è fatta: capitalia+unicredito

tontolina

Forumer storico
Capitalia/Unicredit, al via i cda su fusione, Arpe lascia
domenica, 20 maggio 2007 3.00


di Paolo Biondi e Alberto Sisto

ROMA/MILANO (Reuters) - Sono in corso i consigli di amministrazione di Capitalia e Unicredit dai quali è atteso il via libera a un piano di incorporazione della banca romana in quella milanese che darà vita ad un colosso da 100 miliardi di capitalizzazione, primo nella zona euro.

In attesa del via libera formale dei consiglieri il progetto ha già innescato la prima reazione, peraltro attesa: l'amministratore delegato Capitalia Matteo Arpe ha annunciato che lascerà la banca a fine mese.

La fusione è stata approvato stamattina dal patto di sindacato di Capitalia, che controlla il 31% delle azioni. All'unanimità i soci forti di Capitalia hanno dato mandato al presidente del patto Vittorio Ripa di Meana di votare a favore del progetto nell'assemblea straordinaria di Capitalia.

In consiglio di amministrazione di Capitalia è al momento sospeso per fare in modo che la sua approvazione del piano di fusione per incorporazione in Unicredit sia contestuale a quella del consiglio di piazza Cordusio, un po' più indietro anche per problemi di traduzione dei lavori.

UNICREDIT OFFRE 1,12 AZIONI PER OGNI TITOLO CAPITALIA

Secondo il documento sottoposto ai cda e visionato da Reuters, Unicredit pagherà 1,12 azioni proprie per ciascun titolo di Capitalia che alle quotazioni di Borsa di Unicredit di 7,51 euro, prima della sospensione dei titoli venerdì, equivale a 8,41 euro, per una valorizzazione di Capitalia di 21,83 miliardi di euro, secondo calcoli Reuters.

L'offerta risulta superiore ai 7,97 euro per azione ai quali Capitalia veniva scambiata venerdì prima di essere sospesa dalle contrattazioni.

Gli analisti si aspettavano un'offerta carta contro carta e un concambio intorno a 1,1.

Il piano di 26 pagine, al quale si aggiunge un accordo integrativo ed alcune note a verbale, prevede che entro il 2010 le sinergie pre-tasse si attestino a 1,16 miliardi di euro per la maggior parte derivanti da riduzione dei costi cui si contrappongono costi una tantum per 1,1 miliardi.

Entro il 2008 il rapporto Tier 1, indicatore della forza finanziaria di una banca ovvero del capitale disponibile rispetto ai rischi, raggiungerà il 6,8% dal 5,99% registrato da Unicredit a fine marzo.

Il capitale flottante del nuovo soggetto, che si chiamerà Unicredito e avrà la sede legale a Roma e il quartier generale a Milano, sarà del 74,1%, secondo il quotidiano.

Presidente rimarrà il tedesco Dieter Rampl, vice presidente vicario sarà l'attuale presidente di Capitalia Cesare Geronzi e amministratore delegato l'attuale ad di Unicredit Alessandro Profumo.

Se Geronzi dovesse assumere un nuovo incarico - fonti vicine alla vicenda lo indicano alla presidenza del consiglio di sorveglianza di Mediobanca - verrebbe sostituito da Berardino Libonati, attuale presidente di Alitalia e Banca di Roma.

ARPE (silurato) DIMISSIONARIO DA 31 MAGGIO

"Arpe ha presentato al cda le dimissioni che saranno operative dal 31 maggio...e ha garantito il suo supporto all'operazione", ha detto una fonte finanziaria.

Il cda ha accolto la conclusione dell'intervento dell'amministratore delegato dimissionario "con un applauso".

Il giovane manager, definito il golden boy della finanza italiana dalla stampa anglosassone, aveva fatto capire di essere in uscita dalla banca che ha contribuito così tanto a rilanciare già venerdì scorso.

"La questione delle mie dimissioni è un dettaglio. E' assolutamente evidente che per me si conclude un progetto i cui risultati sono la base di uno nuovo, ben più rilevante che si sta aprendo per la banca", aveva detto ai giornalisti.

Giovedì una fonte del cda aveva detto a Reuters che l'attuale amministratore delegato dovrebbe annunciare nei prossimi giorni, contestualmente alla nascita del nuovo gruppo, l'abbandono del suo ruolo, in accordo con la banca.

Una fonte finanziaria milanese scommette che Arpe si metterà in proprio, ma non manca chi lo vede approdare in Generali dove il nuovo gruppo deterrebbe direttamente oltre il 6% (a cui si aggiunge il 14% di Mediobanca in cui il nuovo colosso del credito avrebbe oltre il 18%). Quest'ultima ipotesi si scontra, però, con il recente rinnovo dei vertici.

A CAPITALIA 4 CONSIGLIERI IN CDA NUOVO GRUPPO, FUORI ABN

Un accordo integrativo prevede, per la fase transitoria dell'operazione, uno scambio di quattro consiglieri nei due cda.

