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Roger Bootle: La volontà politica non basta per tenere insieme quest’unione traballante

L'economista Roger Bootle della City e vincitore del Wolfson Prize riconferma che gli aspetti più pericolosi della crisi non sono scomparsi - le banche zombie e l'economia reale - e descrive le modalità più probabili di un crollo dell'euro


Link: http://www.investireoggi.it/economi...nsieme-questunione-traballante/#ixzz2K1jMloZO


USCITA DALL’EURO – Ci sono altre tre vie plausibili per un crollo dell’euro: un paese debole che scegliesse di uscire; un paese debole a cui venisse chiesto di uscire; e un paese forte che scegliesse di uscire. Ognuna di queste opzioni è sempre stata un’ipotesi più remota rispetto al panico sulle banche o sui bond, per la semplice ragione che, nonostante tutte le sollecitazioni, sia l’establishment politico che la gente comune in tutti i paesi dell’euro sono rimasti entro l’orizzonte del progetto dell’euro. E’ solo una questione di tempo, ma i punti di vista possono cambiare. Ciò che contribuirebbe a realizzare un tale cambiamento è un ulteriore deterioramento delle condizioni economiche e la presa di coscienza che nell’assetto attuale non c’è via d’uscita.
E in effetti, mentre gli aspetti finanziari della crisi si sono placati, l’economia reale ha continuato a deteriorarsi.Certo, la Germania recentemente sembra andare un po’ meglio. Ma la Francia sembra andare molto peggio.Inoltre, in Spagna, Grecia e Portogallo la situazione rimane triste, con un livello di disoccupazione addirittura spaventoso.
Se l’economia continua a essere così debole, la tensione crescerà. Nei paesi più deboli, monterà l’esasperazione, insieme alla necessità di un’assistenza esterna.Nei paesi più forti crescerà l’allarme sulle dimensioni della necessaria assistenza finanziaria, attuale e futura.
Nel frattempo, i negoziati per muoversi verso un qualche tipo di unione fiscale e politica diventeranno rissosi, e nel processo diventerà chiaro a tutti quel che comporta mantenere insieme tutta questa baracca.
E’ perfettamente possibile, nondimeno, che questa struttura traballante alla fine crolli.La volontà politica è ancora lì presente per sostenerla. Ma intendiamoci, questa, di per sè, non è sufficiente. Deve essere accompagnata da un’azione, e il conto da pagare per questa azione sarà in aumento.
La crisi dell’euro non è finita. E’ in tregua. Ci sono ancora molti episodi che devono svolgersi.

 
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Loro lo sanno


Vi proponiamo oggi un articolo di Lucrezia Reichlin, dal Corriere della Sera. Si tratta di un testo che sostiene tesi molto “ortodosse” (Bagnai direbbe “omodosse”)
un testo interessante, visto il periodo elettorale, perché mostra come i ceti dominanti italiani ed europei abbiano ben chiara la futilità dell'opposizione destra/sinistra: una volta accettati l'euro e i vincoli europei, anche Hollande deve rassegnarsi alle politiche di austerità,
le chiacchiere della campagna elettorale finiscono dove meritano, nella spazzatura.
Ci piacerebbe che una simile chiarezza fosse condivisa anche dai ceti subalterni (francesi, italiani, europei) e dai “loro” intellettuali.
(M.B.)
 

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L'euro contro natura - Alberto Bagnai


Pubblicato in data 09/feb/2013
http://www.beppegrillo.it/2013/02/leu...
L'euro contro natura - Alberto Bagnai
"E' perfettamente noto a tutti che l'Euro sarebbe stato un esperimento fallimentare proprio perché mancava alla sua base una unità politica e in particolare una unità nel campo della politica fiscale, questo voglio ricordarvelo è una cosa di dominio pubblico, i fondatori dell'Europa sapevano benissimo che imporre una moneta unica a paesi diversi e con un sistema fiscale profondamente scollegato, avrebbe condotto a una crisi.
Quindi i problemi che fossero noti, lo dobbiamo dare per scontato." Alberto Bagnai


[ame=http://www.youtube.com/watch?v=iPRVcwRueag]L'euro contro natura - Alberto Bagnai - YouTube[/ame]
 

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Il partito unico dell'Euro: Lidia Undiemi intervista il Prof. Alberto Bagnai


[ame=http://www.youtube.com/watch?v=oM4AFFx1WS4]Il partito unico dell'Euro: Lidia Undiemi intervista il Prof. Alberto Bagnai - YouTube[/ame]
 

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«Sono terribilmente preoccupato per l’euro, che è potenzialmente in grado di distruggere l’Unione Europea». Problema: la politica di rigore – per mantenere una moneta non svalutabile e non sovrana – comporta sofferenze sociali che, alla lunga, potrebbero scatenare una rivolta contro Bruxelles.
Soros: l’euro del rigore farà crollare l’Europa in rivolta

