FED con il dollaro e BCE con l'EURO

Il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato a due anni tedeschi e quelli americani rappresenta da sempre un indicatore chiave per interpretare le dinamiche del cambio euro-dollaro. Storicamente, infatti, quando lo spread si restringe o si amplia, il mercato valutario tende a muoversi in modo coerente, riflettendo le attese di politica monetaria e la percezione di rischio tra le due aree.
Nel 2025 abbiamo assistito a un fenomeno interessante: il calo del dollaro ha anticipato la riduzione dello spread tra i rendimenti europei e quelli statunitensi. Un segnale non banale, che mette in evidenza come le politiche economiche e commerciali abbiano influito non solo sui mercati obbligazionari, ma anche sulle valute.
L’amministrazione americana, con la sua agenda di nuovi dazi, la gestione controversa dei rapporti con partner e alleati, la spinta verso un dollaro più debole per favorire l’export, e persino la pressione sulla Federal Reserve, ha alimentato incertezza e modificato le aspettative degli investitori.
In questo contesto, il mercato valutario si è mosso prima, scontando i rischi di un indebolimento strutturale del dollaro, mentre lo spread tra Bund e Treasury ha seguito con ritardo.
Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo 300 USA E GERMANIA: RENDIMENTI A BREVE TERMINE E CAMBIO EURO DOLLARO Basis points Spot Spotrate rate 0.95 250 200 1.00 150 1.05 100 1.10 50 1.15 2021 1.20 2023 2022 2024 Rendimento titoli 2 anni USA meno 2 anni Germania EURUSD (RHS) (Invertita) 1.25 2025 Source: LSEG Datastream Paolo Cardenà


 
“L'Europa è un museo, il Giappone è una casa di riposo, la Cina è una prigione e Bitcoin è un esperimento”. Queste sono state le parole dell'ex-Segretario al Tesoro Lawrence Summers rivolte agli investitori durante la Morningstar Investment Conference del 2023.

Summers parlava delle condizioni monetarie globali e della necessità di detenere i propri investimenti e denaro in una qualche valuta, da qualche parte. “Preferirei giocare le mie carte con l'America piuttosto che con qualsiasi altro Paese al mondo [...] bisogna mettere i propri soldi da qualche parte e il dollaro è un buon posto dove metterli”.

Il dollaro è la proverbiale camicia meno sporca.

Non posso verificare se Christine Lagarde, la presidente della Banca Centrale Europea, o un membro del suo staff fosse tra il pubblico, ma di certo non hanno recepito il messaggio. I politici europei hanno una lunga storia di manipolazione delle menti nei confronti della popolazione. Con aria seria, raccontano bugie e danno per scontato che i loro sudditi seguiranno le loro orme – e, a nostro discredito, la maggior parte di noi lo fa.

A giugno la Lagarde era in prima pagina sul Financial Times. Non si capisce bene il motivo ma lei e i suoi consiglieri hanno l'impressione che questo sia il momento dell'Europa. Con il presidente Trump che tiene gli Stati Uniti sulle proprie sponde e il dollaro in ritirata, l'euro, una creazione sovranazionale pianificata in modo eccellente e governata in modo impeccabile, è il sostituto ideale.
O forse no...

Ci sono alcune cose ovvie da citare qui: i venditori di fumo e quella citazione di Upton Sinclair sul non capire qualcosa quando da essa dipende il proprio stipendio (nell'ordine dei $500.000)... ma sto divagando.

L'editoriale del Financial Times prosegue esplorando come “la forza economica sia la spina dorsale di qualsiasi valuta internazionale”. Un osservatore imparziale squalificherebbe presto l'Eurozona, la quale ha flirtato per anni con recessione e crescita intorno allo zero, con le peggiori prospettive di fertilità al mondo, prezzi dell'elettricità record, nessuna sovranità energetica – e poco più di un decennio fa era sull'orlo del collasso sotto il peso della prodigalità degli stati. La maggior parte delle persone non si rende conto che le economie americana e dell'area Euro avevano più o meno le stesse dimensioni negli anni '90, e di nuovo durante la crisi finanziaria mondiale, ma che l'economia statunitense è ora più grande di circa il 77%. Secondo la maggior parte delle stime, la vita economica – la “forza” – è migliore in America, a prescindere dalle strane idee che vengono in mente agli uomini dai capelli arancioni nelle case bianche.

Anche secondo i vecchi standard mondiali di inflazione bassa e stabile, e mercati dei capitali solidi e affidabili, l'Eurozona ha una performance nettamente inferiore a quella americana. Il mercato obbligazionario americano è almeno il doppio di quello europeo, frammentato e disarticolato, e i suoi mercati azionari sono circa 6-7 volte più grandi. David Hebert su queste pagine s'è posto la domanda giusta: Perché non ci sono aziende da mille miliardi di dollari in Europa?. Finanziamenti, imprenditorialità e ostacoli normativi sono alcune delle risposte ovvie, ma anche il fatto che “gli Stati Uniti rimangono un luogo privilegiato per lavoratori e imprese. Il nostro sistema promuove le imprese e la creazione di opportunità di lavoro in un modo che è invidiato dal resto del mondo”.

