FRANCIA

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Il recente declassamento di Fitch ha messo in luce criticità che vanno ben oltre i conti pubblici:
- un debito sovrano in crescita costante, senza prospettive di stabilizzazione;
- una bilancia commerciale cronicamente negativa, che rende il Paese debitore strutturale verso l’estero;
- un debito privato tra i più elevati d’Europa, che riduce la resilienza di famiglie e imprese agli shock.
Il risultato?
Spread in aumento, rendimenti trentennali oltre il 4% e crescente sfiducia da parte degli investitori.
La Francia non è più assimilata al “nocciolo duro” dell’Eurozona, ma appare sempre più vicina ai Paesi periferici.
Nell’articolo che trovate nel primo commento analizzo in profondità questi squilibri e le implicazioni per la stabilità economica europea.


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Il valore della metodologia basata sui CDS

I CDS rappresentano una sorta di assicurazione che gli investitori acquistano per coprirsi dal rischio che uno Stato non sia in grado di onorare i propri impegni finanziari. Con le regole ISDA 2003, i CDS coprono unicamente il rischio di insolvenza; con la riforma del 2014 (ISDA 2014) viene invece riconosciuto anche il rischio di ridenominazione, cioè l’uscita dall’euro e il ritorno a una valuta nazionale.

La comparazione tra i prezzi dei CDS ISDA 2003 e ISDA 2014 consente infatti di separare la probabilità di default da quella di exit dall’Eurozona. Si tratta di una metodologia preziosa, perché restituisce una misura sintetica e immediata della percezione del mercato, senza affidarsi a valutazioni soggettive o a scenari puramente politici.
 

Come la Banca Centrale Europea ha progettato la crisi del debito francese... e la successiva​

di Daniel Lacalle


(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/come-la-banca-centrale-europea-ha)

La crisi del debito francese ci ricorda che il gradualismo non funziona mai, che lo statalismo finisce sempre in rovina e che i Paesi che puntano su più stato e tasse più alte finiscono sempre nella stagnazione, nel rischio di default e nei disordini sociali.

Il rapporto debito pubblico/PIL della Francia supera il 114%. Tuttavia le passività pensionistiche future e non finanziate raggiungono il 400% del PIL, secondo Eurostat. Il deficit fiscale annunciato per quest'anno è del 5,4%, ma il consenso di mercato mantiene un'aspettativa del 5,8%. Il rischio di default creditizio a cinque anni è aumentato del 20% in dodici mesi. Il rendimento del debito francese a due anni supera quello di Spagna, Italia e Grecia, e il suo premio di rischio rispetto alla Germania ha raggiunto gli 80 punti base, 20 in più rispetto a quello della Spagna.

Il problema nell'area Euro è che tutti applaudono quando uno stato gonfia il PIL con ingenti spese pubbliche e posti di lavoro nel settore pubblico, oltre all'immigrazione, mascherando persistenti squilibri fiscali e un calo della crescita della produttività. Inoltre gli analisti keynesiani ignorano l'effetto crowding out sul settore privato e l'impatto dannoso di imposte elevate sulla sostenibilità dei conti pubblici a lungo termine.

Sono abbastanza vecchio da ricordare quando i media generalisti celebravano la Grecia come motore della crescita dell'Eurozona, quando stava gonfiando il PIL con ingenti spese pubbliche e posti di lavoro nel settore pubblico. La Grecia fu salutata come “foriera di un'elevata crescita economica” e “avanscoperta della ripresa dell'Eurozona” in base alle pubblicazioni dell'FMI e della Commissione Europea nel 2005 e nel 2006. Titoli e resoconti politici riconoscevano i risultati economici della Grecia come esempio di forte leadership all'interno dell'Eurozona. Sappiamo tutti cosa accadde poi nel 2008.
 

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