DSA: “Digital Services Act” ovvero CENSURA europea

E come ogni economia di guerra che si rispetti, la censura è un'arma che viene impiegata per imporre conformismo e serrare i ranghi. Ormai è difficile che non venga notato ovunque, soprattutto perché i costi di questa campagna continuano a lievitare e senza una fonte di denaro facile con cui finanziarla l'UE crollerà sotto il peso delle sue contraddizioni. Il Digital Markets Act (DMA) è diventato il fulcro della disputa transatlantica. Donald Trump insiste per avere voce in capitolo nell'interpretazione delle norme che, come il DSA, colpiscono principalmente le piattaforme di comunicazione statunitensi dominanti (es. X e Meta). In sostanza, Bruxelles mira a far rispettare le sue linee di politica di censura proprio su quelle piattaforme che stanno diventando sempre più importanti per il dibattito pubblico. Mascherato nella formula “incitamento all'odio”, lo spazio della comunicazione digitale deve essere sottoposto al controllo della censura pubblica. Bruxelles ha notato che le contro-narrazioni che prendono di mira l'eco-autoritarismo si stanno formando principalmente su queste piattaforme e mettono sempre più a nudo il funzionamento e gli obiettivi dell'apparato di potere dell'UE. Per garantire la propria politica di censura, Ursula von der Leyen e il suo apparato burocratico a Bruxelles accettano di buon grado che, alla fine, siano le aziende e i consumatori europei a pagare il prezzo della mania di controllo dell'UE attraverso dazi più elevati. Gli Stati Uniti manterranno l'attuale regime tariffario fino a quando non verrà raggiunto un accordo sulla gestione della politica di censura europea. La posizione intransigente di Washington fa sperare che Bruxelles subirà un duro colpo nel suo tentativo di instaurare una dittatura digitale.
 
Mentre sul campo di battaglia i progressi russi appaiono sempre più irreversibili, e la vittoria di Mosca diviene sempre più certa, nei Paesi dell'Ue che sostengono Kiev la libertà di espressione è sempre più sotto attacco, ovviamente in nome della lotta alla "disinformazione russa".
E anche da noi in Italia le persecuzioni dei dissidenti sono sempre più esplicite.
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UE : come ci censura​


Maurizio Blondet 17 Novembre 2025
L’ultimo progetto di Ursula von der Leyen, lo “Scudo democratico”, rappresenta una pericolosa escalation nella costruzione da parte dell’UE di una macchina di censura a livello continentale. Questi strumenti, come il Digital Services Act (DSA), pretendono di proteggere i cittadini e la democrazia da “fake news”, “disinformazione” e “interferenze straniere”.

In realtà, il loro scopo è controllare la narrazione e reprimere il dissenso in un momento in cui le élite politiche europee si trovano ad affrontare livelli senza precedenti di sfiducia pubblica,
centralizzando il controllo sul flusso di informazioni e imponendo un’unica “verità” definita da Bruxelles.
Non si tratta di proteggere la democrazia, ma piuttosto di proteggere l’establishment dalla democrazia stessa. Se associato ad altre iniziative, come il piano di von der Leyen di creare un apparato di intelligence sovranazionale simile alla CIA, questo indica una tendenza più ampia e profondamente inquietante alla centralizzazione del potere nelle mani della Commissione – e di von der Leyen in persona. La vera guerra alla democrazia non è condotta da Mosca o Pechino, ma da Bruxelles. Come ha affermato di recente un diplomatico dell’UE, in pieno stile orwelliano: “La libertà di parola rimane per tutti. Allo stesso tempo, però, i cittadini devono essere liberi da interferenze”.
Ma chi decide cosa costituisce “interferenza”? Chi stabilisce cosa è “vero” e cosa è “falso”? Le stesse istituzioni e gli stessi organi di informazione aziendali che si sono ripetutamente dedicati a diffondere allarmismo e disinformazione. Solo poche settimane fa, Ursula von der Leyen ha affermato che il sistema GPS del suo aereo era stato disturbato dalla Russia, un’accusa rapidamente smentita dagli analisti.

Nel frattempo, la BBC, spesso considerata un modello di integrità giornalistica, è stata recentemente sorpresa a modificare le riprese di un discorso di Donald Trump per renderlo più estremo. E che dire della copertura mediatica ininterrotta delle presunte “incursioni di droni russi” in tutta Europa a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane, per le quali non è stata fornita alcuna prova?

L’UE afferma di proteggere i cittadini dalle “falsità”, ma su quale base democratica o morale la Commissione si attribuisce l’autorità di decidere cosa sia vero, soprattutto quando è chiaro che lo stesso establishment politico-mediatico dell’UE si dedica regolarmente alla disinformazione e alla propaganda? Inoltre, quando i cosiddetti fact-checker indipendenti vengono selezionati e finanziati dalla Commissione stessa, il risultato è un circolo vizioso: l’UE finanzia istituzioni che poi “verificano” e amplificano le narrazioni dell’UE stessa.
Lo Scudo Democratico, come i suoi predecessori, istituzionalizza quindi il potere di definire la realtà stessa. Non si tratta di una novità. Come ho dimostrato in diversi recenti rapporti, l’Unione Europea gestisce già un vasto apparato di propaganda e censura che abbraccia ogni livello della società civile: ONG, think tank, media e persino il mondo accademico. Il fulcro di questo sistema è una rete di programmi finanziati dall’UE – in particolare CERV (Cittadini, Uguaglianza, Diritti e Valori), Europa Creativa e l’iniziativa Jean Monnet – che collettivamente convogliano miliardi di euro in organizzazioni che sono, in teoria, “indipendenti”, ma che di fatto sono profondamente invischiate nella macchina di Bruxelles.
 

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