Obbligazioni perpetue e subordinate Discussioni metaperpetuali

La storia ci insegna che in tempi di crisi economica le tesi più grettamente egoiste tendono a conquistare ampio favore popolare.
E' altrettanto noto che, sorretto da questo andazzo, non manca mai il tentativo di nobilitare tesi normalmente confinate al bar di paese, elevandole al rango di nuove leggende.

Forse anche in previsione del confronto elettorale europeo, Alessandro De Nicola si propone di confutare alcune di queste nuove leggende:

Con l'approssimarsi delle elezioni europee, sembra prender fiato anche in Italia una nouvelle vague anti-euro. Sono infatti contrari alla moneta unica Fratelli d'Italia e Lega Nord più qualche settore della sinistra estrema. Grillo propone un referendum per decidere sulla permanenza dell’Italia nell’euro e Forza Italia non può schierarsi per l’uscita, ma certo non se ne erge a strenuo difensore. In televisione poi imperversano opinionisti i quali, con ragionamenti più o meno articolati, sostengono che la valuta comune è all’origine dei nostri guai.
Orbene, nessuno nega che un mercato comune con moneta unica, ma senza unione né bancaria né politica né fiscale, abbia insite delle inevitabili fragilità. Tuttavia, senza mettersi a discettare della teoria delle aree valutarie ottimali, è utile riassumere alcune delle bugie più eclatanti sull’euro e immaginare un futuro scenario in cui il ministro dell’Economia Casaleggio annunci l’intenzione del governo italiano di indire un referendum o di richiedere ai nostri partner dell’Unione di negoziare l’addio alla divisa europea.
Prima bugia: l’euro ha rallentato la crescita. Non è corretto. Se vediamo le statistiche dal 1999 (anno in cui i cambi erano già fissi) al 2012, le nazioni dell’area euro sono cresciute in media dell’1% l’anno, più o meno come gli altri paesi avanzati. Solo l’Italia è a zero, indice della presenza di problemi endogeni e non comuni a tutto il Vecchio Continente.
Seconda bugia. L’euro forte ha danneggiato malamente le esportazioni. Può darsi. Non certo quelle della Germania, che è semplicemente riuscita a essere più efficiente di noi, ma, sorpresa-sorpresa, nemmeno l’export italiano. Infatti, mentre secondo i dati Ocse dal 2000 al 2012 il nostro Pil boccheggiava, il costo del lavoro per unità di prodotto cresceva e la nostra produttività diminuiva più di ogni altro paese sviluppato (ancora una volta problemi nostri), le esportazioni se la cavavano assai bene salvo un collasso nel 2009. Le conclusioni sono che le industrie aperte alla concorrenza internazionale si sono ristrutturate, hanno tenuto botta su costo del lavoro e produttività, mentre il settore pubblico, dei servizi e domestico ha fatto molto peggio. Colpa dell’euro?
Terza bugia. È scoppiata l’inflazione e una pizza al ristorante è passata da 6 mila lire a 6 euro. Anche questo è falso. Salvo fenomeni a tutti visibili che pur si sono verificati, il livello dei prezzi al consumo è rimasto sorprendentemente stabile verso il basso per un lunghissimo periodo. Anzi, se guardiamo poi al differenziale dei tassi di interesse tra il periodo prima e post ingresso in area euro, scopriamo che i tassi di interesse sono crollati e i risparmi dello Stato italiano sugli interessi pagati sul debito pubblico sono stati enormi. Alcuni studiosi li stimano addirittura in diverse centinaia di miliardi.
Vediamo ora l’effetto dell’annuncio del nuovo ministro dell’Economia. È noto che l’argomento forte dei sostenitori della exit strategyè che con la neolira finalmente potremmo svalutare e dare impulso ad esportazioni e Pil. Ipotizziamo dunque che la popolazione e i mercati prendano sul serio questo obiettivo. Personalmente io andrei in banca, toglierei tutti i miei averi, liquidi e titoli, li trasferirei immediatamente e legittimamente in un altro paese e mi libererei degli euro comprando un bel paniere di franchi, dollari, sterline e yen per evitare di essere soggetto in futuro ad una conversione forzosa dei miei risparmi da euro a svalutatissime lire nonché alla chiusura delle frontiere (provvedimento più difficile, visto che il Trattato Ue proibisce ostacoli alla libera circolazione dei capitali). Gli stranieri, che detengono più di 600 miliardi del nostro debito pubblico, farebbero lo stesso: via tutti i Btp e i Bot, e chi li tiene pretenderà di essere pagato in euro veri. Risultato? È vero che l’inflazione temporaneamente aiuta il debitore emittente titoli a tasso fisso ma più avanti l’Italia non potrebbe più rifinanziare il debito pubblico se non con obbligazioni in carissima valuta straniera o in lire con interessi altissimi e quindi provocando comunque il collasso delle finanze pubbliche. Le banche non avrebbero più uno spicciolo depositato e di conseguen- za non potrebbero più prestarli. Ci sarebbe unsuper credit crunchcon fallimentisiadelle banche più deboli (che avrebbero in portafoglio Bot svalutati, dovendo però pagare in pieno i debiti con l’estero) che di migliaia di quelle stesse aziende le quali avrebbero dovuto approfittare della mitica svalutazione ma che si ritroverebbero senza fidi.
In una simile situazione la sfiducia sarebbe generalizzata: investimenti e consumi crollerebbero, mentre l’emigrazione di imprese e persone di alta qualità aumenterebbe.
Ma alla fine le nostre poche imprese sopravvissute riuscirebbero ad esportare di più? Secondo i diretti interessati mica tanto. Il Centro studi della Confindustria ha spiegato che il 60% del valore dei prodotti italiani è costituito da materie prime o semilavorazioni importate il cui prezzo ovviamente aumenterebbe immediatamente, mentre, prima di vedere gli effetti positivi del basso valore della lira, ci vorrebbero da 6 mesi a un anno. Inoltre, ci sarebbero subito svalutazioni di altre nazioni e nel frattempo, al riparo della moneta debole, le nostre imprese perderebbero competitività, risparmiando sull’innovazione ed evitando la riconversione industriale, pagando di lì a pochi anni la sbornia della liretta.
Il tutto accadrebbe mentre i lavoratori dipendenti e i pensionati (nonché gli autonomi, perché non si possono alzare troppo gli onorari se nessuno compra) si vedrebbero mangiati gli stipendi dall’inflazione galoppante (classica conseguenza della svalutazione).
Insomma, l’escapismo monetario individua la soluzione facile dell’uscita dall’euro per risolvere i nostri problemi, senza procedere alle necessarie riforme che consentano la flessibilità del mercato del lavoro e l’apertura dei mercati del prodotto nonché decurtino burocrazia, spesa pubblica, tasse e debito pubblico. È solo un sogno dalla bizzarra caratteristica che se si avverasse diventerebbe un incubo.
 
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Forse anche in previsione del confronto elettorale europeo, Alessandro De Nicola si propone di confutare alcune di queste nuove leggende:

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Bentornato.


De Nicola è efficace assai (l'escapismo monetario è da incorniciare), unico difetto : somiglianza disarmante con Belpietro , specialmente nella prosa e nel ghigno.

Era una delle punte di diamante di un certo movimento politico.
Il Professor Monti preferì allearsi con Casini, piuttosto che imbastire qualsiasi trattativa con costoro. Non volle nemmeno sedersi al tavolo con loro.

Sono sicuro che te lo ricordi...;)
 
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Bentornato.


De Nicola è efficace assai (l'escapismo monetario è da incorniciare), unico difetto : somiglianza disarmante con Belpietro , specialmente nella prosa e nel ghigno.

Era una delle punte di diamante di un certo movimento politico.
Il Professor Monti preferì allearsi con Casini, piuttosto che imbastire qualsiasi trattativa con costoro. Non volle nemmeno sedersi al tavolo con loro.

Sono sicuro che te lo ricordi...;)

Ciao Amorgos,

ho ripreso quell'articolo perché, a mio parere, riassume in modo chiaro e difficilmente confutabile (ma le vie della faziosità sono infinite...) alcuni dati oggettivi.

Se poi qualche severo censore trovasse errori o difetti nel suo "stile letterario", o nei percorsi dei suoi (mancati) compagni di viaggio, allora non potrei non citare l'evangelico: "Chi è senza peccato..."
 
agli anti euro della lira (o del franco ) e delle loro ragioni economiche non frega niente,sono contro l'europa perchè sono contro le elites cosmopolite e benpensanti,sono l'espressione di una petite bourgeoisie fascistoide nazionalista e populista
 
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Forse anche in previsione del confronto elettorale europeo, Alessandro De Nicola si propone di confutare alcune di queste nuove leggende:

Bentrovato, Rott :)
Articolo interessante, e per molti versi condivisibile.

