Certificati di investimento - Cap. 4

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Chiusa ad ulteriori risposte.
Io non l'ho acquistato, ma a mio modo di vedere, la copertura non è lineare per vari motivi:
1) Macy's non è il WO
2) Se dovesse rimborsare alla prima data utile del 30 08 2021 le tre cedole secondo me non basterebbero a coprire il costo delle opzioni
3) Paradossalmente Macys potrebbe rimbalzare anche di un 15-20% con una perdita netta sulla posizione corta, e Delivery o Beyond, potrebbero andare sotto trigger cedola (la metto solo come ipotesi, anche se alquanto remota) con il rischio di non percepire nemmeno un cedola, e nel caso peggiore se, alla data di rimborso uno di questi sottostanti si dovesse trovare sotto barriera, il certificato, non rimborserebbe nemmeno a 100 e quindi un perdita anche sulla posizione lunga.

Imho

Edit: non avevo visto che ti avevano già risposto Guni e Alex, scusami

Hai fatto bene, invece...la tua è una risposta completa, la mia solo una puntualizzazione ;)...è un po' la differenza che c'è tra fare la recensione di un libro e dire che ha una bella copertina :-D
 
Infatti anche io non ci sto capendo più niente.
Con l'inflazione oltre le attese a +5% non avrei mai immaginato il nasdaq a +1%, come i rendimenti del TBOND sotto il 1,5%
Come ho detto ieri, sto vendendo i certificati quando sono in buon gain (vista la volatilità bassissima) e mi metto alla finestra.
La borsa non finisce domani :)
io sono liquido al 50% del mio patrimonio finanziario e penso di mantenere più o meno questo livello... non vedo però al momento cigni neri in vista anche perchè le dichiarazioni della Lagarde sono state equilibrate... piuttosto temo che il rincaro delle materie prime si faccia sentire più avanti e per questo resto prudente .... sono già notevomente rincarate le proposte di affitto delle seconde case sia al mare sia in montagna
 
Ultima modifica:
io sono liquido al 50% del mio patrimonio finanziario e penso di mantenere più o meno questo livello... non vedo però al momento cigni neri in vista anche perchè le dichiarazioni della Lagarde sono state equilibrate... piuttosto temo che il rincaro delle materie prime si faccia sentire più avanti e per questo resto prudente
Aumentano non solo le materie prime, ma anche i prodotti semilavorati importati dalla Cina (ieri prezzi della produzione +9% max dal 2008). Aggiungi anche che lo yuan si sta apprezzando rispetto ai mesi scorsi, amplificando questo aumento. Poi ci sono le politiche espansive dei governi (piano di Biden, pnrr ecc...). Infine, ci metterei anche il fatto che l'inflazione è un fenomeno che si autoalimenta, quando parte.
Non dico che debba esserci per forza un cigno nero, ma di fronte a tutti questi fenomeni inflattivi sotto gli occhi di tutti, vedere i rendimenti dei tbond scendere mi lascia perplesso.
 
Io non l'ho acquistato, ma a mio modo di vedere, la copertura non è lineare per vari motivi:
1) Macy's non è il WO
2) Se dovesse rimborsare alla prima data utile del 30 08 2021 le tre cedole secondo me non basterebbero a coprire il costo delle opzioni
3) Paradossalmente Macys potrebbe rimbalzare anche di un 15-20% con una perdita netta sulla posizione corta, e Delivery o Beyond, potrebbero andare sotto trigger cedola (la metto solo come ipotesi, anche se alquanto remota) con il rischio di non percepire nemmeno un cedola, e nel caso peggiore se, alla data di rimborso uno di questi sottostanti si dovesse trovare sotto barriera, il certificato, non rimborserebbe nemmeno a 100 e quindi un perdita anche sulla posizione lunga.

Imho

Edit: non avevo visto che ti avevano già risposto Guni e Alex, scusami
Leggo solo ora la tua risposta argomentata, grazie..
 
