie statali siano state concesse prevalentemente a imprese medio-grandi con livelli di indebitamento sostenibili: è pertanto probabile che questi crediti in larga parte rimarranno in bonis (di fatto sono rifinanziamenti a tassi più vantaggiosi). Il problema potenziale è nei crediti in moratoria perché erogati prevalentemente a famiglie e piccole imprese, e ancora in crescita in tutta l’Eurozona nel quarto trimestre, prima della seconda ondata Covid. A fine 2020, tuttavia, la percentuale di questi crediti ancora in moratoria rispetto al totale dei prestiti nell’Eurozona era molto contenuta (dal quasi zero della Germania all’1 per cento di Francia e Belgio) salvo che in Italia (6 per cento) e Spagna (2,5), paesi che per la caratteristica delle loro economie (maggiore esposizione al turismo e tempo libero) e la numerosità di imprese individuali e di piccole dimensioni sono stati più colpiti; ma anche quelli dove le banche hanno fatto minori accantonamenti rispetto alla media storica. Le sofferenze quindi non costituiscono un rischio sistemico per l’Eurozona, ma un elemento di relativa debolezza delle banche italiane (e spagnole), che le eventuali fusioni di cui si parla non risolvono, ma addirittura potrebbero aggravare se, per migliorare le valutazioni in ottica negoziale, non si adottassero criteri prudenziali. Sarebbe invece auspicabile che le nostre banche approfittassero della congiuntura favorevole dei mercati per accelerare gli accantonamenti.
Inflazione
Lo scenario di una forte ripresa nell’Eurozona, continuamente rivista al rialzo, e che troverà il suo apice nella seconda metà dell’anno, rende probabile l’inizio della riduzione degli acquisti dei titoli di stato da parte della Bce già a partire da luglio, specie se i nuovi dati confermassero la solidità della ripresa, l’eliminazione delle restrizioni Covid per la stagione estiva, e l’accelerazione del piano vaccinale. Dagli 83 miliardi di acquisti ad aprile è ipotizzabile che si scenda a 40 a fine anno, con una dinamica analoga a quella del secondo semestre dello scorso anno.
La forza della ripresa rende invece poco credibile lo scenario di consenso per l’inflazione con un picco quest’anno all’ 1,6 per cento, per poi ridiscendere all’1,3 nel 2022, specie alla luce del dato americano di aprile, 4,2 per cento, di gran lunga superiore alle attese. Una riduzione degli acquisti Bce e un aumento delle aspettative di inflazione causeranno un rialzo generalizzato dei rendimenti dei titoli in euro, specialmente sul lungo termine, rendendo la curva dei tassi molto più ripida, visto che la Bce manterrà inalterati quelli ufficiali a breve. Un rialzo peraltro già iniziato, anche perché i tassi negativi fino a 10 anni nel mercato principale dei Bund non sono più giustificabili; e che trascinerà al rialzo anche quelli sui Btp visto che la Bce interviene per stabilizzare lo spread, non il livello dei tassi tedeschi.
Banche e finanza pubblica
Una curva più ripida migliora il margine di interesse delle banche perché possono lucrare il divario crescente tra rendimento degli investimenti a più lunga durata e il costo nullo o negativo dei depositi. Per le nostre banche però, può essere un’altra fonte di debolezza se l’aumento dei tassi dei Btp, assieme ai minori acquisti della Bce, diventassero una fonte di stress per i conti dello Stato, visto che detengono un quarto del suo debito (tra titoli e prestiti), e nonostante abbiano dimezzato, stando gli ultimi dati, i 67 miliardi di titoli acquistati da inizio pandemia.
Se veramente si vuole l’unione bancaria bisogna spezzare il legame tra banche e finanza pubblica, altrimenti è utopistico immaginare che depositi tedeschi finanzino il debito pubblico italiano, o di altri paesi. Bisognerebbe invece fornire alle banche europee un unico safe asset in euro invece dei titoli di stato dei vari paesi: un ottimo candidato esiste ed è il debito comunitario per finanziare il Next generation Eu. È una priorità per il futuro del sistema finanziario dell’Eurozona del post Merkel.
Solo l’unione bancaria, incentivando le aggregazioni transnazionali, con le conseguenti economie di scala, premetterebbe poi di risolvere l’intrinseca debolezza della scarsa redditività del sistema europeo: anche per il 2022 gli analisti stimano una redditività media sul capitale di poco superiore al 6 per cento, ancora insufficiente e inferiore al 10 delle americane.
DOMANI/Penati
 

kiaker

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@kiaker. CH1110429235. Non mi è chiaro il rimborso a scadenza se worst of compreso tra 52 e 60%. In pratica paga la cedola, ma registra una perdita sul capitale di, per esempio, il 45%?

Si esatto, come già visto nelle strutture di Vontabel con trigger cedola decrescente, al di sotto della barriera restituisce un importo che dipende dalla performance del worst of maggiorato della cedola. Se il worrst of perde il 45% sarà 550 euro + la cedola.
 

