La prevalenza del declino
L’informazione nell’età dell’euro
Con l’avvicinarsi dell’inevitabile epilogo, quello che
la Storia ci racconta, il dibattito sull’euro assume toni sempre più concitati.
Il crescente nervosismo è comprensibile.
Da circa un trentennio l’Italia è governata dal partito unico del vincolo esterno: prima sotto forma di Sme, oggi, sotto forma di PUDE (Partito Unico Dell’Euro). I personaggi sono sempre quelli, e da trent’anni sono dietro, sotto, sopra, o dentro al governo. L’informazione, che è un bene costoso, è stata comprata da chi aveva i soldi per farlo: gli azionisti di maggioranza di questo partito unico, le grosse lobby finanziarie che dominano le scelte di Bruxelles. Ne è risultata una plumbea uniformità: nessuna voce di dissenso aveva finora raggiunto i media, eccezion fatta per alcune strampalate organizzazioni, o movimenti, o iniziative, meritatamente prive di credibilità agli occhi degli elettori, e visibilmente strutturali a un disegno reazionario di canalizzazione del dissenso (come il nostro caro amico Donald).
Ma ora la situazione è cambiata.
Per motivi vari e complessi, che vanno dal desiderio di alcuni politici e organi di informazione di predisporre un piano B onde evitare il totale discredito e assicurarsi la sopravvivenza (
vedi Fassina), alla pressione che
iniziative indipendenti e credibili hanno saputo promuovere presso i media tradizionali, capita che ogni tanto si riesca a sentire una voce seria e argomentata di dissenso, come quella di [ame="http://www.youtube.com/watch?v=fhzwE1oNA30"]Claudio Borghi Aquilini[/ame]. Per l’Italia questa è una grande novità. Non lo è, va da sé, per il resto del mondo, dove il dissenso serenamente motivato ed espresso accede da sempre agli organi di stampa più qualificati. Pensate a Krugman, che non solo nel 2012 sul
New York Times, ma già nel 1998 su
Fortune, si era espresso in modo critico sulla sostenibilità della moneta unica. Potrei aggiungere Roubini, Wolf, ecc.
Del resto, è evidente che i giornali espressione della comunità finanziaria internazionale, quelli letti da persone che ogni giorno devono prendere decisioni importanti, siano di qualità diversa rispetto ai nostri organi di stampa provinciali, gestiti vuoi da furbastri il cui unico scopo è quello di condizionare dei poveri di spirito (come Repubblica), vuoi da quattro gatti spelacchiati, che hanno
venduto la propria credibilità per un piatto di lenticchie (come il Manifesto).
Prima, in Italia, certe informazioni si potevano avere solo accedendo a Internet e sapendo almeno l’inglese.
Il digital divide era la miglior garanzia di sopravvivenza per il regime eurista, che infatti si è ben guardato dal prendere iniziative che potessero colmarlo. Ora queste informazioni [ame="http://www.youtube.com/watch?v=JGcbKCcVES8"]stanno arrivando ai media tradizionali[/ame].
L’irritazione, lo sconcerto, di chi voleva nasconderle, è palese.
Del resto, avendo il monopolio dell’informazione, il PUDE giocava facile.
Le menti migliori poteva tenerle nelle retrovie, a prendere le decisioni importanti, e in prima linea, sui media, poteva tranquillamente inviare una composita armata Brancaleone di ragionieri, opinionisti, giornalisti dalle giacche fantasiose, ex politici, ex manager, ex sindacalisti, ex qualsiasi cosa. Tanto bastava far presenza, non c’era bisogno di argomentare se non esponendo i due o tre paralogismi
ad usum piddini:
il teorema del cinghiale (per una grande area ci vuole una moneta grande),
quello del pulcino (la nostra liretta verrebbe attaccata dai mercati),
e quello di Morfeo (l’euro incarna il Fonno,
pardon, il Fogno europeo).
Con questa amena silloge di stronzate una ciurma di venduti, di cialtroni, di disinformatori dilettanti ha potuto tenere in pugno un’intera nazione.
