Draghi: economia più debole del previsto, servono ancora stimoli
Da sinistra, Jean-Claude Juncker con Mario Draghi (Reuters
Draghi conferma quanto emerso dagli ultimi indicatori: l’economia europea sta rallentando più del previsto e dunque ha bisogno degli stimoli della Banca centrale. «Gli sviluppi economici recenti sono stati più deboli di quanto atteso e le incertezze,
in particolare relativamente a fattori globali, restano elevate». Il presidente della Bce lo ha detto intervenendo all'Europarlamento in occasione del confronto sul rapporto 2017 sull'attività della banca centrale. Sullo stesso tema, da Mosca dove è in visita, ha parlato oggi anche il ministro dell’Economia Giovanni Tria, confermando l’attesa di «una situazione di stagnazione» per l’economia italiana , «spero temporanea». Più ottimistiche le sue parole sull’andamento dei Npl, che «si stanno riducendo costantemente secondo gli impegni e i programmi europei, questo è certificato e quindi su questo fronte non c'è nessun problema».
«Non c'è spazio per compiacimenti, un significativo ammontare di stimolo monetario è tuttora necessario per sostenere l'ulteriore aumento delle pressioni dei prezzi interni e gli sviluppi dell'inflazione complessiva nel medio termine». Nel suo intervento, Draghi ha aggiunto che l'attuale «forward guidance» sui tassi di interesse della Bce «rafforzata dai reinvestimenti del ragguardevole stock di asset acquistati continua a fornire il necessario grado di accomodamento monetario per una convergenza sostenuta dell'inflazione verso l'obiettivo della Bce» (inflazione sotto ma vicina al 2% nel medio periodo).
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Draghi ha fatto un po' la storia dei cambiamenti nell'economia e nella politica monetaria degli ultimi vent'anni, indicando che nei primi dieci si viveva ancora nella fase della «grande moderazione» mentre nel decennio successivo c'è stata la più grave crisi economica e finanziaria dalla grande depressione degli anni trenta. Difendendo l'impostazione seguita dalla Bce soprattutto nell'azione per contrastare l'inceppamento della politica monetaria dovuto al rischio deflazione, mettere al riparo l'Eurozona dalla crisi del debito sovrano che aveva messo in serio dubbi (in crisi) il meccanismo di trasmissione della politica monetaria all'economia, Draghi ha ripercorso le tappe dell'accomodamento monetario culminato nel quantitative easing. Misure che hanno permesso la ripresa dell'economia.
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«Adesso abbiamo avuto 22 trimestri consecutivi di crescita economica, ci sono 9,6 milioni di persone occupate in più rispetto al secondo trimestre 2013, quando il numero delle persone al lavoro aveva toccato il livello più basso durante la crisi. Nella zona euro il tasso di disoccupazione è calato al 7,9%, il livello più basso dall'ottobre 2008. Il tasso di occupazione delle persone tra 15 e 74 anni è aumentato da 54% nel 1999 al 56,9% nel secondo trimestre 2018, il tasso più alto mai raggiunto nella zona euro». Tuttavia, la crescita sta rallentando, ma Draghi non ha voluto fornire messaggi pessimistici.
L’Europa richiede un impegno politico permanente
Draghi ha poi indicato che la zona euro «è emersa dalla severa crisi che ha minacciato anche la sua esistenza: ne siamo fuori grazie in primo luogo ala resilienza, l'energia e alla capacità imprenditoriale dei cittadini europei, dalla fiducia nell'impegno dei leader di governo sull'euro». Ora l'unione monetaria è più forte rispetto al 2008 «e questo viene riflesso nella popolarità dell'euro presso i cittadini che è attualmente ai massimi». Tuttavia, «è necessario più lavoro per completare l'unione monetaria per metterla in grado di fronteggiare le crisi future». È ormai chiaro, ha continuato Draghi, che «per conseguire pieni benefici, l'Unione europea richiede un impegno politico permanente sia a livello nazionale che a livello europeo e in tutte i settori della policy». Un messaggio chiarissimo in vista della campagna elettorale per il voto europeo che si preannuncia come uno scontro feroce tra pro-Ue e il fronte variamente euroscettico e sovranista.