giuseppe.d'orta
Forumer storico
Con l'introduzione della riforma del TFR si stanno moltiplicando le voci che parlano di "scippo del TFR" e che considerano i fondi pensione come una sorta di "truffa".
Stiamo ricevendo centinaia di questionari sulla questione del TFR al fine di ricevere un kit informativo gratuito (per maggiori informazioni si faccia riferimento a questo articolo: "TFR e previdenza integrativa: dal 2007 scegliere è obbligatorio").
Dai questionari verifichiamo giorno per giorno come molti lavoratori temimo che i fondi pensione facciamo "sparire" i soldi del TFR.
Le "voci" di cui sopra, quindi, si inseriscono in un terreno assai fertile, ma temiamo che contribuiscano a fare confusione più che aiutare i futuri pensionati.
Riteniamo che i lavoratori oggi abbiamo bisogno di una informazione chiara ed esaustiva e non di messaggi intimidatori.
Le cose, purtroppo, sono sempre più complicate di come si legge sui giornali. E' necessario dedicare un po' di tempo a studiare la materia.
Con questo articolo vogliamo ribadire alcuni concetti fondamentali relativi alla previdenza integrativa ed al trasferimento del TFR, senza fare considerazioni di tipo politico, ma strettamente tecniche. Non possiamo entrare troppo nel dettaglio (per questo abbiamo realizzato una guida "Previdenza e TFR" di 25 pagine che spediamo gratuitamente a tutti coloro che ci inviano il questionario di cui sopra), ma vogliamo semplicemente evidenziare ai lavoratori come il tema non si possa liquidare con quattro semplici battute.
1. C'è fondo pensione e fondo pensione: non sono tutti "una truffa"
Aduc Investire Informati da anni si batte contro la cosiddetta industria del risparmio gestito che sforna prodotti impresentabili mettendo, di fatto, le mani in tasca ai clienti, sfruttando la loro ignoranza in materia.
Ma non possiamo dire che tutti i fondi pensione sono "una truffa."
Semplificando, ci sono tre categorie di fondi pensione: i fondi negoziali (o chiusi), i fondi pensione aperti ed i PIP.
Abbiamo detto con chiarezza che fino ad oggi non abbiamo avuto modo di analizzare neppure un PIP che valesse la pena di essere sottoscritto. Questi prodotti sono certamente sconsigliabili. Nel caso in cui l'azienda facesse un accordo aziendale volto a destinare il TFR inoptato verso questi prodotti sarebbe certamente grave. Il lavoratore attendo dovrebbe scegliere un diverso fondo a cui destinare il TFR. Per quanto riguarda i fondi pensione aperti, in grande maggioranza questi prodotti sono poco efficienti, sebbene - mediamente - migliori dei PIP.
Per quanto riguarda i fondi chiusi o negoziali, non si può certo parlare di "truffa", né di costi eccessivi. Si può parlare di scarsa trasparenza nella gestione (e non è poco), ma - salvo casi rari - si tratta di prodotti gestiti in maniera quantomeno accettabile.
Ovviamente ci sono le eccezioni. Alcuni fondi negoziali, in passato, sono stati gestiti - finanziariamente - in maniera assai criticabile e sarebbe preferibile, in quel caso, scegliere un fondo pensione aperto più efficiente.
Nella maggioranza dei casi, comunque, i fondi pensione chiusi sono la scelta più sensata (anche - e soprattutto - in ragione del contributo negoziale).
2. Trasferire il TFR maturando nei fondi pensione, solitamente conviene
Si può discutere, sul piano politico, sulla "correttezza" di questa riforma e sull'opportunità di incentivare i fondi pensione.
Si può discutere sulla necessità di aumentare la trasparenza e le garanzie dei fondi pensione.
Si può discutere sul problema dei coefficienti di trasformazione in rendita per l'erogazione delle pensioni.
Tutti questi problemi sono sul campo ed è bene che i lavoratori siano informati e spingano (anche autonomamente dal sindacato che ha sul punto un interesse in conflitto con i lavoratori) affinché si facciano le modifiche necessarie.