Scritto il 16/2/13 • nella Categoria: segnalazioni

«Sono terribilmente preoccupato per l’euro, che è potenzialmente in grado di distruggere l’Unione Europea». Problema: la politica di rigore – per mantenere una moneta non svalutabile e non sovrana – comporta sofferenze sociali che, alla lunga, potrebbero scatenare una rivolta contro Bruxelles. Parola del super-investitore finanziario George Soros, intervistato dalla televisione olandese nel programma “Nieuwsuur”. «C’è un rischio reale che la soluzione al problema finanziario crei un problema politico realmente profondo», sostiene Soros, preoccupato che la Germania non capisca il pericolo di una «depressione di lunga durata», a cui l’austerity condanna il Sud Europa. «Può durare più di un decennio, in realtà potrebbe diventare permanente: fino a quando la sofferenza diventerà così grande che alla fine ci potrà essere una ribellione, un rifiuto dell’Unione Europea, che poi porterebbe alla distruzione dell’Unione stessa. Un prezzo terribilmente pesante per preservare l’euro».
In teoria, sempre secondo Soros, la moneta della Bce «potrebbe durare molto tempo, come l’Unione Sovietica, un assetto istituzionale molto negativo che è durato per 70 anni», ma alla fine proprio l’euro «sarà destinato a far crollare l’Unione Europea: il tempo che ci vorrà, e può richiedere generazioni, sarà tempo perso in termini di libertà politica e di prosperità economica». Risultato: «Una terribile tragedia per l’Ue, e sta accadendo alla società aperta più sviluppata del mondo». I “consigli” di Soros, commenta Giulietto Chiesa su “Megachip”, arrivano un po’ in ritardo: gli stessi dirigenti europei «hanno già capito di avere tirato troppo la corda e di stare aprendo la via ad un vasto sommovimento sociale». In realtà, per Chiesa, la correzione di rotta è già in atto, ma si tratta solo di tattica: «Non vuol dire che la classe dirigente, cioè l’alta finanza, abbia cambiato idea: soltanto, non sono stupidi. Frenano, per il momento. Riprenderanno quando le masse avranno metabolizzato la prima stangata. E nella pausa caffè si getteranno sulle privatizzazioni, comprando tutto il comprabile, con il denaro virtuale di cui dispongono, nell’Europa dei Piigs e in quella dell’Est».
Per ora, aggiunge Chiesa, si vedono due segnali: il debito greco è stato di fatto “abbuonato”, e l’Irlanda ha avuto la “cartolarizzazione” del suo debito, dilazionato in trent’anni. «E persino la sentenza europea che dà ragione all’Islanda è un segno nella stessa direzione». La Bce di Draghi? «Ha ripreso le redini, ed è perfino riuscita a respingere l’attacco americano, con la repentina svalutazione del dollaro: cosa che minacciava tutta l’Europa, ma in particolare i tedeschi». Ora l’euro è ritornato attorno a quota 1,33 sul dollaro. Il “Quantitative Easing” americano continua, ma a quanto pare l’Europa ha deciso di farvi fronte. «Di tutto il giudizio di Soros – conclude Chiesa – la cosa che mi pare più illuminante è che non fa alcun cenno alla situazione del dollaro e dell’economia americana. Silenzio rivelatore del suo disegno: dire che l’euro può crollare tra settant’anni è una vera scemenza, è come dire che è eterno». Come ormai molti pensano, l’anomalia mondiale della moneta europea (non-sovrana, ma affidata al monopolio delle banche) è passata quasi inosservata in tempi di crescita, ma non può sopravvivere alla crisi, aggravata dalle misure “suicide” di austerity e dalla perdita di uno strumento flessibile come la moneta sovrana, vitale per le economie nazionali.
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La prevalenza del declino




L’informazione nell’età dell’euro

Con l’avvicinarsi dell’inevitabile epilogo, quello che la Storia ci racconta, il dibattito sull’euro assume toni sempre più concitati.


Il crescente nervosismo è comprensibile.


Da circa un trentennio l’Italia è governata dal partito unico del vincolo esterno: prima sotto forma di Sme, oggi, sotto forma di PUDE (Partito Unico Dell’Euro). I personaggi sono sempre quelli, e da trent’anni sono dietro, sotto, sopra, o dentro al governo. L’informazione, che è un bene costoso, è stata comprata da chi aveva i soldi per farlo: gli azionisti di maggioranza di questo partito unico, le grosse lobby finanziarie che dominano le scelte di Bruxelles. Ne è risultata una plumbea uniformità: nessuna voce di dissenso aveva finora raggiunto i media, eccezion fatta per alcune strampalate organizzazioni, o movimenti, o iniziative, meritatamente prive di credibilità agli occhi degli elettori, e visibilmente strutturali a un disegno reazionario di canalizzazione del dissenso (come il nostro caro amico Donald).


Ma ora la situazione è cambiata.


Per motivi vari e complessi, che vanno dal desiderio di alcuni politici e organi di informazione di predisporre un piano B onde evitare il totale discredito e assicurarsi la sopravvivenza (vedi Fassina), alla pressione che iniziative indipendenti e credibili hanno saputo promuovere presso i media tradizionali, capita che ogni tanto si riesca a sentire una voce seria e argomentata di dissenso, come quella di [ame="http://www.youtube.com/watch?v=fhzwE1oNA30"]Claudio Borghi Aquilini[/ame]. Per l’Italia questa è una grande novità. Non lo è, va da sé, per il resto del mondo, dove il dissenso serenamente motivato ed espresso accede da sempre agli organi di stampa più qualificati. Pensate a Krugman, che non solo nel 2012 sul New York Times, ma già nel 1998 su Fortune, si era espresso in modo critico sulla sostenibilità della moneta unica. Potrei aggiungere Roubini, Wolf, ecc.


Del resto, è evidente che i giornali espressione della comunità finanziaria internazionale, quelli letti da persone che ogni giorno devono prendere decisioni importanti, siano di qualità diversa rispetto ai nostri organi di stampa provinciali, gestiti vuoi da furbastri il cui unico scopo è quello di condizionare dei poveri di spirito (come Repubblica), vuoi da quattro gatti spelacchiati, che hanno venduto la propria credibilità per un piatto di lenticchie (come il Manifesto).


Prima, in Italia, certe informazioni si potevano avere solo accedendo a Internet e sapendo almeno l’inglese. Il digital divide era la miglior garanzia di sopravvivenza per il regime eurista, che infatti si è ben guardato dal prendere iniziative che potessero colmarlo. Ora queste informazioni [ame="http://www.youtube.com/watch?v=JGcbKCcVES8"]stanno arrivando ai media tradizionali[/ame].


L’irritazione, lo sconcerto, di chi voleva nasconderle, è palese.


Del resto, avendo il monopolio dell’informazione, il PUDE giocava facile. Le menti migliori poteva tenerle nelle retrovie, a prendere le decisioni importanti, e in prima linea, sui media, poteva tranquillamente inviare una composita armata Brancaleone di ragionieri, opinionisti, giornalisti dalle giacche fantasiose, ex politici, ex manager, ex sindacalisti, ex qualsiasi cosa. Tanto bastava far presenza, non c’era bisogno di argomentare se non esponendo i due o tre paralogismi ad usum piddini:
il teorema del cinghiale (per una grande area ci vuole una moneta grande),
quello del pulcino (la nostra liretta verrebbe attaccata dai mercati),
e quello di Morfeo (l’euro incarna il Fonno, pardon, il Fogno europeo).


Con questa amena silloge di stronzate una ciurma di venduti, di cialtroni, di disinformatori dilettanti ha potuto tenere in pugno un’intera nazione.


Ma ora è finita.


