Cina e l'inflazione della carne di maiale

L’Ufficio nazionale di statistica rivede al ribasso il Pil cinese, da 7,4 a 7,3%

da nostro corrispondente Rita Fatiguso
7 settembre 2015

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Listini delle borse cinesi in altalena, in mattinata sono giunte le rassicurazioni prima della Commissione per lo sviluppo e le riforme (NDRC) poi la dichiarazione estremamente importante dell'Ufficio nazionale di statistica che rivede il Pil cinese del 2014 a 7.3 dal 7.4, il dato precedente. Per la NDRC l'economia cinese mostra segni di stabilizzazione: il consumo di energia, il mercato immobiliare stanno mostrando segni di ripresa da agosto, le misure sul debito locale i tagli di tassi e ratios nel prossimo trimestre si faranno sentire.
L'Ufficio di statistica ha detto anche che il prodotto interno lordo cinese è di 63,6 miliardi di yuan, 10 trilioni di dollari, in calo di 32,4 miliardi in base a una stima preliminare. La cifra potrebbe essere soggetta a un ulteriore revisione. Nel primo semestre di quest'anno, la seconda più grande economia del mondo è cresciuta del 7% rispetto all'anno precedente, l'espansione più lenta in sei anni. Negli ultimi mesi, il governo cinese ha messo a punto una serie di misure per rilanciare la crescita, tra cui il taglio dei tassi di interesse di riferimento, riducendo l'ammontare dei depositi che le banche devono detenere riserve e ha svalutato a sorpresa lo yuan.

La Cina vanta l'espansione economica più lenta in 25 anni nel 2015, i mercati globali sono crollati del 40 per cento dalla metà di giugno. Intanto, però, per il quinto mese consecutivo la Cina non sta concedendo nuove quote per i residenti dirette a investire nei mercati esteri, da agosto, quindi, tutto è fermo. Lo ha detto la Safe, l'agenzia che si occupa delle valute estere. Il timore di una fuga di capitali è alta, lo yuan è debole e la Banca centrale sta utilizzando le riserve in valuta per sostenere lo yuan.
 
Cina, il Grande Decumulo di Riserve Valutarie

Di FunnyKing , il 7 settembre 2015 - 6 commenti


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Nota di Rischio Calcolato: il post che segue è tratto da Phastidio.net di Mario Seminerio e merita una lettura attenta, sia per la chiarezza espositiva sia perchè mette bene in luce l’elefante nella stanza della finanza mondiale. La Cina insieme con la compagnia dei paesi emergenti e esportatori di petrolio ha smesso di accumulare dollari e altre valute “forti” ed anzi le sta vendendo. Ovvero vendono principalmente i nostri bond per fare fronte ad esigenze interne. E d’altro canto le “riserve” servono proprio a quello, essere usate quando la situazione lo richiede (o quando chi governa ritiene che la situazione lo richieda, che spesso non è la stessa cosa).
LATO Cina, sarà difficile evitare un svalutazione dello Yuan per nulla voluta dalle autorità cinesi, anche perchè le aziende cinesi sono ben indebitate in dollari.
LATO mondo occidentale invece bisognerà trovare qualcosa per controbilanciare il deflusso di capitali (occidentali) cinese, e mi pare che la via tracciata dal 2008 in poi non potrà che continuare, ovvero raffiche di altri “allentamenti monetari” cioè monetizzazione del debito e di qualsiasi altra cosa.
Resta però il fatto che NON funziona.
Non funziona evidentemente più, ammesso che abbia mai funzionato. L’economia reale è in un tremendo stato di sovra capacità produttiva e cattiva allocazione dei capitali di molti, troppi settori. Il che implica recessione, oppure uno sforzo geometricamente sempre più ampio per cercare di rigonfiare le bolle che ci circondano.
Di pari passo serpeggia sui mercati finanziari il “leggero sospetto” che questa volta è diverso. Nel senso che è molto peggio, e che le banche centrali abbiano perso il controllo.
da Phastido.net, post di Mario Seminerio
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Nel mese di agosto, la Cina ha perso riserve valutarie per circa 94 miliardi di dollari, pari al 2,6% del totale, dopo averne perse per 42 miliardi di dollari a luglio.

