EURO Vs. PETRODOLLARO !!!!!!!!!!!!

SINIBALDO

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DOSSIER IRAN

IRAN: LA SFIDA DELL'EURO AL PETRODOLLARO !!!!!!!!

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Da tempo i media riferiscono che l’Iran potrebbe essere il prossimo obiettivo di un’aggressione statunitense.

Il pretesto avanzato è il presunto programma di fabbricazione di armi nucleari di quel paese.

Ma non solo. William Clark ci dice che i motivi economici preoccupano gli Usa molto più di qualunque arma di distruzione di massa.

A metà del 2003 l’Iran ha rotto con la tradizione e ha iniziato ad accettare euro per il pagamento delle esportazioni di petrolio dai suoi clienti dell’Unione Europea e dell’Asia.

Saddam Hussein aveva tentato una simile mossa audace già nel 2000 e aveva suscitato la reazione devastante degli Usa.

Ora l’Iraq è costretto a utilizzare i dollari statunitensi per le vendite di petrolio.

Tuttavia, il piano dell’Iran di istituire un mercato valutario internazionale per la compravendita di petrolio in euro rappresenta una minaccia molto più grande alla supremazia del dollaro statunitense che non il passaggio all’euro dell’Iraq.

Sebbene il dollaro sia ancora la valuta standard per trattare le vendite internazionali di petrolio, nel 2006 l’Iran intende istituire una borsa

petrolifera che faciliti la compravendita globale di petrolio tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo fissando il prezzo delle vendite in euro, o “petroleuro”.

A tale scopo, sta realizzando un sistema globale di scambi petroliferi basato su Internet e valutato in euro.

Ciò rappresenta una sfida diretta alla supremazia del dollaro Usa sul mercato globale del petrolio.

Si ipotizza da più parti che il dollaro statunitense sia gonfiato da qualche tempo grazie alla posizione di monopolio dei “petroldollari” nel commercio di petrolio.

Con il debito nazionale ai livelli attuali, il valore del dollaro è stato mantenuto artificialmente alto in confronto ad altre valute.

La stragrande maggioranza del petrolio mondiale è scambiato alla NYMEX (borsa mercantile) di New York e all’IPE (International Petroleum Exchange) di Londra e, come spiega Clark, entrambe le borse sono di proprietà di multinazionali statunitensi.

Entrambe queste borse del petrolio effettuano le compravendite nella valuta statunitense.

Il piano dell’Iran di creare una nuova borsa del petrolio faciliterebbe il commercio di petrolio sul mercato mondiale in euro.

Negli ultimi anni, l’euro è diventato un mezzo di scambio un po’ più forte e stabile del dollaro statunitense.

Forse è per questo che la Russia, il Venezuela e alcuni membri dell’OPEC hanno manifestato il proprio interesse a un passaggio a un sistema in petroleuro per le transazioni petrolifere.

Senza dubbio, il successo della borsa petrolifera iraniana potrebbe indurre altri paesi industrializzati a smettere di cambiare le proprie valute in petroldollari per l’acquisto di petrolio.

Il passaggio dal dollaro statunitense all’euro sul mercato petrolifero provocherebbe un calo della domanda di petroldollari e probabilmente il crollo del valore del dollaro.

Un calo precipitoso del valore del dollaro Usa minerebbe la posizione degli Stati Uniti come leader economico mondiale.

La Cina è un esportatore importante negli Stati Uniti e la sua eccedenza commerciale con gli Usa la rende il secondo possessore al mondo di

riserve nella valuta statunitense (il primo è Giappone con 800 miliardi di dollari, mentre la Cina possiede oltre 600 miliardi in Buoni del Tesoro).

La Cina subirebbe enormi perdite se possedesse ancora grandi quantità di valuta statunitense nel momento in cui il dollaro dovesse crollare.

Conservare gli Usa come mercato per i suoi prodotti è un obiettivo prioritario della politica finanziaria cinese, che però dipende sempre di più dall’Iran per le vitali importazioni di petrolio e gas.

