L'avevo condiviso mesi fa, ma non aveva suscitato reazioni.
Scritto nel 2014 per il Sole 24 ore da Leonardo Maugeri, un genio venuto a mancare troppo presto.
Una riserva strategica di gas per l'Unione
Dietro la guerra a colpi di sanzioni tra Occidente e Russia, e la guerriglia vera che si combatte nelle regioni di confine tra Russia e Ucraina, c'è un convitato di pietra che ancora non si è manifestato: il gas naturale.
Non si è manifestato perché il suo ingresso in scena come attore protagonista avviene di solito nei mesi invernali, quando la domanda di gas raggiunge il picco. Il paradosso europeo è vivere a lungo dimenticando questa realtà, poiché nei mesi caldi o temperati dell'anno si registra un eccesso di offerta di gas e prezzi calanti. Ma l'inverno, come nelle campagne militari, diventa il miglior alleato di Mosca, perché l'Europa non può fare a meno del gas russo in quei tre-quattro mesi che possono andare da dicembre a marzo - pena rimanere al freddo.
Anche altri importanti fornitori europei di gas appaiono molto meno affidabili che in passato: la Libia ha visto crollare le sue produzioni di petrolio e gas a causa della lotta delle varie milizie per il controllo di pezzi del paese; l'Algeria attraversa un delicato periodo di stabilizzazione che è ancora lontano dal consolidarsi.
Pertanto, se il prossimo inverno fosse particolarmente rigido, l'Europa sarebbe di nuovo alla mercé degli eventi che scuotono le sue periferie orientali e meridionali. Da un lato, avrebbe armi spuntate rispetto alla Russia e non potrebbe alzare la voce sulle vicende che coinvolgono l'Ucraina; dall'altro, si troverebbe in difficoltà con gli Stati Uniti, che da anni considerano Mosca come un pericoloso nemico a cui l'Europa ha fatto troppe concessioni - proprio in ragione delle indispensabili forniture di gas naturale. Gran parte dell'attività di intercettazione operata dai vari servizi di intelligence statunitense presso i governi europei, a partire da quello tedesco, avrebbe come oggetto proprio le trattative inconfessabili con gli uomini di Putin sullo sfondo delle forniture di gas. E tra i democratici, come un tempo tra i repubblicani, l'avversione a Putin ha toccato livelli mai raggiunti in passato.
Purtroppo, l'Europa non ha saputo trovare una soluzione alla dipendenza da pochi fornitori di gas e - in particolare - dal più grande di essi, la Russia.
Sul piano della sicurezza energetica, la politica di Bruxelles è consistita nel promuovere l'inutile, come la liberalizzazione dei mercati a valle, nel sostenere ciò che era difficilmente praticabile, come la costruzione di nuovi gasdotti e rigassificatori, e nell'evitare le cose utili, come imporre il collegamento delle reti europee e - soprattutto - la creazione di una riserva strategica del gas europea.
È stato inutile promuovere la liberalizzazione dei mercati a valle, perché ha creato nuovi distributori di gas naturale in concorrenza tra loro ma ha lasciato inalterato il potere dei fornitori di gas. In sostanza, molti più acquirenti di gas, più piccoli e con le spalle meno forti, di fronte a venditori di metano che sono rimasti giganti. Se non fosse intervenuta la crisi economica tagliando i consumi europei di gas, la "liberalizzazione" europea del gas avrebbe probabilmente comportato una situazione da "libera volpe in libero pollaio", con i consumatori europei di gas a svolgere il ruolo delle galline.
Quanto alla costruzione di nuove infrastrutture (gasdotti e rigassificatori), si è rivelato inutile lo slogan della "diversificazione degli approvvigionamenti" affidato al mercato, cioè a società che - operando in regime privatistico - hanno avuto difficoltà a realizzare progetti economicamente sostenibili. Da quasi quindici anni si continua a parlare di nuovi gasdotti da nuovi Paesi fornitori, ma gran parte di essi rimarranno solo sulla carta perché troppo costosi. Peggio è andata a chi ha puntato molto sui rigassificatori come strumento di diversificazione: in Spagna, il Paese che ne ha costruito il maggior numero, arriva pochissimo gas liquefatto, cosicché i rigassificatori marciano al 30 o al 40% della loro capacità. E anche nel futuro, più rigassificatori serviranno a poco se manca l'offerta di gas liquefatto e le reti europee rimangono separate.
Adesso, sperare che la diversificazione degli approvvigionamenti di gas possa arrivare dagli Stati Uniti o dall'adozione del fracking (la tecnica che ha permesso all'America di vivere una rivoluzione nella produzione di gas e petrolio) in Europa sono destinate a dimostrarsi pie illusioni, per motivi che spiegherò in un prossimo articolo.
All'Europa rimane un'opzione radicale ma risolutiva in termini di sicurezza del gas, che proprio per la sua portata non è mai stata presa in seria considerazione: quella di sviluppare in proprio una riserva strategica europea del metano, gestita direttamente da Bruxelles.
Oggi le riserve cosiddette strategiche (quelle utilizzabili solo in caso di crisi) sono affidate all'iniziativa di società private in un regime di regolazione che garantisce una remunerazione troppo bassa ai proprietari degli stoccaggi. Il risultato è che le scorte strategiche risultano del tutto insufficienti a fronteggiare momenti di vera crisi; inoltre, fino a oggi ogni Paese ha teso a farsi le sue, con squilibri economici e di sistema che andrebbero evitati.
La soluzione che propongo ha importanti precedenti storici. Dopo lo shock petrolifero del 1973, il mondo occidentale decise di sviluppare riserve strategiche di petrolio sotto il controllo diretto degli stati e la supervisione dell'Agenzia internazionale dell'energia; negli anni Novanta, l'obbligo fu in gran parte delegato alle società petrolifere, essendo venuto meno il rischio di nuovi shock. Nondimeno, ancora oggi il governo degli Stati Uniti detiene direttamente una riserva strategica di petrolio (circa 700 milioni di barili) da utilizzare in caso di emergenza; la Cina fa lo stesso, anche se la vera dimensione delle sue scorte strategiche è sconosciuta.
Una revisione del bilancio di Bruxelles consentirebbe di affrontare la creazione di una simile riserva per il gas, sfruttando giacimenti esauriti (magari nel Mare del Nord) o altre opzioni (il gas può essere stoccato anche in cavità saline o formazioni acquifere, anche se il costo aumenta) largamente disponibili in Europa. Il gas potrebbe essere acquistato nei momenti in cui il suo costo si abbassa (lontano dai picchi di domanda invernali o estivi) e rivenduto - in caso di crisi - alle società europee che lo distribuiscono, alle quali andrebbe imposto l'obbligo di acquistarlo in ragione della loro quota di mercato. In tal modo, Bruxelles abbatterebbe il rischio che nei mesi più critici gli europei possano rimanere al freddo a causa delle tensioni che attraversano il ristretto club dei suoi fornitori.
Di sicuro, parlare di questi temi ad agosto quando l'inverno sembra un'immagine remota equivale a non parlare affatto. Ma l'inverno è più vicino di quel che sembra, e di sicuro sarò costretto a tornare sull'argomento. La speranza è che non lo debba fare mentre incombe una crisi energetica.