Ogni giorno si scambiano nel mondo titoli fisici del Tesoro americano per più di mezzo trilione di dollari. Se si includono nel conto i derivati che hanno come sottostante questi titoli la quantità scambiata va naturalmente moltiplicata. In una sola settimana del marzo 2020, calcolando solo i titoli medio-lunghi, è stato scambiato, includendo i derivati, un controvalore di 12.5 trilioni.
Nei sei mesi cha vanno dall’inizio di aprile alla fine di settembre del 2020, il rendimento del decennale americano ha oscillato tra lo 0.50 e lo 0.60 per cento. Trilioni di dollari di titoli decennali sono stati quindi comprati per sei mesi sapendo che si sarebbe ottenuto, dal 2020 al 2030, un flusso cedolare complessivo compreso tra il 5 e il 6 per cento, più qualche briciola per gli interessi composti e meno le tasse.
È bastato un anno di inflazione (al 5.0 per cento dal maggio 2020 al maggio 2021) per vedersi portare via dieci anni di cedole. Ora ne restano altri nove. Con l’inflazione a zero per nove anni si andrà in pari, ma con l’inflazione sopra il due per cento (che la Fed dichiara di volere nella prossima fase storica e che la Bce si prepara ad annunciare come obiettivo non appena sarà terminata la sua revisione strategica) gli sfortunati compratori di Treasuries del 2020 si troveranno nel 2030 con una perdita di potere d’acquisto, come minimo, del 18 per cento. E questo sul risk free per antonomasia.
In vista del dato sull’inflazione americana, previsto in ulteriore peggioramento rispetto a quello del mese scorso, si erano viste, per la prima volta da qualche tempo, un po’ di posizioni al ribasso sui Treasuries e, ancora più notevole, sulla borsa americana. Erano posizioni timide ma autorevoli. Ma erano posizioni così controvento che sono state chiuse in perdita ancora prima della pubblicazione del dato. E bene hanno fatto a essere chiuse, perché, a 5 per cento pubblicato (peggio delle peggiori aspettative), i Treasuries, come dicevano le nonne quando a scuola si studiava il francese, non hanno fatto un plissé, mentre la borsa americana, confortata dallo stoicismo dei bond, si è subito lanciata verso nuovi massimi storici.
Questo esito è bizzarro solo in apparenza. Chi compra governativi all’1.50 con l’inflazione al 5 lo fa per precise ragioni. Il più grande compratore è la Fed, che continua a divorare 120 miliardi al mese di titoli e lo fa per motivi di policy. Ci sono poi le banche centrali del resto del mondo, che si vedono arrivare ogni mese una quantità crescente di dollari per effetto del disavanzo delle partite correnti americane tornato ai livelli record degli anni 2000. Abbiamo poi la assicurazioni vita di tutto il mondo, dal Giappone in giù, che sono obbligate dai loro regolatori a comprare grandi quantità di titoli risk free (cosiddetti). Senza contare le banche (più in Europa che in America), che parcheggiano in governativi una parte della liquidità ottenuta a tassi di favore dalle banche centrali.
Ancora meno bizzarro è il comportamento delle borse, che non hanno motivo di temere l’inflazione finché i tassi vengono mantenuti immobili e straordinariamente bassi. Tassi immobili e inflazione crescente sono anzi positivi per l’azionario, perché significano tassi reali sempre più profondamente negativi e quindi multipli più alti.
Quanto potrà durare questa situazione? Come minimo qualche mese e come massimo qualche anno. Per qualche mese saremo infatti ancora nella logica dell’emergenza, da trascinare il più possibile a ridosso delle elezioni americane di mid term dell’anno prossimo e, in Europa, delle elezioni francesi di marzo. Se l’inflazione transitoria si protrarrà, come è probabile, nel secondo semestre 2021 si troverà comunque conforto nella altrettanto probabile decelerazione. Una volta visto il 5 di inflazione, infatti, il 4 e il 3 appariranno molto belli e più che degni di essere festeggiati dai mercati.
E quando l’inflazione transitoria lascerà il campo all’inflazione strutturale (all’inizio dell’anno prossimo, quando l’output gap comincerà a essere colmato in un numero crescente di paesi), quest’ultima partirà in sordina e ci apparirà per qualche tempo, forse fino a metà decennio, piuttosto mite.
La repressione finanziaria, positiva per le borse e neutrale per il corso nominale dei bond, potrà poi durare anni se la Fed manterrà come faro della sua azione non più il tasso di disoccupazione (il rapporto tra disoccupati e forza lavoro) ma l’Epop (il rapporto tra occupati e totale della popolazione). Questa metrica promuoverà a risorsa inutilizzata (e quindi non inflazionistica se utilizzata) milioni di persone che ora stanno a casa anche per loro scelta. Il paradosso è che una parte di queste risorse, per scegliere di impiegarsi, avrà bisogno dello stimolo (inflazionistico) di una retribuzione più alta.
In conclusione, appare sempre più chiaro che la prima parte del decennio sarà quella più favorevole, sia per l’economia sia per chi investe, e che a un certo punto gli effetti collaterali delle nuove politiche si faranno sentire attraverso una crescente volatilità del ciclo economico e dei mercati. Se le cose staranno in questi termini, un’importante presenza azionaria nei portafogli potrà più che compensare, ancora per qualche tempo non necessariamente breve, quell’erosione di potere d’acquisto che la componente obbligazionaria governativa potrà solo subire.
Il rosso e il nero/FUGNOLI
 