Come noto, il problema cinese, da qualche tempo, è il deflusso di riserve valutarie, conseguenza del rallentamento del paese e dei passi ufficiali in direzione della liberalizzazione del conto capitale della bilancia dei pagamenti. Da qui l’esigenza di dare allo yuan un cambio più realistico, dopo il forte apprezzamento, reale e nominale, contro le maggiori valute sviluppate.
Ma aprire il vaso di Pandora non è mai semplice.
Come ricorderete, l’11 agosto è giunto l’annuncio ufficiale del nuovo criterio di determinazione del cambio dello yuan, che ha determinato un deprezzamento dell’1,9% in un giorno, seminando inquietudine e sospetto sui mercati globali che la Cina avesse deciso di sostenere una congiuntura in vistoso rallentamento rilanciando il canale delle esportazioni.


Come è possibile?, si sono detti gli osservatori, un deprezzamento sarebbe un suicidio, spingerebbe il mondo nel baratro, esporterebbe la deflazione cinese, ammazzerebbe le imprese, non solo cinesi, indebitate in dollari senza aver corrispondenti ricavi nel biglietto verde.
“I cinesi non possono essere così stupidi, o votati al suicidio”. Verissimo, ma i cinesi al momento si trovano in una congiuntura che smuove forze che rischiano di essere più grandi di loro.


Il cambio cinese era giunto ad un livello di sopravvalutazione insostenibile, dati i deflussi di capitale: qualcosa doveva accadere.



Ed è accaduta la svalutazione dell’11 agosto. Il problema, come sempre quando c’è di mezzo la Cina, è la credibilità delle misure di policy. E dopo il disastroso tentativo di frenare lo scoppio della bolla azionaria, i mercati hanno le orecchie ben dritte e sono in modalità “paranoia on”. Quindi si sono fatti due conti, scoprendo che le pressioni al deflusso di capitali sono state aumentate, e non diminuite, dalla manovra di inizio agosto, perché le aspettative vanno in quella direzione.
In altre parole, ed in soldoni, lo yuan, lasciato alle forze di mercato, rischierebbe di indebolirsi di schianto, seminando distruzione e panico in giro per il mondo.
Che fare, quindi?

Le autorità cinesi non avevano né hanno una vera alternativa: possono solo tentare di frenare il deprezzamento dello yuan, rendendolo “ordinato”. Per ottenere ciò, sono condannati a fare alcune cose:
in primo luogo, comprare yuan e vendere dollari, per frenare il deprezzamento della propria valuta. Così facendo, però, le sue riserve calano. Che poi è quello che stiamo vedendo in queste settimane e mesi, ma ora la tendenza ha subito una forte accelerazione.
Altro effetto di questo processo, non trascurabile, è che l’acquisto di yuan contro dollari riduce la liquidità disponibile per gli operatori economici, cioè tende a produrre una stretta monetaria, che le autorità contrastano sia riducendo i tassi di interesse che, soprattutto il coefficiente di riserva obbligatoria, cioè la parte di depositi che le banche sono costrette ad accantonare quando concedono prestiti. La riserva obbligatoria, che è lo strumento principale con cui si sterilizzano gli afflussi di “denaro caldo” in un paese, serve anche nella situazione opposta, cioè libera liquidità domestica per compensare i deflussi. Il problema è la velocità di decumulo delle riserve valutarie cinesi. Come commenta un analista valutario di Barclays,
«Se l’attuale passo di intervento valutario prosegue, stimiamo che la People’s bank of China potrebbe perdere sino a circa il 14% delle proprie riserve valutarie tra giugno e dicembre. inoltre, stimiamo che la banca centrale cinese dovrebbe ridurre il coefficiente di riserva obbligatoria di circa 40 punti base al mese solo per compensare l’impatto delle operazioni valutarie sulla liquidità domestica»
La sintesi: non è che la Cina stia finendo le riserve valutarie, per carità. Ma questo precipitoso decumulo è destinato a mettere stress alle sue autorità ed ai mercati, perché rappresenta un cartello al neon su cui c’è scritto “okay, portate fuori i soldi dalla Cina perché qui tra un po’ il cambio schianta”, e questa è una classica profezia che si autoavvera. Se sommate questa continua tensione al fatto che la manifattura cinese sta vistosamente rallentando, avete il quadro d’insieme dei rischi per l’economia globale, che i mercati puntualmente registrano ed amplificano. È la maledizione dei cambi semi-fissi, o comunque amministrati contro la realtà.
 
