Fu così che, subito dopo il JTD Fiat, montato inizialmente sull’Alfa Romeo 156, arrivò il TDI VW.
La storia riferibile allo scandalo che si sta osservando in questi giorni, però, non dipende dalla base tecnologica dei motori e, soprattutto, non è cosa nuova ma risale a diverso tempo fa.
Fin dal 2009 Volkswagen pare abbia inserito un particolare codice, nelle centraline dei suoi veicoli, per rilevare la sequenza dei movimenti di pedali e sterzo solitamente effettuati da chi realizza i test per le emissioni. Qualora il software rilevasse la sequenza prevista, il sistema ridurrebbe le prestazioni del motore e altri parametri per fare risultare le emissioni in linea con i dettati di legge, rendendo un risultato difforme da quello che, effettivamente, si otterrebbe con una prova su strada
In questo modo i controlli sono stati elusi per anni, permettendo notevoli risparmi nello sviluppo di sistemi meno inquinanti e consentendo, perciò, maggiori margini di guadagno su ogni nuovo modello.
Tutto questo è durato finché una serie di test, effettuati da un gruppo indipendente, l’International Council on Clean Transportation, unitamente ai ricercatori della West Virginia University con lo scopo dichiarato di raccogliere dati per spingere i legislatori europei a emulare i severi standard americani sulle emissioni di monossido di azoto, ha permesso di scoprire che il modello esaminato, una VW Jetta, emetteva quantità di ossidi di azoto 35 volte superiori ai limiti di legge, ben di più di quanto rilevato in laboratorio.