Ogni giorno si scambiano nel mondo titoli fisici del Tesoro americano per più di mezzo trilione di dollari. Se si includono nel conto i derivati che hanno come sottostante questi titoli la quantità scambiata va naturalmente moltiplicata. In una sola settimana del marzo 2020, calcolando solo i titoli medio-lunghi, è stato scambiato, includendo i derivati, un controvalore di 12.5 trilioni.
Nei sei mesi cha vanno dall’inizio di aprile alla fine di settembre del 2020, il rendimento del decennale americano ha oscillato tra lo 0.50 e lo 0.60 per cento. Trilioni di dollari di titoli decennali sono stati quindi comprati per sei mesi sapendo che si sarebbe ottenuto, dal 2020 al 2030, un flusso cedolare complessivo compreso tra il 5 e il 6 per cento, più qualche briciola per gli interessi composti e meno le tasse.
È bastato un anno di inflazione (al 5.0 per cento dal maggio 2020 al maggio 2021) per vedersi portare via dieci anni di cedole. Ora ne restano altri nove. Con l’inflazione a zero per nove anni si andrà in pari, ma con l’inflazione sopra il due per cento (che la Fed dichiara di volere nella prossima fase storica e che la Bce si prepara ad annunciare come obiettivo non appena sarà terminata la sua revisione strategica) gli sfortunati compratori di Treasuries del 2020 si troveranno nel 2030 con una perdita di potere d’acquisto, come minimo, del 18 per cento. E questo sul risk free per antonomasia.
In vista del dato sull’inflazione americana, previsto in ulteriore peggioramento rispetto a quello del mese scorso, si erano viste, per la prima volta da qualche tempo, un po’ di posizioni al ribasso sui Treasuries e, ancora più notevole, sulla borsa americana. Erano posizioni timide ma autorevoli. Ma erano posizioni così controvento che sono state chiuse in perdita ancora prima della pubblicazione del dato. E bene hanno fatto a essere chiuse, perché, a 5 per cento pubblicato (peggio delle peggiori aspettative), i Treasuries, come dicevano le nonne quando a scuola si studiava il francese, non hanno fatto un plissé, mentre la borsa americana, confortata dallo stoicismo dei bond, si è subito lanciata verso nuovi massimi storici.
Questo esito è bizzarro solo in apparenza. Chi compra governativi all’1.50 con l’inflazione al 5 lo fa per precise ragioni. Il più grande compratore è la Fed, che continua a divorare 120 miliardi al mese di titoli e lo fa per motivi di policy. Ci sono poi le banche centrali del resto del mondo, che si vedono arrivare ogni mese una quantità crescente di dollari per effetto del disavanzo delle partite correnti americane tornato ai livelli record degli anni 2000. Abbiamo poi la assicurazioni vita di tutto il mondo, dal Giappone in giù, che sono obbligate dai loro regolatori a comprare grandi quantità di titoli risk free (cosiddetti). Senza contare le banche (più in Europa che in America), che parcheggiano in governativi una parte della liquidità ottenuta a tassi di favore dalle banche centrali.
Ancora meno bizzarro è il comportamento delle borse, che non hanno motivo di temere l’inflazione finché i tassi vengono mantenuti immobili e straordinariamente bassi. Tassi immobili e inflazione crescente sono anzi positivi per l’azionario, perché significano tassi reali sempre più profondamente negativi e quindi multipli più alti.
Quanto potrà durare questa situazione? Come minimo qualche mese e come massimo qualche anno. Per qualche mese saremo infatti ancora nella logica dell’emergenza, da trascinare il più possibile a ridosso delle elezioni americane di mid term dell’anno prossimo e, in Europa, delle elezioni francesi di marzo. Se l’inflazione transitoria si protrarrà, come è probabile, nel secondo semestre 2021 si troverà comunque conforto nella altrettanto probabile decelerazione. Una volta visto il 5 di inflazione, infatti, il 4 e il 3 appariranno molto belli e più che degni di essere festeggiati dai mercati.
E quando l’inflazione transitoria lascerà il campo all’inflazione strutturale (all’inizio dell’anno prossimo, quando l’output gap comincerà a essere colmato in un numero crescente di paesi), quest’ultima partirà in sordina e ci apparirà per qualche tempo, forse fino a metà decennio, piuttosto mite.
La repressione finanziaria, positiva per le borse e neutrale per il corso nominale dei bond, potrà poi durare anni se la Fed manterrà come faro della sua azione non più il tasso di disoccupazione (il rapporto tra disoccupati e forza lavoro) ma l’Epop (il rapporto tra occupati e totale della popolazione). Questa metrica promuoverà a risorsa inutilizzata (e quindi non inflazionistica se utilizzata) milioni di persone che ora stanno a casa anche per loro scelta. Il paradosso è che una parte di queste risorse, per scegliere di impiegarsi, avrà bisogno dello stimolo (inflazionistico) di una retribuzione più alta.
In conclusione, appare sempre più chiaro che la prima parte del decennio sarà quella più favorevole, sia per l’economia sia per chi investe, e che a un certo punto gli effetti collaterali delle nuove politiche si faranno sentire attraverso una crescente volatilità del ciclo economico e dei mercati. Se le cose staranno in questi termini, un’importante presenza azionaria nei portafogli potrà più che compensare, ancora per qualche tempo non necessariamente breve, quell’erosione di potere d’acquisto che la componente obbligazionaria governativa potrà solo subire.
Il rosso e il nero/FUGNOLI