Il governo cinese sta attento a mantenere il valore dello yuan agganciato al dollaro Usa (8,28 yuan per un dollaro). Questo legame artificiale li rende, in effetti, un’unica valuta.

Ma il governo cinese ha manifestato l’interesse a sganciare l’yuan dal dollaro, il che potrebbe provocare un’immediata caduta del dollaro stesso.

E, ancora più preoccupante è la possibilità che la Cina ponga fine all’attuale proficuo acquisto di Buoni del Tesoro/crediti statunitensi, nel caso in cui si risenta per le politiche degli Usa nei confronti dell’Iran.

Le situazioni instabili non possono rimanere statiche.

È ragionevole aspettarsi che i cinesi tengano il piede in due staffe. È irragionevole, invece, aspettarsi che progettino di rimanere con un sacco di dollari svalutati in mano dopo un calo improvviso del loro valore.

È possibile che questa situazione artificiale si protragga per un altro po’, ma ciò sarà dovuto in larga misura al fatto che ai cinesi sta bene così.

In ogni caso sembra che la Cina si stia liberando di una parte delle sue riserve in dollari Usa sul mercato mondiale per acquistare riserve di petrolio, e in tempi molto recenti ha tentato di acquistare la Unocal, una società petrolifera con sede in California.

L’ironia è che i piani apparenti degli Usa di invadere l’Iran spingono i cinesi ad abbandonare il loro sostegno al dollaro.

Clark ammonisce che “un attacco militare unilaterale statunitense all’Iran isolerebbe ulteriormente il governo degli Stati Uniti ed è concepibile che una simile azione palese induca altre nazioni industrializzate ad abbandonare in massa il dollaro”.

Forse gli strateghi statunitensi pensano di poter monopolizzare militarmente il mercato del petrolio.

Ma dal punto di vista di Clark “un intervento statunitense in Iran con ogni probabilità si dimostrerebbe disastroso per gli Stati Uniti, peggiorando di molto le cose per ciò che riguarda il terrorismo internazionale, per non parlare dei possibili effetti nocivi sull’economia statunitense”.

L’esito più probabile di un’invasione dell’Iran sarebbe che, proprio come in Iraq, le esportazioni iraniane di petrolio cesserebbero, a prescindere dalla valuta in cui sono denominate, e la Cina sarebbe costretta ad abbandonare il dollaro e acquistare petrolio dalla Russia... probabilmente in euro.

La conclusione è che i leader statunitensi non sembrano avere idea di ciò che stanno facendo.

Clark fa notare che “la produzione mondiale di petrolio ha già raggiunto il massimo e un’interruzione significativa farebbe aumentare i prezzi a un livello tale da scatenare una depressione globale”.

Aggiornamento di William Clark

In seguito alla stesura del mio saggio nell’ottobre 2004, sono apparse tre notizie importanti che hanno drammaticamente innalzato la posta geopolitica per l’Amministrazione Bush.

Il 28 ottobre 2004, giorno in cuil’Iran e la Cina hanno sottoscritto un gigantesco accordo per il commercio di petrolio e gas (valutato tra i 70 e i 100 miliardi di dollari).

1 Va notato inoltre che la Cina riceve attualmente il 13% delle sue importazioni di petrolio dall’Iran.

Il governo cinese ha di fatto tracciato una “linea nella sabbia” intorno all’Iran quando ha sottoscritto questo enorme affare per l’acquisto di petrolio e gas.

Nonostante il desiderio delle èlite statunitensi di imporre con la forza l’egemonia dei petroldollari, i rischi geopolitici di un attacco statunitense agli impianti nucleari iraniani creerebbero sicuramente una crisi seria tra Washington e Pechino.

Un articolo che affronta alcuni dei rischi strategici è apparso nell’edizione di dicembre 2004 dell’Atlantic Monthly.

2 L’articolo di James Fallows descriveva le simulazioni belliche contro l’Iran condotte durante l’estate e l’autunno del 2004.

Queste simulazioni erano guidate dal colonnello Sam Gardiner, un colonnello dell’aviazione in pensione che per più di vent’anni aveva organizzato simulazioni belliche al National War College e altre istituzioni militari.

