Settembre, andiamo. E' tempo di migrare.
Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all'Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.
Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d'acqua natía
rimanga ne' cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d'avellano.
E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!
Ora lungh'esso il litoral cammina
la greggia. Senza mutamento è l'aria.
il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquío, calpestío, dolci romori.
Ah perché non son io cò miei pastori?
(G. D'Annunzio)
Sonora arpeggia e canta tra gli alberi foschi la pioggia;
sopra il selvoso monte scorron brividi bruni.
Ecco, amici, l'autunno che al bosco s'affaccia spiando;
nel campo vuoto e immoto più non c'è che gli uccelli.
Ma sul meridionale declivio già il grappolo invaia,
e il sacro fuoco e il caro conforto in sè matura.
Tutto ciò ch'oggi è verde e in succhio stormisce, tra poco
sarà spento e gelato, morto fra nebbie e nevi;
solo il vin caloroso e il pomo che in tavola ride
rosseggeranno ancora dello splendor d'estate.
Così invecchia a noi pure il senso, e, appressandosi il verno,
assaporiamo il grato vino delle memorie,
mentre l'ombre beate dei giorni e dei giochi svaniti
in silenziosa danza ci attraversano il cuore.
(H. Hesse)