Pubblicato da
Quarantotto a
13:31 19 commenti:
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martedì 10 maggio 2016
LA TEORIA DELLA DISOCCUPAZIONE TECNOLOGICA E LE SUE "INCREDIBILI" CONDIZIONI DI VALIDITA' [/paste:font]
1. L'argomento è tra i più sdrucciolevoli e ingannevoli. Se non si ha ben saldo il concetto di democrazia e di mercato del lavoro come oggetto della tutela dello Stato per evitarne la mercificazione,
se non si comprende più la lezione keynesiana, ci si cade con tutte le scarpe, come si suol dire.
Sentite questo ragionamento, (
"Il web sta uccidendo la classe media"), che risulta della massima efficacia per distogliere l'attenzione dal problema del conflitto sociale, determinato dalla istituzionalizzazione del controllo neo-liberista o "offertista" sugli Stati ex-sovrani:
"...Negozi che muoiono, asfaltati da Amazon e le sue sorelle. Lavoratori che assistono all'inabissamento dei loro salari, prima parametrati ai cinesi, ora al software. Conclusione (sofferta e provvisoria): «Per quanto mi faccia male dirlo, potremo anche sopravvivere distruggendo solo la classe media composta da musicisti, giornalisti e fotografi.
Ciò che non è sostenibile è la distruzione di quella che lavora nei trasporti, nella manifattura, nel settore energetico, nell'educazione e nella sanità, oltre che nel terziario.
E una tale distruzione accadrà, a meno che le idee dominanti sull'economia dell'informazione non facciano dei passi avanti». Fine dell'innocenza. La reazione immediata a questo atto d'accusa è una scrollata di spalle: è il progresso, bellezza! Nella prima rivoluzione industriale i telai hanno fatto fuori gli operai tessili,
oggi i computer rimpiazzano professionisti d'ogni ordine e grado. Ma ci sono differenze sostanziali.
Quando si è passati dalla carrozza all'auto c'era sempre un uomo al volante, mentre l'imminente driverless car farà a meno anche di lui.
Prima i robot alleviavano il lavoro pesante dei colletti blu, ora l'algoritmo rende superfluo quello leggero e creativo dei colletti bianchi. E poi, fino a una certa data, più efficienza (dovuta largamente all'automazione) significava un'economia più florida. Magari uno perdeva il posto in manifattura e ne trovava un altro nei servizi. Neppure quelli sono più un rifugio. Un dato da mandare a memoria:
dal dopoguerra al 2000 produttività e occupazione crescono di pari passo. Dopo, la seconda curva si affloscia perché
le macchine corrono troppo in fretta, hanno bisogno di meno uomini e questi non ce la fanno ad acquisire le competenze per star loro dietro.
È il Grande Disaccoppiamento di cui parlano Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, due professori del Mit, in The Second Machine Age . Il Pil complessivo cresce, il salario medio no. Carl Benedikt Frey e Michael Osborne, docenti a Oxford, hanno calcolato che
il 47 per cento dei mestieri attuali negli Stati Uniti è a rischio estinzione per l'informatizzazione. Lo strappo è violento e rapido. Lanier è tra i primi a infrangere il tabù per cui internet e benessere economico".
2. Dovrebbe essere evidente che un ragionamento del genere riposa su alcune premesse istituzionalizzate che, una volta verificate, lo smentiscono radicalmente e ne rivelano l'implicita premessa, che è poi il paradigma che si vorrebbe affermare, con l'aria di volerlo combattere.