Al tempo stesso, però, non possiamo trascurare il fatto che la normativa attuale, nella maggioranza dei casi, rende economicamente conveniente trasferire il TFR maturando nei fondi pensione se si sceglie di versare il contributo volontario al quale si aggiunge il contributo datoriale.
Si può scegliere di opporsi, ideologicamente, a questo sistema, e mantenere il TFR in azienda, ma è bene sapere che -alle condizioni attuali e nella maggioranza dei casi- si tratta di una scelta tecnicamente sconveniente.
Ci sono, essenzialmente, due motivi per sostenere quanto appena affermato:
a) il contributo del datore di lavoro rappresenta mediamente il 10-15% del TFR. Si tratta di un importo così significativo che qualunque disquisizione sull'ipotetico rendimento del TFR mantenuto in azienda e quello dei fondi pensione perde di significato;
b) sul piano fiscale, il trasferimento del TFR nei fondi pensione è molto conveniente. Non è vero, come dice qualcuno, che si tratta di una mero differimento dell'imposta (per maggiori chiarimenti si veda la già citata guida "Previdenza e TFR" ).
Si può sostenere, correttamente, che il contributo datoriale, sul piano generale, non sia un vantaggio per i lavoratori che "sconteranno" tale contributo in termini di minori aumenti salariali in futuro. Il punto, però, è che la norma è questa ed i lavoratori devono scegliere se avvantaggiarsene o tentare di cambiarla (avendo contro anche i sindacati che evidentemente si sono messi d'accordo con i datori di lavoro per avere qualche posto ben retribuito negli organi direttivi dei fondi pensione negoziali).
Se la norma rimane, come è molto probabile che sia, i lavoratori che non aderiranno ai fondi pensione, di fatto, avranno una riduzione della retribuzione stimabile, mediamente, in circa il 15% del TFR (cioe' circa l'1% della retribuzione).
Si può sostenere, correttamente, che le scelte finanziarie e previdenziali non devono essere basate sull'aspetto fiscale perché le norme possono variare nel medio/lungo termine. L'impatto fiscale, però, non può essere totalmente ignorato. Così come nessuno può garantire che l'attuale legislazione favorevole ai fondi pensione venga modificata, lo stesso si può dire per quanto riguarda l'attuale tassazione sul TFR. Chi può garantire che in futuro non si abbandoni il regime della tassazione separata?
Ad oggi, nella maggioranza dei casi, trasferire il TFR maturando è una scelta tecnicamente conveniente, almeno per il singolo (sebbene, i lavoratori, nel complesso, non necessariamente ci guadagneranno). Questo - a nostro avviso - è il messaggio che i lavoratori devono ricevere.
3. Il caso dei lavoratori pre-1993
La regola generale sui fondi pensione dice che al momento del pensionamento si può riprendere, in forma di capitale, al massimo il 50% del capitale maturato. La restante parte deve essere convertito in rendita.
Pochi sanno che esiste una eccezione che può riguardare un numero molto significativo di lavori i quali avranno la possibilità di riprendere l'intero capitale.
La norma stabilisce che nel caso in cui, convertendo in rendita almeno il 70% del capitale maturato a scadenza, l’importo della pensione complementare sia inferiore alla metà dell’assegno sociale INPS (ad oggi pari a circa 5.000 euro) è possibile riscattare l'intero capitale.
In questa categoria potrà rientrare un buon numero di lavoratori, in particolare la maggioranza di coloro che hanno iniziato a lavorare prima del 29 aprile 1993.
Questi lavoratori, infatti, possono trasferire non il 100% del TFR maturando bensì una parte inferiore (normalmente tra il 30 ed il 50 per cento, dipende dagli accordi collettivi istitutivi del fondo di categoria). Con redditi "normali", il 50% del TFR (più contributo volontario e datoriale), di solito, non è sufficiente a formare un capitale tale da superare il limite sopra indicato. Quindi, tutti questi lavoratori, potranno riprendere l'intero capitale.
