Critiche da sinistra al decreto Bersani

sharnin

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Dalla mailing list "marxiana"

Mi ritengo fortunato a non aver mai creduto ad una riga della propaganda lowconcept della sinistra radicale negli anni in cui si faceva "attraversare dai movimenti". Altrimenti mi sarebbe venuto un colpo ascoltando il presidente della camera che si definisce comunista dire "che le liberalizzazioni sono una cosa mentre il liberismo è un'altra", il ministro dell'agricoltura e leader dei verdi definire un decreto dove si concede al
privato di istituire linee di trasporto urbano "una buona notizia per i consumatori", come se per un verde il concetto di consumo e l'aumento dei volumi di traffico convergessero naturalmente.

Stupefacente, per chi ha creduto a questo ceto politico, deve essere notare come l'equazione tra concorrenza, abbassamento dei prezzi e vantaggi per il consumatore venga applicata in sede di commento dal capogruppo del prc alla camera come da Carlini del Manifesto con un automatismo degno di una setta esoterica di seguaci italiani di Milton Friedman. Se penso che c'è chi ha
pensato di cambiare questo paese legittimando questo ceto politico includendolo nello "spirito di porto Alegre", nelle marce arcobaleno e nei forum dei buoni sentimenti..beh sono imbarazzato per chi ci ha creduto. A cinque anni da Genova questo ceto politico è passato dalla contestazione al g8 alla piena partecipazione all'evento (San Pietroburgo quest'anno), alla finanziaria sotto
dettatura del FMI, un tempo fonte di tutti i mali; dalla critica al liberismo all'elogio delle "liberalizzazioni".

In materia quel che colpisce nell'appoggio al decreto Bersani è l'acritica adesione ad una filosofia che colpisce le corporazioni di mestiere per far crescere i trust da una parte e la microfisica dell'autosfruttamento dall'altra.

Insomma si contribuisce a creare una base sociale lontanissima dall'idea di bene comune e dalla stessa politica che finirà per liquidare, con i propri
comportamenti, i partiti di cui stiamo parlando. Del resto se è accaduto a partiti più solidi come il Pci di evaporare a causa delle mutazioni sociali evocate come apprendista stregone non si vede come non debba accadere a
formazioni esangui e prive di una reale base sociale che non sia il mezzo minuto di intervista al tg.

In materia incollo il corsivo di Galapagos sul Manifesto di ieri che riguarda la vicenda dei taxisti. Che si può leggere come una storia che riguarda una corporazione con qualche aderente che urla "Duce, Duce" alla visita di Alemanno o come spia di una rivoluzione dal basso nei servizi prevista dal governo Prodi che non ha niente di ugualitario e molto della ristrutturazione che favorisce la grande distribuizione e nuovo precariato. A favore
del consumatore of course.

mcs


***Dopotutto, Tremonti, Padoa Schioppa, Monti e altri non fanno parte dello stesso gruppo Bilderberg? Se si perde di vista il disegno strategico di fondo del neo-liberismo, è ovvio che si finisce per prendere posizioni "umorali" e subalterne
 
Sulla testa dei tassisti
Galapagos

E' quasi un evento eccezionale che il direttore de Il sole 24 ore firmi l'editoriale. Ieri lo ha fatto con un articolo dal titolo significativo «Professioni, perché vanno ascoltate».
De Bortoli pur riconoscendo il diritto del governo a governare, rilancia la necessità della concertazione che deve essere garantita a tutti e non solo ai sindacati. Una marcia indietro dopo i commenti ultrapositivi del primo giorno sull'inizio delle liberalizzazioni.
Ma Il sole è il quotidiano dei professionisti e il buon senso di De Bortoli deve necessariamente coniugarsi con i problemi di bottega. Stesso argomento nell'editoriale de Il Corriere della Sera: Pietro Ichino fa lezione di democrazia ai tassisti che bloccano un servizio pubblico contro i loro stessi interessi. Questa storia dei taxi è curiosa: in tempi non sospetti era stato Giavazzi a identificare nei tassisti il nuovo nemico di classe che si oppone alla modernizzazione - le liberalizzazioni - e che sottrarre risorse ai clienti, offrendo spesso un pessimo servizio, come dimostra una campagna de la Repubblica. I tassisti a molti non sono simpatici, ma il fuoco di sbarramento appare eccessivo e eccessivamente pericoloso. Il decreto legge del governo (ma dove sono i motivi di urgenza?) porterà a una precarizzazione dei tassisti. Il modello è quello degli Usa dove il capitalismo è presente anche nel settore delle auto pubbliche.
Certo, in Italia ci saranno maggiori garanzie, ma perché sono state introdotte le licenze a pagamento oltre a quelle programmate dai singoli comuni? Se la programmazione è ben fatta, non c'e' assolutamente bisogno di assegnare nuove licenze che porteranno esclusivamente a uno sfruttamento esasperato dei lavoratori con forme, oltretutto, di precarizzaione di chi guida. Il che potrebbe portare a rivolte rivolte clamorose come è accaduto a New York, città sempre citata per l' abbondanza e il basso costo delle yellow car. I taxi non possono risolvere il problema della mobilità pubblica. Crederlo sarebbe come passare per buona la famosa frase di Maria Antonietta («se non c'è pane mangiate brioches»).
Insomma, i taxi sono ancora una questione d'elite sui quali più che la politica salgono i politici che non a caso sono molto disturbati dalla protesta. Il taxi supplisce a volte alle carenze del trasporto pubblico, ma non lo può sostituire. Nonostante gli sforzi di alcuni comuni, il trasporto pubblico fa schifo e dannegia i consumatori almeno quanto il corporativismo dei tassisti. I quali, in totale, almeno nelle città interessate alla protesta sono meno di 12 mila. Ma sono uomini in carne e ossa e non multinazionali, o banche e asicurazioni che hanno fatto dell'opacità la loro regola di condotta con contorno di ricchi profitti. L'unico torto dei tassisti è di avere fatto di una licenza amministrativaun bene disponibile. E questo ha alimentato un vergognoso mercato delle licenze nelle quali c'è chi si è indebitato per potersi comprare un lavoro. Bastava bloccare questo mercato («la vendita è la nostra liquidazione», si giustificano molti tassisti) ma nessun comune ha mai perseguito questa semplice regola. Dietro la liberalizzazione delle licenze c'è il rischio di una liberalizzazione selvaggia del mercato del lavoro. Non è un caso che nessuno o quasi parli più della necessità di buttare mare la legge 30. Di più, c'è il rischio che con la scusa delle corporazioni si arrivi a fare come negli Usa a inizio '900: la prima legge antitrust fu varata per bloccare i sindacati.
 

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