I dati cominciano a circolare, i cittadini desiderano averli (il successo di questo blog lo prova) e cominciano ad avere strumenti di valutazione, le trasmissioni che si arrischiano ad aprire una finestra sul web (gruppo Facebook, Twitter), vengono travolte dagli insulti quando perseverano sulla strada della disinformazione terroristica spicciola, e quelle che invece fanno scelte coraggiose vengono premiate dagli ascolti.
Il vento è cambiato, e, come si dice a Roma, non si può fermare il vento con le mani.


La slealtà

In coerenza con le mie convinzioni politiche e con la mia attività di ricerca, ho sentito il dovere di impegnarmi in una battaglia trasparente e argomentata a favore dell’Europa, e quindi, necessariamente, contro la moneta unica, strumento di disintegrazione europea sul quale mi ero comunque espresso criticamente a suo tempo (lo noto a beneficio dei patetici latecomers dilettanti come Donald: gli economisti veri erano tutti arrivati molto prima di me)! Un impegno faticoso ma pieno di soddisfazioni, che ho assunto perché credo che la verità storica stia dalla mia, cioè dalla nostra, parte.


Sapevo che questo mi avrebbe esposto ad attacchi personali, provenienti in particolare dalla professione. Puntualmente, questa previsione si è realizzata. Non voglio soffermarmi su questo penoso episodio. Un episodio che scredita il suo autore (cosa della quale sinceramente me ne infischio), ma soprattutto scredita la mia professione, che non ne avrebbe bisogno. Oggi vorrei lasciarmi questo squallore dietro le spalle, e non è certo per rimarcare questa sciocca bavure che vi intrattengo, no, tutt’altro. Come al solito, non sono i passi falsi degli avversari che mi preoccupano, ma quelli dei sedicenti alleati.


Desidero quindi dissociarmi da chi combatte la nostra stessa battaglia, quella a favore dell’Europa, con mezzi indegni e sleali, in particolare cercando di screditare con attacchi personali i nostri avversari, cioè le persone che sostengono il progetto eurista. Lasciamo gli attacchi personali ai gianninizzeri del progetto eurista. Certo, noi sappiamo che gli euristi necessariamente ricadono in due categorie:
quella delle persone in malafede,
e quella delle persone dalla limitata capacità di comprensione (più eventuali combinazioni convesse).
Ma non è questa una buona ragione per attaccarli in modo subdolo, usando le loro stesse armi vili, meschine e controproducenti (in un mondo nel quale ogni peto viene inesorabilmente consegnato all’eternità digitale).



La verità è dalla nostra parte, lasciamo che lavori per noi e non ricorriamo a mezzucci infimi.

Scrivo quindi questo post, come vi dicevo, per dissociarmi da un’iniziativa che ritengo sleale, incivile e indegna. Circola sul web un video nel quale un sosia del professor Michele Boldrin profferisce una serie di bestialità inconcepibili a sostegno della permanenza dell’Italia nell’euro. Qualcuno lo avrà già visto, chi non lo avesse vistolo trova [ame="http://www.youtube.com/watch?v=KR3KIGKiw0Y"]qui[/ame].


È evidente che un economista della statura del prof. Boldrin non può aver detto le cose che il video gli attribuisce (e sulle quali ci soffermeremo qua sotto), ed è quindi assolutamente palese che siamo di fronte ad un calunnioso e sleale tentativo di disinformazione, dal quale desidero, lo ribadisco per la terza volta, dissociarmi.




Ma prima di analizzare il contenuto del video, vorrei segnalarvi tre dettagli che rivelano un notevole dispendio di mezzi e una subdola intelligenza strategica nella preparazione di questo palese falso.


Primo: noterete che a interpretare il prof. Boldrin è stato chiamato un attore professionista. Riteniamo si tratti di Stefano Chiodaroli, passato alla storia (questa volta la s è minuscola) per la sua appassionata invocazione: “[ame="http://www.youtube.com/watch?v=zU4dZoFUJBk"]Pieraaaaa![/ame]”. Non oso pensare quindi quanto sia costato il video, dato il coinvolgimento di un interprete così noto e apprezzato dal grande pubblico.




Secondo: badate al look estremamente dimesso e casalingo del video. Il mezzo, si sa, è il messaggio, e qui il messaggio è subdolo: si vuol lasciare intendere, per screditarlo, che l’avversario sia poco a suo agio con i moderni mezzi di comunicazione. Questo, lo sappiamo, non è assolutamente vero. Il prof. Boldrin (quello vero, non il sosia del video) è, fra le altre cose, uno dei due economisti di riferimento di Caterpillar, una trasmissione di Radio2 diabolicamente scaltra, che coglie i cittadini quando, al termine di una giornata di lavoro, si trovano inscatolati nel traffico, con le difese immunitarie abbassate, e ne approfitta per veicolare una serie di messaggi pinochettiani (abitualmente conditi con amene musichette da centro sociale, tutte fisarmonica e distintivo, che fanno tanto “semo de sinistra”: ma che furbettini!). Perché uno dei due? Perché ce n’è un altro. E chi è? Ma è chiaro, Savonarola, quell’altro furbettino di tre cotte, il piazzista della tecnologia tedesca in nome dell’ideologia della decrescita, che ad essa tecnologia, e ad esso modello sociale neonazista, tanto armoniosamente si coniuga.


E voi vorreste farci credere che una persona così integrata nella macchina della disinformazione di regime sia costretta a girare un filmettino amatoriale per diffondere le proprie idee? Suvvia, non siamo così ingenui. Del resto, il tentativo di screditare in questo modo il professore si risolve in un autogol: invece di screditarlo, avvalora l’idea di un docente coraggioso che con pochi, austeri mezzi combatte una battaglia a favore delle proprie idee. Mica come certi intellettuali radical chic che possono permettersi video ben più curati, avendo dietro, com’è evidente, i poteri forti, [ame="http://www.youtube.com/watch?v=Wj7gQHfNNEg"]la massoneria[/ame].


Anche perché, ripeto, il vero prof. Boldrin è un economista, un economista vero, e quindi non avrebbe mai profferito bestialità come quelle che troviamo nel video.


Vediamole insieme.


La piccola bottega degli orrori, parte prima: “un paese come la Grecia quindi come l’Italia”.