Ma ora è finita.
I dati cominciano a circolare, i cittadini desiderano averli (il successo di questo blog lo prova) e cominciano ad avere strumenti di valutazione, le trasmissioni che si arrischiano ad aprire una finestra sul web (gruppo Facebook, Twitter), vengono travolte dagli insulti quando perseverano sulla strada della disinformazione terroristica spicciola, e
quelle che invece fanno scelte coraggiose vengono premiate dagli ascolti.
Il vento è cambiato, e, come si dice a Roma, non si può fermare il vento con le mani.
La slealtà
In coerenza con le mie convinzioni politiche
e con la mia attività di ricerca, ho sentito il dovere di impegnarmi in una battaglia trasparente e argomentata a favore dell’Europa, e quindi, necessariamente, contro la moneta unica, strumento di disintegrazione europea sul quale
mi ero comunque espresso criticamente a suo tempo (lo noto a beneficio dei patetici
latecomers dilettanti come Donald: gli economisti veri erano tutti arrivati
molto prima di me)! Un impegno faticoso ma pieno di soddisfazioni, che ho assunto perché credo che la verità storica stia dalla mia, cioè dalla nostra, parte.
Sapevo che questo mi avrebbe esposto ad attacchi personali, provenienti in particolare dalla professione. Puntualmente,
questa previsione si è realizzata. Non voglio soffermarmi su questo penoso episodio. Un episodio che scredita il suo autore (cosa della quale sinceramente me ne infischio), ma soprattutto scredita la mia professione, che non ne avrebbe bisogno. Oggi vorrei lasciarmi questo squallore dietro le spalle, e non è certo per rimarcare questa sciocca
bavure che vi intrattengo, no, tutt’altro. Come al solito, non sono i passi falsi degli avversari che mi preoccupano, ma quelli dei sedicenti alleati.
Desidero quindi dissociarmi da chi combatte la nostra stessa battaglia, quella a favore dell’Europa, con mezzi indegni e sleali, in particolare cercando di screditare con attacchi personali i nostri avversari, cioè le persone che sostengono il progetto eurista. Lasciamo gli attacchi personali ai gianninizzeri del progetto eurista. Certo, noi sappiamo che gli euristi necessariamente ricadono in due categorie:
quella delle persone in malafede,
e quella delle persone dalla limitata capacità di comprensione (più eventuali
combinazioni convesse).
Ma non è questa una buona ragione per attaccarli in modo subdolo, usando le loro stesse armi vili, meschine e controproducenti (in un mondo nel quale ogni peto viene inesorabilmente consegnato all’eternità digitale).
La verità è dalla nostra parte, lasciamo che lavori per noi e non ricorriamo a mezzucci infimi.
Scrivo quindi questo post, come vi dicevo, per dissociarmi da un’iniziativa che ritengo sleale, incivile e indegna.
Circola sul web un video nel quale un sosia del professor Michele Boldrin profferisce una serie di bestialità inconcepibili a sostegno della permanenza dell’Italia nell’euro. Qualcuno lo avrà già visto,
chi non lo avesse vistolo trova [ame="http://www.youtube.com/watch?v=KR3KIGKiw0Y"]qui[/ame].
È evidente che un economista della statura del
prof. Boldrin non può aver detto le cose che il video gli attribuisce (e sulle quali ci soffermeremo qua sotto),
ed è quindi assolutamente palese che siamo di fronte ad un calunnioso e sleale tentativo di disinformazione, dal quale desidero, lo ribadisco per la terza volta, dissociarmi.
Ma prima di analizzare il contenuto del video, vorrei segnalarvi tre dettagli che rivelano un notevole dispendio di mezzi e una subdola intelligenza strategica nella preparazione di questo palese falso.
Primo: noterete che a interpretare il prof. Boldrin è stato chiamato un attore professionista. Riteniamo si tratti di
Stefano Chiodaroli, passato alla storia (questa volta la
s è minuscola) per la sua appassionata invocazione: “[ame="http://www.youtube.com/watch?v=zU4dZoFUJBk"]Pieraaaaa![/ame]”. Non oso pensare quindi quanto sia costato il video, dato il coinvolgimento di un interprete così noto e apprezzato dal grande pubblico.
Secondo: badate al
look estremamente dimesso e casalingo del video. Il mezzo, si sa, è il messaggio, e qui il messaggio è subdolo: si vuol lasciare intendere, per screditarlo, che l’avversario sia poco a suo agio con i moderni mezzi di comunicazione. Questo, lo sappiamo, non è assolutamente vero.
Il prof. Boldrin (quello vero, non il sosia del video) è, fra le altre cose, uno dei due economisti di riferimento di Caterpillar, una trasmissione di Radio2 diabolicamente scaltra, che coglie i cittadini quando, al termine di una giornata di lavoro, si trovano inscatolati nel traffico, con le difese immunitarie abbassate, e ne approfitta per veicolare una serie di messaggi pinochettiani (abitualmente conditi con amene musichette da centro sociale, tutte fisarmonica e distintivo, che fanno tanto “semo de sinistra”: ma che furbettini!). Perché uno dei due? Perché ce n’è un altro. E chi è? Ma è chiaro,
Savonarola, quell’altro furbettino di tre cotte, il piazzista della tecnologia tedesca in nome dell’ideologia della decrescita, che ad essa tecnologia, e ad esso
modello sociale neonazista, tanto armoniosamente si coniuga.
E voi vorreste farci credere che una persona così integrata nella macchina della disinformazione di regime sia costretta a girare un filmettino amatoriale per diffondere le proprie idee?
Suvvia, non siamo così ingenui. Del resto, il tentativo di screditare in questo modo il professore si risolve in un autogol: invece di screditarlo, avvalora l’idea di un docente coraggioso che con pochi, austeri mezzi combatte una battaglia a favore delle proprie idee. Mica come certi
intellettuali radical chic che possono permettersi video ben più curati, avendo dietro, com’è evidente, i poteri forti,
[ame="http://www.youtube.com/watch?v=Wj7gQHfNNEg"]la massoneria[/ame].
Anche perché, ripeto, il vero prof. Boldrin è un economista,
un economista vero, e quindi non avrebbe
mai profferito bestialità come quelle che troviamo nel video.
Vediamole insieme.
La piccola bottega degli orrori, parte prima: “un paese come la Grecia quindi come l’Italia”.
La tesi sostenuta dal finto prof. Boldrin, quello del video, è assolutamente
strampalata, ma rientra a pieno titolo nel quadro
dell’informazione terroristica che i media (nei quali il vero prof. Boldrin è perfettamente integrato) ci propalano. Secondo il (finto) prof. Boldrin, l’uscita dall’euro per l’Italia sarebbe un disastro (0:54), e per argomentarlo il (finto) prof. Boldrin prende ad esempio il caso della Grecia, cercando di capire cose significherebbe per un paese “come la Grecia quindi come l’Italia” (1:15) uscire dall’euro.
Basterebbe questa frase per far capire a un esperto, o anche semplicemente a una persona con la testa sulle spalle (posto che i due insiemi abbiano intersezione non nulla), che chi parla evidentemente non è un economista. Sì, perché nemmeno sul 64 barrato nessun pensionato delle Poste mai si arrischiò, dopo lauta libagione albana, a similitudine tanto ardita.
Il finto Boldrin, invece, insiste, con un evidente intento subdolo: quello di instillare nell’ascoltatore il terrore della bancarotta, del default del governo italiano, laddove si uscisse dall’euro. Equiparare surrettiziamente l’Italia alla Grecia aiuta, perché che la Grecia sia messa male, anzi, malissimo, è evidente. E così per tutto il video si snocciola una patetica litania di “l’Italia, quindi la Grecia”, “la Grecia, cioè l’Italia”, “l’Italia, o la Grecia”, per rafforzare subliminalmente l’idea di una impossibile equivalenza fra i due casi, in un confuso guazzabuglio di lire, dracme, e, beninteso, euri (sic).
Viceversa, l’ovvia riflessione che bisognerebbe fare è che
la Grecia sta messa male perché la trattengono dentro l’euro. Ma non entriamo in questo argomento, per il quale rinvio ai tanti studi di altri economisti
veri. Leggete ad esempio
Panizza e Borenzstein (i quali chiariscono che il
default per la Grecia sarà costoso solo se essa
resterà nell’euro;
qui trovate la versione estesa – incidentalmente noto che il vero p
rof. Boldrin, che quotidianamente parla di economia monetaria internazionale in televisione,
non mi pare abbia mai fatto ricerca presso il Fondo Monetario Internazionale). Oppure rileggete
Woo e Vamvakidis,
che collocano la Grecia al terzo posto fra i paesi dell’Eurozona per convenienza ad uscire dall’euro (al primo posto essendoci Italia e Irlanda ex aequo).
Strano, direte voi, che
il finto prof. Boldrin non menzioni mai la Spagna, un paese che, pur essendo anche lui in condizioni ben diverse e peggiori di quelle dell’Italia, almeno gli somiglia per dimensioni, reddito pro capite, ecc. Ma anche questo, come del resto l’intento terroristico, aggiunge un tocco di realismo al video, serve a corroborare l’idea che chi sta parlando sia il vero Boldrin, e non un attore.
Nell’ambiente si sa bene che
il preciso prof. Boldrin (quello vero) per la Spagna ha un debole. Deve essere un fatto sentimentale: si sa che è stato “a Carlos Tercero” (come dicono gli introdotti), e ci deve aver lasciato il cuore. Solo questo spiega la pervicacia con la quale continua,
against all evidence, a parlarci di successo spagnolo.
Ma si sa, il prof. Boldrin – quello vero –
non è a suo agio con le statistiche del Fondo Monetario Internazionale. Così, negli anni nei quali io chiedevo agli studenti spagnoli che venivano in Erasmus a Roma: “Scusate, cari, ma voi come pensate di ripagarlo il vostro debito estero, che viaggia a vele spiegate oltre il 40% del Pil?” (e loro rispondevano con una hidalghesca scrollata di spalle, e uno sdegnato lampo dei loro profondi occhi andalusi), lui magari avrà parlato, a Madrid, coi suoi studenti, di argomenti meno sgradevoli, o più piacevoli.
Sapete, non è cattivo, il prof. Boldrin: si dipinge così. In realtà è una persona profondamente compassionevole e umana (del resto, è ospite fisso di trasmissioni di sinistra): quindi sa bene che non si parla di corda in casa dell’impiccato, e di debito estero in casa di uno spagnolo. Soprattutto, poi, se si ignora cosa sia il debito estero.
Attenzione, vorrei precisare una cosa, che non è stata capita da alcuni trollazzi particolarmente imbecilli.
Ho sostenuto più volte e in più sedi che il meccanismo sottostante alle crisi dei paesi periferici dell’eurozona è estremamente simile, le dinamiche sono quelle, e sono quelle delle crisi dei paesi emergenti nell’era della liberalizzazioni finanziaria,
cioè del ciclo di tipo minskyano descritto in particolare da Frenkel e Rapetti (2009).
Le famiglie infelici sono tutte uguali, e questa non credo sia una grande scoperta (in economia). Ma se le dinamiche sono le stesse, non sono certo gli stessi i livelli, le dimensioni dei fenomeni.
Essere sulla stessa strada, andare nella stessa direzione, non significa essere nello stesso posto. E Grecia e Italia, anche se avviate sulla stessa strada (come del resto la Francia) sono ancora in località diversissime, nonostante, lo ripeto e lo mantengo, le dinamiche siano identiche.
Vale la pena di ricordarlo a chi si fosse messo in ascolto in questo momento, facendo un rapido giro fra i fondamentali economici dei due paesi.
