News, Dati, Eventi finanziari debito pubblico ......moneta.....e nonna abelarda

di Gianni Lannes





I vampiri della finanza speculativa che succhiano il sangue a mezzo mondo ed i loro maggiordomi governativi bisogna chiamarli con il loro vero nome,! Ecco le prove. Il signoraggio esiste: lo attestano, tra l’altro, due risposte distinte: una del Governo italiano e l’altra dell’Unione europea, a tre specifiche interrogazioni parlamentari.



Nell’atto parlamentare (4/00932) il deputato Matteo Mecacci (radicale inserito nel gruppo parlamentare del Pd) aveva argomentato il 5 agosto 2008:


«nell'autunno del 2002 il ministro interrogato propose di sostituire le monete da uno e due euro con banconote dello stesso taglio, per combattere l'inflazione o, più precisamente, per attribuire il corretto valore di scambio alle monete in questione; la risposta dell'ex governatore della BCE (Banca Centrale Europea) Duisenberg arrivò, pubblicamente, in ottobre, riportata da numerose testate giornalistiche, del seguente tenore: «Ne abbiamo parlato e in linea di principio non abbiamo nulla in contrario. Mi auguro che il Ministro Tremonti sia consapevole che così perderebbe i proventi del diritto di signoraggio sulle monete»; sono trascorsi quasi sei anni dalla proposta del ministro interrogato ma, nel frattempo, numerosi quesiti sulle procedure relative alla emissione della moneta hanno fortemente interessato numerosissimi utenti della rete internet, ed anche quest'Aula parlamentare, senza che la questione abbia trovato analoga attenzione sui media di massa; l'ex Governatore della BCE, Duisenberg, si riferì esplicitamente alla perdita dei diritti di signoraggio; storicamente, questi diritti, sono stati iscritti nei bilanci della Banca d'Italia prima della volontaria devoluzione della prerogativa sovrana alla BCE; in seguito alla sottoscrizione del trattato di Maastricht, attualmente essi sono riportati sotto la voce «proventi da signoraggio» del bilancio della BCE; dalla lettura dei suddetti bilanci si deduce che i diritti di signoraggio rappresentano gli interessi sui titoli del debito pubblico che ogni anno la BCE riscuote, poiché gli stessi sono detenuti nel suo patrimonio; buona parte di questi interessi tornano alle Banche centrali dei Paesi dell'Unione Europea che detengono quote proprietarie della BCE stessa -: se al ministro risulti - poiché il diritto di signoraggio relativo all'emissione di monete metalliche è distinto da quello relativo all'emissione di cartamoneta a causa della inesistenza di un nesso tra l'emissione di moneta e l'interesse proveniente dal possesso di titoli del debito pubblico, essendo le monete in proprietà del Ministero dell'economia e delle finanze e non utilizzate per acquistare alcun titolo del debito pubblico - a quale particolare genere di signoraggio l'ex Governatore della BCE, Duisenberg, si riferisse; se al ministro risulti se il Governatore si riferisse, specificatamente, al signoraggio sull'intero valore nominale delle monete, dedotti i costi di produzione; a chi si trasferirebbero i diritti di signoraggio, in seguito alla eventuale ed ipotizzata trasformazione delle monete da uno e due euro in banconote dello stesso valore nominale; se, poiché il signoraggio sulle monete metalliche prodotte dallo Stato è attribuito allo Stato emittente, il signoraggio sulle banconote prodotte dalla BCE sia attribuito alla stessa BCE; se esistano atti o fatti giuridici che trasferiscano il diritto di signoraggio, astrattamente inseribile nel bilancio dello Stato come utile, concorrendo alla diminuzione del debito pubblico, ad altri soggetti giuridici».


La prima ammissione a denti stretti, passata inosservata all’attenzione dell’opinione pubblica, è del Governo italiano, e fa riferimento a questo atto della Camera dei Deputati, sollecitato ben nove volte, fino alla spiegazione ufficiale datata 5 luglio 2010, a firma del Sottosegretario di Stato per l’economia e per le finanze, Nicola Cosentino, attualmente sotto processo (prossima udienza il 27 marzo 2013) con l'accusa di "concorso esterno in associazione camoristica".


«Si risponde all'interrogazione in esame, con la quale vengono posti quesiti in ordine al diritto di signoraggio sulle monete metalliche. Al riguardo, sentita la segreteria del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio, si fa presente che, ai sensi dell'articolo 106, comma 1, del Trattato CE e dell'articolo 16 dello statuto del Sistema europeo di banche centrali (Sebc), il consiglio direttivo della Banca centrale europea (Bce) ha il diritto esclusivo di autorizzare l'emissione di banconote all'interno della Comunità da parte della Bce e delle Banche centrali nazionali (Bcn). Con decisione ECB/2001/15, il Consiglio direttivo, dando concreta attuazione a tali disposizioni, ha stabilito un preciso schema di ripartizione delle banconote in euro emesse dall'Eurosistema in base al quale alla Bce è attribuita, in via convenzionale, una quota fissa dell'8 per cento della circolazione, mentre il restante 92 per cento viene ripartito fra le Bcn, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione al capitale della Bce (capital key). In contropartita della quota di circolazione ad essa assegnata, la Banca centrale europea iscrive nel proprio bilancio un credito di pari importo verso le Banche centrali nazionali, remunerato al tasso marginale delle operazioni di rifinanziamento principale. Tale remunerazione costituisce il reddito da signoraggio della Bce; quest'ultimo (decisione ECB/2005/11) è ridistribuito alle Bcn in proporzione al rispettivo capital key, a meno che il Consiglio direttivo decida di trattenere il relativo ammontare (in tutto o in parte) a causa di: a) una perdita d'esercizio della Banca centrale europea o un utile netto inferiore all'importo del signoraggio; b) una assegnazione al Fondo di accantonamento a fronte dei rischi di cambio, di tasso di interesse e di prezzo sull'oro. Il reddito da signoraggio percepito dalle Banche centrali nazionali sul restante 92 per cento delle banconote in circolazione contribuisce alla formazione del reddito monetario, disciplinato dall'articolo 32 dello statuto del Sebc che prevede, ai fini della relativa ripartizione tra le Bcn, un processo diaccentramento e successiva redistribuzione in base al capital key. In coerenza con gli indirizzicontenuti nell'articolo 32, la Bce ha adottato la decisione ECB/2001/16 (successivamente modificatadalle decisioni ECB/2003/22, ECB/2006/7 e ECB/2007/15), con la quale ha definito in dettaglio lametodologia per il calcolo e la redistribuzione del reddito monetario.Con specifico riferimento ai quesiti sulle monete metalliche, si precisa che l'articolo 106, comma 2,del Trattato CE, attribuisce agli Stati membri, previa autorizzazione da parte della Bce, il potere diconiare monete; conseguentemente i benefici economici derivanti da tale funzione restano direttoappannaggio degli Stati stessi.Pertanto, nell'eventuale ipotesi di sostituzione delle monete da uno e due euro, le nuove banconote dipari taglio entrerebbero a far parte della circolazione e sarebbero oggetto del citato meccanismo diredistribuzione tra la Bce e le Bcn. Di conseguenza i relativi benefici economici, in termini disignoraggio, passerebbero dagli Stati membri all'Eurosistema.Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Nicola Cosentino».


Successivamente, il 12 marzo 2012 (atto E-000302/2012), il deputato europeo (PPE) Marco Scurria, aveva posto i medesimi interrogativi sul signoraggio all’Ue:
«In risposta ad un’interrogazione scritta sul medesimo tema presentata dall’on. Borghezio fornita il 16 giugno 2011, la Commissione informa il collega che “al momento dell’emissione, le banconote in euro appartengono all’Eurosistema e che, una volta emesse, sia le banconote che le monete in euro appartengono al titolare del conto su cui sono addebitate in conseguenza”. Può la Commissione chiarire quale sia la base giuridica su cui si basa questa affermazione?».
Nei tempi stabiliti dal Parlamento Europeo arriva la risposta di Olli Rehn a nome della Commissione:


«L’articolo 128 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea costituisce la base giuridica per la disciplina dell’emissione di banconote e monete in euro da parte dell’Eurosistema (costituito dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali). La proprietà delle banconote e delle monete in euro dopo l’emissione da parte dell’Eurosistema è disciplinata dalla legislazione nazionale vigente al momento del trasferimento delle banconote e monete al nuovo proprietario, ossia al momento dell’addebito del conto corrente bancario o dello scambio delle banconote o monete».
Ergo, in punta di diritto: la proprietà giuridica dell’euro non appartiene alla BCE o alle BCN.


Olli Rehn non fa altro che ribadire che dopo l’emissione, ossia dopo la creazione fisica delle banconote, la proprietà dei valori nominali appartiene al nuovo proprietario, ovvero a chi ha accettato l’addebito. Inoltre, Olli Rehn, per giustificare l’affermazione secondo la quale rispondeva a Borghezio che l’Euro appartiene nella fase dell’emissione all’Eurosistema, cita l’articolo 128 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, dove nel comma 1 si legge: “La Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell’Unione”.


E’ lapalissiano. Non c’è scritto da nessuna parte che la proprietà giuridica dell’euro emesso appartiene alla BCE o alle BCN. C’è soltanto scritto che la BCE può autorizzare l’emissione di euro a se stessa e alle BCN, dovendo controllare l’inflazione nella zona euro, così come stabilito dal Trattato di Maastricht. Ribadisce che solo l’Eurosistema può stampare le banconote o creare elettronicamente i valori nominali. Ma nessun riferimento giuridico, nessun trattato, nessuna legge, nessuna deliberazione, niente di niente ci dice che l’Eurosistema ha la facoltà di addebitare la moneta. E’ evidente che si appropria di questo grande ed esclusivo privilegio. E questo furto legalizzato (si fa per dire!) ai danni dei popoli europei va sotto il nome di signoraggio.
Non è tutto. Insoddisfatto della risposta evasiva, Scurria tornava a chiedere chiarimenti al Commissario Rehn, con un’altra interrogazione il 22 marzo 2012 (P-003128/2012):


«Oggetto: Proprietà dell’euro. Alla precedente interrogazione E-000302/2012 con richiesta di risposta scritta intitolata “Natura giuridica della proprietà dell’euro” con la quale è stato chiesto alla Commissione di chiarire il concetto della proprietà dell’euro, quest’ultima ha risposto citando l’articolo 128 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che, riporta testualmente: “La Banca Centrale Europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote”. Considerato che la Commissione si è riferita alla sola facoltà di emettere banconote senza specificarne il concetto di proprietà al momento dell’emissione, ma soltanto in seguito con il trasferimento delle banconote stesse e stante che non sempre chi emette è proprietario, può la Commissione precisare se la facoltà di emettere banconote corrisponda alla proprietà delle stesse?».