Ogni scenario portava a una pericolosa escalation sia in Iran che in Iraq.

In effetti, il colonnello Gardiner riassumeva le simulazioni con la seguente conclusione: “Dopo tutti questi sforzi, mi rimangono due frasi molto semplici per coloro che si occupano di politica: non disponete di una soluzione militare per i problemi relativi all’Iran.

E: dovete far funzionare la diplomazia”.

3 La terza e ultima notizia che rivelava l’intento dell’Amministrazione Bush di attaccare l’Iran è stata fornita dal giornalista d’inchiesta Seymour Hersh.

Il numero di gennaio 2005 di The New Yorker (“The Coming Wars”, le guerre imminenti) includeva interviste a fonti di intelligence altolocate che hanno ripetutamente detto a Hersh che l’Iran era effettivamente il prossimo bersaglio strategico.

4 Tuttavia, come membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, la Cina probabilmente avrebbe posto il veto su qualunque risoluzione degli Usa che chiedesse un’azione militare contro l’Iran.

Un attacco militare unilaterale all’Iran isolerebbe il governo degli Usa agli occhi della comunità mondiale, ed è concepibile che un’azione così palese possa indurre altre nazioni industrializzate ad abbandonare il dollaro a frotte.

Ne parlo nel mio libro come della “ipotesi delle nazioni canaglia”.

Sebbene i banchieri centrali di tutta la comunità mondiale possano esser estremamente riluttanti a “scaricare il dollaro”, i motivi per una reazione così drastica sono probabilmente chiari dal loro punto di vista:

la comunità globale dipende dalle forniture energetiche di petrolio e gas esistenti nel Golfo Persico.

Numerosi geologi esperti di questioni petrolifere avvertono che la produzione globale di petrolio ha ormai raggiunto il tetto massimo.

Perciò, qualunque sforzo da parte della comunità internazionale che abbia come risultato una crisi del dollaro sarebbe intrapreso non per indebolire la valuta e l’economia statunitensi come punizione contro il popolo

americano in sé, ma piuttosto per impedire ulteriori guerre unilaterali e i loro effetti potenzialmente distruttivi sulla produzione di petrolio e su infrastrutture cruciali per il trasporto del petrolio stesso nel Golfo Persico.

Se si riesce a impedire un attacco statunitense, sembra probabile che la borsa petrolifera iraniana denominata in euro possa aprire già nel marzo 2006.

5 Logicamente, la strategia statunitense più appropriata sarebbe quella di scendere a compromessi con l’EU e l’OPEC per giungere a un sistema a due valute per gli scambi interternazionali di petrolio.

(di P. Phillips)


I lettori interessati a saperne di più sul conflitto dollaro/euro e sull’imminente fenomeno geologico denominato “picco della produzione petrolifera” può leggere il nuovo libro di William Clark “Petrodollar Warfare: Oil, Iraq and the Future of the Dollar”, che si può richiedere alla New Society Publishers: www.newsociety.com, su www.amazon. com o al vostro libraio di fiducia.

Note
1. China Daily, “China, Iran sign biggest oil & gas deal”, 31 ottobre 2004. http://www.chinadaily.com.cn/ english/doc/2004-10/31/content_387140.htm.
2. James Fallows, “Will Iran be Next?,” Atlantic Monthly, dicembre 2004, pagg. 97-110.
3. Ibid.
4. Seymour Hersh, “The Coming Wars,” The New Yorker, numero del 24-31 gennaio 2005, pagg. 40-47. Inserito online il 17 gennaio 2005. Online: http://www.newyorker.com/fact/content/?050124fa_fact
5. “Oil bourse closer to reality,” IranMania.com, 28 dicembre 2004. Online: http://www.iranmania.com/ News/ArticleView/Default.asp?ArchiveNews=Yes&News-Code=28176&NewsKind=BusinessEconomy.
Fonti: GlobalResearch.ca, ottobre 27, titolo: “Iran Next U.S. Target”, autore: William Clark. Docente valutatore:
Phil Beard, Ph. D. Studente ricercatore: Brian Miller
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