Obbligazioni a tasso fisso CRISI UCRAINA, Bond Russia, Ucraina, Gazprom e altro

Dopo Bp e Total, anche la Shell ha appena annunciato profitti record nell'ultimo trimestre. Se volesse, Putin potrebbe fare lo stesso lunedì dal palco delle celebrazioni per la vittoria su Hitler. Dal giorno dell'invasione dell'Ucraina, Mosca ha incassato 43 miliardi di dollari con l'export di gas e petrolio. Gli analisti prevedono che, a fine anno, solo il petrolio avrà portato al Cremlino 180 miliardi di dollari, ovvero il 60 per cento dell'intero bilancio nazionale.
Il problema dell'embargo sul petrolio russo (che porta a Mosca più soldi anche del gas), su cui si tortura la Ue è tutto qui: su quattro litri di benzina che mettiamo nei nostri serbatoi, uno finanzia direttamente i missili che piovono su Kiev e Odessa. In media, infatti, il 25 per cento del greggio consumato nella Ue viene dalla Russia. Tagliarlo, con il rischio di rimanere a secco, per gli europei - dimostra il braccio di ferro di questi giorni - è durissima. Ma, per giunta, dicono molti, rischia di trasformarsi in un boomerang. Gli stessi americani hanno avanzato il timore che, limitando le esportazioni russe, la disponibilità totale di greggio scenda, facendo alzare il prezzo e continuando così, paradossalmente, ad ingrassare le casse di Putin. I russi, del resto, si possono permettere di sostenere le loro vendite anche con forti sconti. Il petrolio, sui mercati mondiali, sta a 110 dollari al barile. I produttori russi vanno in pari, rispetto ai loro costi, a 44 dollari a barile. Anche oggi, che sono costretti a vendere a 70 l'Ural, loro e il Cremlino continuano a fare grossi profitti.
E, allora, è un vicolo cieco? Sia noi che l'Ucraina siamo prigionieri dei barili russi, per quanti sacrifici siamo disposti a fare? Un momento: anche con il petrolio, come con il tango, si balla in due. Per noi, il greggio russo vale il 25 per cento degli acquisti, ma, per i russi, l'export di petrolio verso la Ue corrisponde al 70 per cento degli incassi. Difficile pensare di essere presi per la gola da uno che dipende da te per quasi tre quarti di quello che guadagna. Putin è, probabilmente, pronto ad imporre ai russi i sacrifici di una economia di guerra, ma decurtare del 40-50 per cento il bilancio statale è un tuffo molto azzardato. Il Cremlino dovrebbe essere ragionevolmente sicuro di vendere quei 2 milioni di barili al giorno - oggi piazzati in Europa - da un'altra parte. E questa sicurezza è lontana.
Gli analisti sentiti da Bloomberg sostengono che solo un terzo del petrolio russo può trovare agevolmente nuovi acquirenti. Verso la Cina c'è un solo oleodotto che già funziona al massimo della capacità. Per farne un altro occorrono cinque anni. Pechino, comunque, oggi compra solo il 20 per cento del petrolio esportato dai russi e non pare volerne di più. Senza oleodotti bisogna ricorrere ai supertanker. Ma qui scatterebbero le clausole scritte in piccolo nel pacchetto di sanzioni studiato a Bruxelles: il blocco di noli e assicurazioni per i cargo che trasportano petrolio russo. In queste condizioni, difficile pensare ad un flusso consistente, in partenza dai porti del Baltico o del Mar Nero. Ma, senza export, bisogna chiudere pozzi. E, nel gelo siberiano, un pozzo chiuso è facile che non riparta.
Nel salto nel buio che un embargo europeo imporrebbe alla Russia, non ci sono, però, solo ragioni logistiche. Ma anche una minaccia geopolitica. La rinuncia al greggio russo, per l'Europa, è faticosa perché non è facile trovarne altro, se non pagandolo molto caro. Gli alleati russi dell'Opec hanno infatti appena ribadito che non intendono aumentare la produzione. Un ritorno sul mercato mondiale di Iran e Venezuela può colmare circa metà del buco che l'embargo alla Russia lascerebbe ai consumi europei, ma gli unici che possono fornire l'altra metà sono appunto gli arabi dell'Opec - anzi, praticamente solo i sauditi - perché gli altri lavorano già al massimo. Ma i sauditi, nonostante le forti pressioni di Washington, si sono ancora una volta rifiutati di fare le scarpe ai russi.
Tuttavia, la situazione, ora, potrebbe mutare. Senza l'Europa, la Russia ha solo l'Asia dove cercare acquirenti. Ma l'Asia è anche la destinazione favorita del greggio saudita. Davvero Riad è pronta a cedere ricche quote di mercato a Mosca, senza neanche tentare di rifarsi da qualche altra parte, magari in Europa? E' una partita tutta da giocare.

La Repubblica/Ricci

Come sempre la stupidità della guerra e le conseguenze negative per tutti non riescono mai a evitare che qualche illuminato statista le ritenga "necessarie".
 
se fanno un cosa del genere, verso una nazione con cui non sono in guerra (dicono), gli USA daranno molto da pensare a nazioni che mantengono le loro riserve valutarie in dollari su banche americane, Cina in primis. Non mi sembra sia una buona mossa per la reputazione del dollaro come valuta di riserva
 

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