Per quel che mi riguarda ... l'euro è una realtà. E' stato concepito forse male ed implementato probabilmente peggio (non si comincia a costruire una casa dal tetto...), ma pensare di tornare indietro oggi mi sembra completamente improponibile.

Il mondo va avanti, e non è più quello degli anni 70 ... quando noi eravamo i cinesi, e la nostra posizione geostrategica 'incentivava' le potenze di allora a 'sostenerci'.

A chi pensa che uscendo dall'euro faremmo un dispetto ai tedeschi, lascio volentieri qualche link ... :-o :rolleyes:

Se l' Europa non ci vuole come partner
UN FACCIA A FACCIA TRA CARLI E WAIGEL SULLA ' MONETA UNICA' - la Repubblica.it
LA LIRA PREME SUL FRANCO E POEHL SUGGERISCE: ' UNIONE CEE A 2 VELOCITA - la Repubblica.it
POEHL FRENA I DODICI SULLA MONETA UNICA - la Repubblica.it
NON SPARATE SULLA GERMANIA - la Repubblica.it
 
Bentrovato, Rott :)
Articolo interessante, e per molti versi condivisibile.

Per quel che mi riguarda ... l'euro è una realtà. E' stato concepito forse male ed implementato probabilmente peggio (non si comincia a costruire una casa dal tetto...), ma pensare di tornare indietro oggi mi sembra completamente improponibile.

Il mondo va avanti, e non è più quello degli anni 70 ... quando noi eravamo i cinesi, e la nostra posizione geostrategica 'incentivava' le potenze di allora a 'sostenerci'.

A chi pensa che uscendo dall'euro faremmo un dispetto ai tedeschi, lascio volentieri qualche link ... :-o :rolleyes:

Se l' Europa non ci vuole come partner
UN FACCIA A FACCIA TRA CARLI E WAIGEL SULLA ' MONETA UNICA' - la Repubblica.it
LA LIRA PREME SUL FRANCO E POEHL SUGGERISCE: ' UNIONE CEE A 2 VELOCITA - la Repubblica.it
POEHL FRENA I DODICI SULLA MONETA UNICA - la Repubblica.it
NON SPARATE SULLA GERMANIA - la Repubblica.it

Ciao Yunus,

se certi processi storici si realizzassero solo secondo logica, probabilmente finirebbero per non realizzarsi mai...:(
Solo il tempo ci dirà se l'aver lanciato il cuore (ma forse dovremmo dire: la moneta) oltre l'ostacolo si rivelerà la mossa giusta.

Nel frattempo, aggiungo un'altra opinione pro-euro:



“Quanto costa uscire dall’euro”, di Tito Boeri
Saranno pure semi-vuoti i teatri della tournée siciliana di Beppe Grillo. Ma le urne degli euroscettici erano piene in Francia e in Ungheria. Vediamo le ultime proiezioni sul primo vero voto europeo.
Accreditano gli euroscettici di circa 150 seggi sui 751 nel nuovo Parlamento europeo, decisivi nello spostare la maggioranza a favore dei socialdemocratici o dei popolari. Nei paesi del Sud gli euroscettici sostengono la causa dell’opposizione all’austerità imposta dalla Germania, mentre al Nord prendono di mira gli immigrati che provengono dai paesi del Sud-Europa, compresi bulgari e romeni che fuggono dalla crisi in Spagna e in Italia. Il collante del populismo continentale è il rigetto della moneta comune. È un euroscetticismo con il simbolo dell’Euro al posto della “e”.
Gli argomenti utilizzati da chi propugna l’uscita unilaterale dell’Italia dall’Euro si giovano del fatto che non ci sono precedenti storici. Si può dire tutto e il contrario di tutto senza timore che qualcuno dal pubblico alzi la mano contraddicendo chi parla coi propri ricordi. Ma alcuni argomenti ricorrenti degli anti-euro nostrani sono talmente sconclusionati che non hanno bisogno di essere smentiti dalla storia. Fra questi l’idea che l’uscita dall’euro ci porterà a pagare meno tasse. Uno dei volantini del Movimento per l’Uscita dell’Italia dall’Euro, stranamente con sede a Londra e animato da persone che presumibilmente hanno redditi, se non patrimoni, all’estero, attribuisce all’euro qualsiasi aumento delle tasse della storia repubblicana. Si risale addirittura alle manovre di Rino Formica del 1990. E naturalmente, appena usciti dall’incubo euro, queste tasse evaporerebbero come d’incanto. Con una pressione fiscale al 60 per cento (per chi le tasse le paga davvero), l’idea è alquanto suggestiva. Ed è un vero peccato doverla smontare.
Se l’Italia dovesse uscire dall’Euro, il nostro debito pubblico potrebbe solo aumentare. C’è una quota di titoli di Stato e di prestiti contratti dallo Stato italiano sui mercati
internazionali, che aumenterebbe in proporzione alla svalutazione della lira nei confronti dell’euro e delle monete in cui i nostri titoli sono denominati. La parte restante potrebbe essere ridenominata in lire causando perdite ingenti agli investitori stranieri che hanno nostri titoli in portafoglio. Sarebbe come un ripudio unilaterale del debito, cui seguirebbe inevitabilmente un lungo periodo di chiusura del nostro paese ai mercati internazionali. Questo significa di fatto uno spread che tende all’infinito, un destino paradossale dopo che siamo riusciti a riportare i tassi di interesse sui nostri titoli decennali al minimo storico. E come pagare questi interessi più alti se non con nuove tasse?
Certo, a quel punto ci sarebbe sempre la possibilità di ripudiare anche il debito in lire, non rimborsando i titoli di Stato alla scadenza, una mossa serenamente evocata in televisione da Beppe Grillo. Peccato che anche questa sarebbe una tassa, una patrimoniale sui risparmiatori italiani che hanno investito i loro risparmi in titoli di Stato. E che patrimoniale! Quando si parla di tassare i patrimoni si ragiona su aliquote al massimo del 5 per mille. Qui si avrebbe una tassa che può arrivare fino all’80 per cento dei risparmi di una famiglia italiana, in genere appartenente al ceto medio (i ricchi hanno patrimoni maggiormente diversificati). Un altro argomento utilizzato dagli anti-euro è che il debito potrebbe essere monetizzato, facendo comprare alla banca centrale, che può stampare moneta, le nuove emissioni di titoli di Stato, sempre che il Governatore di Bankitalia si presti a questa politica. Per fortuna abbondiamo di precedenti storici di monetizzazione del debito. Basti pensare ai miniassegni sul finire degli anni ‘80 scambiati in fretta e furia prima che perdessero valore, un surrogato di una moneta che ogni giorno vedeva erodersi il proprio potere d’acquisto, con un’inflazione a due cifre. Certo, quando l’inflazione aumenta, i debitori, tra cui lo Stato italiano, vedono ridursi il valore di quanto devono ripagare. Ma a fronte di questi debitori contenti, ci sono creditori che piangono, famiglie italiane che hanno messo i risparmi in titoli di Stato o in attività che non sono indicizzate all’inflazione e che perderebbero molti soldi. Anche questa, dopotutto, è una tassa, la tassa da inflazione. Ed è utile notare che l’inflazione colpisce sempre le persone più vulnerabili, quelle che non sono in grado di avere redditi indicizzati ai prezzi e che perciò vedono ridursi il loro potere d’acquisto del 10-15% ogni anno, un calo dei redditi reali che non si è visto neanche durante questa interminabile recessione.
Ma la carta vincente di chi si batte contro l’euro è che un governo non più sotto il giogo dell’austerità tedesca potrebbe fare quelle politiche espansive che servono a far ripartire l’economia. Strano che a sostenere queste tesi siano gli stessi movimenti che, non senza qualche merito, si battono a parole contro la casta. Davvero credono che politici lasciati liberi di spendere e spandere si occuperebbero del bene comune e non tornerebbero ad accordarsi lauti compensi? Perché deresponsabilizzare la nostra classe dirigente, perché perdonare i monocolori e i pentapartito sotto i quali il debito pubblico è esploso o i 10 anni di politica economica di Berlusconi che hanno utilizzato la minor spesa per interessi per aumentare altra spesa corrente? È la stessa accondiscendenza che mostra la lista Tsipras, candidato da intellettuali italiani in quanto “greco” perché «rappresenta il Paese che soffre di più per le politiche di austerity». Peccato che la crisi del debito nell’area Euro che ha portato miseria a milioni di europei sia scoppiata perché nel 2009 il deficit pubblico greco si è rivelato essere del 15,6% contro il 3% previsto dai trattati firmati dal governo greco, con politici e banchieri centrali ellenici che avevano truccato i conti.
Ci saranno dunque maggiori tasse in caso di uscita dall’Euro. E non abbiamo considerato le tasse nella transizione, nel passaggio dall’euro alla lira. Ci torneremo.
 
...e di già che ci siamo, vale la pena di leggersi anche questo articolo di Angelo Baglioni, del quale (nessuna malizia da parte mia :) ) segnalo qui un breve profilo:

Angelo Baglioni | Lavoce.info

Uscire dall’euro? No, grazieEUROPA
04.04.14
Angelo Baglioni

Il dibattito politico in vista delle elezioni europee è condizionato dalla propaganda di alcuni schieramenti politici, che fanno dell’uscita dell’Italia dall’Euro la loro bandiera, facendo leva sul malcontento creato dalla crisi economica e sulla distanza che separa sempre di più le istituzioni europee dai cittadini. È bene sgombrare il campo da equivoci e false convinzioni. Partiamo da alcune affermazioni, che possono essere ritenute “rappresentative” della corrente di pensiero anti-euro e cerchiamo di capire perché esse non sono corrette e cosa invece ci sia di vero in alcune di esse.

1) L’uscita dall’Euro può essere fatta nel giro di un week-end.
FALSO. La fase di transizione sarebbe molto difficile e rischiosa: in previsione dell’uscita dall’Euro, vi sarebbero forti spinte alla fuga di capitali all’estero, dettate dal timore di vedere i propri risparmi convertiti in una moneta destinata a svalutarsi. Per gestire la situazione occorrerebbe introdurre vincoli ai movimenti di capitale e probabilmente anche alla possibilità di ritirare denaro dalle banche. Questi vincoli dovrebbero durare per tutto il periodo necessario a convertire i sistemi informativi e contabili delle banche alla “nuova lira”, oltre che per introdurre le nuove banconote e monete. Ricordiamoci che l’euro è stato introdotto con un periodo di transizione di tre anni (1999-2001), durante il quale vi è stata una sorta di doppia circolazione di euro e lira, per quanto riguardava la moneta bancaria (in pratica per tutti i tipi di pagamenti tranne le banconote e le monete, che sono state introdotte all’inizio del 2002).

2) L’uscita dall’Euro ci consentirebbe di aumentare produzione e occupazione, grazie alla svalutazione e al conseguente aumento di competitività.
FALSO, AL DI LA’ DEL BREVE PERIODO. È vero che l’impatto immediato della svalutazione sarebbe un guadagno di competitività. Tuttavia, esso sarebbe presto compensato dalla ripresa dell’inflazione, dovuta alla svalutazione della “nuova lira”: la spirale svalutazione-inflazione è un fenomeno che l’Italia conosce bene, alla luce dell’esperienza degli anni Settanta-Ottanta. Inoltre, l’Italia subirebbe molto probabilmente ritorsioni commerciali dagli altri paesi, che non starebbero a guardare inerti di fronte alla perdita di competitività conseguente alla rivalutazione della loro moneta rispetto alla “nuova lira”. Bisogna anche considerare le conseguenze per lo scenario macroeconomico europeo. L’uscita dell’Italia dalla zona euro comporterebbe la fine della moneta unica: partirebbe subito la speculazione contro i paesi destinati a seguire le sorti dell’Italia. La perdita di fiducia e la fuga di capitali dall’Europa getterebbero il continente in una pesante recessione, che investirebbe anche il nostro paese.

3) La conversione dei titoli pubblici nella nuova lira, svalutata, alleggerirebbe il peso del debito pubblico.
FALSO. Nell’ipotesi migliore, quella in cui tutto il bilancio pubblico venga ridenominato nella nuova lira, l’operazione sarebbe neutrale: tutte le entrate e le uscite del settore pubblico sarebbero in lire; in particolare, teniamo presente che tutti i redditi e i patrimoni, che sono la base imponibile che fornisce il gettito fiscale necessario per ripagare il debito, sarebbero in lire. Nell’ipotesi peggiore, in cui alcuni titoli di stato (emessi sui mercati internazionali) non possano essere ridenominati, il peso del debito pubblico aumenterebbe, perché parte di esso resterebbe in euro e si rivaluterebbe rispetto alla nuova lira (in pratica sarebbe un debito in valuta estera, destinata a rivalutarsi rispetto alla valuta nazionale). In aggiunta, questo problema riguarderebbe tutti i soggetti (imprese e banche), che hanno debiti verso soggetti esteri: il contenzioso sarebbe enorme, e in caso di esito sfavorevole alcuni di loro potrebbero ritrovarsi con un debito in valuta estera rivalutata, con un danno economico potenzialmente notevole.