Anche per le start-up l'erba del vicino è molto più verde negli Stati Uniti: meno oneri normativi e un accesso al capitale decisamente migliore. Alcune delle aziende tecnologiche europee di maggior successo, da Klarna e Spotify alla (britannica!) Wise, hanno optato per New York invece di Stoccolma, Francoforte o Londra. Una statistica sorprendente la dice lunga sul dinamismo, la liquidità e i mercati dei capitali del museo Europa: “Nessuna azienda dell'UE fondata negli ultimi 50 anni ha una capitalizzazione di mercato superiore a €100 miliardi, mentre tutte e sei le aziende statunitensi con una capitalizzazione superiore a $1.000 miliardi sono state create durante suddetto periodo” (si potrebbe discutere sull'olandese ASML o sulla danese Novo Nordisk, ma il punto resta...).

In una frecciatina agli Stati Uniti, la Lagarde ci dice che l'Europa ha una maggiore indipendenza per quanto riguarda la sua autorità monetaria (un livello piuttosto basso...), un processo decisionale inclusivo e “pesi e contrappesi”. Il paragrafo successivo mina questo impegno: “Non si deve più permettere che un singolo veto ostacoli gli interessi collettivi degli altri 26 Stati membri”, e meno veti “permetterebbero all'Europa di parlare con una sola voce”, ovvero di scavalcare gli stati turbolenti.

La parte peggiore è quando indica le “industrie strategiche” come quelle impegnate nella tecnologia verde, che non sono né strategiche né tantomeno “industrie”, bensì implementazioni di sogni ideologici sovvenzionati a livello pubblico e morenti.

Tutto ciò che l'Europa ha da offrire al mondo sono il calcio e le case di riposo, un'architettura secolare e spiagge eccessivamente regolamentate e infestate dai turisti.

Credere che l'euro avrà un ruolo più importante negli affari monetari internazionali è ridicolo. Nella misura in cui i gestori patrimoniali e le riserve monetarie dovessero essere spostati dal dollaro, questi non finirebbero nell'euro (o nella sterlina), ma in valute più piccole e non tradizionali. Le istituzioni finanziarie scettiche sull'egemonia monetaria mondiale stanno accumulando oro (e Bitcoin), non nella moneta regionale supervisionata dalla Lagarde.

Sebbene il predominio del dollaro sia costantemente diminuito a seguito delle turbolenze politiche, della crisi fiscale e del congelamento delle riserve russe, è ancora molto più avanti dell'euro. Circa il 58% delle riserve monetarie è in dollari, mentre l'euro rimane immobile al di sotto del 20% – ben lontana dalle ambizioni della Lagarde.

Quel che è peggio è che il tipo di stati, istituzioni e individui che necessitano di de-dollarizzazione non otterrebbero nulla euroizzandosi. Stati e gestori di fondi in Cina, Russia o India non otterrebbero alcuna diversificazione politica detenendo euro invece di dollari; di fatto la Russia l'ha fatto, poiché la maggior parte delle sue riserve congelate era custodita presso Euroclear e banche europee. Tutto ciò che un passaggio dal dollaro all'euro farebbe è sostituire i rischi di governance, inflazione e confisca associati alla leadership americana con gli stessi identici rischi (peggiori) in un formato europeo. Evviva!

“Nonostante le sue altre virtù, usare la moneta di riserva mondiale come arma la si uccide”, ho scritto a proposito del dollaro l'anno scorso. Tali questioni certamente sfavoriscono lo Zio Sam e il dollaro come moneta di riserva mondiale... ma gli europei sono messi peggio.
Sebbene la guerra della Lagarde al contante sia stata un tantino esagerata, in Spagna e Francia esistono norme invasivamente restrittive che limitano l'uso del contante a €1.000, con un limite di €10.000 in vigore in tutta l'Unione Europea entro il 2027.

Le grida al crollo imminente del dollaro sono sempre esagerate, ma l'idea dell'euro come sostituto è ancora più esageratamente illusoria.

La Lagarde avrebbe dovuto leggere l'altro importante quotidiano britannico, The Economist. Il titolo di febbraio di quest'anno? L'Europa non ha scampo dalla stagnazione.

Mi dispiace, Christine.
 

Tagli dei tassi della Fed: tutto sui posti di lavoro​

Il numero di disoccupati americani ora supera quello delle offerte di lavoro disponibili. I dati di luglio mostrano 7,24 milioni di disoccupati americani rispetto ai 7,18 milioni di offerte di lavoro, segnando la prima volta che i disoccupati superano il numero di posti di lavoro disponibili da aprile 2021. Le aziende stanno esternalizzando il lavoro in luoghi come l'India o in luoghi in cui gli esseri umani lavorano con l'intelligenza artificiale automatizzata. L'aumento dei salari e delle normative, unito all'inflazione e alle tasse in continuo aumento, hanno creato un ambiente imprenditoriale sfavorevole.
 
La creazione e la proliferazione delle banche centrali nel corso dell'ultimo secolo hanno promesso una maggiore stabilità finanziaria. Tuttavia, come dimostrano continuamente la storia e gli eventi attuali, non hanno impedito le crisi finanziarie. La loro frequenza e gravità hanno oscillato, ma non sono diminuite da quando le banche centrali sono diventate il principale soggetto nella regolamentazione dei mercati finanziari e negli interventi monetari. Al contrario, hanno introdotto nuove fragilità e modificato la natura, ma non la ricorrenza, delle turbolenze finanziarie. L'evidenza empirica sfata il mito secondo cui le banche centrali abbiano posto fine all'era delle crisi finanziarie frequenti.
Indipendentemente dalla loro supervisione, un boom del credito ha preceduto una crisi bancaria su tre.
Chi lo ha creato?
Le banche centrali attraverso la manipolazione dei tassi d'interesse.
Secondo documenti di lavoro dell'FMI, ci son ostate 147 crisi bancarie solo tra il 1970 e il 2011, in un'epoca di predominio delle banche centrali.
Le crisi finanziarie rimangono un fenomeno globale persistente, che si verifica in cicli che coincidono con episodi di espansione del credito. Le banche centrali hanno spesso prolungato periodi di espansione con tassi bassi e acquisti di asset, e hanno creato bruschi momenti di crisi dopo aver commesso errori in materia di inflazione e rischi di credito.
Tuttavia, a ogni crisi successiva, la soluzione è sempre stata la stessa: programmi di acquisto di asset più ampi, e aggressivi, e tassi reali negativi.
Ciò significa che le banche centrali sono gradualmente passate dall'essere prestatori di ultima istanza a prestatori di prima istanza, un ruolo che ha amplificato le vulnerabilità economiche.

A causa della globalizzazione e delle innovazioni finanziarie, le crisi tendono ad avere dimensioni più ampie e complesse, colpendo la maggior parte delle nazioni. Il profondo coinvolgimento delle banche centrali nei mercati fa sì che le loro linee di politica, come la liquidità di emergenza o gli acquisti di asset, mascherino i rischi sistemici, portando a fallimenti ritardati ma più impattanti.
In molte economie avanzate le recenti crisi sono state innescate dall'accumulo di debito e dalle distorsioni di mercato, spesso con il pretesto di mantenere la stabilità.
La Banca Mondiale afferma che circa la metà degli episodi di accumulo di debito nei mercati emergenti sin dal 1970 ha coinvolto crisi finanziarie, e gli episodi associati a esse sono stati caratterizzati da una maggiore crescita del debito e un'economia stagnante.
Le principali crisi degli ultimi decenni hanno evidenziato che le banche centrali non le prevengono, spesso i loro interventi hanno solo ritardato la resa dei conti, aggravando gli squilibri sottostanti, in particolare il debito pubblico. Le banche centrali usano il loro enorme potere per mascherarne l'insolvenza e aumentarne il prezzo, il che porta a un'eccessiva assunzione di rischi e a un'inflazione dei prezzi degli asset.
L'espansione monetaria e la NIRP del 2020, perpetuate fino al 2022 nonostante l'impennata dell'inflazione, ne sono un chiaro esempio. Gli stati hanno beneficiato del periodo di espansione consentendo loro di far lievitare spesa pubblica e debito.
Nel frattempo cittadini e piccole imprese hanno sofferto di un'inflazione elevata.
Quando le banche centrali hanno infine riconosciuto il problema che avevano contribuito a creare, hanno mantenuto linee di politica accomodanti, dando priorità alla liquidità, alimentando una maggiore irresponsabilità da parte degli stati, e l'aumento dei tassi ha danneggiato le finanze delle famiglie e delle piccole imprese che in precedenza avevano subito l'esplosione dell'inflazione.
Gli stati non si sono preoccupati degli aumenti dei tassi perché hanno aumentato le tasse.
La Banca d'Inghilterra, ad esempio, così come la BCE, continua a tagliare i tassi e ad allentare la politica monetaria nonostante l'aumento dell'inflazione. La controtendenza degli USA non è un caso, invece, visto che mirano a riformare il sistema e stanno già mettendo in cantiere le basi di questa riforma.
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto