Non mi do pace per Adelina
Conoscevo personalmente Adelina e la sua storia, quella di una guerriera piena di vita, che ha dato tanto al movimento femminista abolizionista. Non si può non ricordare quanto si sia immolata per combattere lo sfruttamento sessuale, la violenza stupratoria della prostituzione: lo stupro a pagamento.
Le hanno inferto, nel modo più sadico di cui sono capaci gli uomini, le più atroci torture: ferite, botte, stupri, per renderla docile, mansueta, per annichilirla. Per tutta risposta, Adelina non ha solo fatto arrestare i suoi aguzzini: è diventata preziosa per le forze dell’ordine, partecipando a diverse operazioni, tra cui l’operazione “Caronte” e facendo così arrestare numerosi sfruttatori e prostitutori di ragazze spesso minorenni. È stata di aiuto per tante ragazze, sia prima che dopo le retate poiché riusciva a parlare con loro.
Con la sua tenacia ha votato la sua esistenza alla lotta per tutte le donne messe in strada per mano della criminalità organizzata, ha rischiato ritorsioni e spesso ha ricevuto minacce, come tutte le sopravvissute alla violenza patriarcale che decidono di parlare, di farsi testimoni d’acciaio. Adelina ha avuto coscienza dell’inferno che gli uomini infliggono alle donne nella prostituzione. Con lei abbiamo capito che, quando tocchi con mano quello che gli uomini possono fare al tuo corpo vivo, si fa pietra e dall’interno pietrifica a sua volta tutto ciò che tocca. È difficile estirparlo da dentro. È come immagino sia sopravvivere ai campi di concentramento: diventa quasi impossibile convivere con l’indifferenza della gente. Ti prende una malattia! Credo che lei questo dolore immenso lo abbia somatizzato. Si è ammalata di cancro e così ha dovuto recentemente combattere l’ennesima battaglia con se stessa.
Adelina portava sul viso dipinta la bandiera italiana, quando protestava contro la violenza della prostituzione, era una patriota, amante delle istituzioni, quelle stesse istituzioni che l’hanno tradita. Non aveva paura della morte, è vero, aveva anche minacciato di togliersi la vita perché voleva risvegliare le coscienze, andarsene però così, giù da un ponte in una notte piovosa, ci fa naufragare con lei. Le circostanze della sua morte sono inquietanti, non credo si indagherà mai davvero, e non credo sarebbe abbastanza per scagionare i colpevoli. Adelina non è stata uccisa dalla marginalità nonostante l’abbia vissuta per tutta la sua vita, non è stata uccisa dal cancro al seno nonostante abbia attraversato un calvario. Adelina è stata uccisa da uomini torturatori e terroristi, uomini violenti che l’hanno brutalizzata quando arrivò in Italia, è stata uccisa da uno stato patriarcale che si è preso tutto da lei, la vita, la giovinezza, l’impegno sociale e politico che ha investito la sua lotta, una volta uscita dallo sfruttamento sessuale, trattandola come un rifiuto e negandole il permesso di soggiorno a tempo indeterminato o la cittadinanza che le spettava per motivi umanitari e per alti meriti sociali e per aver collaborato con la giustizia a servizio dello stato e delle forze dell’ordine che lei stessa chiamava: “i suoi angeli”.
L’affronto più terribile, dopo tanti anni a servizio dello stato italiano, l’ha subito poco prima della sua morte. Adelina nel ritirare i suoi documenti si rese conto che le avevano attribuito la cittadinanza albanese, cittadinanza che lei aveva sempre rifiutato, avendo vissuto da sempre in Italia. Adelina non poteva tornare in Albania, era in pericolo, contribuì ad operazioni che avevano portato all’arresto di numerosi appartenenti alla criminalità organizzata. Ricordo che usava spessissimo la parola “dignità”. Riteneva questo valore più importante della vita stessa e comunque imprescindibile nella lotta. Adelina viveva fuori da sé, per le altre donne, non viveva per lei, viveva per la lotta alla prostituzione, il suo unico scopo di vita. Quando ha capito che i suoi sforzi a servizio dello Stato erano vani perché lo stato le negava la cittadinanza che le avrebbe consentito tra l’altro le cure gratuite e l’assegno di invalidità (Adelina era invalida al 100%), non ha trovato altra ragione di vita.
Le auguro il paradiso cui credeva fermamente.
Piango troppo
Era un angelo, lei. Davvero.