La tesi sostenuta dal finto prof. Boldrin, quello del video, è assolutamente strampalata, ma rientra a pieno titolo nel quadro dell’informazione terroristica che i media (nei quali il vero prof. Boldrin è perfettamente integrato) ci propalano. Secondo il (finto) prof. Boldrin, l’uscita dall’euro per l’Italia sarebbe un disastro (0:54), e per argomentarlo il (finto) prof. Boldrin prende ad esempio il caso della Grecia, cercando di capire cose significherebbe per un paese “come la Grecia quindi come l’Italia” (1:15) uscire dall’euro.


Basterebbe questa frase per far capire a un esperto, o anche semplicemente a una persona con la testa sulle spalle (posto che i due insiemi abbiano intersezione non nulla), che chi parla evidentemente non è un economista. Sì, perché nemmeno sul 64 barrato nessun pensionato delle Poste mai si arrischiò, dopo lauta libagione albana, a similitudine tanto ardita.


Il finto Boldrin, invece, insiste, con un evidente intento subdolo: quello di instillare nell’ascoltatore il terrore della bancarotta, del default del governo italiano, laddove si uscisse dall’euro. Equiparare surrettiziamente l’Italia alla Grecia aiuta, perché che la Grecia sia messa male, anzi, malissimo, è evidente. E così per tutto il video si snocciola una patetica litania di “l’Italia, quindi la Grecia”, “la Grecia, cioè l’Italia”, “l’Italia, o la Grecia”, per rafforzare subliminalmente l’idea di una impossibile equivalenza fra i due casi, in un confuso guazzabuglio di lire, dracme, e, beninteso, euri (sic).


Viceversa, l’ovvia riflessione che bisognerebbe fare è che la Grecia sta messa male perché la trattengono dentro l’euro. Ma non entriamo in questo argomento, per il quale rinvio ai tanti studi di altri economisti veri. Leggete ad esempio Panizza e Borenzstein (i quali chiariscono che il default per la Grecia sarà costoso solo se essa resterà nell’euro; qui trovate la versione estesa – incidentalmente noto che il vero prof. Boldrin, che quotidianamente parla di economia monetaria internazionale in televisione, non mi pare abbia mai fatto ricerca presso il Fondo Monetario Internazionale). Oppure rileggete Woo e Vamvakidis, che collocano la Grecia al terzo posto fra i paesi dell’Eurozona per convenienza ad uscire dall’euro (al primo posto essendoci Italia e Irlanda ex aequo).


Strano, direte voi, che il finto prof. Boldrin non menzioni mai la Spagna, un paese che, pur essendo anche lui in condizioni ben diverse e peggiori di quelle dell’Italia, almeno gli somiglia per dimensioni, reddito pro capite, ecc. Ma anche questo, come del resto l’intento terroristico, aggiunge un tocco di realismo al video, serve a corroborare l’idea che chi sta parlando sia il vero Boldrin, e non un attore.
Nell’ambiente si sa bene che il preciso prof. Boldrin (quello vero) per la Spagna ha un debole. Deve essere un fatto sentimentale: si sa che è stato “a Carlos Tercero” (come dicono gli introdotti), e ci deve aver lasciato il cuore. Solo questo spiega la pervicacia con la quale continua, against all evidence, a parlarci di successo spagnolo. Ma si sa, il prof. Boldrin – quello vero – non è a suo agio con le statistiche del Fondo Monetario Internazionale. Così, negli anni nei quali io chiedevo agli studenti spagnoli che venivano in Erasmus a Roma: “Scusate, cari, ma voi come pensate di ripagarlo il vostro debito estero, che viaggia a vele spiegate oltre il 40% del Pil?” (e loro rispondevano con una hidalghesca scrollata di spalle, e uno sdegnato lampo dei loro profondi occhi andalusi), lui magari avrà parlato, a Madrid, coi suoi studenti, di argomenti meno sgradevoli, o più piacevoli. Sapete, non è cattivo, il prof. Boldrin: si dipinge così. In realtà è una persona profondamente compassionevole e umana (del resto, è ospite fisso di trasmissioni di sinistra): quindi sa bene che non si parla di corda in casa dell’impiccato, e di debito estero in casa di uno spagnolo. Soprattutto, poi, se si ignora cosa sia il debito estero.


Attenzione, vorrei precisare una cosa, che non è stata capita da alcuni trollazzi particolarmente imbecilli.
Ho sostenuto più volte e in più sedi che il meccanismo sottostante alle crisi dei paesi periferici dell’eurozona è estremamente simile, le dinamiche sono quelle, e sono quelle delle crisi dei paesi emergenti nell’era della liberalizzazioni finanziaria, cioè del ciclo di tipo minskyano descritto in particolare da Frenkel e Rapetti (2009). Le famiglie infelici sono tutte uguali, e questa non credo sia una grande scoperta (in economia). Ma se le dinamiche sono le stesse, non sono certo gli stessi i livelli, le dimensioni dei fenomeni. Essere sulla stessa strada, andare nella stessa direzione, non significa essere nello stesso posto. E Grecia e Italia, anche se avviate sulla stessa strada (come del resto la Francia) sono ancora in località diversissime, nonostante, lo ripeto e lo mantengo, le dinamiche siano identiche.



Vale la pena di ricordarlo a chi si fosse messo in ascolto in questo momento, facendo un rapido giro fra i fondamentali economici dei due paesi.


Cominciamo dall’indebitamento estero (saldo delle partite correnti).
Certo: in entrambi i paesi l’indebitamento estero è aumentato (il saldo delle partite correnti peggiorato) dalla fissazione del cambio in poi, seguendo la nota trama del Romanzo di centro e di periferia. Ma è evidente, ogni economista degno di questo nome lo sa, che la dimensione degli squilibri è ben diversa da un paese all’altro:






(fonte: WEO).


Come sappiamo e come vediamo dal grafico, l’indebitamento estero della Grecia già dal 2005 aveva superato i 10 punti, laddove molti studi empirici, che ho più volte citato, situano il livello di attenzione intorno ai 5 punti. L’Italia non ha mai nemmeno avvicinato questo livello di attenzione.


Dato che l’Italia si è indebitata con l’estero meno della Grecia in ogni singolo anno, è ovvio quindi che il suo debito estero complessivo (più esattamente, la posizione netta sull’estero), in rapporto al suo Pil, non avrà esattamente lo stesso ordine di grandezza di quello greco:






(fonte: dal 1999 al 2004 EWN, poi IFS).


Eh, no! In effetti gli ordini di grandezza sembrano diversi, che ne dite? Notate: la dinamica è molto simile: il debito estero aumenta dall’ingresso nell’euro. Ma i livelli sono diversi.





Sappiamo che esiste una dilettantesca genia di cialtroni per i quali conta solo il “debitopubblico”. Ecco, vediamo anche questo, perché è interessante:







(fonte: WEO)


E anche qui direi che non ci siamo, perché è vero sì che l’ordine di grandezza, prima della crisi, era molto simile (anche se il debito italiano stava diminuendo, mentre quello greco leggermente aumentando), ma la reazione del debito pubblico greco alla crisi è stata abnorme, il che indica, ovviamente, una situazione di forte fragilità. E notate anche che nel periodo nel quale si accumulava debito estero, il debito pubblico era stabile, in rapporto al Pil, in entrambi i paesi.


Quindi?


“Quindi il debito estero era contratto dal settore pubblico!”, direbbe il mio solito studente di Pescara, ragionando da studente. E come ragiona uno studente? Così: “Sembra evidente che se il debito contratto dal settore pubblico sta fermo mentre quello complessivamente contratto con l’estero aumenta, chi ha contratto debiti con l’estero sia il settore privato. Ma siccome il prof. mi vuole fregare, e io sono fuuuuuuuuuuurbo, invece di rispondere “settore privato” risponderò “settore pubblico”, a me non la si fa”!


Ecco, voi invece non ragionate più così, perché ormai sapete, perché ve l’ho detto io, e perché lo sapevate anche prima, che [ame="http://www.youtube.com/watch?v=aE8tciOHhNY"]la risposta è dentro di voi, ed è giusta[/ame].


Perché la Grecia, nonostante la similarità delle traiettorie, è tanto più fragile?


Ma per due motivi: intanto perché i suoi conti pubblici sono in una situazione strutturalmente peggiore della nostra. Lo testimonia il saldo primario del bilancio pubblico (quello calcolato escludendo la spesa per interessi). Ancora una volta, le dinamiche sono simili (si peggiora dall’entrata nell’euro), ma le intensità molto diverse:






(fonte: WEO)


Del resto, è esattissimamente per questo motivo che gli studi seri sull’uscita dall’euro, come quello di Bootle, o quello di Tepper, non considerano probabile un default dello Stato italiano. Ed è quindi per questo motivo che ragionare sull’uscita dall’euro in termini di parallelo fra situazione greca e italiana è ovviamente un segno di dilettantismo, sul quale il video insiste, ostentatamente, al mero scopo di screditare il prof. Boldrin.


Rimane, certo, la controversia sul fatto se la ridenominazione del debito possa essere considerato un default tecnico, ma certo non è un default in termini giuridici, e lo Stato italiano, a differenza di quello greco, non è mai stato e non è attualmente sull’orlo di una sospensione dei pagamenti. Lo conferma la Commissione Europea, come ogni economista vero (quindi anche il vero prof. Boldrin) sa. E se non lo sa, non è un economista vero, ma un attore, come quello che nel video interpreta, appunto, il prof. Boldrin.




Questo anche perché le famiglie italiane risparmiano strutturalmente molto di più di quelle greche, e lo si vede benissimo qui:





(fonte: AMECO, Par. 15.3, net saving ratio)


Ovviamente in entrambi i casi (vedi alla voce dinamica) il risparmio netto delle famiglie (qui presentato in rapporto al loro reddito disponibile) diminuisce (vedi alla voce “le dinamiche sono simili”, o meglio vedi alla voce “l’euro ha impoverito le famiglie, che quindi non riescono a risparmiare”), ma, attenzione! In Grecia il risparmio netto è stato quasi sempre negativo, cioè le famiglie si sono indebitate per finanziare il consumo corrente.


Insomma: è piuttosto chiaro come stanno le cose, no? Il quadro è simile, certo, come tendenza, come dinamica: le variabili scendono in entrambi i paesi. Ma solo un totale ignorante potrebbe assimilare la situazione della Grecia a quella dell’Italia, perché il livello delle variabili, la dimensione dei fenomeni, è totalmente diversa. Ed è proprio per questo che il video, squallidamente diffamatorio, attribuisce al prof. Boldrin una simile bestialità, proprio per questo nel video l’attore che impersona il prof. Boldrin continua a ripetere “l’Italia come la Grecia”, “la Grecia cioè l’Italia”, a rullo, senza pudore: per screditare il personaggio che interpreta.


Ma il peggio deve ancora venire...


La piccola bottega degli orrori, parte seconda: conversione e changeover.

Ascoltate il video. Dal minuto 1:24 al minuto 5:17 è puro delirio!


L’attore che impersona il prof. Boldrin si avventura in una confusa e dilettantesca ricostruzione di quale sarebbe, secondo lui, il metodo adottato per cambiare unità di conto all’atto dell’uscita dall’euro. Come sopra, da un lato, per aggiungere realismo, gli argomenti sono terroristici (come quelli che ci si aspetta usi un fermatore del declino), ma dall’altro, per diffamare il professore, la loro esposizione è contraddittoria, caricaturale e si appoggia ad argomenti che nessun economista vero userebbe mai. Questa sarà una costante di tutto il video.


Sentite come la racconta, il nostro attore, il finto Boldrin:


“All’atto della transizione... il governo... dovrà decidere a che cambio con l’euro questa moneta potrà cominciare a circolare... I prezzi esistenti in euro dovranno essere tradotti in lire... Questo cambio non dovrà essere accettato da tutti immediatamente... Molti hanno avuto l’impressione che quando si entrò nell’euro svariati commercianti... avessero effettuato un cambio dalle lire all’euro che fosse da uno a mille per far aumentare i prezzi in euro. Lo stesso potrebbe avvenire oggi ma questo è un aspetto non centrale”.


Insomma: il messaggio è chiaro: puro terrorismo! Vi siete fatti fregare entrando, vi aspettano all’uscita per fregarvi di nuovo.


Notate due peerle (sì, con due “e”: sapete che il rating del professor Boldrin, quello vero, è EE+). L’attore (subdolo) attribuisce al prof. Boldrin due bestialità pazzesche! Prima gli fa sbagliare la data di ingresso nell’euro (nel 2000, dice il nostro), poi gli fa toppare clamorosamente il cambio al quale entrammo (“1997, se non ricordo male”).


Due errori evidentemente imperdonabili, su due dati di fatto talmente noti che perfino quel laboratorio di disinformazione di regime che è Wikipedia Italia sezione economia è costretto a riportarli in termini corretti: si entrò nel 1999, e il tasso di cambio era 1936,27. Dice: “Vabbe’, so dettagli, quello è un genio, lo devi lassa’ perde!”


Dettagli una sega!
 
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Forumer storico
SPECIAL REPORT: Il disastroso successo dell’EURO

Scritto il 19 febbraio 2013 alle 16:33 da gaolin@finanza
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Ecco perchè l’Italia è finita in un inferno da cui non potrà più uscire

A dire il vero, la presente serie post era nata con un altro titolo che, nelle intenzioni, doveva essere: Il clamoroso disastro dell’EURO.


Visto però che tutti noi appartenenti all’Unione Europea siamo stati recentemente insigniti del premio Nobel per la Pace, mi è parso il caso di ammorbidirne i toni, specie se si deve cercare di argomentare un titolo decisamente in controtendenza rispetto alla maggioranza degli opinioni leader che oggi imperversano nei media allineati al PUDE e che vanno per la maggiore in Italia e non solo.


Premetto che la mia opinione negativa sull’EURO deriva dalle convinzioni che mi sono fatto nel corso della mia ormai lunga attività imprenditoriale, iniziata e formatasi in Italia e poi svolta, per periodi adeguatamente lunghi dal 1994 ad oggi, in 7 paesi diversi, tutti molto differenti fra loro e ben rappresentativi del contesto economico mondiale. In questo ruolo ho dovuto continuamente e su diversi fronti confrontarmi con il problema della competitività.
In merito mi son fatto l’opinione che, a parte gli addetti ai lavori che sono pochi, pochi altri ne capiscano le implicazioni positive e negative che ci sono per un’impresa che opera in un mercato sottoposto alla dura legge della competizione internazionale.
Discorrendo del tema in giro per il mondo è molto diffusa l’opinione che l’Europa si sia ficcata in un enorme pasticcio, tutto suo, da cui però nessuno sa come poterne uscire con pochi danni.



In effetti è proprio così.
L’interdipendenza delle economie reali dei vari paesi e soprattutto l’intreccio finanziario globale nel quale tutti si trovano coinvolti induce i governanti europei a ricercare continuamente palliativi e provvedimenti tampone per rinviare la resa dei conti, SPERANDO che in qualche modo i sempre maggiori squilibri fra le economie si assestino nel tempo.
DOMANDA

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Ma come mai siamo arrivati a una situazione in cui constatiamo che la moneta unica, invece di allineare e/o rendere complementari le varie economie europee, come a suo tempo ci venne detto sarebbe successo, ha prodotto invece una profonda e insanabile divaricazione delle stesse?
Per comprendere il fenomeno è il caso di fare qualche sommaria analisi dell’evoluzione delle economie dei vari paesi dell’Unione Europea in questi ultimi 15 anni, ovvero dalla nascita dell’euro come unità di conto, concentrando l’attenzione su quei dati che riflettono in modo particolare il dinamismo dell’economia reale e la competitività di una nazione che sono:
1. l’andamento del PIL;
2. il valore e l’andamento dell’import-export delle merci e servizi
3. il saldo delle partite correnti, in VALORE ASSOLUTO e RAPPORTATO al PIL.
Per uniformità tutti i valori sono stati reperiti dal sito della World Bank e sono espressi in USD, al cambio di riferimento ufficiale dei vari anni considerati.
Ricordo che il saldo delle partite correnti di ogni stato tiene conto dei flussi finanziari relativi all’import-export di beni e servizi, agli introiti o esborsi per utilizzo di licenze e know-how, al pagamento o ricevimento di interessi, dividendi, pensioni, rimesse di espatriati, entrate e uscite turistiche. Il resto è poca cosa.
QUANDO ERA IN VIGORE IL GOLD STANDARD QUESTO SALDO NON POTEVA SCOSTARSI DI MOLTO DALLO ZERO, se non per periodi limitati, pena crisi valutarie più o meno pesanti.
Vediamo allora questi dati, relativi ad alcune nazioni dell’area EURO e ad altre economie fuori da quest’area ma particolarmente importanti o significative dello scacchiere mondiale. In merito ho scritto alcuni personali commenti su questi dati, sulla genesi e l’evoluzione degli stessi nel tempo e sulle certe o probabili prospettive economiche future.
Per percepire e comprendere meglio questi dati bisognerebbe tener conto della variazione del tasso di cambio delle varie valute con il $ (USD) ma ciò complicherebbe l’analisi che, per quanto qui interessa, è comunque molto significativa.
Cominciamo dal paese dell’area Euro più disastrato e che per primo è entrato in crisi.
GRECIA

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La Grecia è un caso molto interessante da analizzare se non altro per capire a quale livello di sconsideratezza sono arrivati i padri fondatori della moneta unica, al momento di stabilire chi poteva entrare nel “paradiso” dell’EURO. Costoro erano così tanto convinti della bontà della loro idea che hanno fortemente voluto imbarcare nella comitiva iniziale pure questa nazione che, da subito, non aveva nessun fondamentale per poterci entrare, al di là dei dati taroccati che a suo tempo furono presentatati e, tantomeno, per restarci stabilmente.
Già, a suo tempo bastò che gli inaffidabili governanti greci, facessero qualche operazione di maquillage sui loro fondamentali indici finanziari, aiutati dai maghetti della finanza internazionale, per essere accolti a braccia aperte nell’Unione Monetaria. Come è andata lo sappiamo. Dopo alcuni anni di bagordi la nazione greca si trova ora stritolata dai debiti.
Prima di altre considerazioni, vediamo un po’ questi dati e soprattutto la loro evoluzione negli ultimi 8 anni.

La Grecia accettò un tasso di conversione di 340,75 Dracme per 1 Euro. Ciò minò da subito la competitività della propria economia reale, rispetto a quelle degli altri paesi. La debole industria manifatturiera greca fu in breve letteralmente tramortita. Infatti, per sopravvivere, gran parte delle industrie produttive si convertirono al trading, molto più facile e soprattutto vantaggioso economicamente. La Grecia in poco tempo divenne un paese dove si produceva poco e si consumavano prevalentemente prodotti importati, dalla Germania e Cina in particolare.
Risultato: il deficit commerciale, dato dal divario fra import ed export, divenne in breve enorme, mentre i proventi da turismo non erano in grado di compensarlo, con conseguente creazione di un forte saldo negativo delle partite correnti.
I numeri della tabella sopra ci dicono che la Grecia è convissuta in questi ultimi 8 anni con un deficit delle partite correnti mediamente pari al 10%, dico 10%, del proprio PIL.
E’ incredibile come per così tanti anni la finanza sia riuscita in qualche modo a compensare, con flussi entranti in Grecia, questo enorme squilibrio. Lo ha fatto però fino al punto che ormai la Grecia è da considerare un paese fallito, senza alcuna possibilità di risollevarsi fintanto che starà nell’Euro. Prima di riacquistare competitività con le ricette della Troika passerà almeno una generazione.
E’ un sacrificio che la popolazione greca potrà sopportare?

Io credo di no.
Ricostruire un sistema industriale manifatturiero che è stato quasi totalmente perso necessiterebbe di condizioni di competitività ancora migliori di un odierno paese low-cost dell’est europeo. Condizione impossibile da realizzare finché una parte privilegiata del paese, ovvero coloro che sono dipendenti o con introiti collegati all’amministrazione statale, continuerà a godere di privilegi e sicurezze da casta intoccabile pagati in EURO.
E poi che senso ha tutto ciò?

Che senso ha somministrare a un malato molto grave cure che, è stato dimostrato, non fanno altro che prolungare l’agonia, aggravando ancora di più il suo stato di malato cronico?

Questa breve analisi della situazione greca serve da esempio, già vissuto, per immaginare verso quale destino andranno o potrebbero andare incontro altri paesi se si continuerà a mantenere il dogma dell’irreversibilità dell’Euro e a farsi comandare dagli interessi delle oligarchie finanziarie, dei burocrati di Bruxelles e quelle interne dei vari paesi, sorretti da politici incompetenti o interessati a mantenere in vita, il più a lungo possibile, un’unione monetaria europea nata malissimo, zoppa e non in grado di fare da traino per uno sviluppo uniforme di tutti i paesi ma piuttosto l’esatto contrario, come ormai tutti si rendono conto è già avvenuto.
Vediamo il secondo paese dell’area Euro entrato in crisi
IRLANDA

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Rispetto alla Grecia i discorsi sono molto diversi. L’Irlanda entrò da subito nell’area Euro in quanto aveva dei fondamentali da fare invidia a tutti gli altri per certi aspetti.
Pur non essendo un paese dal PIL pro capite fra i migliori, L’Irlanda era in pieno boom economico, grazie a una politica fiscale molto attrattiva per le aziende, che ha fatto sì che questo paese diventasse la piattaforma logistica ideale per le multinazionali e i grossi gruppi industriali con rilevanti interessi nell’area Europea.
Per descrivere meglio la situazione irlandese guardiamo la stessa tabella vista per la Grecia.

I lettori noteranno certamente l’enorme valore, rispetto al PIL, dell’import-export di questo paese. Gran parte di questo import-export è riconducibile alle multinazionali industriali che utilizzano l’Irlanda come piattaforma logistica. Per dirla semplicemente l’Irlanda è un paese attraverso cui transitano fisicamente ma più spesso solo formalmente, le merci provenienti da paesi low-cost, Cina in primis. Merci che poi vengono destinate ai siti produttivi o mercati allocati in altri paesi della UE, con un consistente incremento di valore e con conseguenti enormi utili da tassare in Irlanda.
Il motivo di questo giro, apparentemente inutile, è banale. In Irlanda le imposte sul reddito d’impresa (12,5%!!!) sono le più basse di tutta Europa e ciò consente di avere utili regolarmente tassati, riconosciuti tali dagli altri paesi,in barba a ogni Befera della situazione.
Questa anomalia interna all’UE è una delle tante che rendono l’Unione Monetaria un’inestricabile coacervo di interessi diversi e spesso contrapposti fra i paesi aderenti, che ormai possono essere suddivisi fra paesi forti, furbi, deboli, fessi o un mix di questi.
Come noto la crisi finanziaria dell’Irlanda non è dipesa dall’andamento dell’economia reale produttiva ma dalle operazioni finanziarie rischiose compiute dalle banche irlandesi in giro per il mondo e dal sostegno scriteriato dell’ immensa bolla immobiliare scatenatasi in questo paese.
Ma come è andata poi?

La finanza ha pagato per queste sue irresponsabilità?

Manco per sogno.

I maghi della finanza, i cui interessi sono prioritari e che alla fine comandano, sono comunque riusciti a far accettare ai politici e al popolo irlandese un accollo di debiti tale da compromettere per lungo tempo lo sviluppo economico di questo paese e, come effetto collaterale per gli altri paesi dell’unione europea, a dover continuare ad accettare il mantenimento sine die dell’anomala tassazione societaria irlandese. Situazione che farà sì la gioia degli interessati ma che renderà i paesi più fessi ancor di più tali.
Alla fine, l’Irlanda ce la farà a uscire dalla crisi restando nell’Euro, magari dopo tanti anni? Credo di sì ma alle spalle anche degli altri paesi, in particolare di quelli più fessi. Italia in primis.
Vediamo ora il Portogallo.
PORTOGALLO

Per questo paese valgono buona parte delle considerazioni fatte per la Grecia, anche se inizialmente i suoi fondamentali, validi per l’entrata nell’unione monetaria, erano buoni. Ma quale era la debolezza di questa nazione? Vediamo di capirlo analizzando i soliti dati:

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La dimensione economica del Portogallo è simile a quella greca. Anche il Portogallo entrò nell’Euro con un valore di conversione della propria valuta tale da rendere la sua economia reale non competitiva. Questa sua debolezza, come nel caso greco, da subito ha portato il saldo dell’import-export fortemente in negativo, con conseguente forte sbilancio del saldo delle partite correnti che, come si può notare, è stato simile a quello greco. Per dieci anni circa la finanza ha compensato questo divario, generando però un debito verso l’estero del Portogallo sempre maggiore e in rapida crescita. La crisi del 2008 ha messo ben in evidenza tutto ciò e da lì è cominciato il calvario anche di questo paese.
Anche in questo caso non c’è possibilità di ripagare questo enorme debito verso l’estero accumulato. Anche l’economia reale portoghese è andata a farsi benedire ed è anch’essa ridotta ai minimi termini e mai e poi mai, come per la Grecia, potrà portare la sua dimensione e la sua competitività al punto da invertire significativamente il trend del saldo delle partite correnti restando nell’Euro.
Quale sarà il suo destino? Con le regole comunitarie dettate e a misura della Germania non c’è nulla da fare. Prima o poi il default arriverà e poi si vedrà quello che succederà. In ogni caso nulla di buono né per il Portogallo né per gli altri, compresi i paesi virtuosi dell’UE.
Veniamo ora ai paesi dimensionalmente più importanti dell’economia europea. Cominciamo dalla Spagna
SPAGNA

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In questo paese ebbi modo di soggiornare con frequenza per ragioni di lavoro dal 1994 fino al 2004.
Allora, all’inizio, fui impressionato dal dinamismo che caratterizzava quell’economia. Molte aziende collegate ai grossi gruppi internazionali vi si allocavano, attratte da questo paese che era ormai emerso dall’emarginazione e dalla lunga stagnazione provocata dal regime franchista.
La legislazione del lavoro spagnola già allora prevedeva delle flessibilità che in Italia sono arrivate 5-6 anni dopo, mentre il più basso costo della manodopera rendeva questa economia molto competitiva.
Ci fu un vero e proprio boom economico durato 10 anni circa che, chi si ricorda, portò a considerare la Spagna un paese in forte sviluppo, in grado di raggiungere e addirittura superare in breve tempo il livello di reddito pro capite medio italiano, che già allora aveva cominciato a crescere poco.
Dal 1990 prese avvio pure la bolla immobiliare che diventò gigantesca e ingestibile alcuni anni prima del 2008. Ricordo ancora bene come il sogno di avere un proprio piso (appartamento) era accessibile con facilità. Le banche erogavano finanziamenti senza tanto badare alla solvibilità dei contraenti, spinte dall’euforia generata dal boom economico ancora in corso.
A me pareva incredibile come così poca attenzione venisse posta al problema della solvibilità dei soggetti contraenti i mutui. Abituato alle ben più rigide regole vigenti al tempo in Italia o Francia o Germania, nutrivo forti perplessità sulla sostenibilità di una tale situazione. Ma tant’è, le banche si muovono come gli gnu, quando inizia la traversata del fiume non c’è nulla che tenga, tutti dalla stessa parte, tanto se tutti fanno così vuol dire che va bene.
A parte questi discorsi, utili a comprendere cosa poi è successo in Spagna, allora stava maturando la grande idea di creare la moneta comune che avrebbe dovuto garantire all’Europa pace e prosperità eterna.
La Spagna allora aveva tutti i fondamentali a posto, anzi molto migliori della media dei primi paesi aderenti e quindi candidato indiscutibile ad entrare nell’Euro fin dalla prima ora.
C’era però un aspetto fondamentale, tenuto però in nessuna considerazione, che costituiva il tallone d’Achille di questo paese. La sua economia reale, a causa dell’isolamento causato dal franchismo non possedeva gruppi industriali nazionali di caratura internazionale o distretti industriali in grado di fare sistema in certi settori merceologici. La produttività del sistema industriale spagnolo era bassa e la convenienza, per il momento, derivava solo dai più bassi salari in vigore. Inoltre le grosse aziende in Spagna erano quasi tutte a capitale straniero con il conseguente pericolo che non appena le condizioni di competitività sarebbero mutate in peggio queste se ne sarebbero andate altrove così come erano arrivate.
Inoltre, con l’entrata nell’Euro in pompa magna ci fu in Spagna un incremento del costo della vita e dei costi per le imprese esagerato e governato ancor peggio che in Italia. Iniziò un progressivo smantellamento delle industrie create dalle multinazionali che iniziarono a de localizzare ancor prima che in Italia.
In più la bolla immobiliare, divenuta colossale, cominciò verso il 2006 a manifestarsi in tutta la sua devastante fragilità con il risultato che in breve l’economia reale spagnola collassò, perché troppo esposta a questo settore, che aveva fatto da traino per oltre 15 anni. Il collasso dell’immobiliare portò con sé anche quello del sistema finanziario che, come noto, è il supporto fondamentale di questo settore.
Anche per la Spagna analizziamo i soliti dati:

Ora la Spagna si trova in un vicolo cieco e da brividi.

Edilizia al collasso totale e industria manifatturiera smantellata.

Insomma la discreta quota di economia reale produttiva, che c’era prima dell’avvento dell’Euro, si è in breve dissolta e da allora la dipendenza dall’estero per i prodotti industriali e di consumo è divenuta esagerata, quasi al pari di Grecia e Portogallo. Il saldo delle partite correnti, che si nota in tabella, lo evidenzia in modo inequivocabile. La Spagna per i suoi consumi dipende dagli approvvigionamenti dall’estero con conseguente sempre maggior indebitamento verso gli altri paesi.

Poteva durare?
NO!! Come stanno ben sperimentando anche gli spagnoli.
Speranze di uscire da questa situazione restando nelle attuali regole tedesche dell’unione monetaria?
NO!!

La competitività di un paese non si recupera con le ricette della Troika.

Il tempo non gioca a favore dei deboli, semmai il contrario.

Ci vuole ben altro, se si vuole avere un futuro diverso la quello della miseria perenne, che sarà garantita alla Spagna restando nell’Euro.
FINE DELLA PRIMA PARTE
 

big_boom

Forumer storico
per lui la soluzione sono i bond europei

ma li vedete voi i tedeschi che contribuiscono al magna magna italiano :rolleyes:

How can Europe save the Euro?


[ame]http://www.youtube.com/watch?v=VdUWGzG6Oh0[/ame]
 

tontolina

Forumer storico
per lui la soluzione sono i bond europei

ma li vedete voi i tedeschi che contribuiscono al magna magna italiano :rolleyes:

How can Europe save the Euro?


Opinion: Romano Prodi - How can Europe save the Euro? - YouTube
guarda che quando si farà davvero chiarezza
si scoprirà che il debito tedesco è molto alto
e ci si chiederà chi compera i Bund; solo la BUBA?
eggià i tedeschi fanno il QE perenne e nessuno dice niente
guarda che hanno i conti tarokkati alla greca

http://www.investireoggi.it/forum/g...on-ci-sono-abbastanza-acquirenti-vt75240.html
 
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