4) La politica monetaria tornerebbe nelle mani della Banca d’Italia, e questo consentirebbe di “monetizzare” il debito pubblico.
VERO, MA… È vero che ci riprenderemmo la sovranità monetaria, e che la nostra banca centrale potrebbe comprare titoli pubblici, comprimendo così il costo del servizio del debito. È anche vero però che se la Banca d’Italia non fosse d’accordo con questa linea di intervento, il governo dovrebbe imporsi su di essa, limitandone fortemente l’autonomia, valore ritenuto da tutti importante per una banca centrale. Ma, soprattutto, la soluzione della monetizzazione ha almeno due controindicazioni. 1) L’aumento della quantità di moneta finisce prima o poi per esercitare una pressione inflazionistica: non è un problema attuale, ma potrebbe esserlo in futuro, soprattutto in uno scenario di spirale svalutazione-inflazione. 2) La “valvola di sfogo” della monetizzazione ha un ovvio effetto di azzardo morale: quale governo sarebbe indotto a tenere sotto controllo i conti pubblici, se sa che può sempre imporre alla banca centrale di comprarsi i titoli del debito pubblico?
Al di là di queste obiezioni, bisogna ricordare che l’acquisto di titoli pubblici (sul mercato secondario) è già attualmente previsto tra gli strumenti a disposizione della Bce (con il programma Omt), ed è già stato attuato, seppure in misura molto limitata (con le operazioni del Smp). Tuttavia, su questo fronte la Bce è costretta a muoversi con molta prudenza, scontrandosi contro la resistenza tedesca. Una delle ragioni di queste tensioni deriva dal fatto che, in caso di intervento, la Bce sarebbe costretta a comprare titoli di stato di singole nazioni, prestando così il fianco a chi la accusa di favorire alcuni governi (altamente indebitati). L’azione della Bce sarebbe facilitata se esistesse un debito federale (come negli Usa), che essa potrebbe acquistare. Ma ciò presuppone un salto di qualità nel processo di integrazione, che ci porti ad avere un bilancio e un debito a livello di federazione europea. E questo ci porta al punto seguente.

5) L’euro è un progetto economico fallito.
FALSO. Anzitutto l’euro non è un progetto economico, bensì politico. L’euro è stato introdotto in un’area economica caratterizzata da scarsa mobilità del lavoro e un livello di integrazione fiscale molto basso (il bilancio della Ue è una piccola percentuale del Pil dell’area): era chiaro fin dall’inizio che non si trattava di un’area valutaria ottimale. La sfida dei “padri fondatori” dell’euro era quella di “forzare” i paesi europei a fare un salto verso una maggiore integrazione fiscale e politica. Questo progetto è rimasto incompleto. La soluzione è completare il processo che ci deve portare verso una vera federazione di stati europei, non abbandonare il progetto.

6) L’Europa è lontana dai suoi cittadini.
VERO. Le istituzioni comunitarie, a cominciare dalla Commissione, sono complesse e in larga parte sconosciute dai cittadini; sfornano regole sempre più difficili da comprendere, perfino per gli addetti ai lavori (si pensi alle regole sulla finanza pubblica: fiscal compact, two-pack, six-pack, semestre europeo, etc.). Bisogna fare un enorme sforzo per avvicinare le istituzioni europee ai cittadini: semplificarle e legittimarle democraticamente. Se i leader politici europei non sapranno investire in questa direzione, anche vincendo la prevedibile resistenza della burocrazia di Bruxelles, sarà difficile averla vinta sul populismo anti-europeo.
 
ITAR-TASS: World - Lavrov, Ashton discuss possible steps on int?l settlement of Ukrainian crisis

Certe notizie continuano a uscire solo sulla TASS.

Ma cosa capperi aspetta l'Europa (ossia la Merkel, il resto è panna montata) a mettere in piedi questo tavolo ?

Aspettiamo una bella autobomba a Donetsk con 26 morti ?

Putin ha zero voglia di entrare in Ucraina (a lui interessava solo la Crimea, per il resto gli basta un'Ucraina finlandesizzata), ma nel caso si inasprisse il tutto non potrebbe agire diversamente.

Sveglia.

Intanto la settimana prossima nuovo vertice Lavrov-Kerry(magari dopo se ne torna in Arabia Saudita, a parlare degli interessi strategici che gli stanno a cuore)...e lasciamo fare sempre agli USA* poi lamentiamoci...:wall:

*pare che ci sia uno strapuntino anche per gli europei.
 
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