Sempre articoli ben fatti e "sensati", per me uno dei migliori...
 
Ogni giorno si scambiano nel mondo titoli fisici del Tesoro americano per più di mezzo trilione di dollari. Se si includono nel conto i derivati che hanno come sottostante questi titoli la quantità scambiata va naturalmente moltiplicata. In una sola settimana del marzo 2020, calcolando solo i titoli medio-lunghi, è stato scambiato, includendo i derivati, un controvalore di 12.5 trilioni.
Nei sei mesi cha vanno dall’inizio di aprile alla fine di settembre del 2020, il rendimento del decennale americano ha oscillato tra lo 0.50 e lo 0.60 per cento. Trilioni di dollari di titoli decennali sono stati quindi comprati per sei mesi sapendo che si sarebbe ottenuto, dal 2020 al 2030, un flusso cedolare complessivo compreso tra il 5 e il 6 per cento, più qualche briciola per gli interessi composti e meno le tasse.
È bastato un anno di inflazione (al 5.0 per cento dal maggio 2020 al maggio 2021) per vedersi portare via dieci anni di cedole. Ora ne restano altri nove. Con l’inflazione a zero per nove anni si andrà in pari, ma con l’inflazione sopra il due per cento (che la Fed dichiara di volere nella prossima fase storica e che la Bce si prepara ad annunciare come obiettivo non appena sarà terminata la sua revisione strategica) gli sfortunati compratori di Treasuries del 2020 si troveranno nel 2030 con una perdita di potere d’acquisto, come minimo, del 18 per cento. E questo sul risk free per antonomasia.
In vista del dato sull’inflazione americana, previsto in ulteriore peggioramento rispetto a quello del mese scorso, si erano viste, per la prima volta da qualche tempo, un po’ di posizioni al ribasso sui Treasuries e, ancora più notevole, sulla borsa americana. Erano posizioni timide ma autorevoli. Ma erano posizioni così controvento che sono state chiuse in perdita ancora prima della pubblicazione del dato. E bene hanno fatto a essere chiuse, perché, a 5 per cento pubblicato (peggio delle peggiori aspettative), i Treasuries, come dicevano le nonne quando a scuola si studiava il francese, non hanno fatto un plissé, mentre la borsa americana, confortata dallo stoicismo dei bond, si è subito lanciata verso nuovi massimi storici.
Questo esito è bizzarro solo in apparenza. Chi compra governativi all’1.50 con l’inflazione al 5 lo fa per precise ragioni. Il più grande compratore è la Fed, che continua a divorare 120 miliardi al mese di titoli e lo fa per motivi di policy. Ci sono poi le banche centrali del resto del mondo, che si vedono arrivare ogni mese una quantità crescente di dollari per effetto del disavanzo delle partite correnti americane tornato ai livelli record degli anni 2000. Abbiamo poi la assicurazioni vita di tutto il mondo, dal Giappone in giù, che sono obbligate dai loro regolatori a comprare grandi quantità di titoli risk free (cosiddetti). Senza contare le banche (più in Europa che in America), che parcheggiano in governativi una parte della liquidità ottenuta a tassi di favore dalle banche centrali.