Queste premesse sono le seguenti:
a)
che il settore manifatturiero sia illimitatamente robotizzabile, in base ad uno sviluppo di
crescenti investimenti innovativi,
sempre più convenienti, che farebbero salire la produttività a scapito dell'occupazione;
b)
che i settori "energetico", dei trasporti, dell'educazione e della sanità, possano soltanto essere settori di mercato privato e, in aggiunta, integralmente erogabili, nella decisione lasciata a operatori privati, mediante la "tecnologia dell'informazione"; cioè essenzialmente
trasformando la prestazione umana di utilità, in cui consistono, in informazioni trasmissibili mediante la rete. Parliamo, per capirci, della diagnosi medica e della terapia ovvero dell'assistenza ospedaliera, della trasmissione progressiva di conoscenza secondo un percorso di cui occorre scegliere i contenuti e i gradi di crescente complessità, dello spostamento fisico delle persone che può rispondere a bisogni lavorativi essenziali o invece solo di impiego
leisure del tempo libero;
c) in sintesi,
che l'effettuazione degli investimenti sia indipendente dalla domanda aggregata effettiva; e, quindi, dal livello diffuso del reddito della comunità sociale di cui si ristruttura, secondo le nuove "inarrestabili" tecnologie, produttive di questi asseritamente "identici" prodotti o servizi, il mercato del lavoro (predicando perfetta flessibilità dei livelli salariali, svincolati dalla dinamica della produttività);
d) che, dunque, in modo sostanzialmente lineare,
l'applicazione del capitale tecnologico sia sempre cresciuta;
d) infine, che
questa crescita "lineare" si sia verificata sempre e comunque per effetto della spontanea evoluzione della produzione privata, nei vari settori di mercato.
3. Sul punto a), proprio in relazione alla realtà economica USA, ci giunge invece questa smentita: dopo il 2000 gli investimenti in capitale produttivo non aumentano, ma anzi, essenzialmente, crescono meno del PIL:
Quella che aumenta, invece, è proprio l'occupazione nel settore dei servizi e a scapito di quella nel settore manifatturiero, la cui "decimazione" non pare poter essere legata, appunto, a presunti massicci investimenti innovativi, che non risultano essere effettuati (come vedremo meglio poi parlando del settore dei servizi a "salario minimo"):
Tanto più che, negli USA, a partire dagli anni '50 (!), l'andamento decrescente dell'occupazione manifatturiera assume un carattere alquanto costante che smentisce una sua correlazione, in termini di significativa contrazione, con le innovazioni tecnologiche 2.0.:
4. E infatti, questo è l'andamento del
contributo del manifatturiero USA al PIL, a partire dagli anni '60, che descrive una tendenza che precede di gran lunga, in modo del tutto autonomo, la information technology. E tale andamento ci dice anche che,
sia pure assumendo come costanti le innovazioni tecnologiche di prodotto e di processo, alla contrazione dell'occupazione non è corrisposto un aumento della produttività (evidentemente meno occupati sono proprio meno impianti e, necessariamente, meno competenze specializzate nella manodopera; questa, notoriamente, è stata reclutata in funzione dei suoi minori costi retributivi, e della sua minore qualificazione di base,
nei luoghi dove è stata progressivamente delocalizzata la produzione. Peraltro, indicando ciò, altresì, una "preferenza" per la concentrazione della produzione in settori
non ad alta intensità di capitale):
"Curiosamente", l'innovazione tecnologica più recente, che pure non dovrebbe essere mancata, nel settore dei
macchinari agricoli e della
chimica nonché, degli stessi
OGM,
non ha determinato,
proprio negli ultimi decenni del secolo scorso,
un'equivalente riduzione dell'occupazione nel settore agricolo (che infatti si assesta, arrestando il suo precedente declino, proprio nel periodo di inizio della "nuova" rivoluzione tecnologica):
In sintesi: andamento dell'occupazione e del contributo del manifatturiero al PIL, segnalano proprio un fenomeno opposto a quello della sbandierata "disoccupazione tecnologica":
la disoccupazione si verifica ma per l'opposta e "arcaica" tendenza a contrarre il costo della manodopera, considerando questa policy, promossa per via istituzionale (legislazione del lavoro e regime di liberalizzazione dei capitali)
l'unico effettivamente decisivo nel determinare la "competitività" (cioè, la convenienza comparata di prezzo sui mercati internazionali).
5. Ma quel che è più interessante, per verificare la validità della teoria
supply side che ci offre, appunto, lo scenario della robotizzazione-informatizzazione del mercato del lavoro, è il riscontro delle
prospettive occupazionali più recenti del mercato del lavoro USA, conseguente alla crisi del 2008.
Lo scenario che ne emerge racconta tutt'altro, rispetto alla teoria della robotizzazione: