Macroeconomia Crisi di liquidità... con la speranza che non diventi di solvibilità

in "Le banche in crisi di liquidità, assalto al risparmio delle famiglie" di Giovanni Pons su Affari & Finanza (la Repubblica) è riportato il sospetto di alcuni risparmiatori... che il prestito titoli serva, oltre che ai malvagi operatori short, alle banche per fare raccolta presso la BCE.

Confermo ,la mia banca MPS ha chiesto il prestito dei miei titoli da offrire come collaterale alla BCE.
Ciao
 
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LE BANCHE SI PREPARANO ALL’EVENTUALITÀ DELLA FINE DELL'EURO
Postato il Sabato, 26 novembre @ 06:18:10 CST di supervice
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DI LIZ ALDERMAN
New York Times
Per il coro sempre più fitto degli osservatori timorosi di una prossima fine dell’eurozona, la Cancelliera Angela Merkel ha un duro rimprovero: “Non avverrà mai.”
Ma alcune banche non ne sono così certe, specialmente quando la crisi del debito sovrano ha minacciato di ingabbiare anche la stessa Germania questa settimana, quando gli investitori hanno cominciato a interrogarsi sulla statura di questa nazione per ricoprire il ruolo di pilastro dell’Europa.

Venerdì Standard & Poor’s ha abbassato il rating del Belgio da AA a AA+, riportando che non sarà in grado di tagliare l’accumulo del suo debito a breve. Questa settimana le agenzie di rating hanno avvisato che la Francia potrebbe perdere la tripla A se la crisi aumentasse. Giovedì le agenzie hanno abbassato quelli di Portogallo e Ungheria a junk.
Mentre i dirigenti europei ancora affermano che non c’è alcun bisogno di fissare un Piano B, alcune delle maggiori banche mondiale, e dei suoi supervisori, lo stanno già facendo.
Non possiamo, e non saremo, noncuranti di questo”, ha detto questa settimana Andrew Bailey, un regolare della Financial Services Authority britannica: “Non dobbiamo ignorare l’eventualità di un’uscita disordinata di alcune nazioni dall’eurozona.”
Questa settimana le banche - tra cui Merrill Lynch, Barclays Capital e Nomura - hanno pubblicato una serie di resoconti che analizzano la possibilità di una rottura dell’eurozona. “La crisi finanziaria dell’eurozona è entrata in una fase ancora più pericolosa”, hanno scritto venerdì gli analisti di Nomura. Se la Banca Centrale Europea non dovesse fare quello in cui i politici hanno fallito, “una rottura dell’euro sarebbe, non tanto possibile, quanto probabile”, ha affermato la banca.
Le maggiori istituzioni finanziarie britanniche, come la Royal Bank of Scotland, stanno elaborando piani per l’eventualità che l’impensabile diventi realtà, hanno affermato i supervisori della banca questo giovedì. I regolatori degli Stati Uniti hanno spinto le banca americane come Citigroup e altre a ridurre l’esposizione sull’eurozona. In Asia le autorità di Hong Kong hanno incrementato il controllo dell’esposizione internazionale delle banche locali e straniere alla luce della crisi europea.
Ma le banche nelle grandi nazioni dell’eurozona che solo di recente sono state infettate dalla crisi sembrano non essere granché agitate.
Le banche in Francia e Italia in particolare non stanno creando piani di salvataggio, dicono in banchieri, per la semplice ragione che hanno concluso che è impossibile una frattura dell’euro. Anche se banche come BNP Paribas, Société Générale, UniCredit e altre hanno recentemente scaricato debito sovrano europeo per decine di miliardi di euro, si è convinti che non sia necessario fare di più.
Mentre negli Stati Uniti c’è chiaramente l’idea che l’Europa possa subire una rottura, noi crediamo che invece debba rimanere così com’è”, ha detto un banchiere francese, riassumendo le convinzioni delle banche francesi. “Nessuno sta dicendo, ‘Abbiamo bisogno di una soluzione di ripiego’”, ha detto il banchiere, che non era autorizzato a parlare in pubblico.
Quando Intesa Sanpaolo, la seconda banca italiana, ha valutato nello scorso marzo le differenti contingenze in preparazione del suo piano strategico per il 2011-13, nessuna di queste si basava sulla possibile frattura dell’euro, e “anche se la situazione si è evoluta, non abbiamo ritenuto di dover considerare questa possibilità”, ha detto Andrea Beltratti, direttore del consiglio di amministrazione della banca.
Beltratti ha detto che le banche sarebbero il primo campanello di allarme dei guai in caso di maggiori pressioni sull’euro, e che Intesa Sanpaolo è stata “molto attenta” per quanto riguarda liquidità e capitale. Nella scorsa primavera, la banca ha innalzato il capitale di cinque miliardi di euro, uno dei maggiori incrementi in tutta l’Europa.
Beltratti ha affermato che l’Italia, come l’Unione Europea, può adottare una serie di iniziative politiche per tenere lontana la rottura dell’euro. “Ero sicuramente più fiducioso alcuni mesi fa, ma sono ancora ottimista”, ha detto.
Questa settimana i dirigenti europei hanno riferito di essere più determinati che mai a tenere in vita la moneta unica, specialmente in vista delle elezioni in Francia il prossimo anno e in Germania nel 2013. A conferma, la Merkel ha detto che avrebbe raddoppiato gli sforzi per spingere l’unione verso una maggiore unità fiscale e politica.
Questo compito ora sembra leggermente più semplice per il fatto che la crisi ha sfrattato i leader deboli dai paesi inguaiati dell’eurozona come Italia e Spagna. Ma è ancora una strada in salita, visto che la signora Merkel anche questa settimana ha continuato a opporsi alla creazione di obbligazioni sostenute dall’eurozona.
Politicamente, persino l’ipotesi dell’allontanamento della Grecia è sempre più considerato un anatema. Malgrado le aspettative che la Grecia – e le banche che le hanno prestato fondi – possano ricevere salvataggi dai contribuenti europei fino a nove anni, i funzionari temono che questa fuoriuscita possa aprire un vaso di Pandora degli orrori come una seconda Lehman, o addirittura l’uscita di altri paesi dalla moneta unica.
L’unione monetaria dell’Europa fu formata più di un decennio fa e comprende 17 membri dell’Unione Europea, creando un potente blocco economico con l’obbiettivo di cementare la stabilità in tutto il continente. Dette il via ad anni di prosperità per i suoi membri, specialmente per la Germania, mentre i tassi di interesse calavano e i soldi affluivano nell’unione, fino a quando, tre anni fa, la bancarotta di Lehman Brothers fece piombare i mercati globali del credito nel caos e la crisi finanziaria si ravvivò con il quasi default della Grecia nello scorso anno. La creazione dell’eurozona comporta una serie infinita di contratti e di beni interdipendenti, ma nessun meccanismo per l’abbandono di un paese.
Ma, mentre la crisi sopraggiunge nel ricco nord dell’Europa, le banche hanno incrementato la preparazione per qualsiasi esito. Ad esempio, anche se è legalmente, finanziariamente e politicamente complicato per la Grecia uscire dall’eurozona, alcune banche stanno comunque annotando come gli euro si possono convertire nelle dracme, come possono essere eseguiti i contratti e se un tale evento possa causare un grippaggio dei mercati globali del credito.