Amici Miei...Credo Che ci Sia una "Leggerissima" Sottovalutazione della Recessione in Atto nella "Mitica" Cina - Rischio Calcolato






Questa mattina sono basito.
Ho fatto un salto sulla sedia quando ho visto i dati disastrosi dell’indice PMI Manifatturiereo Cinese, che, lo ricordo, è un leading indicator, ovvero anticipa le tendenze economiche. E peraltro è anche l’unico che negli anni ha dimostrato di finzionare.
Gli indici PMI, fatti sia per il settore servizi che per il settore Manifatturiero si costruiscono assegnando un punteggio alle risposte ad un questionario sottoposto a figure manageriali chiave delle aziende (solitamente i responsabili per gli acquisti) su come vanno le cose e come si prevede andranno per il mese successivo.
I punteggi associati ad ogni risposta si normalizzano con una procedura matematica in modo che un dato finale al di sopra di 50 indichi un trend di accelerazione dell’economia rispetto al mese precedente, un dato sotto 50 invece indica un trend di frenata.
Ora attenzione.
L’errore comune che si fa (cioè lo fanno i giornalisti di solito, ma anche qualche blogger non scherza) è quello di interpretare l’indice PMI in maniera assoluta. Cioè, sotto 50 recessione, sopra 50 espansione.
Sbagliato.
Si deve prendere il dato precedente di crescita o decrescita dei dati macroeconomici e immaginare che un indice PMI sopra 50 indichi un miglioramento del trend precedente, un PMI sotto 50 un peggioramento.
Per chi mastica matematica, l’Indice PMI prevede (o prova a prevedere) la derivata seconda dell’economia. (ok me la sto tirando. Avete ragione).
Vi ho appena fatto tutto questo immane pippone, per mettervi in grado di interpretare i dati o almeno questo che è un indice storicamente affidabile e per farvi notare che i dati che provengono dalla Cina sono niente di meno che devastanti.
Questo è il terzo mese consecutivo con un indice PMI del settore manifatturiero al di sotto di 50, ed è anche il terzo mese consecutivo con una lettura dell’indice PMI manifatturiero Cinese in peggioramento. Segno che il tasso di rallentamento dell’economia cinese presiste ed è in una fase di pericolosissima accelerazione.
Il che implica che anche nei prossimi mesi la Cina continuerà a diminuire i suoi “mitici” (e taroccatissimi) tassi di crescita. E che le economie occidentali dovranno far fronte ad una situazione Macro mondiale che è di fatto la peggiore degli ultimi 40 anni. Cioè un rallentamento e una recessione diffusa e globalizzata. Qualcosa che non si è visto neppure nel mitologico 2008 in cui i Brics hanno largamente salvato la baracca.
Ora i Brics sono parte del problema.
A partire dalla Cina.
Vi voglio ricordare che questo sta generando un enorme e insolubile problema per la finanza mondiale perchè questi paesi emergenti…. o sommergenti?…. da compratori netti della nostra carta igienica… ehm volevo dire… del nostro debito pubblico e delle nostre valute sono diventati venditori netti. Stanno usando il fieno messo in cascina per i giorni di pioggia.


E qui altro che pioggia… siamo nella tempesta perfetta (direbbe il buon Mazzalai) e non abbiamo ancora visto nulla.
Perchè questa volta è diverso, è molto peggio, è globale e parte dall’economia reale. I mercati finanziari seguiranno e aggraveranno il problema con una enorme ondata di sfiducia, risk-off, e effetto povertà.
Sulla situazione Cinese vi lascio con un post di DT da Intermarket and More
CINA: ma vi rendete conto di quanto sta accadendo?
L’indice PMI scende oltre le attese. Un dato che era atteso e preoccupa in quanto testimonia il forte rallentamento in atto. Ma alla fine, sembra quasi che questo stia diventando il problema minore per la Cina.
I nostri timori continuano ad essere confermati dai fatti. La Cina prosegue nel suo percorso di rallentamento, con un manifatturiero che si contrae a settembre oltre le attese arrivando al minimo da sei anni e mezzo. Motivo? Debolezza della domanda, sia interna ed estera. E se si indebolisce la domanda non bisogna porsele, tante domande. Un paese può solo frenare.
L’indice Pmi (Purchasing Managers’Index), elaborato da Caixin/Markit, scende a 47,0, al minimo dal marzo 2009, al di sotto delle attese per 47,5 e in discesa della lettura finale di agosto a 47,3. Si tratta della settima lettura mensile consecutiva sotto i 50 punti, soglia che separa la crescita dalla contrazione. (Source)
Continuare a negare l’importanza di questi dati sarebbe quantomeno stupido. E’ vero che al momento l’economia dei paesi industrializzati SEMBRA reggere. Ma è anche vero che le dinamiche globali, negli ultimi anni, sono cambiate e non poco.
Fino a qualche anno fa, i paesi emergenti, di cui la Cina è leader assoluto, pesavano per circa il 25% del PIL globale. Oggi, 2015, il peso di questo paese sul prodotto interno lordo si aggira sul 40%. La globalizzazione è sempre più evidente e sarebbe assurdo non tener conto della frenata del colosso cinese, e di quanto accade anche in altri paesi come il Brasile, tanto per non fare nomi. Anche perché poi, l’influenza cinese è determinante anche per altri mercati. Guardate alle commodity. La Cina è uno dei più grandi consumatori di commodity a livello mondiale. Vi ripropongo questo grafico. Stampatelo e tenetelo BENE a mente.

Se un paese ha questo peso specifico, merita la massima attenzione. E difatti, se proviamo a mettere a confronto indice PMI e rame…

Aggiungiamo i dati sulla produzione industriale e sui consumi

…tutto fila liscio nel ragionamento. Ma attenzione… il bello secondo me è questo altro grafico che diventa quasi “inspiegabile”. La logica vorrebbe che, in un sistema economico in frenata, il credito tenda a rallentare. E’ una questione di logica (vedi banalmente quanto è successo in Italia). In Cina invece no. Sta crescendo a ritmi elevatissimi.
Il motivo in realtà è già persin noto ai lettori di I&M. Come vi ho già spiegato, la PBoC e le istituzioni politiche cinesi stanno giocando la carta della liquidità. Per farla breve, fanno l’impossibile per inondare il mercato di denaro al fine di stimolare la crescita (che come vedete non c’è) e tamponare le fuoriuscite di capitali, i tutto, se mi permettete, senza un chiaro controllo delle autorità, visto che il fenomeno dello shadow banking impera.

Ok, non facciamo catastrofismi. Semplicemente una domanda. Vi rendete conto o no di cosa sta accadendo in Cina?
Anzi, visto che io sono un povero ignorante che cerca di capirci qualcosa di più, chiedo ai lettori di spiegarmi se questo quadro (bolla liquidità con forte rallentamento in atto) è tecnicamente sostenibile nel medio periodo. Io sono fermamente convinto di NO, ma forse mi sbaglio…ditemi voi…
PS: chiudo con questo ultimo grafico. Intanto a conferma di tutto quanto detto, le sofferenze a Pechino stanno logicamente iniziando a lievitare. Non potrebbe essere diverso.

 
CHINA MANIFACTURING CRASH!