I consiglieri di Capitalia nel cda di Unicredit saranno oltre Geronzi, il rappresentante di Manodori, Salvatore Ligresti e Salvatore Mancuso. Questi saranno poi i quattro rappresentanti di Capitalia nel cda del nuovo gruppo post-fusione. Non ci sarà quindi nel nuovo cda un rappresentante di Abn Amro.

Nel primo triennio, il 40% dei consiglieri di Banca di Roma e Banco di Sicilia, che continueranno a mantenere la loro autonomia operativa, saranno nominati dal vice presidente vicario.

Si aspetta di conoscere come Profumo e Geronzi risolveranno la questione Mediobanca, in cui i due istituti hanno insieme una quota di oltre il 18% (Unicredit ha l'8,8% circa e Capitalia il 9,6%). L'ipotesi più accreditata è che sia ceduta una delle due partecipazioni.

Vincent Bollorè rappresentante dei soci stranieri di Mediobanca ha detto di essere favorevole al takeover di Unicredit su Capitalia a patto che non metta a rischio gli equilibri trovati nell'azionariato e nella governance di piazzetta Cuccia.

"La cosa importante è che non ci sia un azionista dominante", ha dichiarato ieri in una intervista pubblicata da Il Corriere della Sera.

Per le 18 di oggi pomeriggio è stata convocata una conferenza stampa a Roma di Profumo e Geronzi alla quale sarà anche possibile collegarsi in conference call.
 
Capitalia a 8.41!!!!!!

CONCAMBIO - Con il concambio di 1,12 titoli Unicredit per ogni azione Capitalia deciso dai due cda, il titolo dell'istituto romano viene valorizzato, ai prezzi di Borsa di venerdì, 8,41 euro, ben al di sopra delle ultime quotazioni. Le azioni Unicredit venerdì, prima della sospensione, erano infatti quotate a Piazza Affari 7,51 euro mentre quelle Capitalia erano scambiate a 7,97 euro. :D :D :D :D :D :D :D :D :D
 
Re: Capitalia a 8.41!!!!!!

ciut ha scritto:
CONCAMBIO - Con il concambio di 1,12 titoli Unicredit per ogni azione Capitalia deciso dai due cda, il titolo dell'istituto romano viene valorizzato, ai prezzi di Borsa di venerdì, 8,41 euro, ben al di sopra delle ultime quotazioni. Le azioni Unicredit venerdì, prima della sospensione, erano infatti quotate a Piazza Affari 7,51 euro mentre quelle Capitalia erano scambiate a 7,97 euro. :D :D :D :D :D :D :D :D :D



Scusa posso sapere dove vorresti arrivare con la tua analisi cioè che attualmente le quotazioni sono al di sotto di quello che realmente è il valore
 
Perfezionato il sistema del saccheggio
Maurizio Blondet
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1995&parametro=
21/05/2007
Lafusione Unicredit-Capitalia?
Tutti i media si buttano a lodarla.
E ad escludere che, questa volta, ci sia entrata la politica.
La verità è - dunque - l’esatto contrario.
Risulta che Profumo non voleva comprare Capitalia, né mettersi con il pregiudicato bancarottiere Geronzi.
Come spiega il Financial Times, «l’acquisizione da 22 miliardi di euro di Capitalia sembra porre a rischio la tendenza (di Profumo) di ridurre l’esposizione ad un solo mercato».
Profumo ha sempre detto di voler «internazionalizzare».
E lo dice ancora, con parecchi soldi in meno.
Anche con il peso morto di Capitalia, «la banca resta internazionale e genererà ancora il 53% dei suoi introiti fuori d’Italia. … Avremmo fatto qualcosa di simile in Germania, se ne avessimo avuto la possibilità».
Nessuna esultanza, come si vede.
Insomma Profumo ha dovuto obbedire.
Obtorto collo.

Alla politica.
Quale politica?
Geronzi ha ricevuto piogge di avvisi di garanzia per Parmalat, Cirio, e le mancate comunicazioni a Bankitalia sui crediti in sofferenza dei partiti.
Già, perché Capitalia ha salvato i DS dalla bancarotta.
Ha fatto prestiti a tutti i partiti (tranne ad AN e a Forza Italia), senza uno straccio di garanzie, perché dal potere politico ha sempre ottenuto la garanzia massima: ti salveremo qualunque cosa faccia.
Capitalia ha un capitale inferiore alle sue sofferenze, e Geronzi resta intoccabile.
Come scrive il blog «Finanza e Politica»: «Capitalia è una banca patrimonialmente pessima, per certi aspetti pericolosa, ma possiede tanti sportelli e le partecipazioni in Mediobanca e Generali [ecco, ecco].
E allora ecco il miracolo.
Il prezzo viene gonfiato, i bilanci imbellettati... e il vecchio Geronzi compie il suo capolavoro... porta la sua pessima banca alle nozze con il miglior principe presente sul mercato... così salva definitivamente Capitalia che annacquerà i suoi crediti incagliati con la gestione ottima di Unicredit, e in più si candida a divenire presidente di Mediobanca [Un pregiudicato? Del resto c’è già Ligresti, è il salotto buono o no?].