La Royal Bank of Scotland è una delle più grandi banche che stanno testando la sua capacità di affrontare una rottura dell’euro. “Facciamo molti stress test su quello che potrebbe succedere se l’euro si dovesse frantumare o se alcune cose dovessero verificarsi, come l’espulsione di alcune nazioni dall’euro”, ha detto Bruce van Saun, direttore della finanza della RBS. Ma, ha aggiunto: “Non vogliono farla sembrare più grave di quanto lo sia.”
Alcune imprese stanno prendendo precauzioni simili. Il gigantesco operatore turistico tedesco TUI ha di recente fatto sensazione in Grecia, dopo aver inviato lettere agli albergatori greci chiedendo che i contratti vengano rinegoziati in dracme per proteggersi dalle perdite se la Grecia dovesse uscire dall’euro.
TUI ha preso questa iniziativa pochi giorni dopo che la Cancelliera Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy avevano riconosciuto, nel corso di una riunione dei leader del G-20 tenuta all’inizio di questo mese a Cannes, che la Grecia avrebbe potuto lasciare l’unione monetaria. Giovedì la banca centrale greca ha avvisato che se la nazione non riuscirà a migliorare rapidamente le sue finanze, la domanda sarà “se il paese debba rimanere o meno nell’area euro”.
In un sondaggio pubblicato mercoledì su circa 1.000 dei suoi clienti, Barclays Capital ha detto che circa la metà si aspettano che almeno uno dei paesi esca dall’eurozona; il 35 per cento che la rottura sia limitata alla Grecia, e uno su 20 si aspetta l’uscita di tutti i paesi periferici entro il prossimo anno.
Alcune banche stanno ora guardando ben oltre i confini del proprio paese. Venerdì Merrill Lynch è stata l’ultima a emettere un report in cui si analizza cosa accadrebbe se alcuni paesi dovessero lasciare l’eurozona e ritornare alle loro vecchie monete. Se Spagna, Italia, Portogallo e Francia dovessero oggi ripartire a stampare le loro divise, queste probabilmente si indebolirebbero contro il dollaro, riflettendo la relativa debolezza delle loro economie, è il calcolo di Merrill Lynch.
Le monete delle economie più forti di Germania, Paesi Bassi e Irlanda probabilmente si rafforzerebbero sul dollaro, secondo l’analisi.
In Asia le banche e i regolatori osservano la situazione con sempre maggiore allarme. Norman Chan, il direttore esecutivo della Hong Kong Monetary Authority, ha affermato mercoledì che i regolatori hanno incrementato la sorveglianza sull’esposizione delle banche con l’Europa.
Questi stanno lavorando con i manager delle banche sugli stress test per determinare come la stabilità finanziaria delle banche possa essere colpita da un maggiore dissesto finanziario in Europa, ha detto un banchiere di Hong Kong che vuole rimanere anonimo.
Il pericolo principale di una rottura dell’euro breakup - afferma Stephen Jen, collaboratore di gestione con la SLJ Macro Partners di Londra, è il “rischio della ridenominazione”, l’effetto imprevedibile che la rottura dell’euro avrà sui titoli finanziari mentre le nuove monete cercano il proprio livello sul mercato e i valori dei contratti stipulati in euro vengono rivalutati.
La maggior parte delle persone spera che questo non accadrà. “Ricordate quando Lehman andò in bancarotta, nessuno poteva anticipare cosa sarebbe successo dopo”, ha affermato il banchiere francese che non era autorizzato a parlare in pubblico. “E quella era una compagnia, non una nazione. Se un paese lasciasse l’euro, moltiplicate l’effetto Lehman per 10”, ha detto.
 
