Principio di SUSSiDiARiETà Europea.... la chiamano così

tontolina

Forumer storico
ABC: Il principio di sussidiarietà secondo l’UE
Fonte: abc-il-principio-di-sussidiarieta-secondo-lue/ del 4/4/2016
A livello europeo esiste il principio di sussidiarietà, ex art 5 del Trattato UE che così recita:
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La sussidiarietà avrebbe dovuto offrire l’unico importante appiglio di sovranità nazionale agli Stati membri consentendo loro di esercitare ancora la sovranità legislativa in quei settori in cui sia più “efficiente” realizzarla a livello nazionale, ma in realtà non è così. E vi spiego perché.

La sussidiarietà può essere applicata in tutti quei settori non di “competenza esclusiva” dell’UE. I settori di competenza esclusiva dell’UE sono, ex art 3 Trattati TFUE:

  1. l’Unione doganale
  2. la Concorrenza (definizione delle regole necessarie al funzionamento del mercato interno)
  3. Politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l’euro;
  4. Conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca;
  5. Politica commerciale comune.
Sempre ai sensi dello stesso articolo, l’UE ha competenza esclusiva nella firma di trattati internazionali nell’ambito delle sue competenze.

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Ciò significa che per tutti i settori non di competenza esclusiva dell’UE (di cui sopra), i parlamenti nazionali possono esercitare in teoria il diritto di sussidiarietà. Come?

Ai sensi del Protocollo n2 dei Trattati consolidati di funzionamento dell’Unione europea (TFUE), art. 6, i parlamenti nazionali hanno otto settimane di tempo dalla data di trasmissione di un progetto di atto legislativo “nelle lingue ufficiali dell’Unione” per inviare un parere motivato ai presidenti di Consiglio, Commissione e Parlamento europeo in cui si spiega perché non si ritiene che il progetto sia conforme alla sussidiarietà. E’ mai stato applicato in Italia? Non mi risulta.

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Se il Parlamento ottiene un terzo dei voti a favore del parere motivato all’UE per infrazione della sussidiarietà – previa la consultazione di eventuali parlamenti locali ove sia previsto – gli organi interessati da tale progetto legislativo hanno il dovere di riesaminare il progetto ma, e qua arriva la chicca, comma 2 dello stesso articolo, al termine del riesame:

la Commissione o, se del caso, il gruppo di Stati membri, il Parlamento europeo, la Corte di giustizia, la Banca centrale europea o la Banca europea per gli investimenti, se il progetto di atto legislativo è stato presentato da essi, può decidere di mantenere il progetto, di modificarlo o di ritirarlo. Tale decisione deve essere motivata.

I commi 3a e 3b completano il cappio alla sovranità e alla democrazia degli Stati nazione: per ritirare il progetto di legge contestato ci vuole la maggioranza del parlamento europeo o il 55% dei voti del Consiglio Europeo che è costituito dai ministri competenti.

Quindi per concludere, i parlamenti nazionali possono esercitare la sussidiarietà solo per finta visto che i loro pareri motivati non sono vincolanti e che solo una votazione a maggioranza del Consiglio o del Parlamento europeo può ritirare una legge che non rispetti la sussidiarietà in una materia non di competenza esclusiva dell’Unione.

Ma c’è di più: per le materie di “competenza concorrente” con gli Stati membri, questi ultimi possono legiferare in modo vincolante solo nella misura in cui l’UE non abbia esercitato la sua competenza o l’abbia cessata. Ciò significa che si può dire tutto, tranne che gli Stati membri hanno una competenza concorrente, visto che è subordinata all’esercizio di tale competenza da parte dell’UE: quindi il linguista oops scusate il giurista avrebbe dovuto chiamarla “subordinata” perché questo è.

E quali sono queste competenze cosiddette “concorrenti” ma in realtà subordinate degli Stati membri? Ce lo dice l’articolo 6 del TFUE. Niente meno che quelle dei seguenti settori:

a) mercato interno; b) politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel trattato; c) coesione economica, sociale e territoriale; d) agricoltura e pesca, tranne la conservazione delle risorse biologiche del mare; e) ambiente; f) protezione dei consumatori; g) trasporti; h) reti transeuropee; i) energia; j) spazio di libertà, sicurezza e giustizia; k) problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente trattato.

La cessione di sovranità è quindi ancora più mostruosa di quanto non potessimo immaginare mentre il paese dormiva, cullato da media soporiferi e intellettuali del tutto peri-patetiche che tuttora continuano a non guardare in faccia a nessuno quando si tratta di briciole di esibizionismo personale o di qualche mollica di pane in più nella ciotola. Una lotta intestina tra i cosiddetti “intellettuali” della dissidenza sta infestando l’ambiente impedendo in tutti i modi la formazione di un vero movimento coeso e organico che possa, con la consapevolezza, la volontà e la strategia, esercitare la vera sovranità, a tutti i livelli, che sia personale, nazionale o europeo.

Sebbene i pareri motivati non siano vincolanti, ritengo che i parlamenti nazionali debbano cominciare a intasare gli organi dell’UE di pareri motivati sull’infrazione del principio di sussidiarietà.

Da un attento esame dei Trattati, in realtà, si potranno cogliere tutti gli strumenti da ostentare per far valere la Carta dei diritti fondamentali, vincolante dal 2009 a tutti gli effetti e quanto i Trattati stessi, nonché tutte le loro contraddizioni con la Carta, oltre che le incoerenze interne e i principi degli stessi disattesi negli atti legislativi dell’UE, tali da poterne richiedere la nullità o il riesame; motivarne la protesta politica e disporre di uno strumento negoziale importante al momento di volere strappare importanti deroghe nazionali a livello europeo.