Un lavoratore a cui mancano 10 o 15 anni per andare in pensione, solitamente (è necessario fare i calcoli per i casi specifici), ha una notevole convenienza a sottoscrivere il fondo negoziale versando il minimo del contributo volontario. In questo modo, infatti, quando andra' in pensione, potrà ricevere una liquidazione sensibilmente più elevata (grazie all'effetto fiscale per la parte trasferita al fondo pensione) ed al contributo aggiuntivo del datore di lavoro.
4. L'investimento finanziario. La mancata "garanzia"
I versamenti ai fondi pensione vengono destinati ad investimenti finanziari.
Sul punto, un'analisi di Alberto Filippi dell'associazione Asterisco-Asterisk, riportata sul sito dell'ottimo prof. Beppe Scienza ( http://www.dm.unito.it/personalpages/scienza/documenti/Asterisco-prev-integrativa.htm ) sostiene: "La pensione dipende dall’andamento del fondo e non è esclusa la perdita dei contributi versati. In definitiva la pensione dei lavoratori dipenderà dalle bizze dei mercati finanziari e dalle capacità e serietà dei gestori.
Al lavoratore insomma si chiede d’avere fiducia nei mercati finanziari, nonostante tutto quello che è successo e che sicuramente succederà. Un atto di fede che non ha nessuna logica se non quella di destinare una parte di reddito ad un mostro sconosciuto e sperare nella sua riconoscenza.
Il rischio a carico del lavoratore, che è stato privato di una parte consistente del proprio reddito, per quanto riguarda i contributi versati è quindi totale. Nel caso di crollo dei mercati finanziari (ipotesi non tanto campata in aria) si perde tutto o quasi (le evidenziazioni grafiche sono nostre)".
Questo è il genere di "analisi" che sovente vengono pubblicate perfino su ottime fonti d'informazione come quella del prof. Scienza.
E' evidente che questa visione dei mercati finanziari (che sembra parlare più alle viscere che al cervello) fatta di "mostri" e volatizzazioni dei sudati risparmi ha poco a che fare con la realtà.
Cerchiamo, quindi, di stare ai fatti.
E' bene sottolineare che non esiste alcuna garanzia di riavere il 100% del capitale in termini reali (cioé rivalutati in base all'inflazione). Tale garanzia non esiste da nessuna parte. Neppure il TFR garantisce il potere di acquisto. Se si tornasse a tassi d'inflazione superiori al 6%, la rivalutazione del TFR sarebbe inferiore all'inflazione ed i lavoratori subirebbero una perdita in termini reali. Tale ipotesi è improbabile, ma non impossibile. Per molti anni i lavoratori hanno subito perdite in termini reali con il TFR a causa dell'alta inflazione.
Similmente è improbabile che un comparto prudente di un fondo pensione abbia rendimenti drammaticamente inferiori al TFR tali da intaccare il vantaggio derivante dal contributo datoriale.
Facciamo un esempio (semplificato) per comprendere.
Ipotizziamo un lavoratore metalmeccanico che abbia un reddito di 24.000 euro che cresce ogni anno del 3%. Si ipotizza un'inflazione pari al 2%. Oggi ha un TFR pari a 1.656 euro. In 30 anni, questo lavoratore avra' accantonato 78.784,89 euro di TFR. Rivalutandolo al tasso del TFR (75% dell'inflazione piu' 1,5%) a scadenza avrebbe un capitale lordo pari al € 116.960,51. Se decidesse di trasferire il TFR ad un fondo pensione ricevendo anche il contributo datoriale (ipotizziamo l'1,2% di molti fondi pensione), al termine dei 30 anni avrebbe una contribuzione (escludendo il proprio contributo volontario) pari a € 92.486,61. Se il fondo pensione avesse un rendimento del 3%, pari al TFR, il capitale lordo a scadenza sarebbe pari a € 137.301,47, cioe' oltre 20.000 euro in piu'! Tale differenza e' dovuta al contributo datoriale.
Ipotizziamo, adesso, che il fondo pensione abbia un rendimento inferiore al TFR di un punto percentuale ogni anno. Se il fondo avesse un rendimento pari al 2%, il capitale a scadenza sarebbe pari a € 119.663,44. Comunque superiore a quello del TFR.
Se il rendimento fosse largamente inferiore a quello del TFR, ipotizziamo solo l'1% all'anno (cioè un terzo del TFR), allora il fondo, pur con il contributo datoriale avrebbe un rendimento inferiore al TFR per complessivi € 12.067,20.
Se invece il fondo avesse un rendimento medio annuo superiore a quello del TFR del 2% ogni anno (cioe' un rendimento medio annuo del 5%), allora il capitale a scadenza sarebbe pari a € 183.781,85 con un guadagno, rispetto al TFR del € 66.821,34.
La questione del rendimento dei fondi pensione che ricevono il contributo datoriale, quindi, è un elemento importante, ma non per valutare la convenienza o meno rispetto al TFR bensì per vigilare sul comportamento dei gestori dei fondi (il fatto che i lavoratori ci guadagnino comunque, non autorizza i gestori a gestire male i soldi).
5. Nel dubbio: scegliere di mantenere il TFR
L'argomento della previdenza integrativa è particolarmente complesso. Si intrecciano aspetti normativi, fiscali e prettamente finanziari.
La norma, come ormai è abbastanza noto, prevede che coloro che non esprimono la propria scelta entro il 30 Giugno 2007 vengano considerati come se avessero scelto di trasferire il TFR.
Questa scelta (sia che venga formulata in modo tacito o esplicito) non è più revocabile.
Diversamente, la scelta di lasciare il TFR così com'è è sempre revocabile.
Come abbiamo già detto, nella maggioranza dei casi, la scelta di trasferire il TFR ad un fondo pensione (con contributo volontario a cui si aggiunge quello del datore di lavoro) è la scelta preferibile.
Una scelta così importante, però, non deve essere fatta in modo forzato, bensì in maniera ragionata e consapevole.
A nostro giudizio, è assai preferibile decidere di lasciare il TFR in azienda per poi fare la scelta dei fondi pensione dopo qualche mese, una volta "convinti" da un attenta analisi della questione, piuttosto che scegliere subito sulla base della fretta o (tanto peggio) scegliere con il silenzio-assenso.
Concludendo
Molte delle critiche che vengono rivolte ai fondi pensione, anche da persone competenti e che stimiamo come il prof. Beppe Scienza, ci sembrano avere più un orientamento politico che tecnico.
Per quello che può valere, anche noi abbiamo molte perplessità circa il modello di risparmio previdenziale che l'Italia ha scelto.
Avremmo di gran lunga preferito un sistema di incentivazione di accantonamento previdenziale basato su conti individuali nei quali i lavoratori possono scegliere direttamente gli strumenti finanziari nei quali investire le risorse.
Il meccanismo del silenzio-assenso non ci piace affatto.
I modelli di governance dei fondi negoziali non ci soddisfano, così come non ci convince il meccanismo del contributo datoriale. Infine, la questione dei coefficienti di trasformazione in rendita ci sembra una lacuna normativa che dovrà essere prima o poi colmata.
Tutto questo, però, non impedisce di affrontare il tema con un po' di sano realismo.
Il modello di previdenza integrativa che l'Italia ha scelto è questo. All'interno di queste norme, i lavoratori devono fare delle valutazioni di convenienza. Purtroppo, la maggioranza dei lavoratori farà la scelta senza la necessaria consapevolezza (come avviene, quotidianamente, nel campo più strettamente finanziario) fidandosi di persone interessate e/o non sufficientemente preparate.
Ci sarà, poi, una piccola fetta di lavoratori che vuole scegliere in maniera consapevole ed informata. A questi lavoratori, mettendo da parte le questioni politiche, vogliamo spiegare con la maggiore chiarezza possibile cosa effettivamente conviene all'interno del quadro normativo e fiscale attuale.