* Articolo vecchiotto .... ma il Problema dei Problemi e' quello :titanic:

La bolla derivati preoccupa le Borse globali - Il Sole 24 ORE

La bolla derivati preoccupa le Borse globali

Morya Longo
Cronologia articolo
13 maggio 2012




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Quando nel 2008 la crisi finanziaria mordeva già gli Stati Uniti, e Lehman Brothers affondava come un moderno Titanic, tutte le autorità Usa invocavano regole più stringenti per i giganteschi mercati dei derivati. Il presidente della Fed, Ben Bernanke, chiedeva a gran voce che le normative cambiassero in maniera fondamentale. L'allora presidente della Sec Christopher Cox gli faceva eco, denunciando con tono severo che i derivati non erano regolamentati «nella maniera più assoluta».
Peccato che gli stessi protagonisti solo pochi anni prima si dichiarassero fermi sostenitori di regole light per i derivati. «Si tratta di strumenti importanti – diceva con disinvoltura nel 2005 Bernanke –, perché permettono di diversificare e spostare i rischi verso chi li sa gestire». «Mi preoccuperebbe se i derivati venissero considerati come il Diavolo dal Congresso», diceva Cox qualche anno prima.
Ormai sono passati cinque anni dall'inizio della crisi, e anche da quelle invocazioni di regole stringenti. Qualcosa è stato fatto. Ma non abbastanza. E ancora, nel 2012, accade che una banca come JP Morgan usi i derivati in maniera così aggressiva da perdere due miliardi di dollari in sole sei settimane. Facendo riemergere, come fiumi carsici, nuove immancabili richieste di regole. Che, come fiumi carsici, molto presto torneranno nel dimenticatoio. Fino al prossimo scandalo.
Nove volte il mondo
Eppure non servirebbe un genio della finanza per capire che i mercati dei derivati andrebbero regolamentati veramente. Non demonizzati, certo. Ma neppure lasciati allo stato brado come lupi affamati. Basta guardare i numeri, per capirlo: le ultimissime statistiche della Bri, aggiornate a dicembre 2011, calcolano che l'intero mercato di questi strumenti ammonti a 647 mila miliardi di dollari di valore nominale. Ancora più dei 466mila miliardi dell'ultima rilevazione (più vecchia) realizzata dall'Isda. Si tratta di un numero 14 volte più grande della capitalizzazione di tutte le Borse del globo. E nove volte più grande del Pil del mondo intero. È vero che il reale rischio, cioè il valore netto, è molto inferiore. Ma queste cifre restano enormi, troppo scollate dall'economia reale.
Ovvio che non tutti i derivati siano meri strumenti per speculare. Anzi, si tratta in realtà di contratti che sono stati inventati con uno scopo nobile: gestire i rischi. La stragrande maggioranza di questi strumenti, pari a 504mila miliardi di dollari, è costruita su tassi d'interesse: serve dunque a chi vuole trasformare un finanziamento a tasso fisso in variabile, o viceversa. Il resto è dato da derivati su valute (63mila miliardi), su azioni (6mila) e su materie prime (3mila). Ci sono poi i credit default swap (che valgono 28mila miliardi di valore nominale): si tratta di polizze assicurative, usate dagli investitori per coprirsi dal rischio di fallimento di qualunque debitore al mondo. Insomma: non esistono derivati "cattivi". Cattivo, però, può esser l'uso che viene fatto.
Finanza distorta
I derivati di tasso (interest rate swap) sono per esempio finiti in molte inchieste della magistratura: l'accusa, molto spesso, è che le banche li abbiano venduti a Enti locali o a Casse previdenziali facendo "la cresta" con costi occulti. Insomma: aiutavano Comuni e Regioni a trasformare un mutuo o un bond da tasso fisso a variabile, ma nel frattempo si intascavano decine di milioni di euro a sbafo. Ma i più bersagliati dalle critiche sono i credit default swap: perché da strumenti di gestione dei rischi sono diventati mezzi per speculare. Lo dimostra il fatto che troppo spesso esistono più Cds che debiti da assicurare: il gruppo francese Carrefour, prendendo un nome a caso, ha 13 miliardi di euro debiti (dato di Bloomberg) e 28 miliardi di dollari di Cds lordi (dato Dtcc).
Ovvio che tutto questo non va bene. I derivati sono tutti scambiati over-the-counter, cioè fuori da qualsiasi Borsa regolamentata. Sguazzano nell'opacità più totale: solo le grandi banche americane, che controllano circa la metà dell'intero mercato, sanno veramente cosa ci sta dietro. Loro da questa opacità guadagnano (anche se a volte cascano come JP Morgan). Per questo si sono sempre opposte a vere regole stringenti, facendo leva sulle debolezze del mondo politico più attento agli interessi delle lobby che a quelli dei cittadini. E così siamo arrivati al 2012, con l'ennesimo scandalo. Con gli ennesimi scandalizzati e con le ennesime richieste di regole. Il deja vu continua...
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Derivati battono Borse 14 a 1
I rapporti di forza
Il grafico confronta il valore nozionale lordo di tutti i derivati, con la capitalizzazione delle Borse mondiali. Entrambi i dati si riferiscono a fine 2011
 

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