Fabrib

Forumer storico
Più di 100 milioni di dollari, questo l’utile che ha avuto Elon Musk dopo aver venduto il 10% suoi 1,5 miliardi di dollari in bitcoin. Un utile che ha aiutato parecchio il buon risultato della trimestrale di Tesla. Con entusiasmo aveva comunicato al mondo a febbraio che avrebbe accettato la criptovaluta da chi intendeva comprare le sue Tesla ma di colpo mercoledì 12, con il solito tweet, ha annunciato di aver cambiato idea.
Produrre bitcoin richiede troppa energia, ha sentenziato. Viene da chiedersi se l’abbia scoperto solo ieri. Ma è difficile pensare che sia uno sprovveduto, tanto più che nel frattempo i suoi tweet hanno determinato movimenti di mercato importanti, con perdite di tutte le criptovalute anche superiori al 15%.
Quasi contemporaneamente, e sempre sul suo account Twitter, Musk aveva lanciato un sondaggio dove chiedeva ai suoi follower se avrebbero voluto che Tesla accettasse Doge per i pagamenti. Inutile dire che il quesito di Musk è stato quasi un plebiscito della rete in favore dei Doge.
Si tratta di una criptovaluta iniziata quasi per gioco nel 2013 ed è basata sul meme di un cane di razza Shiba Inu. Creata da due ingegneri software di Ibm e Adobe, è nata come una parodia di bitcoin. Dall’inizio del 2021 Dogecoin è la valuta digitale con la crescita più rapida e attualmente è la quarta in assoluto con una capitalizzazione di mercato superiore ai 65 miliardi. Non c’è evidenza che per produrre Doge l’energia impiegata sia inferiore alle altre poiché servono ugualmente una grande potenza di calcolo e un grande consumo di energia stratosferico e i conseguenti danni all’ambiente.
Ma non è tutto. Musk ha annunciato anche che il prossimo anno SpaceX lancerà un satellite sulla luna che si chiama “Doge-1” e la missione sarà pagata interamente in Dogecoin.
Alcuni hanno ipotizzato che Musk abbia già iniziato a rastrellare Dogecoin sul mercato con un portafoglio miliardario. In particolare Business Insider ha rivelato che una “balena” – questa la definizione dei wallet miliardari nel mondo delle criptovalute – possiede 36,7 miliardi di Dogecoin. Naturalmente il proprietario del portafoglio digitale è sconosciuto, ma il registro delle transazioni indica cifre che ricordano la data di nascita di Elon Musk. Tre transazioni separate erano pari a 28.061971 Dogecoin. La data di nascita di Musk è 28 giugno 1971.
Ricapitolando: il Dogefather, come si fa chiamare Musk, sceglie la criptovaluta come la sua preferita e inizia la sua campagna di marketing su Twitter per inserirla come metodo di pagamento delle sue auto e finanzia una missione sulla luna in Doge.
Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova. O no?
Carblogger/FQ
 

PazzoperlaDea

Forumer attivo
Più di 100 milioni di dollari, questo l’utile che ha avuto Elon Musk dopo aver venduto il 10% suoi 1,5 miliardi di dollari in bitcoin. Un utile che ha aiutato parecchio il buon risultato della trimestrale di Tesla. Con entusiasmo aveva comunicato al mondo a febbraio che avrebbe accettato la criptovaluta da chi intendeva comprare le sue Tesla ma di colpo mercoledì 12, con il solito tweet, ha annunciato di aver cambiato idea.
Produrre bitcoin richiede troppa energia, ha sentenziato. Viene da chiedersi se l’abbia scoperto solo ieri. Ma è difficile pensare che sia uno sprovveduto, tanto più che nel frattempo i suoi tweet hanno determinato movimenti di mercato importanti, con perdite di tutte le criptovalute anche superiori al 15%.
Quasi contemporaneamente, e sempre sul suo account Twitter, Musk aveva lanciato un sondaggio dove chiedeva ai suoi follower se avrebbero voluto che Tesla accettasse Doge per i pagamenti. Inutile dire che il quesito di Musk è stato quasi un plebiscito della rete in favore dei Doge.
Si tratta di una criptovaluta iniziata quasi per gioco nel 2013 ed è basata sul meme di un cane di razza Shiba Inu. Creata da due ingegneri software di Ibm e Adobe, è nata come una parodia di bitcoin. Dall’inizio del 2021 Dogecoin è la valuta digitale con la crescita più rapida e attualmente è la quarta in assoluto con una capitalizzazione di mercato superiore ai 65 miliardi. Non c’è evidenza che per produrre Doge l’energia impiegata sia inferiore alle altre poiché servono ugualmente una grande potenza di calcolo e un grande consumo di energia stratosferico e i conseguenti danni all’ambiente.
Ma non è tutto. Musk ha annunciato anche che il prossimo anno SpaceX lancerà un satellite sulla luna che si chiama “Doge-1” e la missione sarà pagata interamente in Dogecoin.
Alcuni hanno ipotizzato che Musk abbia già iniziato a rastrellare Dogecoin sul mercato con un portafoglio miliardario. In particolare Business Insider ha rivelato che una “balena” – questa la definizione dei wallet miliardari nel mondo delle criptovalute – possiede 36,7 miliardi di Dogecoin. Naturalmente il proprietario del portafoglio digitale è sconosciuto, ma il registro delle transazioni indica cifre che ricordano la data di nascita di Elon Musk. Tre transazioni separate erano pari a 28.061971 Dogecoin. La data di nascita di Musk è 28 giugno 1971.
Ricapitolando: il Dogefather, come si fa chiamare Musk, sceglie la criptovaluta come la sua preferita e inizia la sua campagna di marketing su Twitter per inserirla come metodo di pagamento delle sue auto e finanzia una missione sulla luna in Doge.
Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova. O no?
Carblogger/FQ
Non capisco come mai non possa essere multato per aggiotaggio...
 

skolem

Listino e panino
Le criptovalute non sono titoli azionari.
Quando il giochino finirà, ci sarà parecchia gente che si farà molto molto male.
Egoisticamente, spero solo che quando ciò avverrà, non si trascini nel baratro anche il resto della finanza, perché allora sì che la SEC e gli altri enti controllori avrebbero grosse responsabilità nel lasciare OGGI questo personaggio (Musk) e altri "influencer" a fare scorribande così scandalose sui mercati!!
 
Stato
Chiusa ad ulteriori risposte.

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