Stiamo ricevendo centinaia di questionari sulla questione del TFR al fine di ricevere un kit informativo gratuito (per maggiori informazioni si faccia riferimento a questo articolo: "TFR e previdenza integrativa: dal 2007 scegliere è obbligatorio").
Dai questionari verifichiamo giorno per giorno come molti lavoratori temimo che i fondi pensione facciamo "sparire" i soldi del TFR.
Le "voci" di cui sopra, quindi, si inseriscono in un terreno assai fertile, ma temiamo che contribuiscano a fare confusione più che aiutare i futuri pensionati.
Riteniamo che i lavoratori oggi abbiamo bisogno di una informazione chiara ed esaustiva e non di messaggi intimidatori.
Le cose, purtroppo, sono sempre più complicate di come si legge sui giornali. E' necessario dedicare un po' di tempo a studiare la materia.
Con questo articolo vogliamo ribadire alcuni concetti fondamentali relativi alla previdenza integrativa ed al trasferimento del TFR, senza fare considerazioni di tipo politico, ma strettamente tecniche. Non possiamo entrare troppo nel dettaglio (per questo abbiamo realizzato una guida "Previdenza e TFR" di 25 pagine che spediamo gratuitamente a tutti coloro che ci inviano il questionario di cui sopra), ma vogliamo semplicemente evidenziare ai lavoratori come il tema non si possa liquidare con quattro semplici battute.
1. C'è fondo pensione e fondo pensione: non sono tutti "una truffa"
Aduc Investire Informati da anni si batte contro la cosiddetta industria del risparmio gestito che sforna prodotti impresentabili mettendo, di fatto, le mani in tasca ai clienti, sfruttando la loro ignoranza in materia.
Ma non possiamo dire che tutti i fondi pensione sono "una truffa."
Semplificando, ci sono tre categorie di fondi pensione: i fondi negoziali (o chiusi), i fondi pensione aperti ed i PIP.
Abbiamo detto con chiarezza che fino ad oggi non abbiamo avuto modo di analizzare neppure un PIP che valesse la pena di essere sottoscritto. Questi prodotti sono certamente sconsigliabili. Nel caso in cui l'azienda facesse un accordo aziendale volto a destinare il TFR inoptato verso questi prodotti sarebbe certamente grave. Il lavoratore attendo dovrebbe scegliere un diverso fondo a cui destinare il TFR. Per quanto riguarda i fondi pensione aperti, in grande maggioranza questi prodotti sono poco efficienti, sebbene - mediamente - migliori dei PIP.
Per quanto riguarda i fondi chiusi o negoziali, non si può certo parlare di "truffa", né di costi eccessivi. Si può parlare di scarsa trasparenza nella gestione (e non è poco), ma - salvo casi rari - si tratta di prodotti gestiti in maniera quantomeno accettabile.
Ovviamente ci sono le eccezioni. Alcuni fondi negoziali, in passato, sono stati gestiti - finanziariamente - in maniera assai criticabile e sarebbe preferibile, in quel caso, scegliere un fondo pensione aperto più efficiente.
Nella maggioranza dei casi, comunque, i fondi pensione chiusi sono la scelta più sensata (anche - e soprattutto - in ragione del contributo negoziale).
2. Trasferire il TFR maturando nei fondi pensione, solitamente conviene
Si può discutere, sul piano politico, sulla "correttezza" di questa riforma e sull'opportunità di incentivare i fondi pensione.
Si può discutere sulla necessità di aumentare la trasparenza e le garanzie dei fondi pensione.
Si può discutere sul problema dei coefficienti di trasformazione in rendita per l'erogazione delle pensioni.
Tutti questi problemi sono sul campo ed è bene che i lavoratori siano informati e spingano (anche autonomamente dal sindacato che ha sul punto un interesse in conflitto con i lavoratori) affinché si facciano le modifiche necessarie.
Al tempo stesso, però, non possiamo trascurare il fatto che la normativa attuale, nella maggioranza dei casi, rende economicamente conveniente trasferire il TFR maturando nei fondi pensione se si sceglie di versare il contributo volontario al quale si aggiunge il contributo datoriale.
Si può scegliere di opporsi, ideologicamente, a questo sistema, e mantenere il TFR in azienda, ma è bene sapere che -alle condizioni attuali e nella maggioranza dei casi- si tratta di una scelta tecnicamente sconveniente.
Ci sono, essenzialmente, due motivi per sostenere quanto appena affermato:
a) il contributo del datore di lavoro rappresenta mediamente il 10-15% del TFR. Si tratta di un importo così significativo che qualunque disquisizione sull'ipotetico rendimento del TFR mantenuto in azienda e quello dei fondi pensione perde di significato;
b) sul piano fiscale, il trasferimento del TFR nei fondi pensione è molto conveniente. Non è vero, come dice qualcuno, che si tratta di una mero differimento dell'imposta (per maggiori chiarimenti si veda la già citata guida "Previdenza e TFR" ).
Si può sostenere, correttamente, che il contributo datoriale, sul piano generale, non sia un vantaggio per i lavoratori che "sconteranno" tale contributo in termini di minori aumenti salariali in futuro. Il punto, però, è che la norma è questa ed i lavoratori devono scegliere se avvantaggiarsene o tentare di cambiarla (avendo contro anche i sindacati che evidentemente si sono messi d'accordo con i datori di lavoro per avere qualche posto ben retribuito negli organi direttivi dei fondi pensione negoziali).
Se la norma rimane, come è molto probabile che sia, i lavoratori che non aderiranno ai fondi pensione, di fatto, avranno una riduzione della retribuzione stimabile, mediamente, in circa il 15% del TFR (cioe' circa l'1% della retribuzione).
Si può sostenere, correttamente, che le scelte finanziarie e previdenziali non devono essere basate sull'aspetto fiscale perché le norme possono variare nel medio/lungo termine. L'impatto fiscale, però, non può essere totalmente ignorato. Così come nessuno può garantire che l'attuale legislazione favorevole ai fondi pensione venga modificata, lo stesso si può dire per quanto riguarda l'attuale tassazione sul TFR. Chi può garantire che in futuro non si abbandoni il regime della tassazione separata?
Ad oggi, nella maggioranza dei casi, trasferire il TFR maturando è una scelta tecnicamente conveniente, almeno per il singolo (sebbene, i lavoratori, nel complesso, non necessariamente ci guadagneranno). Questo - a nostro avviso - è il messaggio che i lavoratori devono ricevere.
3. Il caso dei lavoratori pre-1993
La regola generale sui fondi pensione dice che al momento del pensionamento si può riprendere, in forma di capitale, al massimo il 50% del capitale maturato. La restante parte deve essere convertito in rendita.
Pochi sanno che esiste una eccezione che può riguardare un numero molto significativo di lavori i quali avranno la possibilità di riprendere l'intero capitale.
La norma stabilisce che nel caso in cui, convertendo in rendita almeno il 70% del capitale maturato a scadenza, l’importo della pensione complementare sia inferiore alla metà dell’assegno sociale INPS (ad oggi pari a circa 5.000 euro) è possibile riscattare l'intero capitale.
In questa categoria potrà rientrare un buon numero di lavoratori, in particolare la maggioranza di coloro che hanno iniziato a lavorare prima del 29 aprile 1993.
Questi lavoratori, infatti, possono trasferire non il 100% del TFR maturando bensì una parte inferiore (normalmente tra il 30 ed il 50 per cento, dipende dagli accordi collettivi istitutivi del fondo di categoria). Con redditi "normali", il 50% del TFR (più contributo volontario e datoriale), di solito, non è sufficiente a formare un capitale tale da superare il limite sopra indicato. Quindi, tutti questi lavoratori, potranno riprendere l'intero capitale.
Un lavoratore a cui mancano 10 o 15 anni per andare in pensione, solitamente (è necessario fare i calcoli per i casi specifici), ha una notevole convenienza a sottoscrivere il fondo negoziale versando il minimo del contributo volontario. In questo modo, infatti, quando andra' in pensione, potrà ricevere una liquidazione sensibilmente più elevata (grazie all'effetto fiscale per la parte trasferita al fondo pensione) ed al contributo aggiuntivo del datore di lavoro.
4. L'investimento finanziario. La mancata "garanzia"
I versamenti ai fondi pensione vengono destinati ad investimenti finanziari.
Sul punto, un'analisi di Alberto Filippi dell'associazione Asterisco-Asterisk, riportata sul sito dell'ottimo prof. Beppe Scienza ( http://www.dm.unito.it/personalpages/scienza/documenti/Asterisco-prev-integrativa.htm ) sostiene: "La pensione dipende dall’andamento del fondo e non è esclusa la perdita dei contributi versati. In definitiva la pensione dei lavoratori dipenderà dalle bizze dei mercati finanziari e dalle capacità e serietà dei gestori.
Al lavoratore insomma si chiede d’avere fiducia nei mercati finanziari, nonostante tutto quello che è successo e che sicuramente succederà. Un atto di fede che non ha nessuna logica se non quella di destinare una parte di reddito ad un mostro sconosciuto e sperare nella sua riconoscenza.
Il rischio a carico del lavoratore, che è stato privato di una parte consistente del proprio reddito, per quanto riguarda i contributi versati è quindi totale. Nel caso di crollo dei mercati finanziari (ipotesi non tanto campata in aria) si perde tutto o quasi (le evidenziazioni grafiche sono nostre)".
Questo è il genere di "analisi" che sovente vengono pubblicate perfino su ottime fonti d'informazione come quella del prof. Scienza.
E' evidente che questa visione dei mercati finanziari (che sembra parlare più alle viscere che al cervello) fatta di "mostri" e volatizzazioni dei sudati risparmi ha poco a che fare con la realtà.
Cerchiamo, quindi, di stare ai fatti.
E' bene sottolineare che non esiste alcuna garanzia di riavere il 100% del capitale in termini reali (cioé rivalutati in base all'inflazione). Tale garanzia non esiste da nessuna parte. Neppure il TFR garantisce il potere di acquisto. Se si tornasse a tassi d'inflazione superiori al 6%, la rivalutazione del TFR sarebbe inferiore all'inflazione ed i lavoratori subirebbero una perdita in termini reali. Tale ipotesi è improbabile, ma non impossibile. Per molti anni i lavoratori hanno subito perdite in termini reali con il TFR a causa dell'alta inflazione.
Similmente è improbabile che un comparto prudente di un fondo pensione abbia rendimenti drammaticamente inferiori al TFR tali da intaccare il vantaggio derivante dal contributo datoriale.
Facciamo un esempio (semplificato) per comprendere.
Ipotizziamo un lavoratore metalmeccanico che abbia un reddito di 24.000 euro che cresce ogni anno del 3%. Si ipotizza un'inflazione pari al 2%. Oggi ha un TFR pari a 1.656 euro. In 30 anni, questo lavoratore avra' accantonato 78.784,89 euro di TFR. Rivalutandolo al tasso del TFR (75% dell'inflazione piu' 1,5%) a scadenza avrebbe un capitale lordo pari al € 116.960,51. Se decidesse di trasferire il TFR ad un fondo pensione ricevendo anche il contributo datoriale (ipotizziamo l'1,2% di molti fondi pensione), al termine dei 30 anni avrebbe una contribuzione (escludendo il proprio contributo volontario) pari a € 92.486,61. Se il fondo pensione avesse un rendimento del 3%, pari al TFR, il capitale lordo a scadenza sarebbe pari a € 137.301,47, cioe' oltre 20.000 euro in piu'! Tale differenza e' dovuta al contributo datoriale.