http://icebergfinanza.finanza.com/2015/09/23/china-manifacturing-crash/

Scritto il 23 settembre 2015 alle 08:00 da icebergfinanza


8

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Ieri abbiamo scoperto che probabilmente il governo tedesco ma non solo, anche l’Europa, sapevano cosa Volkswagen stava combinando …
Volkswagen, Die Welt: “Il governo tedesco sapeva della truffa sulle emissioni”
…il che non ci meraviglia visto che anche sui mercati finanziari qualcuno sapeva…
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Era febbraio di quest’anno quando …
BERLINO – (ANSA) Grazie soprattutto ai risultati di Audi e Porsche, il gruppo Volkswagen ha realizzato anche l’anno passato risultati record: nel 2014 la multinazionale tedesca ha registrato un risultato ante oneri finanziari (Ebit) pari a 12,7 miliardi di euro (11,7mld nel 2013) e un fatturato pari a 202,5 miliardi di euro (197mld nel 2013), con le vendite in aumento del 2,8%. In crescita del 21% l’utile, a 11,1 miliardi di euro. Lo ha reso noto oggi la stessa Volkswagen dalla centrale tedesca di Wolfsburg, che per via delle numerose crisi internazionali ha rallentato le aspettative di crescita per il 2015, definendole in una forbice tra il 5,5% e il 6,5%.
La questione era sul tavolo da circa un anno…
Volkswagen: ecco come lo scandalo emissioni è stato scoperto
La caduta a partire dal picco di aprile in condominio con il DAX non ha registrato alcun tentativo di reazione è stata costante e inesorabile pur in presenza di buoni risultati, nonostante le varie crisi.
I consigli di gestione e sorveglianza di Volkswagen hanno deliberato di proporre alla prossima assemblea degli azionisti di aumentare il dividendo da 4 a 4,8 euro per ogni azione ordinaria e da 4,096 a 4,86 per ogni titolo privilegiato. La delibera, che si traduce in un pay-out del 21,2% (20,6% l’anno scorso), a fronte del target di medio termine del 30%, è stata presa sulla base dei risultati dell’esercizio 2014 che mostrano una crescita per tutte le voci di conto economico, alcune delle quali giunte al record storico per il gruppo automobilistico tedesco. Volkswagen aumenta il dividendo
Strano davvero!
La sintesi di questa vicenda è che una multa qualunque corrisponde forse ad un anno di utili, nulla di particolare, interessante è osservare se altre case automobilistiche saranno coinvolte, perchè il settore automobilistico è quello che ha tenuto in piedi l’economia tedesca e americana negli ultimi mesi.
Immaginatevi cosa accadrebbe se questi due motori dovessero subire una battuta d’arresto!
Ma lasciamo perdere il puntino nero nella grande pagina rossa che si intravede all’orizzonte e andiamo ad osservare cosa avviene nella rossa Cina…

Cina: Xi Jinping dagli Usa rassicura, crescita relativamente veloce

Pechino, 23 set. – Mentre negli Usa il presidente Xi Jinping cerca di rassicurare i capitani d’industria americani (ed il mondo) sulla solidita’ dell’economia cinese – l’economia cinese, ha detto, continuera’ il suo corso regolare con una crescita relativamente veloce – da Pechino giunge inatteso il dato sulla produzione delle Pmi crollato a settembre al livello piu’ basso degli ultimi 6 anni e mezzo: il dato preliminare del Caixin/Markit China Manufacturing Purchasing Managers’ Index (PMI) e’ sprofondato al 47% a settembre, il dato peggiore da marzo 2009.
Si tratta di numeri al di sotto delle attese di un 47,5% e peggiore rispetto al 47,3 registrato ad agosto. Sotto quota 50% l’indice e’ sinonimo di contrazione dell’economia. Una dato che alimenta ulterioremnte i timori di un rallentamento piu’ repentino della seconda economia mondiale e che puo’ aumentare l’instabilita’ sui mercati finanziari.
Di veloce nella dinamica vediamo solo l’accelerazione in discesa il resto sono chiacchiere da salotti geopolitici.
In giornata oltre al Pil francese sono attesi dati macroeconomici che riguardano l’intera area euro.
Consiglio a tutti di rassegnarsi non c’è alcun aumento di tasso all’orizzonte in America in previsione per il 2015 e nessuna possibilità almeno per tutto il primo semestre 2016, anche perchè il prossimo sarà un anno presidenziale.
Piuttosto preparatevi con calma senza fretta ad assistere al QE NUMBER FOUR!
Mazzalai (Icebergfinanza): Troppo ottimismo nei dati USA

Qualcosa di particolarmente interessante sta accadendo sul cross eur/usd, mai come questa volta nelle ultime cinque sensibili cadute degli indici europei il dollaro si era rafforzato.
Il ritorno di Machiavelli in America diventa alquanto interessante!
 
Qual è il rischio maggiore presente sui mercati?

Scritto il 6 ottobre 2015 alle 09:30 da Danilo DT
Ieri abbiamo parlato di market sentiment e di come la situazione si fosse estremizzata. Abbiamo illustrato come il NAAIM Exposure Index sia a livelli di tale ipervenduto e pessimismo che…chiamava il rimbalzo.
Quindi occhio, al momento quanto visto ieri, resta un rimbalzo che è sempre in un quadro tecnico rialzista (ricordate il grafico?). Peccato però che i fondamentali si stiano logorando. Se quindi dal punto di vista tecnico non possiamo ancora certificare la rottura del trend al rialzo, guardando i fondamentali, come BEN sapete (quanto vi ho annoiato sull’argomento?) ci sono tutti i presupposti per temere un quarto trimestre non proprio idilliaco (a proposito, avete notato l’ISM uscito ieri? Ovviamente era giornata di festa sui mercati e quindi non è stato notato.)
Ma attenzione, tutto è sempre possibile perché in un mondo “logico” la correzione sarebbe dovuta, necessaria e normale. In questo universo comandato dalla liquidità delle banche centrali non mi sorprendo più di nulla.
Se però da un lato la BCE potrebbe anche carcare la mano (con conseguenze buone solo per la speculazione, come illustrato QUI), la FED e la BOE sembrano ben intenzionate a partire addirittura con le prime manovre restrittive. Quando questo possa accadere, direi che è un enigma per tutti. Ma il cambiamento di “mood” sembra evidente. In teoria, come sempre…
Proprio in ambito di fondamentali, Merrill Lynch, società appartenente ormai dal periodo del default di Lehman Brothers al gruppo “Bank of America”, ha fatto un sondaggio interessante soprattutto per tastare il polso degli operatori, ai quali ha chiesto qual è il rischio o l’evento che più mette in pericolo il trend dei mercati. Nulla di nuovo, per carità, ma resta interessante capire cosa fa paura agli operatori.

Il risultato sembrerà una banalità per i lettori di I&M, visto che proprio questi argomenti sono stati discussi in tempi “non sospetti”, tanto per intenderci. Un consiglio, riprendetevi i vecchi post scritti in passato su CINA e PAESI EMERGENTI se per caso non li avete letti. Credo possano tornarvi utili.​
Interessante il fatto che la Bolla preoccupa molto meno. Mah…Giustamente la rottura dell’Eurozona è stata archiviata, l’ISIS non ci tocca e la deflazione non rappresenta un problema. Siamo in un mondo perfetto? Per taluni forse si.​
Intanto però ricordate solo una cosa. Alla fine, cosa fa la differenza sui mercati azionari (e anche in merito di gestione del rischio di credito) cosa fa VERAMENTE la differenza è UNA. Tutto il resto fa da contorno. Sono gli utili societari (e le eventuali revisioni al rialzo o al ribasso)
E visto che la storia insegna…​



MORALE: oltre ai timori espressi dagli analisti, aggiungiamo di diritto il rischio di una correzione degli utili societari. Ora magari non se ne parla ma state pur certi che tra qualche mese, sarà argomento ben più discusso, sopratutto se le revisioni degli utili fossero (come temiamo) al ribasso.
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STAY TUNED!
Danilo DT
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LA CRISI DEL PORCO: COME LA CINA RISCHIA LA STAGFLAZIONE FACENDO RIDERE LA GERMANIA. E L’ITALIA?

Cosa ne pensereste di un comandante militare che. nel bel mezzo di una dura battaglia, decidesse di aprire un nuovo fronte contro un altro esercito? Magari lo considerereste un po’ avventato. Questo è quello che sta facendo la Cina che, in mezzo ad una crisi alimentare, ha deciso di porre il bando alla carne di suino canadese.

Sappiamo che la Cina è colpita, fin dal 2018, da un seria e pesante crisi suina dovuta alla febbre suina africana, o “Ebola dei maiali”, che, partita dallo Liaoning, si è poi diffusa a tutto il paese. Dati ufficiali parlano di un calo del 22% della produzione di capi, ma in realtà esperti privati sono più pessimisti e vedono una riduzione dell’ordine del 47%, con prospettive non positive: la moria porta ad un calo del numeri di scrofe da riproduzione e quindi di future nidiate. Tutto questo ha condotto, su base annua, ad un aumento nel prezzo della carne del 43,7%, con ricadute significative sull’inflazione. Questa proteina è la principale consumata dai cinesi, ed è impossibile importarla dai paesi limitrofi, produttori a basso costo, dato che la malattia si è diffusa perfino nei loro allevamenti. In un mondo in cui l’inflazione non c’è, ed è in forte calo, la Cina è uno dei pochi paesi con un’inflazione sopra al due per cento ed in crescita.