Cominciamo dall’indebitamento estero (saldo delle partite correnti).
Certo: in entrambi i paesi l’indebitamento estero è aumentato (il saldo delle partite correnti peggiorato) dalla fissazione del cambio in poi, seguendo la nota trama del
Romanzo di centro e di periferia. Ma è evidente, ogni economista degno di questo nome lo sa, che la dimensione degli squilibri è ben diversa da un paese all’altro:
(fonte:
WEO).
Come sappiamo e come vediamo dal grafico, l’indebitamento estero della Grecia già dal 2005 aveva superato i 10 punti, laddove molti studi empirici, che ho più volte citato, situano il livello di attenzione intorno ai 5 punti.
L’Italia non ha mai nemmeno avvicinato questo livello di attenzione.
Dato che l’Italia si è indebitata con l’estero meno della Grecia in ogni singolo anno, è ovvio quindi che il suo debito estero complessivo (più esattamente, la posizione netta sull’estero), in rapporto al suo Pil, non avrà esattamente lo stesso ordine di grandezza di quello greco:
(fonte: dal 1999 al 2004
EWN, poi
IFS).
Eh, no! In effetti gli ordini di grandezza sembrano diversi, che ne dite?
Notate: la dinamica è molto simile: il debito estero aumenta dall’ingresso nell’euro. Ma i livelli sono diversi.
Sappiamo che esiste una dilettantesca genia di cialtroni per i quali conta solo il “debitopubblico”. Ecco, vediamo anche questo, perché è interessante:
(fonte:
WEO)
E anche qui direi che non ci siamo, perché è vero sì che l’ordine di grandezza, prima della crisi, era molto simile (anche se il debito italiano stava diminuendo, mentre quello greco leggermente aumentando), ma la reazione del debito pubblico greco alla crisi è stata abnorme, il che indica, ovviamente, una situazione di forte fragilità. E notate anche che nel periodo nel quale si accumulava debito estero, il debito pubblico era stabile, in rapporto al Pil, in entrambi i paesi.
Quindi?
“Quindi il debito estero era contratto dal settore pubblico!”, direbbe il mio solito studente di Pescara, ragionando da studente. E come ragiona uno studente? Così: “Sembra evidente che se il debito contratto dal settore pubblico sta fermo mentre quello complessivamente contratto con l’estero aumenta, chi ha contratto debiti con l’estero sia il settore privato. Ma siccome il prof. mi vuole fregare, e io sono fuuuuuuuuuuurbo, invece di rispondere “settore privato” risponderò “settore pubblico”, a me non la si fa”!
Ecco, voi invece non ragionate più così, perché ormai sapete, perché ve l’ho detto io, e perché lo sapevate anche prima, che [ame="http://www.youtube.com/watch?v=aE8tciOHhNY"]
la risposta è dentro di voi, ed è giusta[/ame]
.
Perché la Grecia, nonostante la similarità delle traiettorie, è tanto più fragile?
Ma per due motivi: intanto perché i suoi conti pubblici sono in una situazione strutturalmente peggiore della nostra. Lo testimonia il saldo primario del bilancio pubblico (quello calcolato escludendo la spesa per interessi). Ancora una volta, le dinamiche sono simili (si peggiora dall’entrata nell’euro), ma le intensità molto diverse:
(fonte:
WEO)
Del resto, è esattissimamente per questo motivo che gli studi seri sull’uscita dall’euro, come quello di Bootle, o quello di Tepper, non considerano probabile un default dello Stato italiano. Ed è quindi per questo motivo che ragionare sull’uscita dall’euro in termini di parallelo fra situazione greca e italiana è ovviamente un segno di dilettantismo, sul quale il video insiste, ostentatamente, al mero scopo di screditare il prof. Boldrin.