E allora chapeau a Geronzi che è riuscito a dimostrare che in finanza si possono compiere i miracoli e si fanno volare anche le vacche.
Ancora una volta la politica ha determinato le sorti del mercato e non viceversa».



L’esatto contrario di quel che strillano Il Corriere e Repubblica.
Il regista del salvataggio sembra essere ancora una volta D’Alema (il genio che ha «salvato» Telecom, ricordate), perché deve farsi un suo impero finanziario personale per contrastare l’occupazione di tutti i poteri che Prodi sta realizzando pro domo sua.
Che la fusione sia pro D’Alema, lo dice la rabbia malcelata di Veltroni, che s’è lamentato con Geronzi di aver saputo la cosa dai giornali.
Il tutto si situa nel quadro della lotta di potere in cui i leader della varie «sinistre» si fanno le scarpe l’uno l’altro, dietro le quinte, senza farlo sapere a noi.
Prodi ha lasciato fare, perché quelli si fanno le scarpe sì, ma non poteva negare a D’Alema la «sua» banca, finalmente.

Draghi e Padoa Schioppa ovviamente hanno dato l’assenso: bravi!, strillano i media, tutt’altra pasta che Fazio!
Questa menzogna corale e dura come il cemento ci dovrebbe dire qualcosa: che il sistema dei partiti-sindacati-statali-Confindustria (il blocco dei parassiti miliardari) ha completato il cerchio, il sistema di saccheggio del contribuente e del cittadino.

Si fanno le scarpe a spese nostre.
Un’ascoltatrice chiedeva al giornalista (Stefano Folli di 24 Ore) che cosa migliorerà, per lei correntista, la fusione.
Folli (di 24 Ore che lo paga benissimo) l’ha paternamente rassicurata.
No, non tema nulla.
Mettetevi per un attimo nei panni di un giovane - uno di quei famosi giovani di cui tanto si occupano i politici - che voglia aprire un’aziendina, un laboratorio artigiano.
Lo deve fare perché il lavoro dipendente, semplicemente, non c’è più.
Dunque il nostro giovane apre una cartoleria, un’erboristeria, una palestra di body building.
Appena adempiute alle immense pratiche burocratiche (la Volontà Generale diffida di chi si mette in proprio, vuole punirlo con il controllo burocratico: migliaia di documenti, stato di famiglia, certificato di matrimonio compreso), il nostro giovane deve pagare le tasse a Visco.
Prima ancora di aver venduto il primo flaconcino di erbe.
Prima, cioè, di aver avuto un reddito tassabile, un reddito che può anche mancare (e che manca difatti a due neo-impresine su tre, che colano a picco subito).
Ma non basta.
Il nostro giovane ha bisogno di un capitale, anche piccolo, per cominciare.
Si rivolge alla banca, a chi altro?
Le banche sono qui per questo.
Gli viene concesso un fido: al 18% o anche più.

visco.jpg


Unicredito e Capitalia che regalano i soldi ai partiti, che ai depositanti e risparmiatori pagano lo 0%, al ragazzo chiedono il 18%.
E così a tutti gli altri piccoli e piccolissimi bisognosi di capitale: possono prestare quanto vogliono; grazie al credito frazionale i depositi veri si moltiplicano, e su quel denaro creato dal nulla la banca prende il 18-25%.

Ne segue questo piccolo, ridicolo fatto: che il giovane imprenditore alle prime armi, per farcela, deve produrre profitti superiori al 50%, e subito.
Perché il 18-25% se lo prende la banca (e subito; un fido non è un mutuo, non corre a 15 anni, è annuale o semestrale), il resto se lo divora il fisco.
Resta poco, al giovinotto, per mangiare, campare e vestirsi.
Per lui niente autoblù gratis.
Anzi, Visco gli controlla: quante auto ha l’azienda, ossia con costi scaricabili?
Sono troppe, te le dimezzo (è Visco che decide di quante auto ha bisogno una ditta privata).
Il giovane dovrebbe dunque gestire una start-up ad altissima tecnologia e di fulminante successo, come quelle di Sylicon Valley.
Ma lui s’è messo in proprio perché non trova lavoro.
La sua ideuzza e impresina possono funzionare, ma più probabilmente come attività «marginali».
A lui basterebbe poco, per campare.
Se non dovesse pagare l’usuraio Capitalia (18%) e il fisco di Visco (30-45%), ce la farebbe pure, a campare.
Invece no.

Naturalmente, una ovvia misura a favore dei «giovani» sarebbe l’esenzione fiscale per un paio d’anni; lo Stato non ci perde niente, ci perde di più soffocando una ditta su tre nel nido, un colossale mancato introito, uno strangolamento di attività economiche inaudito, che danno lavoro e possono darne in futuro.
Visco lo sa benissimo.
Ma non lo fa.
E perché non lo fa?
Non perché è stupido; non lo fa perchè Visco non presiede alle risorse necessarie al governo del Paese. [come potrebbe versare 21 mila euro al mese per ogni parlamentare? come potrebbe pagare tutti quei militari a taranto che giocano a carte? e i giudici militari che devono giocare a tennis per disintossicarsi dal troppo far nulla]
Presiede al sistema di saccheggio partitico-sindacale.
Il suo scopo è depredare, mica incentivare l’economia e l’iniziativa privata.
Ora, le banche sono collegate a filo doppio col sistema di saccheggio politico.



Il ragazzo-neo-imprenditore è derubato alla perfezione da tutti i lati: come contribuente, come consumatore (tariffe ENEL e Telecom, le più costose del mondo), come debitore.
Il sistema è chiuso, è perfetto.
E poi D’Alema si permette pure di dire che nel Paese c’è un certo umore contro i politici, insofferenza tipo Mani Pulite.
Ha ragione De Rita del Censis: dice che la faccenda del «tesoretto» è uno «scandalo infernale». Aggiunge: «Gli italiani hanno capito benissimo cosa è successo. Si sono messi a un tavolo Padoa-Schioppa, i tre segretari sindacali, ovviamente Prodi e pochi altri. Questa oligarchia ha creato un inutile aumento di tasse per i propri bisogni: sistemare i precari, accontentare Rifondazione…».
Finalmente uno che usa le parole giuste: una oligarchia (plutocratica e parassitaria) ha strizzato i contribuenti oltre ogni limite per «i propri bisogni».
Non per i bisogni del governo, è ben chiaro.
Non per riasfaltare le strade né per amministrare bene.
Il governo non governa affatto, non governa nulla.
Non fa nemmeno finta.
Quando ha dei problemi (detti «emergenze») li butta sui cittadini, come i napoletani buttano la spazzatura in strada.

Le carceri scoppiano? Un bell’indulto, decine di migliaia di delinquenti tornano a rapinare e a uccidere i cittadini privati (loro no, hanno le scorte da noi pagate).

Il problema-immigrazione? Legalizzata per incanto, non esistono più clandestini.
Altre migliaia di zingari rumeni, di criminali maghrebini e venezuelani, ben felici di darsi da fare in un Paese dove la polizia fa paura solo ai deboli, e lo Stato solo agli onesti.
Nei loro Paesi, la polizia porta fucili a pompa e spara con revolver 45.
Qui da noi, da decenni, la polizia ha perso ogni autonomia d’indagine.
Non è più guidata dal prefetto o dal questore, e comandata dal procuratore e dai sostituti.
E’ «polizia giudiziaria» nel senso che, per indagare, deve avere il permesso del magistrato, anzi aspettare che sia il magistrato a ordinare l’indagine.
E come si sa, se qualche agente osa fermare lo zingaro borsaiolo di sua iniziativa, il magistrato si affretta, per ripicca, a liberarlo.



Dopo anni ed anni di questo regime, la polizia italiana non solo ha perso la voglia.
Ha perso la competenza.
Non ha più informatori né metodologia; nemmeno può usare il ceffone, vecchia specialità di certi appuntati e questurini di un tempo, a volte così efficace per far sbollire un violento e arrogante, o parlare un sospetto: parte una denuncia del criminale, e il giudice è ovviamente dalla parte del pregiudicato recidivo, poveretto, che «ha subito violenza».
Il poliziotto rischia grosso, guai giudiziari a cui è esposto senza difesa.
E allora aspetta che sia «il signor giudice» a dirgli cosa fare.
Come affronta dunque le segretissime Triadi?
Le bande venezuelane?
Le bande rumene che ammazzano con la punta dell’ombrello?
Tutta la delinquenza di Paesi estremamente più violenti del nostro, dove la malavita è veramente dura e malvagia, veramente famelica, assassina e organizzata?
Al magistrato non importa nulla.
Anche lui è parte integrale del sistema di saccheggio: butta la spazzatura umana sulla testa dei cittadini e dei contribuenti che lo mantengono.


Non c’è governo in Italia.
Ci sono solo «le spese di governo», decise a tre (coi sindacati) per i «i bisogni» dei politici.
Il tesoretto è già bell’e divorato: per gli aumenti agli statali (al ministero del Tesoro, il premio di efficienza va per contratto integrativo a tutti coloro che sono «presenti»: firmi il cartellino e basta, sei già efficiente e premiato), per i sindacati e per le clientele della sinistra cosiddetta.
Niente grandi opere, niente strade, bisogna accontentare Rifondazione se no abbandona il non-governo.
Bisogna contentare Mastella, perché se no passa al Polo.
Un sacco di spese.
E in cambio, riceviamo spazzatura sulla testa; spazzatura vera come a Napoli (centinaia di addetti appaltanti che hanno altro da fare), nonchè i rifiuti solidi urbani dello zingarame, dei non più clandestini, dei liberati dall'indulto di cui lorsignori «governanti» non vogliono farsi carico (hanno ben altro da fare).
Riceviamo al spazzatura Telecom che è al loro servizio e non al nostro e dunque non mette l’ADSL dove dovrebbe, la spazzatura ENI che ci carica di bollette perché non c’è authority che imponga la chiarezza e la concorrenza.
Paghiamo i costi delle banche-spazzatura, salvate da D’Alema.



Tartassati da tutti i lati, sepolti nella rumenta dello Stato, e pure sospettati di continuo di evasione, da Visco.
Il Visco cui pare sospetto che «due italiani su tre dichiarino meno di 10 mila euro l’anno di reddito».
Eh sì, lui crede che tutti gli italiani guadagnino come lui o come i direttori delle ASL, da 150 a 300 mila euro l’anno.
Non gli passa per il capo che in Italia ci sono dodici milioni di pensionati, e che per lo più prendono 5 mila euro l’anno di minima.
Né che esistono ragazzi-imprenditori marginali, che dopo tasse e tassi usurari non hanno più di mille euro mensili per sé: eccoli lì i due italiani su tre.
Fra loro ci sono sicuramente i grandi evasori, ma non è che il fisco li cerchi davvero: hanno i beni in Liechtentstein, la Porsche o lo yacht appartengono a una società lussemburghese, oppure hanno profitti azionari «di rischio» all’estero.
Visco non sa che l’Italia si sta impoverendo, che le pensioni hanno perso in dieci anni il 30% del potere d’acquisto, e i salari il 10%.
Ci crede tutti ricchi come lui e quelli che lui frequenta; e se no, evasori.


Lo voglio vedere a spulciare quei 12 milioni di sicuri evasori che sono i pensionati, questi furbastri che dichiarano meno di 10 mila euro e chissà cosa nascondono.

Visco è la nostra Maria Antonietta: «Non hanno pane? Mangino la brioche» (peraltro frase mai pronunciata dalla regina, inventata di sana pianta).
La «brioche» non era il cornetto che conosciamo al bar; era la crosta succosa di pane, delle carni cucinate «en croute», al forno, cinghiali, cervi, fagiani…
Due italiani su tre hanno certo mangiato a crepapelle la cacciagione.

Maurizio Blondet

http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1997&parametro= cultura
 
tontolina ha scritto:
Perfezionato il sistema del saccheggio
Maurizio Blondet
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1995&parametro=
21/05/2007
Lafusione Unicredit-Capitalia?
Tutti i media si buttano a lodarla.
E ad escludere che, questa volta, ci sia entrata la politica.
La verità è - dunque - l’esatto contrario.
Risulta che Profumo non voleva comprare Capitalia, né mettersi con il pregiudicato bancarottiere Geronzi.
Come spiega il Financial Times, «l’acquisizione da 22 miliardi di euro di Capitalia sembra porre a rischio la tendenza (di Profumo) di ridurre l’esposizione ad un solo mercato».
Profumo ha sempre detto di voler «internazionalizzare».
E lo dice ancora, con parecchi soldi in meno.
Anche con il peso morto di Capitalia, «la banca resta internazionale e genererà ancora il 53% dei suoi introiti fuori d’Italia. … Avremmo fatto qualcosa di simile in Germania, se ne avessimo avuto la possibilità».
Nessuna esultanza, come si vede.
Insomma Profumo ha dovuto obbedire.
Obtorto collo.

Alla politica.
Quale politica?
Geronzi ha ricevuto piogge di avvisi di garanzia per Parmalat, Cirio, e le mancate comunicazioni a Bankitalia sui crediti in sofferenza dei partiti.
Già, perché Capitalia ha salvato i DS dalla bancarotta.
Ha fatto prestiti a tutti i partiti (tranne ad AN e a Forza Italia), senza uno straccio di garanzie, perché dal potere politico ha sempre ottenuto la garanzia massima: ti salveremo qualunque cosa faccia.
Capitalia ha un capitale inferiore alle sue sofferenze, e Geronzi resta intoccabile.
Come scrive il blog «Finanza e Politica»: «Capitalia è una banca patrimonialmente pessima, per certi aspetti pericolosa, ma possiede tanti sportelli e le partecipazioni in Mediobanca e Generali [ecco, ecco].
E allora ecco il miracolo.
Il prezzo viene gonfiato, i bilanci imbellettati... e il vecchio Geronzi compie il suo capolavoro... porta la sua pessima banca alle nozze con il miglior principe presente sul mercato... così salva definitivamente Capitalia che annacquerà i suoi crediti incagliati con la gestione ottima di Unicredit, e in più si candida a divenire presidente di Mediobanca [Un pregiudicato? Del resto c’è già Ligresti, è il salotto buono o no?].

E allora chapeau a Geronzi che è riuscito a dimostrare che in finanza si possono compiere i miracoli e si fanno volare anche le vacche.
Ancora una volta la politica ha determinato le sorti del mercato e non viceversa».



L’esatto contrario di quel che strillano Il Corriere e Repubblica.
Il regista del salvataggio sembra essere ancora una volta D’Alema (il genio che ha «salvato» Telecom, ricordate), perché deve farsi un suo impero finanziario personale per contrastare l’occupazione di tutti i poteri che Prodi sta realizzando pro domo sua.
Che la fusione sia pro D’Alema, lo dice la rabbia malcelata di Veltroni, che s’è lamentato con Geronzi di aver saputo la cosa dai giornali.
Il tutto si situa nel quadro della lotta di potere in cui i leader della varie «sinistre» si fanno le scarpe l’uno l’altro, dietro le quinte, senza farlo sapere a noi.
Prodi ha lasciato fare, perché quelli si fanno le scarpe sì, ma non poteva negare a D’Alema la «sua» banca, finalmente.

Draghi e Padoa Schioppa ovviamente hanno dato l’assenso: bravi!, strillano i media, tutt’altra pasta che Fazio!
Questa menzogna corale e dura come il cemento ci dovrebbe dire qualcosa: che il sistema dei partiti-sindacati-statali-Confindustria (il blocco dei parassiti miliardari) ha completato il cerchio, il sistema di saccheggio del contribuente e del cittadino.

Si fanno le scarpe a spese nostre.
Un’ascoltatrice chiedeva al giornalista (Stefano Folli di 24 Ore) che cosa migliorerà, per lei correntista, la fusione.
Folli (di 24 Ore che lo paga benissimo) l’ha paternamente rassicurata.
No, non tema nulla.
Mettetevi per un attimo nei panni di un giovane - uno di quei famosi giovani di cui tanto si occupano i politici - che voglia aprire un’aziendina, un laboratorio artigiano.
Lo deve fare perché il lavoro dipendente, semplicemente, non c’è più.
Dunque il nostro giovane apre una cartoleria, un’erboristeria, una palestra di body building.
Appena adempiute alle immense pratiche burocratiche (la Volontà Generale diffida di chi si mette in proprio, vuole punirlo con il controllo burocratico: migliaia di documenti, stato di famiglia, certificato di matrimonio compreso), il nostro giovane deve pagare le tasse a Visco.
Prima ancora di aver venduto il primo flaconcino di erbe.
Prima, cioè, di aver avuto un reddito tassabile, un reddito che può anche mancare (e che manca difatti a due neo-impresine su tre, che colano a picco subito).
Ma non basta.
Il nostro giovane ha bisogno di un capitale, anche piccolo, per cominciare.
Si rivolge alla banca, a chi altro?
Le banche sono qui per questo.
Gli viene concesso un fido: al 18% o anche più.

Immagine sostituita con URL per un solo Quote: http://www.effedieffe.com/tasti/url/visco.jpg

Unicredito e Capitalia che regalano i soldi ai partiti, che ai depositanti e risparmiatori pagano lo 0%, al ragazzo chiedono il 18%.
E così a tutti gli altri piccoli e piccolissimi bisognosi di capitale: possono prestare quanto vogliono; grazie al credito frazionale i depositi veri si moltiplicano, e su quel denaro creato dal nulla la banca prende il 18-25%.

Ne segue questo piccolo, ridicolo fatto: che il giovane imprenditore alle prime armi, per farcela, deve produrre profitti superiori al 50%, e subito.
Perché il 18-25% se lo prende la banca (e subito; un fido non è un mutuo, non corre a 15 anni, è annuale o semestrale), il resto se lo divora il fisco.
Resta poco, al giovinotto, per mangiare, campare e vestirsi.
Per lui niente autoblù gratis.
Anzi, Visco gli controlla: quante auto ha l’azienda, ossia con costi scaricabili?
Sono troppe, te le dimezzo (è Visco che decide di quante auto ha bisogno una ditta privata).
Il giovane dovrebbe dunque gestire una start-up ad altissima tecnologia e di fulminante successo, come quelle di Sylicon Valley.
Ma lui s’è messo in proprio perché non trova lavoro.
La sua ideuzza e impresina possono funzionare, ma più probabilmente come attività «marginali».
A lui basterebbe poco, per campare.
Se non dovesse pagare l’usuraio Capitalia (18%) e il fisco di Visco (30-45%), ce la farebbe pure, a campare.
Invece no.

Naturalmente, una ovvia misura a favore dei «giovani» sarebbe l’esenzione fiscale per un paio d’anni; lo Stato non ci perde niente, ci perde di più soffocando una ditta su tre nel nido, un colossale mancato introito, uno strangolamento di attività economiche inaudito, che danno lavoro e possono darne in futuro.
Visco lo sa benissimo.
Ma non lo fa.
E perché non lo fa?
Non perché è stupido; non lo fa perchè Visco non presiede alle risorse necessarie al governo del Paese. [come potrebbe versare 21 mila euro al mese per ogni parlamentare? come potrebbe pagare tutti quei militari a taranto che giocano a carte? e i giudici militari che devono giocare a tennis per disintossicarsi dal troppo far nulla]
Presiede al sistema di saccheggio partitico-sindacale.
Il suo scopo è depredare, mica incentivare l’economia e l’iniziativa privata.
Ora, le banche sono collegate a filo doppio col sistema di saccheggio politico.



Il ragazzo-neo-imprenditore è derubato alla perfezione da tutti i lati: come contribuente, come consumatore (tariffe ENEL e Telecom, le più costose del mondo), come debitore.
Il sistema è chiuso, è perfetto.
E poi D’Alema si permette pure di dire che nel Paese c’è un certo umore contro i politici, insofferenza tipo Mani Pulite.
Ha ragione De Rita del Censis: dice che la faccenda del «tesoretto» è uno «scandalo infernale». Aggiunge: «Gli italiani hanno capito benissimo cosa è successo. Si sono messi a un tavolo Padoa-Schioppa, i tre segretari sindacali, ovviamente Prodi e pochi altri. Questa oligarchia ha creato un inutile aumento di tasse per i propri bisogni: sistemare i precari, accontentare Rifondazione…».
Finalmente uno che usa le parole giuste: una oligarchia (plutocratica e parassitaria) ha strizzato i contribuenti oltre ogni limite per «i propri bisogni».
Non per i bisogni del governo, è ben chiaro.
Non per riasfaltare le strade né per amministrare bene.
Il governo non governa affatto, non governa nulla.
Non fa nemmeno finta.
Quando ha dei problemi (detti «emergenze») li butta sui cittadini, come i napoletani buttano la spazzatura in strada.

Le carceri scoppiano? Un bell’indulto, decine di migliaia di delinquenti tornano a rapinare e a uccidere i cittadini privati (loro no, hanno le scorte da noi pagate).

Il problema-immigrazione? Legalizzata per incanto, non esistono più clandestini.
Altre migliaia di zingari rumeni, di criminali maghrebini e venezuelani, ben felici di darsi da fare in un Paese dove la polizia fa paura solo ai deboli, e lo Stato solo agli onesti.
Nei loro Paesi, la polizia porta fucili a pompa e spara con revolver 45.
Qui da noi, da decenni, la polizia ha perso ogni autonomia d’indagine.
Non è più guidata dal prefetto o dal questore, e comandata dal procuratore e dai sostituti.
E’ «polizia giudiziaria» nel senso che, per indagare, deve avere il permesso del magistrato, anzi aspettare che sia il magistrato a ordinare l’indagine.
E come si sa, se qualche agente osa fermare lo zingaro borsaiolo di sua iniziativa, il magistrato si affretta, per ripicca, a liberarlo.



Dopo anni ed anni di questo regime, la polizia italiana non solo ha perso la voglia.
Ha perso la competenza.
Non ha più informatori né metodologia; nemmeno può usare il ceffone, vecchia specialità di certi appuntati e questurini di un tempo, a volte così efficace per far sbollire un violento e arrogante, o parlare un sospetto: parte una denuncia del criminale, e il giudice è ovviamente dalla parte del pregiudicato recidivo, poveretto, che «ha subito violenza».
Il poliziotto rischia grosso, guai giudiziari a cui è esposto senza difesa.
E allora aspetta che sia «il signor giudice» a dirgli cosa fare.
Come affronta dunque le segretissime Triadi?
Le bande venezuelane?
Le bande rumene che ammazzano con la punta dell’ombrello?
Tutta la delinquenza di Paesi estremamente più violenti del nostro, dove la malavita è veramente dura e malvagia, veramente famelica, assassina e organizzata?
Al magistrato non importa nulla.
Anche lui è parte integrale del sistema di saccheggio: butta la spazzatura umana sulla testa dei cittadini e dei contribuenti che lo mantengono.


Non c’è governo in Italia.
Ci sono solo «le spese di governo», decise a tre (coi sindacati) per i «i bisogni» dei politici.
Il tesoretto è già bell’e divorato: per gli aumenti agli statali (al ministero del Tesoro, il premio di efficienza va per contratto integrativo a tutti coloro che sono «presenti»: firmi il cartellino e basta, sei già efficiente e premiato), per i sindacati e per le clientele della sinistra cosiddetta.
Niente grandi opere, niente strade, bisogna accontentare Rifondazione se no abbandona il non-governo.
Bisogna contentare Mastella, perché se no passa al Polo.
Un sacco di spese.
E in cambio, riceviamo spazzatura sulla testa; spazzatura vera come a Napoli (centinaia di addetti appaltanti che hanno altro da fare), nonchè i rifiuti solidi urbani dello zingarame, dei non più clandestini, dei liberati dall'indulto di cui lorsignori «governanti» non vogliono farsi carico (hanno ben altro da fare).
Riceviamo al spazzatura Telecom che è al loro servizio e non al nostro e dunque non mette l’ADSL dove dovrebbe, la spazzatura ENI che ci carica di bollette perché non c’è authority che imponga la chiarezza e la concorrenza.
Paghiamo i costi delle banche-spazzatura, salvate da D’Alema.



Tartassati da tutti i lati, sepolti nella rumenta dello Stato, e pure sospettati di continuo di evasione, da Visco.
Il Visco cui pare sospetto che «due italiani su tre dichiarino meno di 10 mila euro l’anno di reddito».
Eh sì, lui crede che tutti gli italiani guadagnino come lui o come i direttori delle ASL, da 150 a 300 mila euro l’anno.
Non gli passa per il capo che in Italia ci sono dodici milioni di pensionati, e che per lo più prendono 5 mila euro l’anno di minima.
Né che esistono ragazzi-imprenditori marginali, che dopo tasse e tassi usurari non hanno più di mille euro mensili per sé: eccoli lì i due italiani su tre.
Fra loro ci sono sicuramente i grandi evasori, ma non è che il fisco li cerchi davvero: hanno i beni in Liechtentstein, la Porsche o lo yacht appartengono a una società lussemburghese, oppure hanno profitti azionari «di rischio» all’estero.
Visco non sa che l’Italia si sta impoverendo, che le pensioni hanno perso in dieci anni il 30% del potere d’acquisto, e i salari il 10%.
Ci crede tutti ricchi come lui e quelli che lui frequenta; e se no, evasori.


Lo voglio vedere a spulciare quei 12 milioni di sicuri evasori che sono i pensionati, questi furbastri che dichiarano meno di 10 mila euro e chissà cosa nascondono.

Visco è la nostra Maria Antonietta: «Non hanno pane? Mangino la brioche» (peraltro frase mai pronunciata dalla regina, inventata di sana pianta).
La «brioche» non era il cornetto che conosciamo al bar; era la crosta succosa di pane, delle carni cucinate «en croute», al forno, cinghiali, cervi, fagiani…
Due italiani su tre hanno certo mangiato a crepapelle la cacciagione.

Maurizio Blondet

http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1997&parametro= cultura


Carissima tontolina ottima osservazione mi congratulo con te ,hai fatto un descrizione reale della situazione attuale cosa non visibile a tutti ,si perche noi non riusciamo a guardare quello che realmente succede ,vista il nostro impegno nel cercare di fare piccoli soldini per pagare le tasse ,altrimenti saremmo evasori .
Nessuno controlla niente tutti tacciono e nessuno controlla quelli che non controllano niente ;anzi ci vanno a nozze tra serate di gala e riunioni pagate da noi contribuenti

PERO DEVO FARTI UN RIMPROVERO HAI DIMENTICATO UN PARTICOLARE

:D :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D IL CANONE RAI :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D
E SI RIDO PERCHE MI FANNO MORIRE CON QUESTA STRONZATA INVENTATA ANZI TI DICO DI PIU , SI PRESENTA UN INCARICATO TI DICE CHE è LORO DOVERE INFORMARE GLI UTENTI ,TI FANNO FIRMARE :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D
ED IL GIOCO è FATTOOOOOOOO EVVIVA E SE NON PAGHI DEVI ANDARE ALL'INTENDENZA DI FINANZA DIRETTAMENTE ,MI FANNO LETTERALEMNTE MORIRE DALLE RISATE
UN SALUTO A TE TONTOLINA :ciao: :ciao: :ciao: :ciao:
 
UNICREDIT, CAPITALIA - Il consorzio guidato da Royal Bank of Scotland, che sta puntando a rilevare Abn Amro, non ha come obiettivo quello di mantenere la quota di Abn in Capitalia, banca prossima alla fusione con Unicredit. "Nessuno di noi intende avere azioni di Capitalia direttamente o azioni di Unicredit", ha detto l'Ad di RbS, Fred Goodwin. In caso di vittoria, dopo la fusione tra Capitalia e Unicredit, il consorzio si troverebbe in portafoglio l'1,9% della nuova banca. (news)
Secondo Finanza&Mercati, i Benetton potrebbero essere interessati a rilevare la quota Capitalia.


questi benetton vogliono una quota di mediobanca
poi una quota di Unicredito


cribbio
quanti soldi hanno fatto con autostrade per l'Italia?
 

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