Tutto questo sta avvenendo nonostante la Cina stia da un lato effettuando controlli strettissimi sui macelli affinchè nessuno tenti di approfittare dell’aumento dei prezzi ammassando prodotto, dall’altro l’immissione delle “Riserve strategiche di maiale” all’interno del circuito. Il rischio, in un ambiente di rallentamento del commercio mondiale e di rapporti tesi con Trump, di causare una vera e propria Stagflazione, l’incubo economico dei governi, cioè una situazione in cui, solitamente per uno shock esterno, si vengono ad accompagnare recessione ed inflazione.

Se poi i governi ci mettono del proprio la stagflazione diventa quasi certa: in una reazione al ritrovamento di certificati sanitari falsi, ma l’affaire Huawei sicuramente ha il suo peso, la Cina ha deciso di bloccare le importazioni di carne suina dal Canada, come riportato da Reuters. Si tratta di 800 milioni di euro annui che il Canada può comunque deviare altrove, ma che per la Cina sono un ulteriore fornitura che viene a mancare e che può influenzare il prezzo interno. Gli USA sono colpiti da un dazio del 62% sulle proprie esportazioni in Cina, ed anche questo spinge l’inflazione e fa si che difficilmente potranno aumentare le proprie quote di mercato.

Chi rimane come fornitore? L’America Meridionale e centrale, Messico e Brasile in testa e l’Europa: la Germania ha già raddoppiato il proprio export di suini rispetto al 2015.

Cosa può cambiare per l’Italia? L’andamento dell’allevamento italiano era in crescita costante , con un solo calo nel 2017:



Il 2019 aveva visto, in controtendenza mondiale, un calo dei prezzi interni a 115 euro il KG, e questo aveva fatto prevedere un calo della produzione nel corso dell’anno. Una nuova richiesta da oriente, visti i prezzi ormai più che allineati, potrebbe invertire questa tendenza e trovare uno sbocco ulteriore, anche se temporaneo, al suino nazionale. Sui tratta però di aprire canali commerciali ed ottimizzare e standardizzare le procedure sanitarie e doganali. Se ciò avvenisse il disastro cinese potrebbe tramutarsi in un piccolo miracolo italiano….
 
PORCO CANE: Nel menù dei cinesi torna il cane, a causa dell’esplosione dei prezzi




L’epidemia di febbre suina sta devastando il settore dell’allevamento in Cina, con , come sappiamo, un calo di un terzo delle nascite di nuovi capi a luglio e ci si attende che il numero dei capi venga a dimezzarsi per la fine del 2019. Per dare una dimensione assoluta del disastro si parla della sparizione di 350 milioni di maiali, pari ad un quarto dei capi suini macellati in tutto il mondo.

L’effetto sul prezzo è stato devastante con un aumento dei prezzi della carne suina del 29% a luglio e del 47% ad agosto. Praticamente dai minimi di febbraio abbiamo un prezzo triplicato, e la cosa non è per nulla finita



L’aumento dei prezzi si è fatto sentire talmente tanto sui consumatori che questi stanno cercando delle fonti di proteine alternative, spostandosi verso il pollame, il coniglio e la carne bovina, ma anche verso alternative che ci fanno rabbrividire.

Come riporta il South China Morning Time Post sempre più ristoranti offrono carne di cane in alternativa al caro del suino. Con il maiale che è passato dai 10 yuan al kg ai 30 , con punte del 43,5 per i pezzi più pregiati, questa è la soluzione che viene offerta in molte aree rurali, dove in passato il consumo di carne di cane era più comune. In Cina si cono regioni povere come lo Wan’an dove lo stipendio medio è solo di 353 dollari al mese non ci sono molte alternative. Ricordiamo che il governo ha perfino dovuto liberare le scorte strategiche di carne suina per ribassare i costi.

Purtroppo la soluzione non è dietro l’angolo, dato che da un lato c’è la guerra commerciale con gli USA, che ne limita l’export, dall’altra l’Europa sta introducendo dei controlli sugli allevamenti molto restrittivi che saranno alla base di nuovi aumenti dei prezzi. Solo l’import potrebbe permettere un calo dei prezzi interni, ed anche se il Brasile sta intensificando l’export, potrebbe non essere sufficiente. Tempi duri per i consumatori, ed i cani, cinesi.
 
Food: altro che Nutella Biscuits, qualcosa di inquietante arriva dalla Cina
10 Dicembre 2019, di Alessandra Caparello
Food: altro che Nutella Biscuits, qualcosa di inquietante arriva dalla Cina | WSI

Il settore food & beverage riveste un ruolo fondamentale all’interno di un portafoglio azionario. In un’ottica di medio periodo investire su società leader nella produzione di beni alimentari è un ottimo hedging contro le incertezze geopolitiche e macroeconomiche mondiali, afferma Davide Chiantore, Head of Research di Abalone Suisse, wealth manager svizzero che fa parte del gruppo Abalone.

Dalla Crema spalmabile Pan di stelle ai Nutella Biscuits divenuti introvabili, stiamo assistendo negli ultimi tempi ad una vera e propria guerra alimentare in Italia. Ma nel settore alimentare stiamo assistendo a qualcosa di molto più inquietante, afferma Chiantore.


Peste suina: la più vasta epidemia mondiale degli ultimi anni
In questi ultimi 12 mesi in Cina sono stati uccisi più di 100 milioni di suini (sui 450 milioni allevati nel paese) a causa di una violentissima e inarrestabile peste suina che si sta diffondendo a macchia d’olio in tutto il sud est asiatico, in Africa e in Europa orientale.
In Italia e Svizzera non se n’è sentito parlare molto, senza dubbio molto meno dei Nutella Biscuits, ma ci troviamo di fronte alla più vasta epidemia che il mondo animale abbia mai conosciuto ed il presidente dell’Oms per la salute animale Mark Schipp sostiene che «la peste suina potrebbe colpire entro il 2021 un quarto di tutti i maiali presenti sul pianeta con ripercussioni drammatiche sulla filiera di approvvigionamento alimentare di centinaia di milioni di persone».

La situazione è talmente seria che in Cina sono stati perfino annullati i festeggiamenti per i 70 anni della fondazione della Repubblica Popolare Cinese e, nonostante il governo abbia deciso di attingere alle riserve strategiche di carne suina congelata immettendone migliaia di tonnellate sul mercato, la disponibilità di carne di allevamento sta iniziato a scarseggiare in tutti i principali centri urbani del paese.
Germania e Spagna, che allevano ogni anno più di 50 milioni di suini ciascuno, fanno fatica a stare dietro alla domanda cinese e l’Italia, nonostante sia il maggiore importatore europeo di carne suina per la preparazione dei prosciutti nazionali, sta esportando verso il paese asiatico ad un livello record con conseguenze drammatiche per tutta la filiera di trasformazione che non trova più la materia prima per le sue lavorazioni.


Questa vicenda dovrebbe farci riflettere su quanto sia fragile il settore alimentare afferma l’analista, ma “qualsiasi sarà l’andamento dell’economia è improbabile che nei prossimi anni la richiesta di cibo possa contrarsi drasticamente e la vicenda della peste suina ci dimostra semmai che potrebbe proprio essere l’offerta a dover affrontare le sfide più grandi.

Settore alimentare fragile: solo le multinazionali sopravviveranno
In questo scenario saranno soltanto le multinazionali ad avere la forza tecnologica e finanziari per adattarsi ed approfittare dei cambiamenti mentre molti piccoli e medi produttori soccomberanno. A tal riguardo i titoli preferiti dagli analisti in questo momento sono Nestlè ed Unilever, che presentano un ottimo posizionamento di mercato, Danone ed Heineken e sono sotto stretta osservazione Mc Donald’s Corporation, Coca Cola e Campari in attesa che i prezzi tornino ad essere attrattivi.
 

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