Rimane, certo, la controversia sul fatto se la ridenominazione del debito possa essere considerato un default
tecnico, ma certo non è un default in termini
giuridici, e
lo Stato italiano, a differenza di quello greco, non è mai stato e non è attualmente sull’orlo di una sospensione dei pagamenti. Lo conferma la Commissione Europea, come ogni economista vero (quindi anche il vero prof. Boldrin) sa. E se non lo sa, non è un economista vero, ma un attore, come quello che nel video interpreta, appunto, il prof. Boldrin.
Questo anche perché le famiglie italiane risparmiano strutturalmente molto di più di quelle greche, e lo si vede benissimo qui:
(fonte:
AMECO, Par. 15.3, net saving ratio)
Ovviamente in entrambi i casi (vedi alla voce dinamica) il risparmio netto delle famiglie (qui presentato in rapporto al loro reddito disponibile) diminuisce (vedi alla voce “le dinamiche sono simili”, o meglio vedi alla voce “l’euro ha impoverito le famiglie, che quindi non riescono a risparmiare”), ma, attenzione!
In Grecia il risparmio netto è stato quasi sempre negativo, cioè le famiglie si sono indebitate per finanziare il consumo corrente.
Insomma: è piuttosto chiaro come stanno le cose, no? Il quadro è simile, certo, come tendenza, come dinamica: le variabili scendono in entrambi i paesi. Ma solo un totale ignorante potrebbe assimilare la situazione della Grecia a quella dell’Italia, perché il livello delle variabili, la dimensione dei fenomeni, è totalmente diversa.
Ed è proprio per questo che il video, squallidamente diffamatorio, attribuisce al prof. Boldrin una simile bestialità, proprio per questo nel video l’attore che impersona il prof. Boldrin continua a ripetere “l’Italia come la Grecia”, “la Grecia cioè l’Italia”, a rullo, senza pudore: per screditare il personaggio che interpreta.
Ma il peggio deve ancora venire...
La piccola bottega degli orrori, parte seconda: conversione e changeover.
Ascoltate il video. Dal minuto 1:24 al minuto 5:17 è puro delirio!
L’attore che impersona il prof. Boldrin si avventura in una confusa e dilettantesca ricostruzione di quale sarebbe, secondo lui, il metodo adottato per cambiare unità di conto all’atto dell’uscita dall’euro. Come sopra, da un lato, per aggiungere realismo, gli argomenti sono terroristici (come quelli che ci si aspetta usi un fermatore del declino), ma dall’altro, per diffamare il professore, la loro esposizione è contraddittoria, caricaturale e si appoggia ad argomenti che nessun economista vero userebbe mai. Questa sarà una costante di tutto il video.
Sentite come la racconta, il nostro attore, il finto Boldrin:
“All’atto della transizione... il governo... dovrà decidere a che cambio con l’euro questa moneta potrà cominciare a circolare... I prezzi esistenti in euro dovranno essere tradotti in lire... Questo cambio non dovrà essere accettato da tutti immediatamente... Molti hanno avuto l’impressione che quando si entrò nell’euro svariati commercianti... avessero effettuato un cambio dalle lire all’euro che fosse da uno a mille per far aumentare i prezzi in euro. Lo stesso potrebbe avvenire oggi ma questo è un aspetto non centrale”.
Insomma: il messaggio è chiaro: puro terrorismo! Vi siete fatti fregare entrando, vi aspettano all’uscita per fregarvi di nuovo.
Notate due peerle (sì, con due “e”: sapete che il
rating del professor Boldrin, quello vero, è EE+). L’attore (subdolo) attribuisce al prof. Boldrin due bestialità pazzesche!
Prima gli fa sbagliare la data di ingresso nell’euro (nel 2000, dice il nostro), poi gli fa toppare clamorosamente il cambio al quale entrammo (“1997, se non ricordo male”).
Due errori evidentemente imperdonabili, su due dati di fatto talmente noti che perfino quel laboratorio di disinformazione di regime che è
Wikipedia Italia sezione economia è costretto a riportarli in termini corretti: si entrò nel 1999, e il tasso di cambio era 1936,27. Dice: “Vabbe’, so dettagli, quello è un genio, lo devi lassa’ perde!”
Dettagli una sega!