Ancora meno bizzarro è il comportamento delle borse, che non hanno motivo di temere l’inflazione finché i tassi vengono mantenuti immobili e straordinariamente bassi. Tassi immobili e inflazione crescente sono anzi positivi per l’azionario, perché significano tassi reali sempre più profondamente negativi e quindi multipli più alti.
Quanto potrà durare questa situazione? Come minimo qualche mese e come massimo qualche anno. Per qualche mese saremo infatti ancora nella logica dell’emergenza, da trascinare il più possibile a ridosso delle elezioni americane di mid term dell’anno prossimo e, in Europa, delle elezioni francesi di marzo. Se l’inflazione transitoria si protrarrà, come è probabile, nel secondo semestre 2021 si troverà comunque conforto nella altrettanto probabile decelerazione. Una volta visto il 5 di inflazione, infatti, il 4 e il 3 appariranno molto belli e più che degni di essere festeggiati dai mercati.
E quando l’inflazione transitoria lascerà il campo all’inflazione strutturale (all’inizio dell’anno prossimo, quando l’output gap comincerà a essere colmato in un numero crescente di paesi), quest’ultima partirà in sordina e ci apparirà per qualche tempo, forse fino a metà decennio, piuttosto mite.
La repressione finanziaria, positiva per le borse e neutrale per il corso nominale dei bond, potrà poi durare anni se la Fed manterrà come faro della sua azione non più il tasso di disoccupazione (il rapporto tra disoccupati e forza lavoro) ma l’Epop (il rapporto tra occupati e totale della popolazione). Questa metrica promuoverà a risorsa inutilizzata (e quindi non inflazionistica se utilizzata) milioni di persone che ora stanno a casa anche per loro scelta. Il paradosso è che una parte di queste risorse, per scegliere di impiegarsi, avrà bisogno dello stimolo (inflazionistico) di una retribuzione più alta.
In conclusione, appare sempre più chiaro che la prima parte del decennio sarà quella più favorevole, sia per l’economia sia per chi investe, e che a un certo punto gli effetti collaterali delle nuove politiche si faranno sentire attraverso una crescente volatilità del ciclo economico e dei mercati. Se le cose staranno in questi termini, un’importante presenza azionaria nei portafogli potrà più che compensare, ancora per qualche tempo non necessariamente breve, quell’erosione di potere d’acquisto che la componente obbligazionaria governativa potrà solo subire.
Il rosso e il nero/FUGNOLI
Concordo, se il ragionamento lo si fa a bocce ferme. Ma se in breve l'inflazione passa dal 5 al 6 al 7% voglio proprio vedere se la montagna di liquidità resta sui bond o se si sposta altrove. E a quel punto, con gli strumenti finanziari e le leve che ci sono in giro, basta solo che "annusino" che l'azione delle banche centrali non sia sufficiente a pilotare i tassi come sono sempre riuscite a fare in questi anni e ne vedremo delle belle...
 
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