Ipotizziamo, adesso, che il fondo pensione abbia un rendimento inferiore al TFR di un punto percentuale ogni anno. Se il fondo avesse un rendimento pari al 2%, il capitale a scadenza sarebbe pari a € 119.663,44. Comunque superiore a quello del TFR.
Se il rendimento fosse largamente inferiore a quello del TFR, ipotizziamo solo l'1% all'anno (cioè un terzo del TFR), allora il fondo, pur con il contributo datoriale avrebbe un rendimento inferiore al TFR per complessivi € 12.067,20.
Se invece il fondo avesse un rendimento medio annuo superiore a quello del TFR del 2% ogni anno (cioe' un rendimento medio annuo del 5%), allora il capitale a scadenza sarebbe pari a € 183.781,85 con un guadagno, rispetto al TFR del € 66.821,34.
La questione del rendimento dei fondi pensione che ricevono il contributo datoriale, quindi, è un elemento importante, ma non per valutare la convenienza o meno rispetto al TFR bensì per vigilare sul comportamento dei gestori dei fondi (il fatto che i lavoratori ci guadagnino comunque, non autorizza i gestori a gestire male i soldi).
5. Nel dubbio: scegliere di mantenere il TFR
L'argomento della previdenza integrativa è particolarmente complesso. Si intrecciano aspetti normativi, fiscali e prettamente finanziari.
La norma, come ormai è abbastanza noto, prevede che coloro che non esprimono la propria scelta entro il 30 Giugno 2007 vengano considerati come se avessero scelto di trasferire il TFR.
Questa scelta (sia che venga formulata in modo tacito o esplicito) non è più revocabile.
Diversamente, la scelta di lasciare il TFR così com'è è sempre revocabile.
Come abbiamo già detto, nella maggioranza dei casi, la scelta di trasferire il TFR ad un fondo pensione (con contributo volontario a cui si aggiunge quello del datore di lavoro) è la scelta preferibile.
Una scelta così importante, però, non deve essere fatta in modo forzato, bensì in maniera ragionata e consapevole.
A nostro giudizio, è assai preferibile decidere di lasciare il TFR in azienda per poi fare la scelta dei fondi pensione dopo qualche mese, una volta "convinti" da un attenta analisi della questione, piuttosto che scegliere subito sulla base della fretta o (tanto peggio) scegliere con il silenzio-assenso.
Concludendo
Molte delle critiche che vengono rivolte ai fondi pensione, anche da persone competenti e che stimiamo come il prof. Beppe Scienza, ci sembrano avere più un orientamento politico che tecnico.
Per quello che può valere, anche noi abbiamo molte perplessità circa il modello di risparmio previdenziale che l'Italia ha scelto.
Avremmo di gran lunga preferito un sistema di incentivazione di accantonamento previdenziale basato su conti individuali nei quali i lavoratori possono scegliere direttamente gli strumenti finanziari nei quali investire le risorse.
Il meccanismo del silenzio-assenso non ci piace affatto.
I modelli di governance dei fondi negoziali non ci soddisfano, così come non ci convince il meccanismo del contributo datoriale. Infine, la questione dei coefficienti di trasformazione in rendita ci sembra una lacuna normativa che dovrà essere prima o poi colmata.
Tutto questo, però, non impedisce di affrontare il tema con un po' di sano realismo.
Il modello di previdenza integrativa che l'Italia ha scelto è questo. All'interno di queste norme, i lavoratori devono fare delle valutazioni di convenienza. Purtroppo, la maggioranza dei lavoratori farà la scelta senza la necessaria consapevolezza (come avviene, quotidianamente, nel campo più strettamente finanziario) fidandosi di persone interessate e/o non sufficientemente preparate.
Ci sarà, poi, una piccola fetta di lavoratori che vuole scegliere in maniera consapevole ed informata. A questi lavoratori, mettendo da parte le questioni politiche, vogliamo spiegare con la maggiore chiarezza possibile cosa effettivamente conviene all'interno del quadro normativo e fiscale attuale.