Quindi, l’europarlamentare chiede di specificare se l'espressione “facoltà di emettere banconote” corrisponda all’essere proprietario, visto che l’interrogazione è sulla proprietà dell’euro, non sulla facoltà di emettere.
A questo punto il 24 aprile 2012 arriva la nuova risposta di Olli Rehn, a nome della Commissione:


«L’articolo 128 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea rappresenta la base giuridica per la disciplina dell’emissione di banconote in euro da parte dell’Eurosistema (costituito dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali) e di monete in euro da parte dei singoli Stati membri. In assenza di una normativa armonizzata al livello dell’Unione, la proprietà delle banconote e monete in seguito all’emissione è soggetta alla legge nazionale applicabile nel momento in cui avviene il trasferimento al nuovo detentore. Alcuni paesi ritengono che il legittimo detentore delle banconote e delle monete in euro ne sia anche proprietario, altri considerano il contante in euro come un bene pubblico e limitano di conseguenza i diritti di proprietà del detentore (ad es. il diritto di danneggiare o distruggere deliberatamente il bene)».


E chiaro, no? Nel linguaggio eurocratese, Rehn prova ad arrampicarsi sugli specchi citando sempre l’articolo 128 che, inequivocabilmente, non attribuisce alla BCE la proprietà della moneta. Glissa sulla proprietà all’atto dell’emissione dicendo che la proprietà dopo l’emissione è soggetta alla legislazione nazionale “nel momento in cui avviene il trasferimento al nuovo detentore”.


Sostenere che c’è un nuovo detentore equivale ad ammettere implicitamente che ne sia esistito almeno un altro. Ma chi è il detentore precedente al nuovo? La logica ci suggerisce che è la BCE: all’atto dell’emissione la Banca Centrale Europea presta, e prestare è inequivocabilmente una prerogativa di chi detiene la proprietà. Un minuscolo esempio: l’anno scorso il Governatore della Banca Centrale Europea ha emesso e prestato 1000 miliardi di euro alle banche commerciali con un tasso di favore dell’1 per cento; Mario Draghi (ha denominato questa operazione LTRO (Long Term Refinanancing Operation).


Rehn, nelle sue contraddittorie confutazioni, non fa altro che confermare che la BCE si appropria del mezzo monetario trasformandolo in merce da prestare, e se ne appropria indebitamente perchè nessuna costtituzione, trattato, nessuna legge, nessuna norma, nessun regolamento, niente di niente gli conferisce la proprietà della moneta.
Questo è un autentico furto, perché la proprietà della moneta appartiene esclusivamente ai cittadini che creano il valore per convenzione. Allora, la gigantesca truffa è definitivamente smascherata. Tuttavia, non dimentichiamo che la moneta è solo una convenzione sociale (se ne potrebbe fare a meno), a diferenza dell'acqua che invece è un bene primario, vitale.

Rammentate l'aforisma di Henry Ford? «Meno male che la popolazione non capisce il nostro sistema bancario e monetario, perché se lo capisse, credo che prima di domani scoppierebbe una rivoluzione».




Tace Monti - Infine, il 4 giugno 2012, gli onorevoli Rampelli e Marsilio depositano l’interrogazione a risposta scritta numero 4/16393:


«Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che: in data 10 luglio 2011 l'europarlamentare onorevole Mario Borghezio, ha presentato alla Commissione europea l'interrogazione con richiesta di risposta scritta E-006243/2011, nella quale si chiedevano lumi sulla natura giuridica della proprietà dell'euro, con richiesta esplicita di conoscere la proprietà dell'euro al momento della sua emissione; a tale interrogazione, in data 16 agosto 2011, il commissario europeo Olli Rehn ha risposto affermando che, nella fase di emissione, le banconote appartengono all'Eurosistema, ovvero la banca centrale europea e le Banche centrali dei Paesi aderenti alla moneta unica, mentre nella fase della circolazione appartengono al titolare del conto sul quale vengono addebitate; a seguito di tale vicenda un altro europarlamentare italiano, l'onorevole Marco Scurria, in data 12 gennaio 2012 ha presentato un'altra interrogazione, la E-000302/2012, nella quale ha chiesto esplicitamente alla Commissione quali fossero le basi giuridiche su cui si fondassero le affermazioni del commissario Olli Rehn in risposta all'interrogazione sopra richiamata; ancora una volta è arrivata la risposta del commissario Olli Rehn che, il 12 marzo 2012, ha confermato che, dopo l'emissione, la proprietà delle banconote e delle monete appartiene al nuovo proprietario, ovvero a chi ha accettato l'addebito delle stesse, indicando nell'articolo 128 del «Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea» la base giuridica su cui si fonda la risposta fornita in prima istanza all'interrogazione dell'onorevole Borghezio; insoddisfatto di tale risposta, anche in virtù del fatto che l'articolo 128 succitato nulla dice in fatto di proprietà dell'euro all'emissione in capo all'Eurosistema, disciplinando unicamente la facoltà di emissione dell'euro, l'onorevole Marco Scurria ha presentato un'ulteriore interrogazione, la P-003128/2012, con la quale ha chiesto esplicitamente se la Commissione fosse in grado di «precisare se la facoltà di emettere banconote corrisponda alla proprietà delle stesse»; l'ulteriore risposta, ancora del commissario Olli Rehn, cita ancora l'articolo 128 che, come visto, tratta di altro, ma aggiunge che «la proprietà delle banconote e monete in seguito all'emissione è soggetta alla legge nazionale applicabile nel momento in cui avviene il trasferimento al nuovo detentore», nulla dicendo sul precedente detentore che, secondo logica, dovrebbe a questo punto essere individuato nella Banca centrale europea; al termine di questa complessa vicenda sorge inevitabilmente il sospetto che la Banca centrale europea si sia appropriata indebitamente della proprietà dell'euro, mancando, in assenza di prova contraria, la norma che disciplina tale procedimento; l'altro elemento che lascia estremamente perplessi è dato dal fatto che, all'atto dell'emissione, la Banca centrale europea presta gli euro emessi, e l'atto del prestare è inequivocabilmente una prerogativa del titolare della proprietà -: se il Ministro interrogato sia in grado di fare chiarezza sull'effettiva proprietà dell'euro».


Il Governo del tecnico Mario Monti,non ha fornito alcuna spiegazione. E mai risponderà, perché la legislatura numero XVI è terminata. Vi dicono niente il conflitto di interessi, gli abusi istituzionali, ma soprattutto una macroscopica truffa a danno dei popoli europei?

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L’eccezione tedesca nel collocamento dei titoli di stato


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29 marzo 2013 |
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Autore Redazione | Stampa articolo
Bisogna tenere conto di due cose per capire questo articolo, che non ha specificato
1. i titoli di stato sono considerati altamente liquidi nelle operazioni tra banche cioè alla stregua di moneta, sono moneta
2. la differenza tra mercato primario e mercato secondario è unicamente che il primo è l’oligopolio delle banche dealer che vanno alle aste pubbliche del debito con una sorta di diritto di prelazione sui titoli e un monopolio effettivo sugli stessi e sul loro tasso di rendimento (http://www.stampalibera.com/?p=59366)
Semmai dall’articolo sotto appare chiaramente che:
1. E’ la BUBA a stampare i TDS E NON LO STATO, a riprova dello scippo totale di sovranità degli Stati.
2. La BUBA, ma anche tutte le BC ivi compresa la BCE, si comporta come una vera e propria banca di investimento, o fondo avvoltoio secondo le parole della Kirchner: cioè specula in borsa, emette strumenti derivati e altri certificati strutturati e lo fa con i nostri TDS, che utilizza come moneta, ma i cui interessi sono “spalmati” dal verbo “to spread” sui popoli, di preferenza i cosiddetti PIIGS. E lo fa grazie ai differenziali di rendimento dei TDS e ai vari trucchi e sotterfugi che i paesi cosiddetti ‘forti’ utilizzano per derubare i cosiddetti paesi deboli o PIIGS.
Chiaro?
Nicoletta Forcheri
1/4/2013


Fonte: http://www.economiaepolitica.it/?s=la+bundesbank+compra+i+bund+tedeschi&x=9&y=8

Scritto da Manfredi De Leo il 07 Dicembre 2011
1. L’esito della recente asta dei titoli pubblici tedeschi ha sollevato un interessante dibattito intorno alle specificità del meccanismo di collocamento dei titoli pubblici che sembrano distinguere la Germania dagli altri paesi dell’eurozona. Il dibattito prende spunto dai dettagli presenti nel resoconto ufficiale della procedura d’asta, laddove si comunica che sono stati emessi tutti i 6 miliardi di euro di titoli inizialmente previsti dal governo, ma al contempo si afferma che – di questi – solamente 3,6 sono stati collocati presso investitori privati. Si tratta dunque di capire esattamente cosa è successo a quei 2,4 miliardi di euro di titoli residui, che sono stati dichiarati emessi, ma non sono stati sottoscritti dai partecipanti all’asta.​
Il resoconto ufficiale dell’asta definisce quella particolare quota dell’emissione come “Ammontare messo da parte per operazioni sul mercato secondario”. Dunque il 40% dei titoli emessi è stato trattenuto con lo scopo di essere successivamente venduto sul mercato secondario: una quota consistente dei titoli è stata, in altri termini, emessa ma non collocata presso gli investitori privati. Una simile operazione sembra possibile solamente qualora si ammetta l’intervento della Bundesbank, che avrebbe sottoscritto una parte della nuova emissione – come suggeriscono numerosi commentatori[1].​
Ciò significherebbe che la Germania opera al di fuori delle regole comuni dell’eurozona[2], ossia in deroga a quegli stessi principi che hanno impedito, ad esempio, alla Banca Centrale Greca di intervenire a sostegno dei titoli pubblici ellenici tra il Dicembre 2009 ed il Maggio 2010, quando la spirale nei tassi di interesse pretesi dai mercati finanziari internazionali in sede d’asta ha di fatto costretto Atene a ricorrere ad un prestito istituzionale, vincolato all’adozione delle cosiddette misure di austerità. L’“eccezione tedesca” alle regole europee sull’emissione di titoli del debito pubblico appare ancora più significativa se si considera che la pratica di trattenere una quota (anche consistente) dell’emissione “per operazioni sul mercato secondario” non costituisce affatto un’anomalia nelle ordinarie operazioni di collocamento dei bund, ma ne rappresenta piuttosto il regolare funzionamento: come illustrato dal seguente grafico, la Germania trattiene regolarmente una quota delle emissioni, esattamente come accaduto in quest’ultima, discussa, asta di bund decennali.​
Cercheremo di dimostrare che la Bundesbank sostiene attivamente il collocamento dei titoli pubblici tedeschi, esercitando un’influenza dominante sul prezzo dei titoli di nuova emissione, senza però ricorrere alla sottoscrizione degli stessi sul mercato primario, ma articolando il proprio intervento in modo tale da aggirare i divieti imposti dal Trattato di Maastricht, e praticare di fatto il finanziamento diretto del debito pubblico tedesco.​
2.Iniziamo col dire che il dibattito sull’asta dei titoli tedeschi ha il grande pregio di restituire il meccanismo di emissione dei titoli pubblici – fatto di regolamenti, prassi e rapporti di forza tra governi, banche private nazionali e internazionali – ad un contesto istituzionale più complesso di quella ‘forma di mercato’ che gli viene attribuita dalle istituzioni europee, e che giustifica il divieto di acquisto dei titoli pubblici imposto alle banche centrali, chiamate appunto a non interferire con il regolare funzionamento del mercato del credito.​
Vogliamo capire come sia possibile che un titolo pubblico venga emesso, ma non collocato. Precisiamo innanzitutto cosa si intende per collocamento: un titolo si definisce collocato quando viene sottoscritto per la prima volta. L’ufficio governativo responsabile dell’emissione dei titoli del debito pubblico tedesco è l’Agenzia per il debito (Finanzagentur), la quale gestisce le procedure d’asta e poi trattiene i titoli non collocati presso quella platea di investitori privati che hanno l’accesso riservato al mercato primario, platea costituita da una quarantina di banche e società finanziarie tedesche ed internazionali. L’idea, suggerita da molti commentatori, che i titoli non collocati vengano di fatto sottoscritti dalla banca centrale tedesca è stata immediatamente contestata, poiché sembra scaturire da una errata interpretazione del particolare ruolo svolto da quest’ultima all’interno del processo di emissione dei titoli. Come vedremo, sebbene sia effettivamente possibile confutare la tesi secondo cui la Bundesbank sottoscrive i titoli pubblici tedeschi direttamente sul mercato primario, la banca centrale tedesca può contare su altri e diversi canali per intervenire sui titoli di nuova emissione, con risultati assolutamente equivalenti all’azione diretta sul mercato primario.​
La Bundesbank agisce per conto dell’Agenzia per il debito tedesca in qualità di “banca custode e non di prestatore di ultima istanza”, come sostiene Isabella Bufacchi sul Sole 24 Ore del 26 Novembre 2011: i titoli trattenuti risultano in sostanza congelati presso la banca centrale tedesca, senza che questa corrisponda al governo alcuna somma di denaro in cambio, ossia senza che quei titoli risultino effettivamente sottoscritti. Spiega ancora la Bufacchi: “L`agenzia del debito tedesco riprende poi quei titoli invenduti e li ricolloca in tranche sul secondario, nell`arco di qualche giorno o in casi di mercati ostici di qualche settimana.” Dunque sembra, a prima vista, che la Germania non stia procedendo alla cosiddetta ‘monetizzazione’ del debito pubblico. A confermare questa interpretazione interviene anche la prestigiosa rivista The Economist, pubblicando sul proprio sito l’articolo Fun with bunds in cui, “per evitare che i bloggers passino molto tempo immersi nei meccanismi d’asta delle obbligazioni europee”, si affida la soluzione al dilemma alle parole di un rappresentate della PIMCO, una delle più importanti società private di investimento a livello internazionale: “La Finanzagentur ha emesso solamente 3,6 miliardi in cambio di liquidità. Loro hanno collocato 3,6 miliardi sul mercato ed hanno trattenuto 2,4 miliardi sui loro libri contabili. In futuro potranno vendere l’ammontare trattenuto sul mercato secondario, ottenendo la corrispondente liquidità. Potreste aver letto che la Bundesbank ha acquistato la quota dell’emissione che non è stata collocata in asta; ciò non è corretto. La Bundesbank non sta finanziando la Germania; opera semplicemente come un’agenzia per la Finanzagentur.”​
La pratica dell’Agenzia tedesca per il debito, consistente nel trattenere una quota dell’emissione, viene dunque presentata, molto semplicemente, come un metodo per procrastinare il collocamento di quei titoli, in attesa di più favorevoli condizioni sui mercati finanziari: una mera questione di tempo, poiché i titoli emessi ma non anche collocati saranno, prima o poi, effettivamente collocati.​
3. Dopo aver “passato molto tempo immersi nei meccanismi d’asta delle obbligazioni europee”, è forse possibile mettere in discussione la validità di questa lettura del problema, ed incentrare l’interpretazione del particolare meccanismo di emissione dei titoli pubblici tedeschi non tanto sul ‘quando’ i titoli trattenuti verranno sottoscritti, quanto piuttosto sul ‘dove’ quei titoli verranno poi, effettivamente, collocati.​
La struttura istituzionale conferita generalmente agli odierni processi di emissione dei titoli del debito pubblico si fonda su una netta distinzione tra il mercato primario, dove i governi collocano i titoli di nuova emissione, ed il mercato secondario, dove i titoli già emessi possono essere liberamente scambiati. Tale distinzione è rilevante, all’interno della cornice istituzionale dell’eurozona, poiché il Trattato di Maastricht (comma 1 art. 101[2]) vieta esplicitamente alle banche centrali dell’eurozona l’acquisto di titoli del debito pubblico dei paesi membri solamente sul mercato primario: la BCE e le banche centrali dei paesi membri sono dunque lasciate libere di acquistare titoli del debito pubblico dei paesi membri dell’eurozona sul mercato secondario, e siamo certi che stiano operando in questo senso quantomeno a partire dal Maggio 2010, nel contesto del Securities Markets Programme[4]. Si noti come la chiara distinzione tra mercato primario e mercato secondario, ovvero la regola per cui sul mercato secondario possono essere scambiati solamente titoli già emessi sul mercato primario, sia il presupposto della logica seguita dalle istituzioni europee, le quali prevedono contemporaneamente il divieto imposto da Maastricht, che si riferisce al mercato primario, ed il Securities Markets Programme, che limita al mercato secondario la libertà di intervento delle banche centrali. Nelle parole dell’allora Governatore della BCE Trichet: “le nostre azioni sono pienamente conformi al divieto di finanziamento monetario [del debito pubblico] e dunque alla nostra indipendenza finanziaria. Il Trattato vieta l’acquisto diretto, da parte della BCE, dei titoli del debito emessi dai governi. Noi stiamo acquistando quei titoli solamente sul mercato secondario, e dunque restiamo ancorati ai principi del Trattato”.[5]
Alla luce di quanto detto circa la pratica – operata negli anni dalla Germania – di destinare una quota rilevante delle emissione ad operazioni sul mercato secondario, risulta evidente che, quando consideriamo il mercato dei titoli pubblici tedeschi, la distinzione tra mercato primario e mercato secondario si fa quantomeno labile: tramite la quota di titoli di nuova emissione regolarmente trattenuta dall’Agenzia del debito, infatti, la Germania è in grado di collocare i propri titoli del debito pubblico direttamente sul mercato secondario. Ciò è rilevante perché se il mercato primario dei titoli pubblici è esplicitamente riservato, in tutti i paesi dell’eurozona, ad un gruppo di investitori privati, sul mercato secondario operano – accanto agli investitori privati – anche le banche centrali dei paesi membri. Questo significa che il tasso di interesse che si determina sul mercato primario può essere spinto al rialzo da una carenza di domanda di titoli che non ha ragione di esistere sul mercato secondario, laddove l’azione della banca centrale implica una domanda potenzialmente infinita per i titoli pubblici: sul mercato primario, dove non operano le banche centrali, può sussistere una situazione di eccesso di offerta di titoli che conduce ad un rialzo nei tassi di interesse, quale quello osservato in Grecia nei primi mesi del 2010, ed in Italia a partire dall’Agosto 2011, mentre sul mercato secondario l’intervento della banca centrale ha il potere di creare tutta la domanda necessaria a spingere al ribasso il rendimento dei titoli pubblici. Pertanto, il semplice fatto che il collocamento dei bund di nuova emissione avvenga, in parte, direttamente sul mercato secondario ha un impatto significativo sul tasso di interesse dei titoli pubblici tedeschi, garantendo alla Germania un minor costo dell’indebitamento pubblico, a prescindere dalla possibilità (pure presente) che i titoli di nuova emissione collocati sul mercato secondario vengano sottoscritti direttamente dalla Bundesbank. La particolare struttura istituzionale del processo di emissione dei titoli pubblici tedeschi sopprime di fatto la distinzione tra mercato primario e mercato secondario, aprendo lo spazio per il finanziamento del debito pubblico tramite la banca centrale – spazio negato agli altri paesi membri dell’eurozona.​
Il complesso meccanismo di emissione dei titoli pubblici appena descritto consente alla Germania di proporre, in asta, un tasso dell’interesse molto basso, come avvenuto il 23 Novembre: se gli investitori privati si rifiutano di sottoscrivere i titoli del debito pubblico tedeschi a quei tassi, giudicati poco remunerativi, lo Stato trattiene la quota dell’emissione non collocata e procede, successivamente, al collocamento di quei titoli sul mercato secondario, dove l’azione della banca centrale è in grado di orientare i livelli del tasso dell’interesse vigente, o addirittura di tradursi in un intervento diretto, con la Bundesbank che sottoscrive i titoli del debito non collocati sul mercato primario. In assenza di un simile meccanismo, i governi sono costretti ad accettare il tasso di interesse che gli investitori privati pretendono sul mercato primario, laddove la loro disponibilità a sottoscrivere i titoli pubblici rappresenta l’unica possibilità che lo stato ha di finanziare il proprio debito. L’“eccezione tedesca” può essere concepita come un metodo che permette di aggirare i divieti imposti dal Trattato di Maastricht, e viene da chiedersi per quale motivo gli altri paesi dell’eurozona non si siano dotati di un simile dispositivo, capace di arginare le pretese dei mercati finanziari internazionali sui rendimenti dei propri titoli pubblici.​
[1] Alesina e Giavazzi sul Corriere dela Sera del 24 Novembre 2011 affermano che “l’asta dei Bund è stata sottoscritta solo grazie alla Bundesbank che ha acquistato il 40% dei titoli offerti da Berlino.”. Lo stesso giorno, simili affermazioni compaiono sui più importanti quotidiani. Sul Sole 24 Ore Bufacchi sostiene che: “va scartata la maxi-quota, pari al 39% dei 6 miliardi, che è stata sottoscritta dalla Buba [Bundesbank] per essere rivenduta sul secondario per via del peculiare meccanismo usato fin dagli anni 70 nelle aste dei titoli di Stato tedeschi.”; Quadrio Curzio commenta che “senza l’intervento della Bundesbank poteva andare anche peggio” sul Messaggero; Tabellini afferma, sul Sole 24 Ore, che: “la Bundesbank di fatto continua ad agire come prestatore di ultima istanza quanto meno in via temporanea nei confronti dello Stato tedesco. I titoli non venduti in asta infatti sono stati assorbiti dalla Bundesbank, che da sempre svolge questo ruolo per garantire la liquidità dei titoli tedeschi.”
[2] “La banca centrale tedesca ha subito assorbito tutti i titoli invenduti. È esattamente ciò che la Bundesbank stessa non vuole che la BCE faccia con Italia e Spagna. […] ha comprato direttamente dal governo, un comportamento in apparenza illegale ai termini del trattato: finanziamento monetario del deficit.” Fubini, Corriere della Sera del 24 Novembre 2011.
[3] “È vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della BCE o da parte delle Banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate “Banche centrali nazionali”), a istituzioni o organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle banche centrali nazionali.” (Cfr. Versione consolidata del Trattato che istituisce la Comunità Europea, Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, 24/12/2002, corsivo nostro).
[4] “Nei termini definiti in questa Decisione, le banche centrali dell’Eurosistema possono acquistare […] sul mercato secondario titoli di debito […] emessi dai governi centrali o da enti pubblici dei Paesi Membri e denominati in euro.” (Cfr. Decision of the European Central Bank of 14 May 2010 establishing a securities markets programme, Official Journal of the European Union, 20/05/2010, corsivo nostro).
[5] Cfr. Speech by Jean-Claude Trichet, President of the ECB, at the 38th Economic Conference of the Oesterreichische Nationalbank, Vienna, 31 May 2010.
 
Fonte: Giornale - Lun, 28/01/2013 – 22:46


Come anticipato dal Giornale, con lo scoop (leggi l’articolo) di Paolo Bracalini eGian Marco Chiocci pubblicato domenica 27 gennaio, al centro delle inchiesta della Procura di Siena ci sono otto bonifici usciti dalle casse del Monte dei Paschi con destinazione Amsterdam, Madrid e Londra.

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Otto bonifici, effettuati in undici mesi, che hanno spostato un fiume di soldi: 17 miliardi di euro. L’elenco è agli atti dell’inchiesta sull’acquisizione di Antonveneta da parte di Mps ed è uno degli elementi sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti. Dal documento emerge che il primo bonifico, da 9 miliardi e 267 milioni (dunque superiore al prezzo pattuito di 9 miliardi e 230 milioni), venne effettuato il 30 maggio 2008 a favore di Abn Amro Bank con sede ad Amsterdam, nominata – si legge nel documento informativo relativo all’acquisizione di Antonveneta inviato da Mps alla Consob – dal Banco Santander “soggetto venditore titolare di diritti e obblighi derivanti dall’ accordo”.

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Il secondo bonifico parte sempre il 30 maggio ed è indirizzato al Banco Santander di Madrid, per un importo complessivo di 2.5 miliardi. Il 31 marzo 2009 partono altri due bonifici, uno da un miliardo e mezzo e l’altro da 67 milioni, entrambi a favore del Banco Santander di Madrid. I restanti quattro bonifici vengono disposti da Mps il mese successivo, il 30 aprile. I primi due, ancora una volta, sono a favore del Banco Santander e riportano uno l’importo di un miliardo e l’altro di 49 milioni. Gli ultimi due, da 2,5 miliardi e da 123,3 milioni, sono a favore di Abbey National Treasury Service Plc di Londra
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Scandalo Mps, quel patto segreto per spartirsi la "plusvalenza"

Nuovo filone d'indagine: tra Mps e Santander (venditore) ci sarebbe stato un accordo per alzare il prezzo di Antoneveneta e dividersi i miliardi di plusvalenza. Bankitalia: "Non c'è bisogno di commissari"





Raffaello Binelli - Lun, 28/01/2013 - 17:00









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Clientele, spese folli, soldi ai politici: c'è un po' di tutto nella nota choc dell'ex direttore finanziario della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Nicola Scocca, "gola profonda" dei pm. L'accusa è gravissima: la Fondazione era come una famiglia che spende più di ciò che prevede di guadagnare.
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Non erogava guadagni ma patrimonio. E, così facendo, lo ha prosciugato. Ma come ha scritto oggi il Giornale l'inchiesta si allarga.
Ad arricchire di particolari il "caso Mps" spunta un'altra accusa inquietante: un accordo segreto tra acquirente (Mps) e venditore (Santander) per truccare i conti e far salire il prezzo di vendita di Antonveneta, rilevata dalla banca senese nel 2007 a 9,3 miliardi, lievitati poi a 10,3 (Santander l'aveva sborsando 6,3 miliardi).
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Ma perché far salire il prezzo? Per dividersi la plusvalenza. Di questo patto segreto, con Santander e Jp Morgan, parla oggi un articolo di Fiorella Sarzanini sul Corriere della sera. "Gli atti contabili, le comunicazioni interne, le relazioni trasmesse agli organi di vigilanza sequestrate otto mesi fa per ordine della magistratura di Siena e analizzate dagli specialisti della Guardia di Finanza, hanno consentito di trovare indizi concreti su questo intreccio illecito".
Agli inquirenti il compito di approfondire questo filone d'indagine, ascoltando i testimoni e cercando di ricostruire tutti i dettagli - finora nascosti - della incredibile operazione finanziaria che ha svenato la banca più antica del mondo. A conti fatti la plusvalenza sarebbe stata di quattro miliardi, con una "stecca" di un miliardo che, secondo quanto scrive il quotidiano di Via Solferino, sarebbe spettato a Jp Morgan.
Tra le persone che saranno ascoltate da pm e Guardia di finanza anche Ettore Gotti Tedeschi, ex presidente Ior e da diversi anni responsabile Santander per l'Italia (molto amico di Mussari, sulla cui agenda sono stati trovati numerosi appuntamenti con Gotti Tedeschi). Chiamato in ballo l'avvocato Marco Cardia (figlio dell'allora presidente della Consob, Lamberto Cardia) smentisce "categoricamente di aver avuto alcun incarico professionale in relazione alla vicenda o ad altra operazione comunque riguardante la Banca Monte dei Paschi di Siena o altro istituto bancario nazionale o internazionale". Sarà sentito ancora il testimone chiave Nicola Scocca, ex direttore finanziario della Fondazione, già interrogato diverse volte. Al centro delle indagini inevitabilmente c'è anche il colosso bancario Jp Morgan, indicato da Mps tra le fonti di finanziamento (un miliardo) a copertura del prezzo corrisposto a Santander per comprare Antonveneta.
Gli inquirenti intendono fare piena luce sulle modalità con le quali il Monte dei Paschi, per colmare la voragine prodottasi con l'acquisto di Antonveneta, organizzò delle operazioni a rischio molto alto (come i bond fresh del 2008) e quelle sui derivati. Ma per gli inquirenti ci sarebbe qualcosa di peggio: il valore delle azioni, infatti, potrebbe essere stato gonfiato per occultare "un disastro finanziario che i vertici del Monte Paschi avevano invece escluso".
Contro Giuseppe Mussari i pm potrebbero rivolgere le accuse di falso in bilancio e turbativa di mercato. E dietro alla famosa plusavalenza su Antonveneta (almeno due miliardi) ci potrebbe essere anche una maxi-tangente divisa tra manager e politici. Gli inquirenti cercano la prova.
Scongiurato il macigno peggiore: in relazione alle ipotesi di commissariamento per il Monte dei Paschi di Siena, l’argomento non è in discussione. È quanto si limitano a rilevare fonti della Banca d’Italia, rilevando come il governatore Ignazio Visco a Davos abbia già negato "azioni immediate
 
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Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio

22 ore fa



SFATIAMO UN'IDEA FALSA E PARASSITA MESSA IN CIRCOLAZIONE DAL SISTEMA: CHI VUOLE L'EUROPA IN GINOCCHIO NON E' LA GERMANIA NE' IL POPOLO TEDESCO.

SONO LE CORPORATION PRIVATE DELLE BANCHE CENTRALI, (BCE FED), LA FINANZA INTERNAZIONALE E PER "FINANZA INTERNAZIONALE" SI INTENDONO LE LOBBY BANCARIE PIU' POTENTI DEL MONDO (GOLDMAN SACHS - J.P. MORGAN - BANK OF AMERICA - CITYGROUP) AMMANICATE A DOPPIO ...TENTACOLO CON LE MULTINAZIONALI DEL FARMACO, DELL'ENERGIA E DELLE ARMI

QUESTI SONO I RESPONSABILI DELLA MISERIA E DELLA BRUTTURA CHE VEDIAMO DAVANTI AI NOSTRO OCCHI OGNI GIORNO, NON C'ENTRANO I POPOLI, CHE SONO VITTIMA TUTTI ALLO STESSO MODO, E I POLITICI, SOLITAMENTE ADDITATI COME I MANDANTI DELLO SFASCIO, SONO SOLO I SERVETTI DI ULTIMO GRADOVisualizza altro




QUESTO E' CORRETTO ,IN QUANTO L'EUROPA E' UNA CREAZIONE MADE IN U.S.A PER TOGLIERE OGNI TIPO DI SOVRANITA' NAZIONALE,RENDERE INUTILI GLI STATI CHE SINGOLARMENTE AVREBBERERO NUOCIUTO A LOR SIGNORI,VEDASI IL CASO OLIVETTI,USANDO UNA TESTA DI LEGNO PER DISTRUGGERLA
 
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22 ore fa


DE BENEDETTI DEVE 360 MILIONI MA CON LUI I GIUDICI NON HANNO FRETTA

Con un minimo di onestà intellettuale, persino il più anti-berlusconiano non può non constatare l'evidenza della Justitia contra personam !


http://bit.ly/16zWxJJ



La Cassazione non ha fretta quando giudica De Benedetti



 
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16 ottobrehttps://it-it.facebook.com/pages/Abbattiamo-la-Frode-Bancaria-e-il-Signoraggio/208622872545749#

"AVREMO UN GOVERNO MONDIALE, CHE VI PIACCIA O NO, LA SOLA QUESTIONE CHE SI PONE E' DI SAPERE SE QUESTO GOVERNO MONDIALE SARA' STABILITO CON IL CONSENSO OPPURE CON LA FORZA"

James Warburg, banchiere della stirpe degli Warburg, di fronte al ...Senato Americano, 17 febbraio 1950

"Non vi saranno classi di ceto medio, soltanto dominatori e servi. Tutte le leggi saranno uniformate sotto un sistema giudiziario composto da tribunali internazionali che eserciteranno lo stesso codice di leggi unificato, sostenuto da un unico corpo di polizia globale, e da un esercito mondiale unificato per far rispettare le leggi in tutte le ex-nazioni, nelle quali nessuna frontiera nazionale esisterà più."

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