Nicoletta Forcheri 4/4/2016
 
Che fare? Resistere!


di Aldo Scorrano*

e Francisco La Manna**

(*Presidente e **Vicepresidente di CSEPI – Centro Studi Economici per il Pieno Impiego)

“Il principio di sussidiarietà, in diritto, è il principio secondo il quale, se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito, l’ente superiore non deve intervenire, ma può eventualmente sostenerne l’azione.”

Il principio di sussidiarietà è stato ufficialmente sancito dal trattato di Maastricht e poi in quello di Lisbona.

Nel nostro caso è evidente che l’ente “inferiore”, lo Stato membro chiamato Italia, è incapace di “svolgere bene” il compito di assicurare uno stato assistenziale pieno e dignitoso, per un’insieme di regole e vincoli stringenti dettate dall’ente superiore, l’Unione Europea, la quale non deve intervenire ma può “sostenere l’azione” dello stato membro, cosa che risulta estremamente difficoltosa. Tuttavia, de facto, l’ente superiore, non ‘vuole’ politicamente, non ‘può’ giuridicamente, non ‘deve’ economicamente aiutare l’ente inferiore.


Come se ne esce?


Qualcuno sostiene che la “Brexit” sia una evidenza empirica dell’insostenibilità del “sistema Europa” intesa come UE, della cd. “governance”, per cui meglio uscire dalla morsa unionista, tentando di trovar fortuna al di fuori del perimetro vessatorio imposto da Bruxelles.
Si scontrano dunque due visioni: da una parte la pletora mainstream che non si stanca di ricordarci quotidianamente che nel caso in cui il nostro Paese abbandonasse l’Europa Matrigna farebbe esperienza di disastri economici e sociali maggiori; dall’altra assistiamo a ricette politiche ingenuamente radicali e prive di scenari programmatici adeguati a risolvere gli innumerevoli conflitti sociali che ne scaturirebbero!

Esiste una terza via?

Fermo restando che, a nostro giudizio, l’Unione Europea è irriformabile “da dentro”, e volendo concedere il beneficio del dubbio a chi ritiene il contrario, le riforme da attuare sarebbero tante e tali da determinare una vera “rivoluzione” dell’Unione, un ribaltamento dello status quo che le stesse élites, compresa una larga fetta del mondo imprenditoriale globalista, impedirebbero con ogni mezzo, per cui ci pare abbastanza chiaro che tale alternativa, seppur auspicabile, sia invece politicamente impraticabile a causa dell’enorme disparità delle potenze di fuoco in campo.

Anche perchè, la percezione che abbiamo ogniqualvolta si invoca il fatidico cambiamento è che la governance allenterà solo mediaticamente la morsa, soprattutto per l’evidenza suggerita dall’empirica constatazione dei pregressi tentativi pseudoriformisti (la politica monetaria della BCE inefficace, il piano Junker, gli investimenti verdi della Der Layen), magari con aperture temporanee “della valvola di ossigeno”: quel poco necessario dunque per far superare l’ennesima emergenza, scandito da campagne mediatiche sensazionalistiche, per poi richiudere la valvola di nuovo e presentare il conto “dell’ossigeno respirato”.

Non resterebbe quindi che la via della “rottura” degli accordi giuridici, economici e monetari, nonchè politici, che aprirebbero, però, scenari complessi quanto poco gestibili dalle attuali classi politiche nazionali.
Pertanto, dati gli attuali rapporti di forza, endogeni all’Europa ed esogeni rispetto gli USA, ci domandiamo:
1. chi sarebbe in grado di portare avanti questo processo, soprattutto senza un appoggio esterno (che in questo momento storico potrebbe arrivare dalla Russia) che “garantisca” una sorta di protezione internazionale?
2. quali forze politiche sarebbero in grado di gestire l’uscita dall’UE e dall’UME?
3. con riferimento proprio all’euro, siamo proprio sicuri che le forze politiche del momento sappiamo cosa fare, in tema di politica monetaria, fiscale, industriale e del lavoro?
4. ad esempio, nel campo economico, a cosa serve “uscire” dall’attuale sistema monetario se si resta imbrigliati nelle stesse logiche e dinamiche appannaggio di una “visione” abbondantemente superata, tipica della teoria neoclassica o marginalista, o perseverando nel mito dell’export (svalutare – moneta/lavoro – per esportare), come da “tradizione” di una certa politica economica italiana?

Sic stantibus rebus, noi temiamo che in tale prospettiva – priva di una coscienza sociale e orfana di una conoscenza esatta dei rapporti di forza degli attori in campo e con proposte di politica economica completamente sbagliate – la realtà sia tragicamente più complicata e che possa quindi essere molto più auspicabile optare per una “terza via passiva”, cioè quella di Fabio Massimo Quinto “il Temporeggiatore”: bisogna prendere atto che siamo in una fase di resistenza e il nostro Paese oggi è privo di quel sistema immunitario che gli consentirebbe la possibilità di vincere la guerra con il suo oppressore malato ed è costretto ad attendere la mossa sbagliata di qualcun altro, aspettando che il morbo dell’insostenibilità, soprattutto fiscale, faccia il suo corso, magari coadiuvato dalla spinta dell’ottusità della Commissione Europea e del Consiglio d’Europa.
 

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